ANTICHI POPOLI DEL CENTRO ITALIA




LE INVASIONI INDOEUROPEE

L'archeologa Maria Gimbutas ha identificato gli Indoeuropei con una cultura guerriera dell'età del bronzo (4000 - 2000 a.c.), che chiamò i Kurgan, dal nome delle sepolture a tumulo in cui venivano seppelliti i principi insieme a mogli, concubine, schiavi e seguito di corte, con un eccidio di massa, usanza diffusa in molte civiltà orientali.

Si ritiene migrarono da una zona nordica tra gli Urali e il Danubio, combattendo e diffondendosi, dall'Europa occidentale all'India, sulle popolazioni neolitiche preesistenti, grazie a tecniche militari più avanzate, come metallurgia del rame e del bronzo e ammaestramento del cavallo, stravolgendo la struttura sociale e religiosa dei popoli sottomessi.

Erano connotati dall'ascia di guerra in bronzo e il carro da guerra, imponendo il patriarcato e il Dio padre, contro l'organizzazione matriarcale neolitica che onorava il femminile e la Dea madre.

L'archeologa Gimbutas identifica, fra le altre divinità preindoeuropee, una Dea madre lunare-terrestre, collegata al toro, e una Dea madre collegata alla civetta.
La Dea giovenca, è fecondità e sessualità collegate alle fasi lunari, e le corna bovine sono simbolo della falce lunare; la Dea civetta ai cicli di morte e rigenerazione. Gli Dei indoeuropei sono invece collegati al Dio padre cielo, eterno onnisciente e onnipotente da cui derivano lo Zeus greco e lo Iuppiter latino. Molti di questi simboli matriarcali resteranno nella cultura romana e greca.

Le società indoeuropee sono ovunque gerarchizzate e divise in tre caste: i guerrieri, i sacerdoti e gli agricoltori, con donne e schiavi relegati in fondo alla scala. Su tutto domina il re, capo carismatico eletto dai guerrieri. Questa società patriarcale di guerrieri e sacerdoti si sovrappone violentemente alle società egualitarie dei villaggi neolitici, fin dall'età del bronzo.

Non a caso Erodoto narra che dopo l'età dell'oro subentra quella dell'argento, dove i figli restano a lungo accanto alle madri, dove non si fanno guerre e non si fanno sacrifici cruenti agli Dei (nemmeno di animali), ma Giove li sterminò perchè erano litigiosi, chiara allusione al subentro della civiltà patriarcale che commise genocidi.

Queste teorie sono state molto contestate, ma tutta la mitologia, a cominciare da quella greca, suffraga questa ipotesi con i miti di sostituzione della Dea Madre col Dio Padre e l'estromissione quasi totale del sacerdozio femminile.

Dunque l'interazione di vari popoli nell'Italia centrale è anche interazione tra un mondo patriarcale e matriarcale, che in larga parte è sopraffazione e violenza, ma è pure scambio culturale arricchente e portatore di civiltà.



IL DOMINIO ROMANO

CARTINA ZOMMABILE
La politica adottata dai Romani dopo la conquista di un nuovo territorio era per la romanizzazione delle terre e delle città.

Lasciava infatti alle terre sottomesse piena autonomia, con la promessa di difenderle se attaccate. In cambio chiedeva di non stipulare trattati ed alleanze tra loro nè di stabilire qualsiasi altro rapporto con altri popoli. Inoltre dovevano contribuire con uomini e materiali all'esercito di Roma. Quindi la politica estera e militare era riservata a Roma, la politica interna era autonoma.

A seguito delle ribellioni combatté e vinse poco a poco tutti i popoli antagonisti trasformandoli in province, a cui nel tempo concesse cittadinanza romana. Il che provocò un processo di cambiamento che da un lato portò civiltà e bellezze artistiche, ma dall'altro provocò la perdita di tante culture interessanti, anche se piuttosto crudeli e selvagge.



AURUNCI

Popolazione di origine indoeuropea, che si stabilì nel basso Lazio, probabilmente intorno al I millennio a.c.. Il loro territorio, a sud di quello dei Volsci, era compreso nell'area di Roccamonfina, tra il Liri e il Volturno, i monti Aurunci e il monte Massico. Una delle città principali fu Terracina. Socialmente non erano particolarmente evoluti, o almeno così li descrissero i Romani, costruivano le loro città sempre in cima a un colle a scopo difensivo, con alcune caratteristiche umbro-osche.

Il territorio degli Aurunci si estendeva dal Circeo al Monte Massico, tra Monti Aurunci e i Monti Ausoni e il Mar Tirreno con a capo la Pentapoli di Ausona, Minturnae, Sinuessa, Suessa e Vescia, che ricopriva gran parte di questo territorio.

Minturnae è uno dei centri più antichi del Basso Lazio, alla foce del fiume Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, sulla riva destra. Il suo nome si fa risalire a Minothauros, Dio cretese, ma non ce ne sono prove sufficienti.

Insieme alle città di Ausona, Sinuessa (Mondragone), Suessa (Sessa Aurunca) e Vescia, faceva parte della Pentapoli Aurunca, fulcro della confederazione degli Aurunci (o Ausoni), che secondo alcuni anziché di origine indoeuropea, sarebbero discendenti dei Tirreni, quindi popolo di stirpe italica.

Intorno al IV sec. a.c. questo popolo entrò a contatto coi Romani, schierandosi contro di essi e alleandosi coi Sanniti. Le conseguenze furono disastrose: la Pentapoli venne annientata nel 314 a.c. (Livio, IX, 25 "Deletaque Ausonum Gens"), tanto che di Ausona e di Vescia non è rimasto che il nome e poche notizie. Nel 312 la costruzione della Via Appia, che collegava Roma con Capua, interessò anche il sito di Minturnae diventandone il Decumano Massimo, e la città divenne colonia romana nel 295 a.c.. Iniziò così un nuovo periodo di prosperità, che raggiunse l'apice nel I sec. d.c.
I Romani fondarono le colonie di Suessa Aurunca e Minturnae, riedificandole e abbellendole, oggi città omonime e con la stessa posizione.

Del periodo romano restano a Minturno l'acquedotto, il teatro, il foro coi suoi templi, le mura e l'anfiteatro. Dopo la devastazione dei longobardi nel 559 d.c., Minturnae venne depredata di marmi e colonne, per le nuove costruzioni, soprattutto da parte della Chiesa.

Per alcuni gli Aurunci coincidono con gli Ausoni, per altri sono popolazioni distinte. Fu comunque una delle più antiche popolazioni dell'Italia preromana, sovente confusa con gli Osci, intesa come abitanti preistorici della zona tra Lazio e Campania, come pure di restanti parti dell'Italia meridionale; Tito Livio la colloca tra i fiumi Liri e Volturno. Nelle loro terre si sono trovati molti reperti che non denotano però grandi insediamenti prima della colonizzazione romana.


AUSONI

Dionigi di Alicarnasso:
"Gli Arcadi, primi tra gli Elleni, attraversato l'Adriatico si stanziarono in Italia, condotti da Enotro.. nato 17 generazioni prima della guerra di Troia... giunse all'altro mare, quello che bagna le regioni occidentali d'Italia. Questo si chiamava Ausonio dagli Ausoni che abitavano le sue rive;... e fondò sulle alture piccoli centri abitati... E la regione occupata, che era vasta, fu chiamata Enotria ed enotrie tutte le genti su cui regnò."

Gli Ausoni, insieme agli Enotri, sono tra le genti che occuparono l’Italia meridionale fin dall’età del Bronzo. Infatti, i Greci chiamavano l’Italia Ausonìa, per cui gli Ausones erano coloro che abitavano questa terra e Ausonio il mare che la circondava. Di origine indoeuropea, vivevano di pastorizia e agricoltura. La leggenda li imparenta con gli Enotri, per una migrazione verso il centro della penisola, condotta da re Ausonio.

Abitavano il basso Lazio e dividevano il loro territorio con gli Aurunci. Abitarono peraltro Ausona, l'attuale città di Ausonia, che faceva parte insieme a Minturnae, Sinuessa, Suessa e Vescia, della pentapoli aurunca.

Intorno al IV secolo a.c. si schierarono contro i Romani alleandosi coi Sanniti. La rappresaglia fu terribile perchè sia le città che le persone furono sterminate.

I pochi insediamenti ausoni ritrovati sono fattorie, villaggi e centri fortificati su colline. Sembra usassero una struttura in blocchi di arenaria per gli edifici pubblici che poi sviluppavano in legno e fango essiccati, e che terrazzassero le colline con blocchi di pietra poligonale a secco. I contenitori di argilla rivelano che conservassero i prodotti agricoli, ma si è trovata anche ceramica fine. Per il seppellimento dei morti sono state rinvenute tombe a fossa. Anche Ausonia ebbe gigantesche mura poligonali di cui restano tracce.


CAPENATI

I Capenati facevano parte delle popolazioni italiche, probabilmente autoctone, che prosperavano nel Lazio prima dell’avvento di Roma. La loro cultura era mescolata ad elementi etruschi, latini e sabini. Il loro territorio si stendeva lungo la riva destra del Tevere, confinando a Nord con i Falisci, a Est con il Tevere e i Sabini, a Sud e a Ovest con il territorio etrusco di Veio.

Comprendeva gli attuali comuni di Capena, Fiano, Morlupo, Civitella, Nazzano, Ponzano, Filacciano, Torrita, Rignano, S. Oreste, Castelnuovo e Riano.
I centri più importanti: Capena, sul colle della Civitucola, capitale politica della regione, il Lucus Feroniae, centro religioso e per il culto della Dea Feronia, Grande Madre della natura condivisa anche dai sabini, e grande centro commerciale e abitativo, e la città di Saperna, forse presso Nazzano, dove furono trovati resti del santuario della Bona Dea Serpenas. Sembra ci fosse un centro religioso sul monte Soratte, al confine con il territorio falisco, con il culto di Apollo Sorano.

Il Lucus Feroniae è stata recentemente identificato in località Scorano, su di un'altura dominante il corso del Tevere. Quelli che oggi si ammirano sulla via Tiberina sono i resti della bella Colonia Julia Felix Lucus Feroniae, con il foro, il tempietto, l'Aerarium, le terme, l'anfiteatro e la villa extraurbana dei Volusii Saturnini.

Vi sono invece poche tracce del santuario della Dea sabina Feronia, saccheggiato dei preziosi ex voto da Annibale. Tito Livio riferisce che nelle feste annuali alla Dea, si radunassero in una grande fiera, mercanti Etruschi, Capenati, Sabini e Latini.

LUCUS FERONIAE
Verso il VI sec. a.c. i Capenati entrarono nella Confederazione etrusca, e nel IV sec. ci fu la guerra tra Veio, i Capenati e i Falisci, alleati tra loro, e Roma, per il controllo di questa zona del Tevere. I Romani vinsero nel 395 a.c. e Veio cadde per mano di Furio Camillo.

Dopo la conquista romana, il territorio fu ascritto alla Tribù Stellatina con un Municipio Federato. Capena mantenne importanza commerciale e ricchezza, come testimoniano i manufatti del periodo ellenistico e i tesori del Lucus Feroniae, che attirarono anche Annibale che nel 211 a.c. saccheggiò il santuario.

Nel periodo imperiale, parte del territorio fu invaso da numerose Ville suburbane romane coi loro latifondi, come la splendida Villa dei Volusii. Molti aristocratici romani a causa delle tasse si ritirarono nelle proprie terre edificandovi ville sontuose.



CARRICINI

Livio li descrive: "Non fuggivano la guerra: erano così lontani dal cessare di combattere anche senza successo, che preferivano essere conquistati piuttosto che rinunciare a inseguire la vittoria."

I Carricini, scorrettamente chiamati Carecini, di probabile provenienza sabina, sono testimoniati da una lastra di bronzo rinvenuta a San Salvo, presso Vasto, su cui sono nominati i Cluvienses Carricini. L'appartenenza dei Carricini al nucleo sabellico - sannitico è documentata da Livio.

Furono una delle quattro tribù dei Sanniti, la tribù più settentrionale e meno numerosa, che occupava l'area del basso Abruzzo tra il fiume Sangro e le pendici della Maiella.

Avevano a nord il territorio dei Frentani, a sud i Pentri, a est i Lucani e a ovest i Peligni. Il popolo carricino si divideva in due gruppi: i Carricini supernates, nel nord, che avevano come centro principale la città di Juvanum (resti tra Torricella Peligna e Montenerodomo) e i Carricini infernates, a sud, il cui centro principale era Cluviae (resti a Piano Laroma, frazione di Casoli).

SANNITI

SANNITI

Abitatori della regione del Sannio, nell'Italia centro-meridionale, detti in osco Safineis, tra il VII-VI sec. a.c. e i primi secoli dell'impero romano. Insieme costituirono la potente Lega Sannitica che dette molto filo da torcere ai romani.
Si sa di questo popolo che era costituito va varie tribù di cui quattro più importanti, stanziate in aree ben delimitate:

  • I Pentri che occupavano l’area centro-settentrionale del Sannio, con capitale Bovianum (oggi Bojano); formavano la gloriosa Legio Linteata un gruppo scelto di guerrieri, votati con una cerimonia sacra, che li destinava al sacrificio estremo in battaglia per il proprio popolo. 
  • i Carricini (o Caraceni) occupavano la zona più settentrionale; si dividevano in Carricini supernates e Carricini internates, città principali: Cluviae (presso Casoli) e Juvanum (i resti e fra Torricella Peligna e Montenerodomo);
  • i Caudini, occupavano la zona sud-ovest, di forte influenza ellenica, con capitale Caudium, (dove avvenne la cocente sconfitta delle Forche Caudine) (presso Montesarchio);
  • gli Irpini che occupavano la zona meridionale; con capitale Maleventum, città di fondazione osca, il cui nome in lingua osca era Maloenton, il cui nome venne poi trasformato dai romani in Benevento.

Più tardi vi si unirono i Frentani, posti sulla costa adriatica a nord del Gargano e presso i monti Frentani, con capitale Larinum (Larino).

I Sanniti rispettavano la stessa tradizione dei Sabini: in occasione di un Ver Sacrum, un voto pubblico che si metteva in atto a primavera, fatto in situazioni di emergenza (carestia, malattie ecc), un folto gruppo di giovani abbandonavano il territorio e fondavano una colonia. Si dice che i Sanniti fossero gli emigranti di un Ver Sacrum sabino. Una volta espatriati si impadronivano degli sbocchi o sul mare o nelle vallate, da cui attaccavano e razziavano le zone e le città sottostanti, pronti a rifugiarsi, in caso di pericolo, sui monti dell’interno.

Grandi fabbricanti di armi, valorosi guerrieri e difensori delle città-fortezze, con mura alte più di tre metri e spesse più di un metro, abitavano sulla cima di montagne già di per sé inespugnabili. Le mura, in opera poligonale, raggiungevano i sei o sette km. di lunghezza. L'area all'interno era adibita al ricovero delle genti, delle merci e degli armenti, la prima cosa che veniva requisita dai nemici.

Per un secolo e più i Sanniti furono i rivali dei Romani per l'egemonia dell'Italia peninsulare, combattendosi nelle tre guerre sannite, dal 343 al 290. Il territorio dei Carricini venne occupato dai Romani durante la II guerra sannitica (310 a.c.) assimilandosi ai Romani fino ad ottenere la cittadinanza romana.



EQUI

NECROPOLI DELL'ETA' DEL FERRO
DI SCURCOLA MARSICANA
Popolazione di origine indoeuropea che viveva di pastorizia e agricoltura. Abitavano un'area fra il Lazio e l'Abruzzo, occupando l'estensione superiore delle valli del fiume Anio (Aniene), Tolenus (Turano), Himella (Imele) e Saltus (Salto), che scorrono verso nord e confluiscono nel fiume Nera. 

Ebbero come centri principali Carseoli e poi Alba Fucens, che fondarono insieme ai Marsi. Virgilio nell’Eneide descrisse l’indole aggressiva e selvaggia degli Equi che abitavano i monti dell’alta Ciociaria, dall’alta Valle dell’Aniene all’Imelia fino al lago Fucino.

Citati da Livio come ostili a Roma nei primi tre secoli, sconfitti più volte dai Romani fin dal 484 a.c., furono sottomessi definitivamente solo alla fine della II Guerra Sannitica, in cui però fu accordata loro una certa libertà, riunendo le popolazioni di Nersae, Cliternia, le colonie di Alba Fucens e Carsoli nella Res Publica Aequiculorum.

Probabilmente come i vicini Marsi ed Ernici parlavano, nel III secolo a.c., un dialetto simile al Latino. Le mura poligonali che, ancora visibili, esistono nel distretto, sia per la cinta delle città che per i terrazzamenti, sono una notevole testimonianza della loro cultura.

CORVARO TUMULO DI BORGOROSE

Reperti: Tumulo di Borgorose

Di questa civiltà restano i grandiosi sepolcri monumentali, detti pure Tumulo di Borgorose, con 194 tombe, di cui le più arcaiche con prevalenza dell'80% di maschi, con corredo personale di fibule, spade, pugnali, lance e giavellotti. Nelle poche tombe femminili, placche di cinturone e bacili. Del tutto assenti nell'area i materiali di fuseruole e rocchetti, e la ceramica.

In età repubblicana risultano invece superiori le sepolture femminili, con tombe infantili, assenti nel periodo precedente. I corredi hanno specchi, scarsi ornamenti e, per entrambi i sessi, balsamari anche in pasta vitrea. Nelle tombe maschili strigili in ferro.

La tomba 108 ha restituito tre pendenti globulari in lamina d'oro forati, una coppia di calzari in bronzo con suola lignea, un bacile in bronzo, una spada in ferro, due punte di lancia in ferro di cui una con manico in argento e decorazione a onde in fili di rame e argento.



ERNICI

"Hernici dicti a saxis quae Marsi herna dicunt", (gli Ernici, detti "Il popolo dei sassi", e che i Marsi chiamano Herna") con queste parole il latino Festo denomina gli Ernici, la popolazione latina per alcuni di razza sabina.

Le loro origini sono avvolte nel mistero poiché della loro lingua conosciamo soltanto due parole: 'buttuti' e 'samentum'. I buttuti erano cantilene femminili usate durante i riti religiosi, il samentum era un brano di pelle di un animale sacrificale indossata dal sacerdote.

Virgilio racconta che gli Ernici andavano in guerra col piede sinistro nudo e il destro coperto da un calzare e che erano tiratori infallibili, lanciando le frecce col piede destro avanti e il sinistro dietro. Per alcuni vengono dall'Asia minore, per altri dagli Osco-Sabelli, fra i quali c'erano i Sabini, i Marsi ed altri popoli italici, tanto che lo stesso Festo afferma che il nome "Ernici" derivi dalla parola Herne che i Marsi usavano per indicare i sassi.

Ovidio racconta che per loro il mese di marzo era il sesto, quindi per gli ernici l'anno cominciava nel mese di ottobre, come per gli Spartani e i Fenici. Per Anagni, spiega che Ananés in greco significa Re, pertanto Anagni doveva possedere la reggia. Per altri il nome "Anagnia" deriva dalla tribù ernica Annia, predominante da un punto di vista culturale, religioso ed economico, sulle altre tribù.

Verso la fine del VI sec. Alatri costituì la Lega Ernica (con Veroli, Ferentino e Anagni) e la sua roccaforte assunse un ruolo strategico per contrastare Volsci e Sanniti a nord.
Nel 485 a.c. strinsero con i Romani un'alleanza di cento anni. Poi, con i Volsci e i Latini si rivoltarono contro Roma, ma battuti si ritirarono sulle montagne fino a quando i Romani non decisero di sottometterli definitivamente. Sconfitti nel 361 e persa Ferentino, scesero a patti coi vincitori, aiutandoli a combattere i Latini e a tenere a bada i Sanniti. Le città Erniche nel 306 ripresero le armi contro Roma per chiedere la cittadinanza romana che alla fine ottennero.

ETRUSCHI

ETRUSCHI

Dionisio D’Alicarnasso, storico greco di età augustea, dedica cinque capitoli sulle teorie che identificavano gli Etruschi con i Pelasgi o i Lidi dichiarandoli un popolo «non venuto di fuori ma autoctono», col nome indigeno di Rasenna.
"Sono convinto che i pelasgi fossero un popolo diverso dai tirreni. E non credo nemmeno che i tirreni fossero coloni lidii, poiché non parlano la lingua dei primi... Perciò sono probabilmente più vicini al vero coloro che affermano che la nazione etrusca non proviene da nessun luogo, ma che è invece originaria del paese."

Prima di lui, per i Tirreni, cioè gli Etruschi, si era parlato di una provenienza orientale, dalla Lidia in Asia Minore, attraverso una migrazione transmarina, guidata da Tirreno figlio di Ati re di Lidia, nel territorio italico degli Umbri (Erodoto) o di una loro identificazione con il misterioso popolo dei Pelasgi (Ellanico di Lesbo), o di una immigrazione di Tirreno con i Pelasgi che avevano già colonizzato le isole di Lemno e di Imbro (Strabone).

Scrive Erotodo: "Sotto il regno di Atis, figlio di Manes, tutta la Lidia sarebbe stata afflitta da una grave carestia. Per diciotto anni vissero in questo modo. Ma il male, lungi dal cessare, si aggravava sempre più. Allora il re divise il suo popolo in due gruppi: quello estratto a sorte sarebbe rimasto, l'altro avrebbe cercato fortuna altrove. Alla testa dei partenti pose suo figlio, chiamato Tirreno. Dopo aver costeggiato molte coste e aver visitato molti popoli giunsero nel paese degli umbri e vi costruirono varie città in cui tuttora abitano. Ma mutarono il nome di lidii in un altro, tratto dal figlio del re che li aveva guidati: prendendo il suo stesso nome si chiamarono tirreni."

L'origine lidia degli Etruschi fu accettata così della letteratura classica: Virgilio dice indifferentemente Lidi per Etruschi. Di fatto noi riconosciamo la civiltà etrusca fin dalle iscrizioni in lingua etrusca del VII secolo a.c. che durò fino al principio dell'età imperiale romana, diffusa in Etruria (Lazio settentrionale e Toscana), in Campania e nella parte orientale della valle del Po. La fase più antica di questa civiltà è chiamata "orientaleggiante" per un afflusso di elementi orientali nell'arte che si sovrappone senza stacco alla cultura del ferro villanoviana.
Nel rito funebre si osserva in Etruria:
  • un predominio esclusivo dell'inumazione di età preistorica;
  • poi l'incinerazione con i sepolcreti «protovillanoviani» ed una sua netta prevalenza nel villanoviano più antico;
  • un riaffermarsi dell'inumazione nell'Etruria meridionale e marittima durante il villanoviano evoluto e l'orientalizzante;
  • infine un uso misto dei riti, con prevalenza di inumazione a sud e incinerazione a nord, per la successiva durata della civiltà etrusca. Anche a Roma però i due riti funebri si alternarono e coesisterono, il che non corrispose a cambiamenti etnici.
Oggi si è orientati su tre teorie:
- una la tesi della provenienza dall'oriente,
- l'altra la provenienza da settentrione,
- la terza sull'autoctonia degli Etruschi, anteriore alla diffusione delle lingue indoeuropee.

Di queste tre tesi la più nota ed universalmente accettata è quella dell'origine orientale.

Più di recente, il villanoviano è stato attribuito ad un'ondata egea, tra cui gli antenati degli Etruschi da Lemno e da Imbro; oppure un'immigrazione di Tirreno-Pelasgi nella tarda età del bronzo.

Considerati i legami tra l'etrusco e le lingue preindoeuropee del Mediterraneo, il popolo etrusco non sarebbe post-Indoeuropeo, ma un residuo delle più antiche popolazioni preindoeuropee.

Effettivamente esiste uno strato linguistico più antico dei dialetti italici e affine all'etrusco, agli idiomi dell’Egeo preellenico e dell'Asia Minore. Inoltre la cultura etrusca ha costumi molto vicini al matriarcato, per la posizione egualitaria o quasi della donna nella società, al contrario della cultura indoeuropea centrata sul maschio. In archeologia, lo strato etnico più antico sarebbe negli inumatori di età neolitica e dell'età del bronzo con sovrapposizioni di cultura villanoviana, con impulsi culturali provenienti dall'oriente.

Gli Etruschi dominarono per lungo tratto Roma durante l'età regia, come civiltà maestra di manufatti, cultura ed arte. Non è difficile vedere le due epoche: i Romani lavoravano a pietra e mattoni, gli Etruschi a enormi blocchi di tufo (vedi le mura serviane).

Gli etruschi insegnarono ai Romani più rozzi, anche se più organizzati e combattivi:

- a costruire ponti e acquedotti, perchè conoscevano il segreto per costruire gli archi,
- gli trasmisero l'auruspicina, l'arte della divinazione che porterà ai Flamen romani e al Pontifex Maximus (il pontefice massimo, il costruttore di ponti),
- gli insegneranno pure a tingere i mantelli di porpora,
- a tessere veli e stoffe sottili inserite da fili in oro per le donne,
- a costruire i letti coi pomi e zampi di animali,
- a usare guanciali guarniti di frange,
- a fare sandali di cuoio colorato all'orientale, una sorta di babbucce ricamate. A Roma una donna elegante si diceva che vestisse all'etrusca.
- ancora trasmisero ai Romani strumenti musicali
per la guerra,
- e le insegne romane con l'aquila,
- i troni dei re  (poi sedia vescovile nelle chiese romaniche, nonchè la sedia dei papi col buco al centro, copia del trono etrusco),
- in più portarono la ceramica più fine, in parte ispirata alla greca, in parte autoctona, come il bucchero, e stoviglie in oro e argento,
- furono maestri nella terracotta fittile (si ricordi l'Apollo di Veio) e nel bronzo (la chimera di Arezzo).
- ancora trasmisero ai Romani l'uso dei triclini, - dei gladiatori,
- della corsa coi carri,
- e la lotta tra uomini e belve o tra belve stesse, insomma il circo.

Quando un Romano voleva dare ai suoi figli un istruttore di grande cultura, gli forniva un greco o un etrusco. Trasmisero anche l'uso della forchetta che gli Etruschi usavano solo per il piatto da portata, e altrettanto poi i Romani.

Purtroppo la maggior parte delle opere etrusche sono finite all'estero per l'incuria e l'avidità dei governanti italiani, soprattutto a Londra, e pure a New York, ma molto anche al Louvre, grazie alle razzie napoleoniche in Italia. Basti pensare che a Vulci c'erano ben 1500 tombe etrusche piene di arredi e che Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone, dopo aver preso i vasi migliori, ordinò la distruzione di tutti gli altri vasi perchè temeva che rendessero meno preziosi i suoi reperti.

Invano un archeologo dell'epoca supplicò l'esecutore materiale del massacro di vendergli dei vasi, perchè questi temeva di pagare con la vita la disobbedienza. Così venne fatto a pezzi un patrimonio enorme, grazie all'avidità e all'ignoranza umana, perchè l'arte è patrimonio del mondo.



FALISCI

Di ceppo linguistico ed etnia differenti dagli Etruschi, nonostante in alcuni periodi della sua storia si notino diversi contatti con quella cultura. Erano infatti dl ceppo linguistico indoeuropeo, incluse altre lingue tra cui il latino, che hanno presumibilmente radici comuni nell'età del Bronzo (II millennio a.c.), in cui latini e falisci vivevano in zona comune. Il territorio falisco era posto tra il Tevere, i Monti Cimini e Sabatini, e parte della provincia di Roma a nord e il sud della provincia di Viterbo. La loro origine sarebbe dunque un misto tra autoctoni ed indoeuropei.

Ma i reperti archeologici, specialmente per l'età del Ferro, mostrano molte affinità con la Cultura Villanoviana, specialmente nel periodo orientaleggiante (VII secolo a.c.): molti vasi di impasto rosso, decorati con l'excisione (cioè incidendo l'argilla non ancora cotta) e ricchi i corredi delle tombe a camera del periodo Orientalizzante, soprattutto a Narce.

Le terrecotte architettoniche e i doni votivi degli scavi attestano una scuola locale dal VI agli inizi del III sec. a.c., con influssi artistici greci di Fidia, Lisippo, Prassitele e Skopas. La produzione di ceramica, soprattutto d'età ellenistica (IV-III secolo a.c.), ha molto di greco e di attico, con prevalenze di cratere, calice e campana, e temi dionisiaci. Si ricorda per la bellezza dell'arte il cratere a volute del Pittore dell'Aurora.

Le città principali erano:
  • Falerii, odierna Civita Castellana, fu la capitale dei Falisci, fiorì maggiormente nel VI secolo a.c. per una forte ellenizzazione, soprattutto dei coroplasti, gli artigiani produttori di oggetti o statue in terracotta.
  • Vignanello, coi templi Maggiore e Minore,
  • Sutri, che insieme a Nepi erano poste in un'area di confine tra lo stato etrusco e il falisco per cui avevano tratti di ambedue le culture. Resti di materiali di impasto sono della tarda età del Bronzo, le tombe a fossa e a pozzetto, e i reperti ceramici sono dell'VIII e VII sec. a.c. Resti di abitati, dell'età del Ferro, si trovano a Monte Rocca Romana e Monte Calvi. Notevole l'anfiteatro ingiustamente dichiarato romano (i Romani non scavavano nel tufo ma edificavano nel soprasuolo) in realtà falisco-etrusco, e la Madonna del parto costruita su un Mitreo romano a sua volta scavato su una necropoli falisca.
  • Fescennium, da cui I "fescennini versus" durante le feste rurali, secondo Orazio, una tradizione di salaci motteggi che sconfinavano nella diffamazione pubblica. Fu un centro tra Etruria e Lazio, forse vicino a Corchiano.
  • Narce, presso Calcata, sulla sua altura strutture e reperti della antica civiltà etrusco-falisca; alla fine dell'VIII - VII sec. a.c. le caratteristiche falische sono più nette. A dopo la conquista romana nel IV sec. a.c. risale il santuario extraurbano in località Le Rote, ai piedi di Calcata Vecchia, con numerosi ex voto di terracotta anche di elementi anatomici.
  • inoltre Nepi e Capena.
I Falisci furono alleati degli Etruschi contro i Romani, con diverse vittorie, seguite da pesanti sconfitte. Nel 395 venne conquistata Capena e, ben presto, anche Sutri e Nepi. L'anno dopo un trattato di pace interrotto più volte da rivolte.

All'ennesima ribellione i Romani distrussero Falerii (241 a.c.) e gli abitanti, privati dei beni e di buona parte del territorio, si trasferirono in una nuova sede, Falerii novi. Questa piccola città, sorvegliata dai Romani, trovò però le sue risorse, (abbiamo avuto la fortuna di visitare l'inizio degli scavi), perchè vi avevano scavato pozzetti per nascondere i beni residui, ma pure passaggi sotterranei che permettevano di recarsi altrove eludendo la sorveglianza romana.



FRENTANI

Popolazione di lingua Osca, ma molto simile ai Sanniti, con un processo di fusione con una autoctona, residente già dal Neolitico, con popolazioni di origine pelasgica e illirica arrivate via mare alla fine del II millennio a.c., e infine l'insediamento di popolazioni italiche del gruppo dei Sanniti agli inizi del I millennio a.c..

I Frentani risiedevano nell'alto Molise e il principale centro abitato fu Larinum, divenuto in seguito colonia romana. Furono spesso alleati coi Sanniti. Altri centri importanti furono: Epineion (Ortona) il cui significato in osco è "arsenale organizzato sul mare", Lanciano (colonia romana Anxanum) e Vasto (Histonium).

Popolo guerriero, si difese tenacemente dal processo di romanizzazione, subendo successivamente la conquista dei Romani. Vivevano di agricoltura, pesca ed allevamento, con notevole produzione agro-alimentare.

Dopo la Guerra Sociale la "Lex Julia de civitate", che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli Italici fedeli a Roma, fu estesa in seguito anche ai Frentani. I loro territori furono colonizzati e incorporati nelle tribù romane. I Frentani, con i Marrucini, furono iscritti nella gens Arnensis.



LATINI

L'antico Lazio (Latium Vetus) si estendeva dal Tirreno alla foce del Tevere ad Anzio, alle alture di Terracina a sud, i monti Prenestini e Lepini a ovest ed il Tevere a nord.

Nel neolitico (2000 a.c.) questo territorio fu occupato dai Latini, i Prisci Latini, probabilmente gente autoctona fusa con popoli indoeuropei, non è esclusa la presenza di emigrati cretesi. Furono pastori e agricoltori, che trasformarono in campi coltivati e villaggi i colli laziali e la pianura acquitrinosa del Lazio. Più tardi col nome di Lazio si indicò tutta la regione compresa fra l'Etruria, la Sabina, il Sannio e la Campania.
Fu Plinio a chiamare il Lazio originario col nome di Latium vetus, delineandone le parti aggiunte, come il territorio del Liri, col nome di Latium adiectum (aggiunto).

I Latini si riunirono in villaggi per difendersi dai briganti e dai vicini montanari della Sabina. Per questo formarono un esercito forte e organizzato, un po' come ce li rappresenta la leggenda di Cincinnato, un agricoltore che combatte se la patria lo richiede, per poi tornare ai campi.

I villaggi laziali strinsero leghe tra loro soprattutto come federazioni religiose, per cui si riunivano in alcune feste sui sacrari laziali a compiere riti. Famosi quelli di:

Giove Laziale sul Monte Cavo, il santuario più famoso, (di cui restano solo delle mura esterne di contenimento e una via sacra in basolato);
- Diana nemorense sul lago di Nemi (di cui i resti del tempio in riva al lago);
- Giunone a Gabi (con pochissimi ruderi del tempio);
- il santuario sul Circeo di cui restano mura antiche e una dedica a Venere (ma vi fu rinvenuta nel 1938 una testa colossale di donna con l'aureola irraggiata come Elios, il che fa supporre fosse davvero Circe in quanto figlia del sole);
- il santuario della Fortuna Primigenia a Preneste di cui si conservano mura, antro e pregiatissimi mosaici, però questi di epoca romana.

Sul Monte Cavo, sotto la direzione di Albalonga, in mezzo al recinto sacro, sull'ara dedicata a Giove, nella festa annua delle Feriae Latinae, si sacrificava un toro bianco le cui carni si dividevano tra i rappresentanti di tutte le tribù della lega sacra. Plinio nomina parecchie comunità latine federate, di cui alcune ignote e senza traccia:
Albani, Accienses, Aefulani, Abolani, Bolani, Bubentani, Carventani, Cusuetani, Coriolani, Fidenates, Foreti, Hortenses, Latinienses, Laurentes, Longulani, Manati, Macrales, Mucienses, Numintenses, Octulani, Olliculani, Pedani, Poletaurini, Papiri, Polluscini, Rutuli, Sanates, Sasolenses, Sisolenses, Tolirienses, Titienses, Vitellienses, Vimitellari, Vetulani.

Per alcuni sono 47, compresa Roma, dapprima dirette da Albalonga, poi, come racconta il mito, detronizzata da Romolo e Remo, cioè da Roma.

I centri più importanti furono:
  • Tusculum, secondo la tradizione fondata nel 900 a.c. da Telegono, figlio di Ulisse e Circe. Secondo Festo il nome deriva dagli Etruschi, ma di tracce etrusche non se ne sono trovate. Tusculum fu sconfitta da Roma al Lago Regillo intorno al 500 a.c. da Tuscolano Ottavio Mamilio, genero di Tarquinio il Superbo, per cui probabilmente fu ribattezzato dal vincitore. Molti nobili romani, tra cui l'imperatore Tiberio e Cicerone, vi costruirono lussuose ville per la bellezza del luogo e l'abbondanza di acque. I Latini stipularono con Roma un trattato di pace, il Foedus Cassianum nel 493 a.c. a scopo sia offensivo che difensivo.
  • Aricia, col suo famoso bosco sacro e il santuario di Diana e Vertunnio, citato anche nel libro "Il ramo d'oro" di Frazer, in cui si analizza la religione e gli usi del tempo.
  • Lavinium, dove sbarcò Enea e luogo di Laurentum, centro religioso famosissimo della tribù dei Laurentes.
  • Horta (Orte), città latina dedicata alla latina Horta Dea degli orti, che ad Orte aveva appunto un santuario, dove le sue sacerdotesse piantavano ogni anno un chiodo per misurare il tempo, un primitivo calendario.
  • Tibur (Tivoli), antica colonia sicula che si sviluppò come città col concorso di latini, sabini e appenninici, l'imperatore Adriano vi fece costruire una villa stupenda con la copia delle 7 meraviglie del mondo di allora, di cui si conservano molti resti.
  • Lanuvium, attuale Lanuvio, con ben 3000 anni di abitazioni, dove sorgeva il grande santuario di Giunone Sospita, dove i miracoli, a detta di molti autori antichi, erano all'ordine del giorno, insomma una specie di antica Lourdes.
  • Velitrae, attuale Velletri, per alcuni etrusca per altri volsca. Con i resti di circa venti ville romane, tra cui di Gaio Mario, di Nerva e pure di Caligola.
  • Ardea, capitale dei Rutuli; secondo Dionigi di Alicarnasso, fu fondata da Ardeas, figlio di Odisseo e Circe. Ovidio narra che fu Enea ad uccidere Turno, il suo re "Turno muore. Ardea cade con lui, città fiorente finché visse il suo re. Morto Turno, il fuoco dei Troiani la invade e le sue torri brucia e le dorate travi."
  • Antium, odierna Anzio, capitale volsca, con i resti di molte ville romane, da Cicerone a Nerone, con splendide statue e ornamenti preziosi.
  • Satricum, oggi scomparsa ma con resti archeologici, tra cui il grande tempio della Mater Matuta.
  • Circeii, attuale San Felice Circeo, colonia romana dal IV sec. a.c. con resti di mura ciclopiche.
  • Tarracina, odierna Terracina, per Dionigi di Alicarnasso la città sarebbe stata fondata da profughi di Sparta. Antica città ausonia, poi latina e poi romana, con mura poligonali e splendido tempio di Giove Anxur (Giove bambino), ancora visibile.
  • Cora, attuale Cori, tra le più antiche città dei Prisci Latini, con gli arcaici resti e le megalitiche mura poligonali.
  • Norba, accanto all'attuale Norma, con i suoi megalitici resti delle mura poligonali, la gigantesca porta perfettamente conservata, le strade e le terme.
  • Signia (Segni) al confine con gli Ernici, di connotazione latino-etrusca. Con mura megalitiche e Porta Saracena, coperta da un megalite lungo oltre 3 metri.
  • Collatia (Castelverde), centro prelatino oggi scomparso, probabilmente si trovava nell'attuale quartiere "La Rustica" (V Municipio di Roma). Secondo la tradizione sarebbe stata una colonia di Alba Longa, fondata dal Re latino Silvio.
  • Gabii, luogo sacro anch'esso prelatino e oggi scomparso, sulla Prenestina col celebre tempio di Giunone, di cui si conservano pochi resti.
  • Praeneste (Palestrina), prelatina, risalente all'VIII sec.a.c., nota per il grande santuario della Fortuna Primigenia, da cui accorreva tutto il Lazio per la predizione delle sorti che venivano lette negli antri su tavolette di legno. Ci sono resti mirabili del ciclopico santuario a terrazze che occupava l'intera collina.
  • Ameriola, oggi scomparsa, forse Castelchiodato, distrutta in epoca sabina da re Tarquinio.
  • Sempre tra i centri prelatini: Nomentum, Fidenae, Ficulea (sulla via Nomentana), Bovillae, Aefula, Pometia, Tellanae, Caenina, Corniculum, Medullia, Ficana, Anagnia, Setia (Sezze).
La maggior parte delle città latine furono poi incorporate nello stato romano e Tuscolo, Ariccia e Castri Moenium (Marino) divennero Municipi.

NAVE LIBURNA

LIBURNI

Popolazione di origine illirica, residente prevalentemente in Istria e sull'Adriatico settentrionale dal 1000 a.c., che ebbe alcuni porti di scambio e piccole comunità nel Piceno, in Campania ed in Etruria. Abili navigatori, insegnarono a navigare ai Romani.

I liburni giunsero dall'Asia sulle coste orientali dell'Adriatico (Dalmazia), intorno al X - IX secolo a.c. Celebri per la velocità delle loro navi, le Liburne, sbarcarono alla foce del Tronto e colonizzarono le coste instaurando fiorenti scambi commerciali con l'intero Piceno. L'ètimo di Truentum è il verbo greco "truo", che significa "penetro, entro".

Quindi i Liburni con le loro navi approdarono nelle spiagge sull'imboccatura del fiume.
Fondarono Livorno (Liburnae), nonchè alcuni centri nelle Marche, fra quali Truentum, con l'antico centro liburno di Castro Truentum di epoca preromana, sulla sponda Sud del Tronto, ed ebbero uno scalo a Cuma. Rapidamente subirono l'espansione picena, poi quella romana nel II sec. a.c.



MARRUCINI

Popolazione di origine illirica che ha subito un processo di fusione con una autoctona, residente già dal Neolitico. Subì influenze umbro-osche e teneva il proprio dominio nella regione del basso Abruzzo.

Il principale centro abitato fu Teate, in seguito colonia romana, oggi Chieti. Vi si conservano tre tempietti, i resti del teatro e le grandi terme, alimentate da una cisterna costituita da nove vani scavati in una collina. Da questo popolo deriva la celebre statua del Guerriero di Capestrano del VI secolo a.c.

Vi sono stati trovati reperti e iscrizioni su un monte sacro chiamato Giovia, dedicato appunto a una Dea Giovia nel cui santuario si praticava la ierodulia (prostituzione sacra).

Popolo fortemente guerriero, si difese strenuamente dal processo di romanizzazione, subendo successivamente la conquista romana nel II sec. a.c. Vivevano di pesca e non solo, perchè divennero pure pirati del mare.



MARSI

Una delle guerre più dure e lunghe per i Romani fu quella contro i Sanniti, che si protrasse per 50 anni, fino al 290 a.c. Durante questa guerra i popoli Marsi, di origine indoeuropea, ma con caratteri sabini, dapprima si allearono coi Sanniti, mostrando la loro fama di guerrieri forti e coraggiosi, battendosi strenuamente contro Roma.

Nei Marsi erano famosi i tempi di Diana, di Cerere e di Osiride in Opi, di forma rotonda, a 6, 7 e a 8 facce. In aprile ricadevano le feste in onore della Dea Ope, per allontanare carestia e siccità. Durante la mietitura del grano si festeggiava Cerere: il sacrificio in suo onore si chiamava "costo" (costum), perché in quel giorno tutti gli intervenuti dovevano astenersi dal mangiare certi cibi e dal sesso.

La Dea Ope, o Vesta, aveva forma di donna velata, colla testa turrita e giaceva innanzi ad un'ara cubica di pietra, dove ardeva fuoco perenne, conservato da quattro sacerdotesse, le sacre vergini vestali rispettate al pari dei magistrati. Il loro ufficio durava trent'anni; dopo, potevano lasciare il sacerdozio e sposarsi. Nelle feste in onore di Ope si usava per i sacrifici un vaso di bronzo elegantemente adornato.

La sua festa si celebrava in primavera, il suo tempio circolare, cinto da colonne, coll'ara del fuoco sacro nel mezzo, era una camera ardente; gli si offriva il farro, ed aveva sacro l'asino. Durante le sue feste si coronava l'asino e si gridava: Festum est Vestae, asinus coronatur.

I Marsi avevano nel loro territorio città e fortezze ben munite, fra le quali:
  • Marruvio, presso San Benedetto, capitale dei Marsi. La sua origine è testimoniata anche da Virgilio nel settimo Libro dell'Eneide
  • Angizia, scomparsa, ne restano resti delle mura e del tempio augusteo. Lucus Angitiae fu il santuario principale dei Marsi, dedicato alla Dea Angitia.
  • Pago di Venere,
  • Cerfegna (Collarmele),
  • Pliestilia (Pescina),
  • Fresilia (Pescasseroli),
  • Opi, scomparsa, si trovava sotto il colle di Opi, sotto il monte Marsicano, col grande santuario della Dea Opi-Vesta.
  • Milionia, centro fortificato basilare per i Marsi e gli alleati Sanniti, perchè passaggio obbligato da Roma per il nord del Sannio e il controllo dei valichi di Forca Caruso e Carrito a Cocullo, uniche vie verso i Peligni e i Subequani. Iniziate le ostilità tra Roma e i Sanniti, i Marsi furono attaccati da Roma e sconfitti, giungendo a un accordo di pace spesso sconfessato.
Con l'ennesima pace fra Romani e Sanniti, firmata da molto popoli italici, fu costruita Alba sulla sponda settentrionale dei lago di Fucino, con un presidio di 6.000 uomini, una trincea contro i Marsi a cui seguirono Turano e Carseoli.

Furono i Marsi a dare il via alla Guerra Sociale, che portò il paese alla lotta tra Mario e Silla. I Marsi erano famosi per le loro arti lottatorie: quasi tutti erano gladiatori presso i Romani.
Si raccontava che quattro soldati romani equivalevano ad uno marsicano. Il che la diceva lunga, perchè si raccontava, almeno sotto Giulio Cesare, che un soldato romano ne valeva dieci barbari.



OSCI

"Gli Osci abitavano in capanne e si servivano, per gli usi domestici, di vasi d’argilla assai impura, foggiati a mano, senza aiuto di mota, mal cotti al sole, o al fuoco libero, talora decorati, prima della cottura, di disegni lineari tracciati a stecco o a punta o con altri ordigni sia da imprimere sia da incidere. Tale ceramica rozza, povera ed inabile, manifesta la persistenza di tecnica e di forme, che risalgono alla ceramica neolitica per una evoluzione continua ed interna."

Detti anche Oschi, si sovrapposero in epoca antichissima a una preesistente popolazione latino-falisca, gli Opici, con cui si fusero. Erano una popolazione indoeuropea di ceppo sannitico della Campania pre-romana, del gruppo osco-umbro. Erano caratterizzati dalla lingua osca, idioma indoeuropeo del gruppo osco-umbro. Riconducibili agli Osci molti popoli dell'Italia meridionale, inglobati dal V sec. a.c. dai Sanniti che affiancarono nelle Guerre sannitiche. Pompei ad esempio era osca.

Furono conquistati nel tempo dai Greci, poi dai Sanniti e infine dai Romani. Per Virgilio (Eneide) furono alleati di Turno contro Enea. Il nucleo centrale del loro insediamento era l'entroterra del Golfo do Napoli, ma anche verso est e verso sud, fino all'attuale Calabria settentrionale.

Tribù osche abitavano fin dall' Età del bronzo l'isola di Vivara. Quando i coloni greci vennero sulle coste di Cuma per fondarvi la città, trovarono sulla collina dell' acropoli un insediamento osco. Furono fondate da genti osche anche Pompei, nel VI sec. a.c.  e Atella.

Le regioni litoranee abitate dagli Osci furono conquistata dai Greci di Cuma, e poi di Neapolis già nel VII sec. Nel V sec. a.c. gli Osci furono sottomessi dai Sanniti, altro popolo osco-umbro a loro molto affine, e infine dai Romani, che conquistarono l'area nel corso del IV sec. a.c. a seguito delle Guerre sannitiche. L'Atella antica è probabilmente la Orta di Atella, dove è conservata la selva ove Virgilio compose alcune bucoliche, detta appunto Giardino di Virgilio.

EREMO DI S. MARTINO IN VALLE

PELIGNI

Popolo autoctono di origine umbro-sabella, stanziato fin dal neolitico lungo la valle del fiume Aterno in Abruzzo, attorno ai monti della Maiella. Parlavano una lingua simile all'osco umbro. Diede origini alla famiglia imperiale romana dei Flavi di Vespasiano, Tito e Domiziano.

Nel santuario di S. Martino in Valle, ormai decaduto, si scorgono le basi di un antico santuario peligno, come dimostrano le vaste pietre nel pavimento e in alcune pareti, di origine preromana e romana.

Vivevano di pastorizia e allevamento. Adoravano una Grande Madre Anaceta, con l'attributo del serpente.
I centri maggiori furono:
  • Sulmo, posta poco più in alto di Sulmona, con i resti della cittadella fortificata. Secondo Ovidio e Silio Italico l'origine di Sulmona è ricollegabile alla distruzione di Troia. Il nome della città deriverebbe infatti da Solimo, uno dei compagni di Enea. Le prime notizie storiche, però, ci giungono da Tito Livio che cita l'oppidum italico e narra come la città, nonostante le battaglie perse del Trasimeno e di Canne, rimase fedele a Roma chiudendo le proprie porte ad Annibale. Sulle alture del monte Mitra (se si chiamava così una ragione c'era) si hanno testimonianze archeologiche dell'oppidum, uno degli insediamenti fortificati più grandi dell'Italia centrale. Una zona posta più in alto della sede attuale della città, che assunse la sua posizione tra i due fiumi Gizio e Vella solo nel periodo romano.
  • Lama, attuale Lama dei Peligni.
  • Corfinium, attuale Corfino, fu la capitale della Lega Italica durante la Guerra Sociale contro Roma.
La loro cultura venne soppiantata da quella romana nel 49 a.c. e il territorio passò a possedimenti agricoli dei nobili romani, ma ne ottenne la cittadinanza e le costruzioni romane, tra cui un teatro, ormai quasi indistinguibili nell'incuria generale.



PETRUZI

Popolazione autoctona residente nell'Abruzzo meridionale e pure le basse Marche (Ager Praetutianus) insieme a Piceni e Liburni. Erano dediti alla pastorizia ed all'allevamento. Vennero rapidamente assorbiti dalla cultura della civiltà picena.
Il centro principale fu Teramo. In seguito venne conquistata dal console romano Mario Curio Dentato nel 290 a.c., divenendo municipio.

BRONZETTO PICENO

PICENI

I Piceni (o Picenti) erano una popolazione italica, stanziata in età romana nel Piceno insieme ai Picenti a nord (Ager Picenus), dai Petruzi a sud (Ager Praetutianus) e da gruppi di Liburni.

La civiltà picena sviluppò molti centri abitati nelle attuali basse Marche comprendente un’area sacra molto vasta. Accanto alla foce del Tesino i Piceni eressero infatti un grande tempio alla Grande Madre Cupra, Dea della natura e della fertilità, da cui il nome di alcuni paesi, come Cupra Marittima e Cupra Montana.

Le loro origini risalgono all'età del ferro (X - IX sec. a.c.) con un insediamento sulla costa adriatica tra i fiumi Foglia a nord, Pescara a sud e gli Appennini a ovest. Per alcuni autori (Strabone, Plinio il Vecchio e Festo) deriverebbero da una migrazione di Sabini: un picchio (picus) era il loro emblema e da questo presero il nome.

Questo uccello, sacro a Marte, li avrebbe guidati posandosi sul loro vessillo. Avrebbero così seguito il voto sacro di Primo ver, l'usanza sabina che in caso di emergenza faceva abbandonare in primavera a un folto gruppo di giovani la terra natia per fondare colonie.

Oggi si pensa però più a una origine indoeuropea. Successivamente si sarebbero uniti ai Picenti, secondo alcuni ambedue provenienti dal gruppo Umbro–Sabelli.

Non crearono mai grandi centri ma si sparsero lungo la costa e le vallate dei fiumi che dagli Appennini si gettano in Adriatico, in varie tribù con caratteristiche piuttosto diverse.

Si dedicarono molto ai traffici marittimi, particolarmente dediti alla "via dell’ambra" dai Baltici all'Adriatico, con porti o almeno scali.

Ebbero come centri:
  • Plestiae, scomparsa, sui piani di Colfiorito, coi resti del santuario alla Dea Cupra, detta anche Mater Plestinas, con allusione al popolo dei Plestini che abitarono la zona.
  • Cupramarittima, con un deposito votivo rinvenuto sul colle di Sant'Andrea. Sempre dedicata alla Grande Madre Cupra.
  • Cupramontana, come sopra, probabilmente per i due santuari a monte e a valle della Dea Cupra.
Nelle iscrizioni picene del Guerriero di Capestrano e del cippo di Castignano è emersa una assimilazione della Dea Cupra alla latina Bona Dea.



SABINI

La Sabina ha ricchi insediamenti preistorici, con abbondanza di attrezzi in selce e in diaspro di vari colori databili al Paleolitico (60.000 -30.000 a.c.)

Successivamente, nel 3.000 a.c., si evidenziano i resti dell'antica città Eretum, sulla collina di Casacotta a Montelibretti. La sua necropoli ha rivelato una ricca tomba della seconda metà del VI sec., con i resti di un carro in legno con decorazioni in bronzo e in ferro, un trono in terracotta e quattro calderoni in bronzo. Il defunto era stato sepolto con il rito dell'incinerazione e con uno scettro e un lituo.

Il massimo sviluppo si ha dall'VIII al VI sec. a.c., dopodiché decade sconfitta da Tarquinio il Superbo. I Sabini sono una delle più antiche razze d'Italia e in gran numero si fusero coi romani, acquisendo cittadinanza romana. Per alcuni discenderebbero dagli Umbri, dato che avevano religioni simili.

I sabini sono stati il centro della cultura italico-sabellica, da cui derivano molti miti della cultura osca. Giunsero nell'odierna sabina intorno al X - IX sec. a.c., fondando diverse città:
  • Reate, odierna Rieti, con resti del tempio di Rea Silvia (da cui il nome della città).
  • Nurcai, o Norcai.
  • Trebula Mutuesca, ora Monteleone sabino, con un tempio alla Dea Feronia.
  • Cures Sabini, vicino al fiume Tevere e la Salaria, grande centro economico, arrivando ad occupare ben 30 ettari. Fu la residenza del re sabino Tito Tazio, sotto il cui regno avvenne il ratto delle Sabine e il successivo accordo di coesistenza tra Romani e Sabini. Dette anche i natali al II re di Roma, Numa Pompilio, e al IV, Anco Marzio, suo nipote.
Da tempo antichissimo i Sabini occuparono la fertile valle del Velino e vi si stabilirono scendendo man mano verso il basso Tevere fino a Roma. La Sabina tiberina era naturalmente più ricca ed evoluta, con guerrieri ornati di bracciali e anelli d'oro, mentre la Sabina montuosa, di Rieti, Norcai, e Amiternum era più povera e basata sulla pastorizia.

Il fatto che alla morte di Romolo fu eletto re il sabino Numa, come del resto il sabino Anco Marzio re di Roma, dimostra che molti romani erano in realtà sabini.

La prima grande guerra fra i Romani e i Sabini fu combattuta nel 290 a.c. I Romani, guidati dal console Marco Cursio Dentato, vinsero e sottomisero la città di Cures, dove gli scavi hanno portato alla luce un edificio di epoca arcaica con vari ambienti. Le necropoli, come per gli Etruschi, erano situate sui costoni dei colli.

Cures decadde per la sconfitta prima e poi nel 174 a.c. per un forte terremoto, però poi vi si stabilirono i Romani con numerose e splendide ville intorno al II secolo a.c., come quella de "i Casoni ", attribuita a Varrone, vicino all'odierno Poggio Mirteto. Erano le Ville Rustiche, dedite alla viticoltura, olivicoltura e allevamenti, soprattutto per il mercato di Roma.

Nei primi tempi della repubblica romana, di Reate, il cui nome è legato alla Dea Rea Silvia (poi declassata a Vestale), non si sa nulla fino al 290 a.c., quando il console Mario Curio Dentato la conquistò. Si menziona Rieti ai tempi di Annibale, perchè restò fedele a Roma combattendo tra le fila di Scipione.

LA TRINACRIA SICULA

SICULI

Caduta Ilio, un gruppo di Troiani in fuga approdarono in Sicilia stabilendosi a ovest dei Sicani, e formando il popolo degli Elimi; con le città di Erice e Segesta. Poi, presso di loro, si sarebbe stanziato anche un gruppo di Focesi, e cioè dei greci reduci da Troia.

Per Diodoro Siculo i Siculi provenienti dall'Italia avrebbero occupato le aree lasciate libere dai Sicani a seguito di un'eruzione dell'Etna.

Narra Tucidide:
«I Siculi passarono in Sicilia dall'Italia - dove vivevano - per evitare l'urto con gli Opici. Una tradizione verosimile dice che, aspettato il momento buono, passarono su zattere mentre il vento spirava da terra, ma questa non sarà forse stata proprio l'unica loro maniera di approdo. Esistono ancor oggi in Italia dei Siculi; anzi la regione fu così chiamata, "Italia", da Italo, uno dei Siculi che aveva questo nome. Giunti in Sicilia con numeroso esercito e vinti in battaglia i Sicani, li scacciarono verso la parte meridionale ed occidentale dell'Isola. E da essi il nome di Sicania si mutò in quello di Sicilia. Passato lo stretto, tennero e occuparono la parte migliore del paese, per circa trecento anni fino alla venuta degli Elleni in Sicilia; e ancor oggi occupano la regione centrale e settentrionale dell'isola
(Tucidide, Storie IV,2)

Secondo Dionigi di Alicarnasso i Siculi verrebbero dal Lazio e avrebbero abitato la zona di Alba Longa, da dove furono scacciati dagli Aborigeni e dagli alleati Pelasgi. Divennero pelasgiche, Antemnae, Fescennium, Falerii, Pisae, Saturnia ecc. in origine occupate dai Siculi, mentre un quartiere di Tivoli, che ancor oggi conserva il nome Siculo, avrebbe avuto al tempo di Dionigi ancora dei Siculi. 

Tivoli deve il nome a Tiburto suo fondatore, fratello dei gemelli Catillo e Cora, e insieme a loro avrebbe cacciato i Siculi, il primo nucleo abitativo della zona, fondando l'acropoli. Gli Aborigeni, invece, si sarebbero estesi sino al fiume Liri assumendo il nome di Latini, dal re che li avrebbe dominati al tempo della guerra troiana.

«Si dice che i più antichi abitatori della città, che ora è abitata dai Romani e che domina la terra e il mare, siano i Siculi, e cioè una popolazione barbara e autoctona. Nessuno invece è in grado di affermare con certezza se prima di costoro questa città fosse occupata da altri o fosse disabitata. Il popolo degli Aborigeni ne prese possesso dopo lunga guerra, dopo averla strappata ai precedenti possessori..»
«La città che dominò in terra e per tutto il mare, e che ora abitano i Romani, secondo quanto viene ricordato, dicesi tenessero gli antichissimi barbari Siculi, stirpe indigena; questi occuparono molte altre regioni d'Italia, e lasciarono sino ai nostri giorni documenti non pochi né oscuri, e fra questi alcuni nomi detti Siculi, indicanti le loro antiche abitazioni»

(Dionigi di Alicarnasso) 



UMBRI

Nel I millennio a.c., vi fu un'ondata di Umbri che si stabilì nel territorio dell'alta e media valle del Tevere fino all'Adriatico. Da loro prese il nome la regione Umbria. Furono chiamati dagli autori antichi "gens antiquissima italiae", perché tra le genti più antiche della penisola.

Ma in qualità di crocevia tra nord e sud, tra mare Adriatico e Tirreno, l’Umbria ha visto scorrere più di tre millenni ininterrotti di storia fin dal paleolitico. In Umbria i manufatti litici risalgono al Paleolitico superiore medio ed inferiore (50.000, 100.000, 200.000 anni fa ca.), fino alla "Pebble culture" (cultura di manufatti su ciottoli).

Dai terrazzi fluviali del Chiascio e del Tevere, dall’area di Norcia e da località sulle rive del Trasimeno provengono amigdale e punte di frecce. La "Venere del Trasimeno", rinvenuta nei pressi del lago Trasimeno, risale al paleolitico superiore, e al Neolitico Superiore appartiene la tomba di Poggio Aquilino a Marsciano, presso Perugia.

Al periodo di transizione dall'età del bronzo a quella del ferro è riferibile il sepolcreto di Monteleone di Spoleto, famoso soprattutto per aver riportato alla luce lo splendido carro bronzeo laminato d'oro, oggi conservato (sigh!) al Metropolitan Museum di New York.

Gli Umbri svilupparono, a partire dall'VIII sec. a.c., un'economia di agricoltura e allevamento, oltre all'attività di estrazione e lavorazione del metallo nella zona di Terni, con piccoli villaggi fortificati su un'altura. Le varie tribù avevano come legante la vita religiosa che nelle feste sacre li riuniva per celebrare i vari riti e prendere decisioni politiche comuni.

A partire dal 450 a.c. subirono l'influenza dal mondo greco ed etrusco, modificando vita e insediamenti, come:
  • Otricoli, coi resti del porto romano sul Tevere, con teatro anfiteatro e terme romane.
  • Amelia, con due cinte di mura di cui le esterne poligonali e la monumentale Porta del Sole.
  • Città di Castello, fondata dagli Umbri sulla riva sinistra del Tevere, con i resti della villa di Plinio il Giovane.
  • e poi Terni, Narni, Todi, Spoleto, Nocera, Foligno, Assisi, Bettona, Gualdo Tadino, Gubbio.


VESTINI

Popolazione di origine illirica che ha subito un processo di fusione con popolazioni autoctone ed altre di origine osco-sabella, perchè di lingua osco-umbra. Si stanziarono nell'XI sec. a.c. nella zona tra l'Altopiano delle Rocche e la valle dell'Aterno fino Mar Adriatico all'altezza di Penne.

Si presume prendano nome dalla Dea Madre Vesta, da loro onorata. Vivevano di pastorizia, agricoltura e commercio.

Ebbero rapporti con Umbri e Piceni e subirono il processo di romanizzazione, in quanto presero parte alla guerra sociale e a quella sannitica, perdendo entrambe. Il loro territorio divenne provincia romana.

Le città dei Vestini più famose furono:
  • Pinna, attuale Penne, con terme e santuario romani.
  • Peltuinum, di cui resta il sito archeologico con il teatro di età augustea, tratti di mura e un tempio forse di Apollo.


VOLSCI

Popolazione di origine indoeuropea, di indole bellicosa, tanto che Livio li descrive feroci ribelli e guerraioli. Vivevano di pastorizia e di agricoltura, con attività estrattiva di ferro e rame, nella zona del fiume Liri, comprendente il basso Lazio, l'alta Campania e il basso Molise.

La loro cultura ebbe caratteristiche osco-sabelliche.
Sulle testimonianze Tito Livio e Dionisio di Alicarnasso riportano battaglie volsche già all'epoca di Anco Marzio, mentre Strabone parla della riconquista da parte di Tarquinio il Superbo di Suessa Pometia, caduta in mano volsca.

La capitale del loro territorio era Antium, odierna Anzio e parlavano il Volsco, un linguaggio italico sabellico.

Le città di Alatri, Arpino, Ferentino, Anagni ed Atina furono tramandate come fondate da Saturno o ciclopiche perché circondate da mura che, per le gigantesche proporzioni e le dimensioni dei blocchi di pietra potevano essere state costruite, solo dai ciclopi, figli del cielo e fratelli di Saturno.

I loro centri principali erano:
  • Arpinum, odierna Arpino, città di Cicerone e di Gaio Mario, a circa 3 km dal centro abitato, sulla sommità di un alto colle, sorgono i resti dell’acropoli alla quale si accede attraverso una porta ogivale, che stupisce per la tecnica costruttiva.
  • Ferentino, con una poderosa cinta di mura poligonali, eseguite in parte addossando i blocchi al vivo taglio della roccia, con la megalitica Porta Sanguinaria.
  • Alatri, con l'imponente acropoli, dove gli enormi blocchi di pietra, levigati esternamente sono incastrati senza il minimo interstizio, come un gigantesco mosaico, e dove i piani di posa dei monoliti sono sfalsati in orizzontale e in verticale, in modo antisismico. Sull’architrave della porta minore dell’acropoli sono scolpiti tre falli che Erodoto, nel secondo libro delle sue “Storie”, afferma essere simboli dei pelasgi.
  • Fragellae dei Volsci, colonia romana fondata nel 328 a.c, su un preesistente forte volsco.
  • Arx fregellana, oggi Rocca d'Arce, un tempo cittadella a guardia della Valle del Liri e del Sacco, con resti di mura poligonali.
  • Atina, anch'essa fondata da Saturno nella mitica età dell'oro, insieme ad altre 5 città del Lazio che cominciano con la lettera A. Nell'Eneide Virgilio la inserì tra le città in soccorso di Turno contro Enea. Con mura poligonali e un tempio di Giove inglobato in una chiesa.
  • Sora, il primo centro volsco del Lazio, con fortificazioni in opera poligonale. Nel 'Ab Urbe Condita' Tito Livio descrisse le battaglie degli antichi sorani, all'epoca volsci, alcune delle quali vittoriose, contro la potenza di Roma.
  • Frusino, odierna Frosinone, abitata dai Volsci, seppure nel territorio degli Ernici, con necropoli Volsche del VI-V sec. a.c.
  • Fabrateria Vetus, attuale Ceccano, già esistente nel 330 a.c., situata lungo le rive del fiume Sacco.
  • Anxur, sopra a Terracina, conquistata dai Volsci nel V° secolo a.c., che ristrutturarono la precedente città etrusca. Il tempio di Giove Anxur, o Giove fanciullo con 12 arcate e tempietto oracolare, risale al tempo dei Volsci, poi ristrutturato in epoca romana.
  • altri centri furono Satricum, Velitrae (Velletri), Setia, Privernum e Casinum.
Appena cacciati i Re nel 509 a.c., Roma dovette fronteggiare le invasioni dei Volsci che provenivano dal Lazio meridionale, e come al solito ne ebbero ragione, trasformandole in province romane, così i Volsci uscirono sconfitti nelle guerre sannitiche, parteciparono con insuccesso alle guerre civili e sociali, fecero parte della lega italica e persero le guerre contro Roma, subendo perdite di autonomia, di risorse e di deportazioni. La loro cultura scomparve col processo di romanizzazione, arricchendo però la stessa cultura romana.



I MITICI PELASGI

Oggi si reputano popolazioni effettivamente esistite, con origini discusse in Albania, Grecia o Turchia. Le loro città erano cinte di mura dette ciclopiche in opera poligonale, innalzate tramite la posa di grandi massi lavorati fino ad ottenere forme poligonali, poste a incastro, senza calce, con cunei che riempiono i rari spazi vuoti. Furono dette ciclopiche non solo per le leggenda ma perchè la loro mole straordinaria raggiunge tonnellate per un'unica pietra.

Ne è costellato il mondo mediterraneo, ad Argo, Micene, Atene (la base delle mura dell'acropoli), Tirinto, Delfi e in cento altre città greche, come pure quelle di Micene e di Boghaz-Koy, di Euiuk, di Assarlik, di Mindo, di Troia e di tutte le più antiche città dell'Asia Minore, costruite con la stessa tecnica di costruzioni delle nostre italiche. E quelle greche si sa che risalgono anche alla metà del II millennio a.c. ma altre sono ancora più antiche.

Nell' Italia centro-meridionale si ha un’alta concentrazione di luoghi con architetture e manufatti (acropoli, cinte urbane, fortificazioni, terrazzamenti, basis villae) in opera poligonale.
- Nel Lazio: Ferentino, Boville, Atina, Cassino, san Donato, santa Severa, Arpino, Civitavecchia, Alatri, Anagni, san Felice Circeo, Segni, Norba, Rocca d'arce, Cori, Veroli, Minturno;
- In Toscana: Orbetello, Rosa, Roselle, Vetulonia, Fiesole; nelle Marche a Fermo;
- In Umbria: Todi, Cesi, Amelia, Terni, Spoleto, Narni, Guardea, Lugnano in Teverina, Porchiano e Giove;
- In Campania: Morcone;
- In Abruzzo e Molise: Castel di Sangro, Lanciano, Rocca Scalegna, Monte Pallano, Pietrabbondante, Capracotta, Atilia, Atri;
- In Puglia: Norba e Altamura.

Come si può pensare che tanti popoli diversi, quanti ne abitarono in queste località, costruirono opere così imponenti con enormi difficoltà di trasporto, perchè alcune pietre giungono a pesare non quintali ma tonnellate, per giunta con l'identica tecnica di costruzione?
Si sa che alcune mura megalitiche sono state attribuite al IV millennio a.c. e che le mura Pelasgiche nostrane, attribuite per lo più al V sec. a.c. sono state recentemente retrodatate tra il 1500 e il 1000 a.c.
  • Diodoro siculo asserisce che i poeti preomerici sapevano l’alfabeto pelasgico, e che veniva usato nel I millennio a.c..
  • Virgilio scrive nell'Eneide che furono i primi abitanti del suolo italico. Prima della venuta dei Greci la loro terra si chiamava Pelasgia, e dai Pelasgi impararono la lavorazione dei metalli, la costruzione delle mura e la scrittura, adottandone pure gli Dei.
  • Per Pausania Pelago fu il primo a nascere nella terra d’Arcadia, e poichè Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia.
  • Pindaro ne tratta ne i Carminia, Fragmenta Selecta.
  • Omero pone i Pelasgi fra gli alleati dei Troiani, e narra che Achille pregava lo Zeus pelasgico di Dodona.
  • Lo storico Eforo riferisce che Esiodo parlò di un popolo guerriero dei Pelasgi in Arcadia, che aveva colonizzato tuttala Grecia, da Dodona a Creta alla Triade fino in Italia.
Rimane il popolo più misterioso di ogni epoca. .


BIBLIO

- Giacomo Devoto - Gli antichi Italici - Vallecchi - Firenze - 1951 -
- Iacopo Durandi - Saggio sulla storia degli antichi popoli d'Italia - Torino - 1759 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia, lib. III -
- Sabatino Moscati - Così nacque l'Italia: profili di popoli riscoperti - Soc. ed. internaz. - Torino - 1998 -

17 comment:

Anonimo ha detto...

visto che siete così bravi precisi e eruditi, non scherzo lo siete davvero, perchè non scrivere dipiù su ciascuno di questi popoli, specie sabini ed etruschi?

Romanoimpero on 18 luglio 2010 alle ore 17:01 ha detto...

Salve, in futuro abbiamo in mente di fare una sezione che tratta proprio dei popoli che si sono scontrati con l'Impero Romano.

Unknown on 6 gennaio 2015 alle ore 15:36 ha detto...

Ho visto che avete scritto dei popoli del Centro Italia.
Perché non scrivete anche dei Veneti, che furono, apgrazie alla loro origine Troiana, sempre ritenuti parenti dai romani e che hanno più volte appoggiato repubblica ed impero?
Oltre al dire che dopo il crollo dell'impero, da Aquileia, partirono romani che assieme ai veneti fondarono Venezia.

Daniele on 12 settembre 2015 alle ore 01:02 ha detto...

Non si citano i Siculi eppure, da quello che risulta a molti storici classici , furano la prima popolazione che lasciò segni tangibili sul territorio e sugli usi di popolazioni che vennero in seguito.

Mi sbaglio?

Claudio ha detto...

Antium e' stata la capitale dei volsci ma prima era latina infatti era al confine del latium vetus insieme a Satricum poi e' stata conquistata dai Volsci

Romanoimpero on 24 novembre 2016 alle ore 11:49 ha detto...

Veneti e Siculi non vengono citati perchè questo articolo tratta solo dei popoli del centro Italia, saluti.

Daniele on 25 novembre 2016 alle ore 07:00 ha detto...

Capisco, anche se una menzione ai Siculi come primo popolo ad insediarsi e fondare villaggi nell'attuale area di Roma / Tivoli fino in Abruzzo penso se la meritasse.

Giusto per i Veneti...in questo ho errato.

Unknown on 26 maggio 2018 alle ore 08:45 ha detto...

A Cupra Marittima nel parco archeologico ci sono resti di una possibile basilica e del tempio, il paese è ancora da scavare ma già si può intendere l'importanza del sito ..a Sant'Andrea si trova il castello medievale

fabio on 18 febbraio 2020 alle ore 22:17 ha detto...

non si parla della misteriosa città scomparsa di ecetra o sbaglio?

Anonimo ha detto...

Non ci sono tutte le civiltà

Grazie
Ciao

Mauro Novelli on 2 maggio 2021 alle ore 22:29 ha detto...

Occorre correggere un refuso: il console che sconfisse i Sabini fu Manio Curio Dentato. Gli va riconosciuta una importante opera idraulica (271 a.C.): per "asciugare" la piana reatina, fece rimuovere lo sperone che impediva al Velino di riversarsi nel Nera, creando la cascata delle Marmore. Fu un'opera fondamentale per la salubrità della piana reatina. Due fiumi (Velino e Turano) una miriade di laghi e laghetti, molti alimentati da sorgenti di acqua sulfurea e minerale. Nonostante l'opera di Manio Curio Dentato, ricordo da bambino (negli anni '50 abitavo a Rieti) frequenti esondazioni dei due fiumi, tali da rendere la campagna acquitrinosa per giorni. Immagino come dovesse essere la vita nella piana prima del 271 a.C. Mauro Novelli (sabino)

Anonimo ha detto...

Sinuessa (Mondragone) non e` appropriato al comune di Mondragone Sinuessa e nel comune di Sessa Aurunca.quando esisteva Sinuessa non era presenta la cittadina di Mondragone ..non c'era altro che mare.Mondragone nasce nel medioevo..non quando esisteva l'Impero Romano.Sinuessa non ha niente a che vedere con Mondragone.

Anonimo ha detto...

Sinuessa (Mondragone)...Sinuessa e localizzata nella frazione borgo detto: Levagnole dista 12,56 chilometri dal medesimo comune di Sessa Aurunca di cui essa fa parte. Area: 162.2 km² .Non Mondragone il quale non esisteva ne come luogo e ne come villaggio.quando esistevano i romani e anche pima di loro..Mondragone e medievale ed era un castello sul monte non a mare come Sinuessa !!ma sul monte che il castello.SINUESSA era SINUESSA e non Mondragone allora e adesso!quello che si conosce oggi e solo nato tra gli anni 60 ad oggi.

Anonimo ha detto...

gg bro grazie dei contenuti frero saluti da napoli👍👍👍👍😎😎😎💋👏👏😆😎🙂🤗🤗🤗😍😍😍😍

Anonimo ha detto...

Definire queste culture " crudeli e selvagge" non ha senso ed è ipocrita. Ed i romani in quanto a crudeltà non sono stati secondi a nessuno.

Anonimo ha detto...

ottimo lavoro

Anonimo ha detto...

A quei tempi Mondragone era una colonia greca chiamata falernis da cui deriva il falerno

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