Nome completo: Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus
Altri titoli: Pater Patriae, Pontifex Maximus, Praefectus Moribus
Nascita: Roma 23 settembre 63 a.c.
Morte: Nola 19 agosto 14 d.c.
Successore: Tiberio
Coniuge: Clodia Pulcra, Scribonia, Livia Drusilla.
Figli: Giulia
Dinastia: giulio-claudia
Padre: Gaio Ottavio, Giulio Cesare (padre adottivo)
Madre: Azia minore
Regno: 16 gennaio 27 a.c. - 19 agosto 14 d.c.
- Quando morì Augusto?
TACITO
(Tacito, Annales, I, 1, 1-2.)
"Augusto nacque sotto il consolato di Marco Tullio Cicerone e Caio Antonio, dopo il nono della calende di ottobre, poco prima dell'alba, nel quartiere del Palatino, e la strada chiamata "Teste di bue", dove ora sorge una cappella a lui dedicata, e costruita poco dopo la sua morte.
Infatti, come è registrato nella causa del senato, quando Caio Laetorius, un giovane di famiglia patrizia, nel difendersi dinanzi ai senatori per avere una pena più lieve, sul suo presunto adulterio, oltre alla sua gioventù e le qualità che possedeva, si dichiarò quasi il guardiano del terreno che il Divino Augusto aveva per prima toccato nella sua venuta nel mondo, e pregò di poter trovare grazia, per amore di quella divinità, che era in un modo particolare la sua, e il Senato lo graziò approvando una legge per la consacrazione di quella parte della sua casa in cui era nato Augusto."
Ottaviano nacque nel 63 a.c. a Roma, esattamente all'alba del 23 settembre, in una casa del Palatino, col nome di Gaio Giulio Ottaviano, da un uomo di Velitrae (Velletri nel Lazio) che aveva avuto la carica di Pretore, e che era morto quando Ottaviano aveva solo quattro anni.
"Che la famiglia degli Ottavi fosse della prima distinzione in Velitrae, è reso evidente da molte circostanze. Infatti, nella parte più frequentata della città, vi era, non molto tempo fa, una strada di nome Ottaviano, e un altare si vedeva, consacrato ad un Ottavio, che essendo eletto generale in una guerra contro alcuni vicini, il nemico fece un attacco improvviso, mentre stava sacrificando a Marte, immediatamente strappò le viscere della vittima fuori dal fuoco, e le offrì mezzo crude sull'altare, dopo di che, marciando a combattere, tornò vittorioso. Questo incidente dette luogo a una legge, emanata da questo, per cui in tutti i tempi futuri le interiora vengano offerte a Marte nello stesso modo, e il resto della vittima doveva essere portata agli Ottavii.
OTTAVIANO ADULTO |
Sua madre era dunque Azia, nipote di Cesare. Era pertanto il pronipote di Cesare, che aveva grande stima di lui, per l'intelligenza, la capacità nelle armi e l'affidabilità.
Alla morte del padre, Ottavio aveva quattro anni e lasciò la madre, sposatasi con il futuro console Lucio Marcio Filippo, per entrare in casa della nonna Giulia dove rimase fino alla morte di quest'ultima.
« Dal tempo remoto in cui un fulmine era caduto su una parte delle mura di Velitrae, era stato profetizzato che un giorno un cittadino di quella città si sarebbe impadronito del potere; per questo gli abitanti di Velitrae, fiduciosi nella promessa, e allora e in seguito combatterono spesso contro il popolo Romano, fin quasi alla loro rovina. Ben più tardi apparve evidente che il prodigio aveva voluto fare riferimento alla potenza di Augusto. »
TACITO si prese il compito di narrare, alla sua morte, la vita di Augusto in modo spassionato: "senza avversione né simpatia".
- Augusto sconfitti tutti i suoi rivali ottenne il potere supremo senza incontrare più alcuna valida opposizione.
- Quindi consolidò il proprio potere e portò i suoi parenti ed amici più intimi alle più alte cariche dello stato ma il destino volle che fra i numerosi possibili successori rimanesse in vita il solo Tiberio, forse il meno amato.
- Augusto pose Germanico, figlio del figliastro Druso, al comando delle legioni sul Reno ed impose a Tiberio di adottarlo.
- Durante la malattia di Augusto a Roma si temeva per il futuro: la fama di generale di Tiberio non bastava a salvare la sua immagine altera e piena di rancori.
- La malattia di Augusto si aggravò. Alcuni sospettavano Livia di veneficio perché Augusto poco prima si era recato a visitare il nipote Agrippa Postumo (Livia avrebbe quindi temuto che riabilitando Agrippa il marito privasse Tiberio della successione).
- Ottaviano morì a Nola, Tiberio venne immediatamente richiamato dall'Illiria. Tacito non conferma il racconto di Svetonio, Dione Cassio e Patercolo secondo i quali il morente imperatore avrebbe avuto un lungo colloquio con il suo successore.
OMAGGIO DI OTTAVIANO ALLE SPOGLIE DI CESARE |
Quando sua nonna Giulia morì nel 51 a.c., l'elogio funebre che Ottavio fece al suo funerale fu la sua prima apparizione pubblica. Aveva solo 12 anni, ma non temette di presentarsi in pubblico come un adulto nel commemorare la vita di sua nonna, e stupì tutti con le sue precoci abilità oratorie.
Non si sa quanti o quali rapporti intercorsero tra Cesare e Ottaviano, visto che Cesare fu quasi sempre fuori a combattere, però si sa che nel 48 a.c. il giovane Ottavio fu eletto al Pontificio Collegio, un grande onore, oltre che una buona remunerazione, sicuramente per volontà del prozio.
Inoltre quando Cesare festeggiò il suo trionfo nel 46 a.c., Ottaviano vi partecipò e ottenne onori militari.
RICOSTRUZIONE GRAFICA DEL VOLTO (By Haroun Binous) |
Dalle "Res Gestae divi Augusti":
"All'età di diciannove anni, con mia personale decisione e a mie spese personali costituii un esercito con il quale restituii a libertà la repubblica oppressa da una fazione"
Così scrisse Ottaviano, ed era vero, un giovane molto determinato, coraggioso e acuto per la sua età, che pur non possedendo l'eloquenza affascinante di Cesare, seppe farsi ben volere dall'esercito e dal popolo, soprattutto per la sua intelligente lungimiranza.
Ottaviano era un giovane piuttosto bello e dai lineamenti fini, come si evince dai numerosi ritratti, ma non ebbe fama di libertino, come fu ad esempio Giulio Cesare. Aveva invece, come Cesare, l'arte di farsi benvolere dai soldati, che furono sempre il suo più grande sostegno, perchè generoso e coraggioso nel combattimento e nella remunerazione dei soldati. Molto però era dovuto alla parentela con Cesare, di cui i soldati conservavano un mitico ricordo.
« Era di una bellezza notevole e fu ricco di fascino per ogni fase della sua vita, benché fosse indifferente ad ogni forma di attenzione personale; era tanto negligente nella cura dei capelli, che si affidava frettolosamente a diversi parrucchieri e riguardo alla barba ora se la faceva tagliare, ora se la faceva radere e contemporaneamente o leggeva qualcosa o anche scriveva. »
(Svetonio, Augustus, 79.)
Sembra invece tenesse molto al suo aspetto, in questo molto simile a Cesare, perchè Svetonio poi racconta che usasse passarsi sulle gambe gusci di noci roventi per ammorbidirne i peli. Era inoltre giocatore accanito, sembra fornisse agli ospiti gruzzoli di denaro per farli giocare con lui.
In più, come racconta ancora Svetonio, fece scandalo rasentando il sacrilegio, una sua cena privata in cui i convitati si erano vestiti da Dei e Dee con i relativi attributi e in cui Ottaviano stesso personificò Apollo. Anche se si fosse sentito Apollo (e non è da escludere) di certo non sentiva Dei i suoi commensali, il che fa riflettere molto sulla effettiva fede di Augusto negli Dei.
Festina lente, cioè "affrettati lentamente" era un motto spesso impresso sulle monete romane del I sec. d.c., forse perchè molto caro ad Augusto. Svetonio e Aulo Gellio raccontano infatti che l'imperatore, comandante saggio e prudente, lo scelse come filosofia di vita ed amava ogni tanto ripeterlo in greco.
Il suo carattere ebbe molte sfaccettature, spesso clemente e tollerante, talvolta spietato. In ogni caso fu lungimirante, intelligente e coraggiosamente innovativo, tanto che le sue leggi sopravanzarono di gran lunga i tempi si da essere riapplicate alcune in epoca moderna, come ad esempio nel diritto di famiglia.
Augusto visita la tomba di Alessandro:
«Quando il sarcofago di Alessandro fu tratto fuori dal sepolcro, Augusto fissò il corpo, pose sul coperchio di vetro una corona d'oro e vi sparse sopra dei fiori in segno di venerazione. Richiesto se volesse vedere anche la salma di Tolomeo, rispose «Desideravo vedere un re, non dei cadaveri»»
Questa la descrizione che Svetonio fa dell'abituale e semplice abbigliamento dell'imperatore:
« Veste non tenere alia quam domestica usus est, ab sorore et uxore et filia neptibusque confecta; togis neque restrictis neque fusis, clavo nec lato nec angusto, calciamentis altiusculis, ut procerior quam erat videretur. Et forensia autem et calceos numquam non intra cubiculum habuit ad subitos repentinosque casus parata. »
« Non portò altra veste che una per uso domestico, confezionata da sua sorella, sua moglie, sua figlia o dalle sue nipoti; le sue toghe non erano né strette né larghe, la sua striscia di porpora né grande né piccola, le scarpe erano piuttosto alte, per apparire più alto di statura. Aveva sempre nella sua camera vestiti di campagna e calzature, pronto per i casi improvvisi e repentini. »
(Svetonio, Augustus, 73.)
IL CAPRICORNO DI AUGUSTO
Giulio Cesare nacque il 13 luglio (dell'anno 100 a.c.) quindi doveva avere il segno zodiacale del cancro, cioè il sole nel cancro, eppure come simbolo ebbe il segno zodiacale del toro. Ottaviano Augusto nacque il 23 Settembre (del 27 a.c.) quindi doveva avere il segno zodiacale della bilancia, cioè aveva il sole in bilancia, invece ebbe come simbolo quello del capricorno.
Nacquero diverse storielle sul perchè della sua scelta del capricorno, ma tutte leggende tarde e false senza alcun fondamento. Secondo alcuni i romani davano più attenzione all'ascendente che non al segno, ma non è così, per altri gli astrologi romani contavano dal primo mese di gestazione e anche questo è falso. Infatti se corrisponderebbe per Augusto, non corrisponde affatto per Cesare.
A Roma gli astrologi badavano soprattutto al segno in cui il soggetto aveva la luna. In tempi molto antichi infatti si dava più importanza al lato animico-emotivo (la luna) che non a quello razionale (sole). Così sembra che Cesare avesse la luna in toro e Augusto in capricorno.
Pertanto il capricorno di Augusto non è un simbolo, o almeno divenne il suo simbolo ma derivava dalla posizione della sua luna nel capricorno, da qui la scelta del simbolo su diverse sue legioni, e il suo famoso anello con cui siglava i suoi scritti
Agli inizi del 44 a.c. Ottaviano si trovava allora ad Apollonia nell'Illirico, in attesa dell'arrivo di Cesare per la programmata campagna partica del dittatore, preparando la sua campagna contro i Parti di cui forse doveva divenire il magister equitum.
Cesare nel testamento lo designava suo figlio adottivo lasciandogli una cospicua eredità, nonchè il suo nome di Cesare, con cui fregiarsi e la possibilità di subentrare nel potere dello stato. Ora la sua famiglia temeva giustamente per la sua vita e l'esortò a rinunciare all'adozione e all'ereditarietà, ma su questo non fu d'accordo.
Ottaviano aveva un complesso carattere, a volte timido e pauroso ma in situazioni di emergenza lucido e coraggiosissimo. Da giovanissimo Ottaviano fu dunque chiamato a decidere le sorti di Roma, che era un terreno pericoloso, diviso, dopo la morte dell'imperatore, in cesariani ed anticesariani in una guerra civile.
L'ORAZIONE DI AUGUSTO A GIULIO CESARE |
Così gli chiese il versamento dell'eredità, ma Antonio si tirò indietro e gli fece perdere tempo, occorreva la ratifica della Curia per cui in termini brevi non ne avrebbe preso possesso, o forse mai.
Probabilmente Antonio voleva il posto di Cesare e Ottaviano era un ostacolo.
Qui si vede la lungimiranza e il coraggio di Ottaviano che, compreso che da Marco Antonio non avrebbe avuto aiuti, con decisione improvvisa impegnò tutti i suoi beni per versare al popolo la somma che Cesare gli aveva lasciato nel suo testamento.
Fu mossa azzardata ma abilissima, degna dell'ardito prozio, che portò tutti i cesariani dalla sua parte contro Antonio, che da amico era diventato suo avversario nella successione politica di Cesare.
Del precedente imperatore i cesariani rimpiangevano infatti l'ardire e la generosità, che in quel momento rividero nel giovanissimo Ottaviano. Così versò al popolo l'ingente somma che Cesare aveva lasciato in eredità, e il popolo si commosse al suo gesto e lo acclamò. Era il primo passo.
Ottaviano aveva come Cesare un'audacia straordinaria (più nelle decisioni che nel combattimento), per cui si recò a Brundisium e subito mutò il suo nome, assumendo il nome del padre adottivo, oltre a quello della famiglia di provenienza, diventando Gaio Giulio Cesare Ottaviano, un nome che aveva molto peso e riscuoteva grande successo. In realtà il nome Ottaviano glielo aggiunsero gli autori perchè lui non lo appose mai nelle firme o negli editti ufficiali.
Qualcuno sostenne che Augusto avesse più tenacia di Cesare, il che non è da escludersi perchè a Cesare non piaceva tanto governare quanto andare in guerra e stare con l'esercito che non risolvere i
problemi in tempo di pace:
(Santo Mazzarino - L'impero romano.)
I tempi erano durissimi, la Repubblica Romana non aveva una costituzione scritta, ma era un sistema di tradizioni e costumi. Cesare in pochi anni di regno non aveva avuto il tempo per riformare l'amministrazione e le leggi. I generali a capo degli eserciti miravano al potere politico, ricattando o intimidendo il Senato e costringendo spesso i Senatori a votare secondo i loro desideri. L'aristocrazia senatoria non era in grado di governare eppure la monarchia era malvista da tutti.
Il popolo aveva molto amato Giulio Cesare, anche se alcuni temevano la sua acclamazione a re, strano timore, in quanto Cesare aveva tutti i poteri di un regnante, tranne quello di trasmettere il potere ai figli, ma in realtà poteva designare un successore, figlio o sconosciuto che fosse.
Il Senato dal canto suo non aveva preso posizione, perchè da un lato aveva concesso l'amnistia ai "Liberatori", cioè agli assassini di Cesare, dall'altro legittimò il potere di Cesare ratificando tutti suoi decreti e ordinando il suo funerale pubblico nel foro.
Il giorno dopo arrivò una voce selvaggia, tuttavia, dicendo che le legioni Martia e IV erano pronte a disertare nel senato, e quest'ultima si incontrò nel tentativo di galvanizzare la resistenza a Ottaviano prima di scoprire che la voce era falsa.
Cesare l'aveva nominato, già a diciotto anni, magister equitum, accanto a Lepido, per la guerra contro i Parti, inviandolo intanto a sorvegliare i preparativi per la guerra, per cui aveva già una dignitosa carica, ma soprattutto ora portava il nome di Cesare e se ne servì per arruolare soldati alla sua causa. Non solo aderirono i veterani che ancora rimpiangevano Cesare, ma man mano che saliva a Roma altri soldati si unirono fino a formare un vero esercito.
Antonio non gli mandò legati per chiedere le sue intenzioni, forse preoccupato più dalle mosse di Cassio e Bruto. Così, quando Ottaviano giunse a Roma e chiese un abboccamento con lui, questi lo lasciò in una perenne attesa. Bruto era stato nominato da Cesare Governatore della Gallia Cisalpina e ad Antonio aveva concesso la provincia di Macedonia.
Due potenti dunque, ed entrambi pericolosi. Il rapporto tra Antonio e Ottaviano continuava a deteriorarsi, nonostante occasionali riconciliazioni pubbliche. Antonio si recò a a Brundisium per reclutare la sua armata ma la risposta non fu incoraggiante. Nonostante il rischio di essere dichiarato nemico pubblico, Ottaviano traversò le colonie Caesariane della Campania e, affidandosi alla vecchia lealtà verso Cesare, organizzò un esercito privato tra i veterani di Cesare.
Antonio allora tornò precipitosamente a Roma per denunciare Ottaviano al Senato, era l'occasione che aspettava per liberarsi di lui, ma quando seppe che due delle sue cinque legioni dalla Macedonia erano passate a Ottaviano, partì prudentemente per attaccare Bruto nella Cisalpina. Bruto si ritirò nella città fortificata di Mutina in Cisalpina. Antonio aveva quattro legioni, Ottaviano cinque. Tutti e tre erano nemici tra loro.
In Senato intanto, Cicerone, che aveva finalmente conosciuto il giovane pronipote di Cesare, caldeggiò il partito di Ottaviano indicando come minaccia il potere di Antonio, ottenendo nel 43 la legittimazione del comando di Ottaviano firmata dal ProPretorio. Ottaviano, ora rappresentante ufficiale della Repubblica, attaccò Antonio che fuggì sulle Alpi nella Gallia Transalpina, ma non prese mai in considerazione un accordo con Bruto, l'assassino del suo padre adottivo.
I senatori speravano che Ottaviano, una volta fuggito Antonio, avrebbe lasciato le armi. Così nominarono Bruto generale dell'esercito contro Antonio, riservando a Ottaviano solo un'ovazione. Quando poi si trattò di distribuire le terre ai veterani, Ottaviano fu ignorato.
A Roma il popolo era conquistato, ma non i Senatori, ebbe molte opposizioni, anche da Cicerone all'inizio, a causa soprattutto della giovane età. Ma Ottaviano si era già fatto distinguere in guerra per l'intelligenza e il coraggio conquistandosi il benvolere dei soldati e del popolo, che rividero in lui un po' di Cesare."
Ora Antonio si recava in Cisalpina con ingenti forze guidate dai generali cesariani della Gallia Transalpina. Ottaviano ancora una volta prese un'audacissima decisione, come a suo tempo fece Cesare varcando il Rubicone. Dopo essersi accertato della lealtà del suo esercito, marciò su Roma con otto legioni, di cui tre all'esterno per evitare attacchi a sorpresa.
Il Senato divenne improvvisamente molto disponibile, comprese improvvisamente che non si trattava di un ragazzo qualsiasi, e un po' per timore ma un po' anche per simpatia lo elesse Console per sostituire ambedue i Consoli da poco defunti, gli ratificarono la sua adozione, gli versarono il resto dell'eredità di Cesare, revocarono l'amnistia per i liberatori e li condannarono in massa, il tutto in un solo giorno, un autentico miracolo.
Ma nonostante controllasse Roma, la posizione di Ottaviano era pericolosa. Antonio aveva ammassato un forte esercito nella Cisalpina e Cassio e Bruto avevano preso il controllo della maggior parte dell'Impero orientale.
Ottaviano era molto capace e risoluto, ma in quanto giovane non aveva l'appoggio influente dei capi politici romani, poteva contare solo sulla sua capacità di far presa sulla folla, sulle sue truppe e sui sostenitori di Cesare. Così usò il suo nome, e promise ai soldati forti taglie sui suoi nemici.
“Gli esponenti di spicco del gruppo cesariano, che allora disponevano di eserciti e che erano contrari a uno scontro tra Cesare figlio e Antonio, serrarono le fila. Erano personaggi molto potenti: Asinio Pollione occupava in Spagna la Betica, Munanzio Planco la Gallia Comata (la Gallia al di là delle Alpi conquistata da Cesare), Emilio Lepido la Gallia Narbonense (corrispondente dell’attuale Provenza) e la Spagna Citeriore.
Fu Lepido a mediare tra Antonio e Cesare figlio e da questa mediazione nacque il triumvirato: non un’alleanza privata come era stato il primo triumvirato costituito nel 60 da Pompeo, Cesare e Crasso, ma una vera e propria magistratura sancita da una legge che affidava per cinque anni ad Antonio, Cesare figlio e Lepido l’incarico di ordinare la repubblica”
(A. Fraschetti, Augusto, Laterza).
Era incredibile che un giovinetto sapesse già farsi seguire in battaglia da veterani incalliti. Ma Ottaviano, sempre lungimirante e riflessivo, non volle strafare e cercò un accordo con Antonio, quindi si rivolse al ricco Lepido che poteva finanziare le spedizioni. Antonio aveva i soldati, Lepido i soldi, gli servivano ambedue, e con loro stabilì un Triumvirato della durata di cinque anni, spartendosi i territori. Anche il triumvirato ricordava molto Cesare, come se il nipote camminasse sulle sue orme.
Ad Ottaviano toccarono Siria, Sardegna e Africa proconsolare, che non erano province ricche. Vi fu poi l'esilio o l'uccisione degli oppositori di Cesare, dei quali confiscarono i beni, e tra questi cadde Cicerone che aveva osato con le Filippiche sfidare Antonio, e che aveva pure contrastato (secondo alcuni) Ottaviano per la carica di Console.
Sgominati i nemici in patria, Ottaviano si preparò alla guerra contro Bruto e Cassio, gli assassini di Cesare. Lasciato Lepido al governo dell'Urbe, Antonio e Ottaviano combatterono uniti e sconfissero gli assassini di Cesare a Filippi. Cassio e Bruto si suicidarono. La battaglia fu vinta soprattutto per merito di Antonio, sembra che Ottaviano si fosse ammalato e distolto dalla battaglia. Plinio il Vecchio racconta che avesse avuto paura ma la storia dimostra il contrario, visto che si era distinto già in tante battaglie, ma soprattutto perchè i soldati non avrebbero mai seguito un capo codardo.
Plutarco narra che Bruto ricevesse in sogno la visione del fantasma di Cesare stesso:
« Chi sei tu? Da dove vieni? » chiede Bruto
Egli risponde:
« Sono il tuo cattivo demone. Bruto, ci rivedremo a Filippi. »
E Bruto:
« Ti vedrò! »
Rivide il fantasma la vigilia della battaglia di Filippi. E Plutarco riporta anche le ultime parole di Bruto, tratte da un'antica tragedia greca:
« Oh, sciagurata virtù! Tu non eri altro che un nome ma io ti ho adorata davvero, come se fossi vera; ma ora, sembra che tu non sia mai stata altro che una schiava della sorte. »
Svetonio narra poi che a Filippi un agricoltore della Tessaglia predisse ad Ottaviano la vittoria, poiché gli era apparso il fantasma del divino Cesare, in una strada solitaria.
Emilio Lepido:
“….quando Messina si arrese, permise alle sue legioni di saccheggiarla… Almeno centomila soldati, oltre agli ausiliari, si scatenarono per le vie della città in cerca di bottino. Lepido sperava così di legare a se tutti quegli uomini e di farne la base per costruire il proprio potere a Roma. Forte di quell’esercito smisurato, ordinò a Ottaviano di abbandonare l’isola."
Svetonio:
’Imbaldanzito dall’essere a capo di venti legioni, rivendicava per sé col terrore e con minacce il primo posto nel triumvirato ‘.
Avvenne invece una diversa spartizione dei territori: a Lepido la Numidia e l'Africa proconsolare; ad Antonio la Gallia, la Transpadania e l'oriente romano; ad Ottaviano spettarono l'Italia, la Sicilia, l'Iberia, la Sardegna e la Corsica. Ora la spartizione era più lauta per Ottaviano che poteva concedere maggiori elargizioni ai soldati per averli dalla sua parte.
Antonio però ebbe a che dire con Ottaviano pretendendo delle terre anche in Italia. Ottaviano era un uomo d'azione e capiva quando le trattative erano inutili, quando occorreva prima combattere e poi trattare. Così prese le armi e mosse guerra ad Antonio sconfiggendolo a Perugia.
DENARIO IN ORO CON IL CAPRICORNO DI AUGUSTO, SUO SEGNO ZODIACALE |
Pompeo
Sia Ottaviano che Antonio erano cesaristi, per cui i soldati non vedevano di buon occhio questa battaglia, però Ottaviano sapeva tanto farsi benvolere che alla morte del legato di Antonio in Gallia, le legioni di questo passarono dalla parte di Ottaviano. A questo punto c'era ancora un nemico, Sesto Pompeo, già nemico di Cesare, ma molto ricco e stimato dai soldati per le sue capacità in battaglia. Ottaviano usò la persuasione e trattò un'alleanza sposando Scribonia, una congiunta di Pompeo, da cui ebbe una sola figlia, Giulia.
Mise in atto pertanto un sistema in uso tra le famiglie regali, che si univano con un matrimonio per unire le truppe. In realtà Ottaviano mirava soprattutto a non avere Pompeo come nemico, visto che già doveva guardarsi da Antonio, di cui giustamente non si fidava. Infatti né l'intesa con Antonio, né il matrimonio con Scribonia durarono a lungo. Il conflitto fra Ottaviano ed Antonio riprese, ma vi fu un colpo di scena: i soldati di entrambi rifiutarono di combattere, perchè le due fazioni erano legate ad entrambe le figure. Ad Antonio e ad Ottaviano non restò che stilare il Trattato di Brindisi, nel 40 a.c.
A questo punto anche la divisione fu rifatta: ad Antonio l'Oriente romano; ad Ottaviano l'Occidente; a Lepido, l'Africa e la Numidia, e a Pompeo la Sicilia. Per ratificare l'intesa, Antonio sposò la sorella di Ottaviano, Ottavia minore. Il meno compensato fu Lepido che era però più un finanziere che un combattente, per cui dovette ridimenzionarsi.
Ora Ottaviano si sentiva più sicuro e, in marcia verso la conquista del potere, pensò bene di sbarazzarsi dell'avversario meno potente. Ruppe l'alleanza con Pompeo, ripudiò Scribonia che del resto mai aveva amato, e sposò Livia Drusilla, già madre di Tiberio e incinta del secondo figlio. Questa volta fu un matrimonio d'amore a cui Ottaviano restò sempre fedele.
Livia Drusilla Claudia
Era figlia di Marco Livio Druso Claudiano e della moglie Alfidia, una donna piuttosto fine e bella, intelligente e intuitiva, ma anche semplice e devota. All'età di sedici anni sposò il cugino Tiberio Claudio Nerone, il quale combatteva coi congiurati, Longino e Bruto, contro Ottaviano e Marco Antonio. Dopo la battaglia di Filippi il marito di Livia continuò a combattere contro Ottaviano. Nel 40 la famiglia di Livia fu costretta a fuggire per la proscrizione dichiarata da Ottaviano, prima in Sicilia e poi in Grecia.
(INGRANDIBILE) |
Malgrado questo, e nonostante Livia fosse sposata a Nerone e Ottaviano a Scribonia, Ottaviano divorziò, nello stesso giorno in cui la moglie dava alla luce la loro figlia Giulia, e con Livia si sposò tre giorni dopo la nascita di Druso. Al matrimonio era presente Nerone, il quale presentò la sposa come avrebbe fatto un padre.
Livia e Ottaviano rimasero sposati per 51 anni, e furono un modello di sposi per il popolo. Livia venne tenuta in grande considerazione dal marito, al quale presentava petizioni e che consigliava in politica. Pur non riuscendo ad avere figli Ottaviano non l'abbandonò ed anzi le affidò le sue finanze personali, dedicandole anche una statua in pubblico. Vivevano con semplicità nella casa sul Palatino. Livia non indossava gioielli o vestiti costosi, si prese cura personalmente della casa e del marito, cucendogli persino i vestiti e spesso cucinando per lui, e fu sempre leale e premurosa verso di lui. Insomma tra i due ci fu un grande amore e una grande intesa.
Si riteneva che il sessantatreesimo anno di vita (detto anche climaterico) fosse spesso caratterizzato da malattie, disgrazie o dalla morte. Gellio cita una lettera nella quale l'imperatore Augusto si compiace di averlo superato. Infatti sembra che Augusto fosse un po' in apprensione per la sua salute, eppure visse molto a lungo, soprattutto per l'epoca.
Dei figli di Livia, Druso sposò Antonia minore, la nipote preferita di Augusto, e intraprese una brillante carriera militare. Tiberio sposò Giulia maggiore, la figlia di Augusto già vedova di Marco Vipsanio Agrippa; Tiberio venne infine adottato dall'imperatore nel 4, divenendone l'erede.
Con la sua popolarità di Giulia Augusta, contribuì all'elezione di Tiberio a imperatore. Tiberio fece una legge che equiparava al tradimento la diffamazione nei confronti della madre, cui concesse un posto a teatro tra le Vergini Vestali. Ma poi i rapporti tra madre e figlio deteriorarono, Tiberio era geloso del potere della madre e mise il veto alla decisione del Senato di conferire a Livia il titolo di Mater Patriae, "Madre della Patria".
Nel 22 Livia si ammalò e Tiberio si recò da lei, ma quando nel 29 si ammalò nuovamente, Tiberio rimase a Capri. Tiberio mandò Caligola ai funerali di sua madre per pronunciare l'orazione funebre, inoltre non volle divinizzarla, mise il veto a tutti i titoli che il Senato voleva conferirle dopo la morte, e fece annullare il suo testamento.
Fu Claudio, nel 42, a decretare la nonna Diva Augusta, che venne onorata nei giochi pubblici da un carro trainato da elefanti che portava il suo simulacro; nel tempio di Augusto le venne dedicata una statua e le donne dovevano nominarla nei loro giuramenti. Cornelio Tacito descrisse Livia nei suoi Annali come donna di grande influenza; infatti lo convinse ad esiliare il suo unico nipote nonché erede, Agrippa Postumo (il figlio di Giulia Maggiore), a Planasia, in modo da lasciare il campo della successione a Tiberio.
Ottaviano contro Pompeo
Pompeo però era uomo molto scaltro e invece di combattere bloccò con le sue navi tutte le imbarcazioni che che rifornivano Roma, provocando la fame di Roma e il malcontento dei romani. Ottaviano non poteva permetterlo, e non possedeva una forza navale, per cui di nuovo scese a patti coll'avversario e gli cedette le province di Sardegna e Corsica affinchè recedesse dall'embargo.
La cosa ebbe successo ma non gli andò giù e Ottaviano cercò di invadere la Sicilia per annientare Pompeo, ma fallì, un po' perchè non conosceva la terra, un po' per il potente esercito di Pompeo, e un po' perchè fu assalito da un nubifragio che fece colare a picco parecchie le navi. Non gli restava che rinnovare il triumvirato per altri cinque anni, per assicurarsi l'amicizia di Antonio, quindi si rivolse all'amico e generale Vipsanio Agrippa, grande combattente e stratega, perchè lo aiutasse contro Pompeo.
Il suo avversario venne sconfitto, fuggì ma a Mileto venne raggiunto dai sicari di Antonio, che lo uccisero senza processo. Un'azione altamente illegale perchè si trattava di un cittadino romano. C'era infatti la legge per cui nessun cittadino romano poteva essere ucciso senza un processo, nè poteva essere processato da un tribunale straniero, nè poteva essere crocefisso o torturato, per cui il dire in terra straniera - Cives romanus sum - era una forte garanzia di salvaguardia e giustizia. Infatti Ottaviano perseguirà Antonio anche in nome di questa violazione.
Lepido
Ora che Pompeo era stato tolto di mezzo, era la volta di Lepido, che non cosciente dei rischi, reclamava per sè la Sicilia, ma i suoi soldati lo abbandonarono e passarono ad Ottaviano, per il principio che ai veterani piacevano i capi più bravi e coraggiosi. Lepido ebbe salva la vita ma fu confinato al Circeo ed estromesso dal triumvirato, che divenne un biunvirato con nuova spartizione delle terre. Ad Ottaviano toccò Occidente e ad Antonio l'Oriente.
GLI AUSPICI PER AUGUSTO (i Prodigi di Giuliano Ossequiente)
Consoli: C. Pansa A. Hirtio coss. - 43 a.c.
- Narra Giuliano che durante un sacrificio, apparvero a Cesare (Ottaviano), a cui erano stati decretati onori e il comando contro Antonio, due interiora. Lo seguì il successo.
- La statua equestre del console Pansa crollò a casa di Antonio. Il console vide un cavallo ornato di falere cadere mentre avanzava.
- Un popolano, scivolato nel sangue delle vittime, dette una mano al console sporco di sangue. Questi stessi prodigi furono funesti poiché in seguito, combattendo contro Antonio, fu ferito a morte.
- Immagini di armi e di giavellotti furono viste muoversi con fragore in cielo.
- Le insegne delle legioni che erano state lasciate da Pansa a presidio della città si ricoprirono di ragnatele come se fossero state lasciate da lungo tempo.
- Molti luoghi furono colpiti dai fulmini.
- Nell'accampamento di Cesare all'alba si posò un'aquila sulla cima della tenda del generale, sopra il linteum; quindi, disturbata da piccoli uccelli che gli volavano intorno, sparì dalla vista.
- Fu ascoltata la voce dell'oracolo di Apollo: "la rabbia dei lupi in inverno, in estate il frumento non sarà raccolto".
AUGUSTO PONTIFEX MAXIMUS |
Narra una tradizione che nella notte che precedette la battaglia di Azio, Ottaviano si aggirasse nell'accampamento romano. Scorse un uomo che saliva il sentiero verso di lui, spingendo davanti a sé un asino. Ottaviano lo fermò e gli chiese chi fosse. L'uomo rispose "Eutychos", cioè Fortunato. Ottaviano lo considerò un presagio e chiese come si chiamasse l'asino che accompagnava l'uomo e questi rispose che l'asino si chiamava Nikon, cioè Vincitore.
Antonio
Intanto Antonio ripudiò la sorella di Ottaviano, grande onta per la famiglia dei Cesari. La sua vita si era ormai orientata in Egitto, innamorato della bella e affascinante Cleopatra, ma dimenticarsi di Roma era per i romani il massimo del tradimento.
Essere romani significava fare tutto per Roma, ed anteporla a tutto, anche alla propria vita. Le acque tra i due si intorbidarono di nuovo, e fu tempesta quando Ottaviano lesse il testamento di Antonio su cui era riuscito a mettere le mani, in cui avrebbe lasciato l'Oriente a Cleopatra e ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Giulio Cesare. Lo lesse in Senato certo che i senatori sarebbero stati tutti dalla sua parte e così fu.
Roma e Ottaviano dichiararono guerra a Cleopatra regina d'Egitto, nel 32 a.c., e anche ad Antonio che prese le difese della regina, combattendo contro la sua stessa patria. In questa occasione Ottaviano ricevette dal Senato i pieni poteri di un dittatore, limitati però al tempo della guerra.
Ottaviano sconfisse Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio, e ambedue si suicidarono per non cadere in mano nemiche. Per sua tranquillità Ottaviano fece uccidere anche Cesarione, che si diceva fosse figlio di Cesare, e si fece dare l'Egitto come provincia imperiale, governata da un prefetto da lui scelto.
Il ricco tesoro dei Tolomei ora era suo e gli consentì di pagare molti debiti di guerra, nonché ricompensare i veterani di tante battaglie, donando loro colonie dell'impero. Questo gli valse il loro appoggio incondizionato. Come Cesare, Ottaviano sapeva che l'appoggio più importante non era tanto quello dei senatori quanto quello dell'esercito.
Ora Ottaviano, come Giulio Cesare, aveva il problema di assumere il massimo potere contro il desiderio di democrazia dei senatori e del popolo repubblicano. Per non fare la fine di Cesare strinse un'alleanza con le autorità repubblicane promettendo di rispettare e restaurare le antiche istituzioni della repubblica. Intelligentemente comprese che doveva conquistare il massimo potere senza violare
le norme repubblicane.
(Levi 1994)
I maggiori poteri stavano nell'imperium e nella tribunicia potestas: il primo, dei consoli, conferiva il potere esecutivo, legislativo e militare, mentre la seconda, dei tribuni della plebe, poteva porre il veto alle decisioni del senato.
Nel 27 Ottaviano restituì dunque al senato i poteri straordinari da questo conferitigli per la guerra contro Marco Antonio, ricevendo in cambio il titolo di Console da rinnovare annualmente, con diritto di veto in tutto l'Impero, un Imperium Proconsolare decennale, rinnovatogli poi nel 19 a.c., sulle province imperiali, vale a dire che dove fosse necessario avrebbe preso il comando militare, ponendolo di fatto a capo dell'esercito.
«Sconterai innocente o figlio di Romolo i delitti de' tuoi antenati fintanto che tu non abbia rifatti i tempii e la are crollanti degli Iddii e i loro simulacri deturpati dal fumo degli incendii. Sommesso agli Dei tu regni sul mondo: in questo è riposto il principio e il fine d'ogni tua grandezza. I Numi già da voi negletti, chiamarono sulla misera Italia tremendi flagelli...» (Orazio).
L'AUGUSTO
Nella descrizione di Velleio degli atti politici compiuti da Ottaviano, concluse le guerre civili, è annoverato il restituere vim legibus (Vell. 2.89), “ridare vigore alle leggi” Il Senato, commosso da tanta democrazia, gli conferì anche il titolo di Augusto, che lo rese sacro; infatti il titolo proveniva dall'oriente e spettava solo agli Dei, derivando dall'appellativo della Grande Madre degli Dei, la Dea Inanna che appariva in piedi su due leoni, e augusta significava "colei che è forte". Ma da allora prese il senso di sacralità e inviolabilità della persona.
«Alcuni volevano, quasi fosse anche lui il fondatore della città, che fosse chiamato Romolo; alla fine venne scelto il nome di Augusto, per novità e importanza. Il termine deriva da auctus come pure da avium gestus o gustus applicandosi ai luoghi sacri della tradizione religiosa nei quali si compivano sacrifici dopo aver preso gli auspici, come riferiscono i versi di Ennio: "Dopo che l'illustre Roma venne fondata sotto augusti auspici"»
(Svetonio, Augustus, 7)
IL PRINCIPE
"Octavius oppidatim inter Deos tutelares consacratus est" annuncia Appiano nel Lib. V
Fu lo stesso Ottaviano a chiedere il titolo di Princeps, che significa: - Primus inter pares - il primo fra i pari, dunque non dittatore e non imperatore, una grande rassicurazione per il Senato, che riconoscente gli accordò nuovi diritti:
- di condurre trattative,
- di dichiarare guerra,
- di stipulare trattati di pace con qualunque popolo straniero.
Sotto il controllo del Senato restarono le truppe delle province senatoriali, e la possibilità di limitare o revocare i poteri conferiti. In fondo un grande potere che tuttavia il Senato non usò mai contro Ottaviano, lasciandogli mano su tutto.
LA TRIBUNITIA POTESTAS
Ottaviano ottenne inoltre la tribunitia potestas (il potere del tribuno della plebe) a vita, che gli garantiva l'inviolabilità della persona, già in pratica sancita dal titolo di Augusto, e il diritto di intervenire nella pubblica amministrazione.
IMPERIUM PROCONSOLARE MAIUS ET INFINITUM
Inoltre trasformarono il suo imperium in imperium proconsolare maius et infinitum (impero proconsolare grande e senza limiti), province senatorie comprese, rendendolo il capo dell'esercito a tutto titolo.
CONSOLE A VITA - CENSORE - LEGISLATORE
BETILO |
PONTEFICE MASSIMO
Quando Lepido morì, Ottaviano ne prese il titolo di Pontifex Maximus (Pontefice Massimo, il titolo oggi conferito al Papa).
PATER PATRIAE
Per l'inaugurazione del tempio di Marte Ultore (vendicatore) e del Foro di Augusto gli fu dato il titolo di "Padre della patria".
Il Pontifex Maximus era il capo religioso di Roma, per cui officiava nelle cerimonie più importanti onorando tutti gli Dei, anche se la parte più nascosta del tempio, con la segreta statua di Pallade, era visibile solo alle vestali e neppure il pontefice poteva entrarvi.
Il fatto che Romolo volle dedicare a Vesta albana il primo focolare della città, nel complesso della sua Regia, spiegherebbe il perché Augusto divenuto pontefice massimo spostò il culto di Vesta nella sua Regia, abilmente camuffata nelle vesti di Domus Publica, forse un tentativo di assimilazione con Romolo.
Significativa quindi la presenza all’interno della Casa di Augusto di una raffigurazione di betilo, terminante a punta attraversata da un disco, che poggia su di una base circolare eretta sopra una piattaforma rocciosa. Il betilo fu la prima rappresentazione, arcaicissima ed aniconica, della divinità.
ABITARE DOVE ROMA È NATA
Nato in una casa all’angolo nord-est del Palatino, Ottaviano era andato ad abitare, dopo un interludio sulle Carinae, sopra le scalae Anulariae, quelle che portavano alla porta Romanula. Eppure questa era solamente la seconda tappa del suo avvicinamento alla meta agognata. Non poteva apparire troppo evidentemente come un novello Romulus: un re ucciso dai propri consiglieri, come suo padre adottivo, il divo Cesare, pugnalato da alcuni senatori.
Aveva accettato tuttavia di chiamarsi Augustus, che vuol dire l’inaugurato, cioè il benedetto da Giove, proprio come Romolo che si era auto-inaugurato re di Roma. Nel 42 a.c. Ottaviano ha raggiunto finalmente la meta, acquistando la casa di Q. Ortensio Ortalo, che Svetonio (Vita di Augusto, 72) al tempo di Adriano giudicherà modesta.
La casa aveva due vantaggi strepitosi. Si ergeva sopra la parete tufacea del Cermalus entro la quale erano le grotte del Lupercal, quella della fonte e quella che accoglieva la scultura della lupa con i gemelli, davanti alla quale era l’ara di Faunus Lupus/Hircus (Lupercus).
Era il luogo dove Remo e Romolo erano stati nutriti dai loro totemici antenati, il picchio e la lupa. Il Lupercal era stato poi restaurato da Ottaviano che lo aveva trasformato in un sontuoso ninfeo. Inoltre la casa aveva l’entrata davanti al recinto o sacellum dove erano una riproposizione della casa/aedes Romuli e la fossa con una versione più tarda dell’altare dove Roma era stata fondata e dove era stato acceso il primo fuoco regio della città.
La collocazione, apparentemente eccentrica perché esterna ai dodici lotti più famosi del Palatino, era invece al centro gravitazionale della prima Roma, tra Lupercal e Casa Romuli con fossa e ara della fondazione di Roma, diventando così anche il centro di gravità del principato di Augusto.
Si trattava di una casa di medie dimensioni, probabilmente con atrium da immaginare a ovest e che precedeva il peristylium, in parte conservato e dotato di due altari relativi a un culto domestico.
Sul lato nord, con vista sull’Aventino erano un triclinium con banconi in muratura per i letti e una exedra antistante, con ai lati due salette e due biblioteche. Altre stanze erano ai lati e dietro. Sul lato est del peristylium era un oecus affiancato da due cubicula e un piccolo nymphaeum con mosaico raffigurante remi.
Sul lato sud erano forse tre sale e in basso, su un lato, le stanze per i servi. Qui il tufo del monte precipitava nella bassura della vallis Murcia e del circus Maximus. Ottaviano ha ingrandito la dimora di Ortensio e l’ha ridecorata; eppure rimane un resto della decorazione più antica.
Ha esteso il peristylium, ora sicuramente a due ordini, ornati da metope e da un fregio in terracotta. Il maggior complesso di sale rivolto all’Aventino esclusi i cubicula di lato, il peristylium e l’oecus fra i due cubicula trasformato in tetrastylus – cioè in sala retta da quattro colonne – sono stati pavimentati con tarsie marmoree.
Al di sopra di uno dei cubicula su lato est è stata allestita un’ulteriore camera da letto, più che uno studiolo, mentre l’altro cubiculum è stato trasformato nella rampa che portava a nuovi tablinum e atrium. Era questa la parte privata della casa, ampliata e riallestita per prima. Ma il progetto della dimora era assai più ambizioso, al punto che Ottaviano in seguito se ne è pentito, obliterando il sogno megalomane che per qualche tempo lo aveva incantato.
Questo sogno, in parte realizzato, aveva implicato l’acquisto di case vicine per edificare una vera e propria reggia ellenistica, dotata di due peristylia, il secondo fulcro di un quartiere a carattere pubblico, come nei complessi di Demetriade, Vergina e Pella (si veda Carandini, Bruno 2008, fig. 78). Al centro di tutto il complesso era probabilmente un enorme atrium di mq 600, mentre quello di Scauro, che era stato un tempo il maggiore di Roma, aveva raggiunto i mq 456. Questo atrium, ora il massimo, era dotato verosimilmente di grande tablinum, al quale si perveniva tramite la rampa che aveva inizio dal peristylium privato della casa.
Una galleria collegava al piano terreno i due peristylia. Sopra di essa era una ambulatio, lunga m 88,68 (cioè 300 piedi corrispondenti a mezzo stadio), quella che era stata di Clodio era stata di m 82,22, che aveva davanti un hortus pensilis, la cui terra copriva le suspensurae di una intercapedine volta a isolarla dagli ambienti sottostanti, come poi si vedrà nella domus Tiberiana. Nel secondo peristylium, anch’esso aperto sull’Aventino, si affacciavano solamente saloni, notevolmente più grandi e fastosi delle sale che si aprivano sul peristylium privato, per cui formavano un vasto complesso cerimoniale di carattere pubblico.
Sul lato ovest era un oecus Cyzicenus, fatto di una sala principale comunicante con due triclinia; ne vedremo altri esempi nella domus Gai e nella domus Proculi. Sul lato nord era un grande triclinium dotato di sale laterali. Sul lato est era un oecus Corinthius, colonnato su tre lati, accanto al quale si accedeva a una seconda rampa. A ridosso della parete tufacea erano, anche da questa parte della casa, ambienti per i servi. Purtroppo neppure in coincidenza del bi-millenario di Ottaviano il secondo peristylium è stato completamente scavato e restaurato, come da tempo avrebbe meritato.
D’un tratto accade qualcosa che definire bizzarro è poco e che ricorda l’arbitrio dei despoti. Tutta questa seconda parte della casa a carattere pubblico, atrium al centro e secondo peristylium, è stata costruita ma non decorata, per cui mai è stata usata, se non nei sogni del troppo ambizioso committente. Di colpo l’intera dimora, compresa la parte privata, invece terminata e vissuta, è stata seppellita sotto un nuovo complesso edilizio oppure è stata riusata come cantina. Cosa era accaduto? Una notte del 37 a.c. un fulmine aveva colpito la casa e Ottaviano aveva interpretato quel segno come il desiderio di Apollo di abitare con lui in quello stesso luogo.
In realtà Ottaviano, reso d’un tratto lungimirante, cioè prefigurando la prossima conquista di un potere immenso e indiviso, si era pentito della troppo magniloquente dimora in costruzione. equivaleva a vivere in una reggia come un re, ambizione che a Roma non era sostenibile., per cui aveva concepito un progetto molto più adatto al futuro prefigurato che puntualmente si sarebbe verificato. Il progetto era assai più modesto riguardo all’abitare, ma molto più grandioso riguardo all’abitare insieme ad Apollo. Si trattava dell’enorme palazzo e santuario dal quale Augusto, protetto da Apollo, avrebbe governato l’Impero per quattro decenni.
L’abitare di Augusto si articolava in due case, quella privata di lui come princeps e quella pubblica di lui come pontifex maximus. Le due case, poste ai lati del tempio di Apollo, erano di dimensioni ragionevoli (circa il doppio delle normali case palatine, che raggiungevano in media i mq 1159), quindi molto più piccole della delirante reggia oramai seppellita sotto il palazzo-santuario. Esso ospitava, oltre le due case, l’arco in onore del padre terreno Ottavio, il tempio di Apollo, suo padre mitico, che nei sotterranei custodiva i libri sibyllini, e la porticus delle Danaidi che accoglieva la grande ara di Apollo, il tetrastylum di Augusto e la curia/bibliotheca.
Solo in seguito il progetto è stato completato aggiungendo la porticus inferiore della silva Apollinis, dotata di un’ara – della Roma Quadrata? – e di una balconata o maenianum da cui si osservavano le gare del Circo. Le due porticus, su due livelli, formavano insieme un quadrato: quello della Roma Quadrata, che coincideva con l’area Apollinis. Il princeps con i Lares e i Penates, il pontifex maximus con Vesta e l’Atena del Palladium e Apollo con Latona e Diana nella aedes formavano un triplice complesso in cui Augusto era il condomino di varie divinità all’interno di un unico e scenografico santuario a terrazze degradanti, sul genere di quelli del Lazio.
L’aedes Apollinis al centro era l’equivalente del Capitolium, mentre i compluvia delle due abitazioni, con i culti simmetrici del Lares/Penates e di Vesta col Palladium, rappresentavano l’equivalente del lucus Vestae, per cui l’intero centro sacrale di Roma, tra Campidoglio e Foro, e lo stesso Palatino romuleo erano riproposti nel microcosmo urbano del palazzo-santuario di Augusto sul Cermalus. Della parte pubblica della casa quasi nulla sappiamo, oltre al culto di Vesta, perché è stata modificata da Claudio e perché si è partiti da essa per innestare nella domus Augusti l’enorme domus Augustiana.
Così la domus Publica di Augusto è stata distrutta e quel che resta è sovrastato da sontuose rovine. Invece della parte privata della casa sappiamo moltissimo, anche se nessuno se ne è accorto. A nord della casa dell’oratore Q. Ortensio Ortalo, affacciate sul clivo Palatino A, erano tre case. Della casa più a sud, separata dalle altre da due strade, ignoriamo il proprietario.
CAMMEO RITRAENTE AUGUSTO DIVINIZZATO |
La casa più a nord, di cui nulla sappiamo, era certamente di Q. Cecilio Metello Celere, console nel 60 a.c. e marito della terribile Clodia, sorella di Clodio il demagogo, nota come Medea Palatina (Cicerone, In difesa di Celio, 18), dalla quale era stato avvelenato nel 59 a.c. Mentre nella sua stanza agonizzava, assistito da Cicerone, batteva con la mano sulla parete che la sua casa aveva in comune con quella di Catulo, per invocare l’aiuto dell’amico. Se i muri potessero parlare!
In posizione intermedia era dunque la casa di Q. Lutazio Catulo, console nel 102 a.c., che l’anno seguente aveva vinto con Mario Cimbri e Teutoni e che aveva eretto alla Fortuna Huiusce Diei la vicina porticus Catuli. Era un poeta e un appassionato delle memorie romulee, fulcro di un circolo letterario a cui partecipava il costosissimo schiavo e grammatico Dafni ch'egli aveva comprato da M. Emilio Scauro, finito suicida nell’87 a.c.. Allora la casa passata a suo figlio, console nel 78 a.c., il ricostruttore del tempio di Giove Capitolino e l’edificatore del c.d. Tabularium, morto nel 61 o nel 60 a.c..
Di questa casa è conservata la parte interrata, dalla quale si ricava per intero la pianta del piano nobile: un vestibulum, dotato di ingresso al seminterrato, immetteva in un atrium tetrastylum con tablinum e sale ai fianchi, forse triclinia, a cui nel seminterrato corrispondeva un atrium testudinatum con altrettante sale. Dietro l’atrium era un atriolum con vestibulum e cubicula ai lati, trasformato poi in peristylium. Al di sotto nel seminterrato erano tredici cellae (ciascuna di mq 7) destinate ai servi. A meridione della casa erano, su due piani, un lungo corridoio e nove stanze, tra le quali, al seminterrato, un triclinium e una cucina o culina.
La casa privata di Augusto ha riutilizzato le due strade, interrate, e le due case più vicine, a partire dall'atrium ridecorato della Catulina domus, dove il liberto ed erudito M. Verrio Flacco, assunto come precettore, farà scuola ai nipoti del princeps Gaio e Lucio Cesari (Svetonio, Vita dei grammatici, 17.2). Il peristylium è stato allora trasformato in stanze di servizio, una delle quali immetteva nel corridoio sotterraneo che portava alla domus Publica di Augusto pontefice massimo. Vengono riutilizzati e ristrutturati i sette ambienti laterali e uno dei vici seppelliti diventa un corridoio; sopra la casa dell’allevatore di murene e sopra il vicus successivo viene edificato un nuovo peristylium.
Su due lati di questo davano ambienti di servizio, tra cui una culina dotata di bancone; altri ambienti si trovavano al piano superiore, dove dopo il 25 a.c. possono aver vissuto Giulia e Agrippa, genitori dei giovani Cesari. Sul terzo lato, il principale, era una sala lunga e stretta che comunicava sul retro con una exedra. Sopra a questi ultimi due ambienti è ricostruibile lo studio/ laboratorio di Augusto, alto e isolato, chiamato Syracusae (Svetonio, Vita di Augusto, 72.2).
L’exedra e le due coppie di cubicula che aveva ai lati si affacciavano su uno spazio aperto, una corte, che insisteva su una parte della casa che era stata dell’oratore Ortensio e poi di Ottaviano: è il compluvium dei Lares e dei Penates (Svetonio, Vita di Augusto, 92.2), accolti in una aedicula, ben conservata, il cui altare era probabilmente l’ara del Belvedere. Uno dei suddetti cubicula poteva accogliere la scala, attestata in un rilievo a soggetto dionisiaco di cui conosciamo repliche al Museo Nazionale di Napoli, al Louvre di Parigi e al British Museum di Londra la quale portava allo studio/ laboratorio chiamato Syracusae, la cui immagine esterna è attestata sui citati rilievi.
Il cubiculum accanto alla scaletta, l’unico raggiungibile direttamente dall’atrium, era probabilmente quello nel quale Augusto aveva dormito per oltre quarant’anni (Svetonio, Vita di Augusto, 72.1). Questa stanza distava assai poco (m 27) dalla casa Romuli e dalla fossa/ara della fondazione di Roma. Settecentotrenta anni di distanza fra il re fondatore e il principe rifondatore, ridotti a pochi passi. Riepilogando, la casa privata di Augusto ha occupato due case (di Catulo e dell’allevatore di murene), due strade interrate e parte di un’altra casa (già dell’oratore Ortensio e poi di Ottaviano).
L’atrium, che era stato di Catulo e poi di Augusto, sarà infine di Livia Giulia Augusta, come si legge in una fistula iscritta (cil, xv 7276b), sacerdotessa del culto del divo Augusto, di cui Claudio, figlio del fratello di Tiberio, era flamine. L’atrium sarà utilizzato anche come sede dei sodales Augustales, i sacerdoti del divo Augusto, dal momento che la loro sede di Ercolano era una replica perfetta dell’atrium di Livia.
Il mondo era profondamente cambiato:
Ottaviano, per un migliore controllo del territorio, divise l'Italia in undici regioni, cosa che verrà ripresa nell'Italia pepubblicana del '900, ancor oggi fondata sul diritto romano, e da cui il mondo intero ha preso il via della amministrazione democratica.
Abbellì Roma istituendo curatori per preservare templi ed edifici pubblici; costruì due nuovi acquedotti, creando un corpo di tre curatores per l'approvvigionamento idrico, e cinque curatores per proteggere Roma dalle inondazioni del Tevere. Insomma capì che per mantenere roma non bisognava intervenire sui guasti, ma istituire cariche che fossero specialiste e preposte solo a questo.
Fece di più:
- assicurò all'Urbe gli approvvigionamenti di cibo attraverso un prefetto di rango equestre e due prefetti di rango senatorio per i sussidi; pose a salvaguardia della città tre nuove prefetture:
1) la prefettura dei Vigili con sette coorti di vigili del fuoco (i primi nel mondo),
2) la prefettura Urbi, con tre coorti urbane per l'ordine pubblico (moderna polizia),
3) e la prefettura Praetorii o guardia pretoriana, con nove coorti, a guardia personale di Ottaviano. Il delitto contro Cesare non poteva ripetersi con Ottaviano, guardato giorno e notte da ben mille uomini.
Ottaviano però non fece mai sfoggio di sè, la sua fu una vita riservata quando stava in città, la sua reggia piuttosto contenuta, e soprattutto il suo lavoro si svolgeva in uno studio dal soffitto molto alto e affrescato, ma di dimensioni ridotte, di circa 15 metri quadri. Ultimamente è stato rinvenuto e restaurato sul colle Palatino, la stanza più alta dell'edificio, isolata e all'ultimo piano. Augusto amava il suo lavoro e la sua solitudine.
Era sobrio nel cibo e nel sonno, amante della vita spartana, sobrio anche nel vino, con gusti piuttosto popolari, preferendo il pane comune, i pesciolini, il formaggio di mucca pressato a mano, i fichi freschi (della specie che matura due volte all'anno), come narra Svetonio, e passava il suo tempo ad amministrare dal suo famoso studiolo: leggi, costumi, eserciti, possedimenti, distribuzione delle ricchezze.
Governando Roma quasi tutto il mondo civile conosciuto, Ottaviano comprese che c'era ormai necessità di consolidare le posizioni raggiunte, più che di conquistare nuove terre.
Decise pertanto di rendere sicuri i confini, per instaurare un lungo periodo di pace: la Pax augusta, per la quale innalzò a Roma l'Ara Pacis, in onore della Dea Pax, per dare un'idea ai romani delle sue intenzioni e pure per celebrare le sue gesta.
Così nacquero i templi e le statue alla:
- Pax Augusta,
- Concordia Augusta,
- Spes Augusta,
- Fortuna Augusta,
- Aequitas Augusta,
- Salus Augusta
- Iustitia Augusta
- Aeternitas Augusta
- Victoria Augusta
ESTENSIONE DELL'IMPERO ROMANO SOTTO AUGUSTO |
LA SUCCESSIONE IMPERIALE
Non essendo imperatore, Augusto non aveva diritto a designare un successore, ma trasferendo i propri poteri nelle mani di qualcuno, come aveva fatto Cesare per lui, poteva fare in modo che, alla propria morte, il designato ereditasse la sua posizione. Ma le guerre causarono la morte di tutti i suoi eredi putativi, da Gaio a Lucio e ad Agrippa. La loro morte, nonchè gli scandali della figlia Giulia e della nipote Giulia Minore, non gli consentirono di lasciare eredi familiari.
Nel 22 a.c. Marco Claudio Marcello, figlio di Ottavia, sorella di Ottaviano, muore appena diciannovenne e gli viene dedicato il Teatro Marcello.
Virgilio nell'Eneide immagina che Enea, sbarcato a Cuma, venga condotto dalla Sibilla nell’Ade dove incontra l’ombra del padre Anchise. Questi, gli profetizza la morte prematura del giovane Marcello:
“Heu, miserande puer, si qua fata aspera rumpas,
tu Marcellus eris. Manibus date lilia plenis
purpureos spargam flores animamque nepotis
his saltem accumulem donis, et fungar inani
munere”
Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati,
tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani,
che io sparga fiori purpurei e colmi l´anima del nipote
almeno con questi doni e faccia un inutile
regalo”.
Pertanto Augusto ripiegò su Tiberio, uno dei suoi più validi generali, il figlio dell'amata moglie, passando i poteri alla dinastia Claudia.
LE INNOVAZIONI
Dunque in quasi quarant'anni di regno portò grandi modifiche che lasciarono il segno per secoli:
- Riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale creando colonie e municipi che favorirono la romanizzazione del Mediterraneo.
- Assegnò al Senato le province più facilmente governabili mentre si riservò quelle più difficili e burrascose, insediandoci presidi di truppe imperiali per la difesa dei territori. Dette così il comando militare delle proprie province a uomini di sua fiducia: ai legati (del Senato), e ai procuratori (militari dell'ordine equestre a lui fedelissimi), aumentando continuamente il numero di questi ultimi.
- Riorganizzò l'esercito introducendo milizie specializzate per la difesa e la sicurezza dell’Urbe, come le coorti urbane, i vigiles e la guardia pretoriana.
- Fece costruire nuove flotte in Italia e nelle province.
- Migliorò le difese dei confini dell'impero, stabilendo legioni permanenti dentro le fortezze e forti lungo tutti i confini.
- Trasformò l'esercito da mercenario a professionale, attribuendo un salario e una gratifica di congedo a tutti i soldati dell'esercito (la moderna liquidazione).
- Creò un esercito permanente di volontari, introdusse generali professionisti, e fondò l'erario militare.
- Istituì le ali di cavalleria e le coorti di fanteria di volontari non-cittadini, desiderosi di diventare cittadini romani al termine della ferma militare (della durata di 20-25 anni).
- Assegnò un salario per il servizio pubblico, compresi Senatori e magistrati, sperando abolire il clientelismo ma così non fu mai.
- Accanto all'erario, che derivava dalle province senatorie, creò un tesoro statale col fisco proveniente dalle province imperiali.
- Abbellì Roma di edifici e monumenti, servendosi del bravissimo architetto e collaboratore Marco Agrippa. Fece costruire porti, con moli e banchine, e strade, con curatores addetti alla loro manutenzione, stazioni di posta e torri di vedetta, numerosi ponti, per migliorare i servizi militari che divennero così molto più celeri, per migliorare i viaggi, i trasporti e le comunicazioni culturali, e ordinò lo scavo canali sia per irrigare le terre che per agevolare la navigazione.
- Fece poche ma ricche conquiste territoriali che portarono all’erario romano immense disponibilità come il tesoro di Tolomeo, il grano egiziano, le miniere d’oro dei Cantabri e le miniere d’argento illiriche.
- Favorì le classi più povere, come del resto aveva fatto Cesare, con continue elargizioni di grano e la costruzione di opere pubbliche, come terme, acquedotti e fori. Non dimentichiamo che anche Augusto apparteneva alla classe dei Populares, come Cesare.
- Curò gli usi e i costumi, affinchè venissero conservate le forme della serietà e della dignità degli antichi. « Si applicò per far riprendere la moda e il costume di un tempo: un giorno, vedendo in un'adunanza del popolo una folla di gente malvestita, indignato esclamò: "Ecco i Romani, padroni del mondo e il popolo che indossa la toga", e diede incarico agli edili, dopo ciò, di non tollerare che nel Foro e nei dintorni si fermasse qualcuno se non avesse prima abbandonato il mantello che copriva la toga. » (Svetonio - Augusto)
- Dette grande impulso alla cultura, favorendo le arti grazie anche all'aiuto di Mecenate. Gran peso ebbe nella letteratura la celebrazione di Roma e del mito della sua fondazione, nonchè la prefigurazione di una nuova età dell'oro attraverso grandi poeti e scrittori come Virgilio, Ovidio, Livio, e Properzio, tutti raccolti attorno al benefattore degli artisti Mecenate, grande amico di Ottaviano. Lo stesso Augusto scrisse in prosa ed in versi, dalle tragedie agli epigrammi, alle opere storiche. Di lui ci resta il Res Gestae Divi Augusti (le Gesta del Divino Augusto) in cui descrisse la sua ascesa al potere, rispettosa delle regole tradizionali dello stato repubblicano e scevra di sete di potere illegittimo.
- Promulgò leggi a protezione della famiglia, del tutto avanzate e innovative, chiamate Leges Iuliae, che incentivassero e proteggessero il matrimonio. Infatti anticamente si tributava grande rispetto agli anziani, ma con la legge Iiulia del 18 a.c. si riconobbero vari privilegi a chi aveva più figli, in qualche caso dando a questo criterio precedenza sull'anzianità.
AUGUSTO ANZIANO |
POLITICA ESTERA
- Le campagne di Augusto servirono a consolidare le conquiste dell'età repubblicana: in Cantabria per 10 anni, Aquitania, sull'arco alpino fondando Augusta Praetoria (Aosta) e fortificando Tridentinum (Trento).
- Assoggettò: i Camuni della Val Camonica, le tribù della Val Venosta, Liguri Comati delle Alpi sudoccidentali, il fronte alpino orientale, il Norico meridionale, la Rezia, la Vindelicia e la Vallis Poenina.
- Combattè i Pannoni, i Mesi, Sarmati, Geti e Bastarni. Sui Balcani furono sconfitti i Mesi, i Triballi, Geti e Daci. In Macedonia furono ricacciati gli invasori Bessi, e poi i Traci e gli abitanti della Crimea e del Ponto.
- Con un ventennio di guerre si creò la provincia di Germania, persa poi a causa di un generale incapace e inetto che costò la vita di 20.000 uomini. La provincia non fu più riconquistata.
- Ad oriente dell'Eufrate, in Armenia, Partia e Media, Augusto mirò all'ingerenza politica più che alla guerra coi Parti. Roma e la Partia si contendevano l'Armenia, per cui Ottaviano si limitò a fare dell'Armenia uno stato cuscinetto ponendo sul trono un sovrano filoromano.
In Africa
L'Egitto divenne la prima provincia imperiale, retta da tre legioni in pianta stabile. Per il principio romano per cui - Si sive pacem para bellum - (Se vuoi la pace prepara la guerra) Ottaviano estese poco di più i confini di Roma ma completò l'assoggettamento dei popoli già conquistati. Per questo dovette combattere lungamente e su molti fronti.
Ma per tutti l'età augustea rimarrà impressa come Età dell'Oro, per la pace che riuscì a restaurare, soprattutto all'interno, per la bellezza delle opere artistiche e il marmo di cui ricoprì Roma, perchè fu uno fra i più importanti e fiorenti periodi della storia della letteratura mondiale, e per l'innovazione delle sue leggi che furono la base della civiltà del mondo. Nei suoi ultimi anni, Augusto si ritirò dalla vita pubblica inserendo pienamente la successione di Tiberio.
MORTE DI AUGUSTO |
LA MORTE
Durante un viaggio in Campania, Augusto morì pacificamente a Nola nel 14 d.c. dopo 45 anni di regno incontrastato. La tradizione che Livia l'avesse avvelenato non trova alcun riscontro da chicchessia. Il Senato gli attribuì un funerale magnifico, decretandogli l'apoteosi, rendendo alla sua persona, vissuta sempre in semplicità e schiva di pompa, quel culto che, associato al culto della Dea Roma, era destinato a diventare un potente cemento per l'impero. Fu sepolto in Roma nel mausoleo omonimo.
Come Cesare anche Augusto fece un testamento a favore dei romani: "Dal testamento d’Agusto si raccogli[e] avendo lasciato al popolo romano 400 H.S., alle Tribù 35 H.S.,
269 alle militie pretoriani [sic] 1000 nummi, 500 alle coorti delle città, e 300 a’ legionarii."
Il titolo onorifico di Augusto, già decretato in oriente alle Dee Madri, richiamava l'accrescimento e la prosperità e pertanto fu portato dai suoi successori per il prestigio grande di cui la sua persona fu circondata in vita ed esaltata dopo la morte. Esattamente come fu tramandato il nome di Cesare in memoria di lui. Infatti sia Cesare che Augusto furono considerati i migliori uomini che Roma potesse desiderare.
Nella sua volontà, lasciò 1.000 sesterzi a ogni soldato della guardia pretoriana, 500 per la coorte urbani e 300 a ciascuno dei Legionari.
L'iscrizione "Le realizzazioni del divino Augusto" resta una notevole prova delle sue gesta. La copia più completa di esso è la versione greca e latina bilingue scolpita in muri del Tempio di Roma e Augusto ad Ancira in Galazia, impresso inoltre su due pilastri bronzei che fiancheggiano l'entrata del Mausoleo di Augusto a Roma.
Riferiscono gli storici che avesse pronunciato verso la fine due frasi storiche:
"Ho trovato una città di mattoni e ho lasciato una città di marmo" e un istante prima di morire "Fabula acta est": la storia è finita, nel senso di spettacolo interpretato fino alla fine.
Una tenerissima frase fu invece rivolta alla moglie:
"Livia, nostri coniugii memor, vive ac vale"
(Livia, nel ricordo della nostra unione, vivi e stai bene).
Gli scritti
« Narrazione dei fatti del divino Augusto attraverso i quali sottomise tutto il mondo al potere del popolo romano, e del denaro che spese per la Repubblica e per il popolo romano, come sta scritto in due stele di bronzo a Roma »
(Augusto, Res Gestae, prefazione.)
Scrisse i Commentarii de vita sua, in 13 libri, una Descriptio Italiae, il poemetto Sicilia, in esametri, una Vita di Druso, epigrammi e saggi filosofici. Tutte opere andate perdute; rimangono invece le Res gestae divi Augusti, la monumentale iscrizione cui affidò nel 14 dc, per i contemporanei e i posteri, il racconto delle proprie imprese.
« Mandai in esilio quelli che trucidarono mio padre punendo il loro delitto con procedimenti legali; e muovendo poi essi guerra alla repubblica li vinsi due volte in battaglia. »
(Augusto, Res Gestae, 2.)
Le Res gestae sono il capolavoro della diplomazia e della propaganda augustea, con un'interpretazione mitico-religiosa del principato che fu fatta propria dai suoi successori. L'originale andò perduto, nel senso che venne fuso. ma se ne ritrovarono diverse copie: quelle da Ankara (in latino e in greco), da Antiochia (in latino) e da Apollonia (in greco). Per inciso, nella precedente teca che custodiva l'Ara Pacis, quella prima della Teca di Mayer, cioè la teca del grande architetto Morpurgo, erano raccolte sulle pareti esterne le Res Gestae in cubitali lettere di bronzo applicate sul travertino, ma sia il travertino, sia le lettere bronzee son sparite. Ancora una volta l'ignoranza popolare ha distrutto le Res Gestae.
Il Tempio di Augusto
Il tempio di Augusto, templum Divi Augusti, era dedicato ad Augusto divinizzato, nel Foro Romano a Roma. Fu detto anche templum novum, "tempio nuovo".
Probabilmente si trova sotto le costruzioni alle spalle della Basilica Giulia, in zona non scavata al di sotto dell'ex-ospedale della Consolazione.
Fu edificato da Tiberio, figlio adottivo e successore di Augusto, o da Tiberio e Livia Drusilla, terza moglie di Augusto e imperatrice; venne completato da Caligola o da Tiberio stesso, che però non lo dedicò. Tiberio costruì anche una biblioteca che dal tempio prese il nome di Bibliotheca Templi Novi o Templi Augusti.
Il tempio fu distrutto da un incendio, poco prima del 79, poi restaurato da Antonino Pio.
L'ultima testimonianza dell'esistenza del tempio risale al 248 d.c.. Nelle monete appare come tempio esastilo in stile ionico con sculture sul tetto, sul basamento e sul frontone, decorato con ghirlande. Antonino Pio dovette modificarlo molto, perchè nelle sue monete appare come tempio ottastilo in stile corinzio, contenente due statue, di Augusto e Livia.
Oltre alle statue di Augusto e di Livia, il tempio conteneva probabilmente anche quelle degli altri imperatori divinizzati, come suggerito dal fatto che una aedes Caesarum sia stata colpita da un fulmine nel 69. Tiberio lo decorò con un famoso dipinto, opera di Nicia di Atene, IV sec. a.c., raffigurante Giacinto.
AUGUSTO VISTO DALLA CHIESA CRISTIANA
Nella tradizione Augusto, come del resto Giulio Cesare, rimasero amati e ammirati dal popolo anche dopo secoli, così che su di lui fiorirono leggende anche cristiane. Ecco quella riportata nelle Miracole di Roma:
"Al tempo di Ottaviano imperatore, i senatori, vedendolo così magnifico, perché ai loro occhi non aveva uguali, e latore di tanta prosperità e di tanta pace che l'intero mondo gli porgeva tributo, dissero che lo volevano adorare, che in lui vi era santità, e che se ciò non fosse stato vero, egli non avrebbe avuto prosperità in ogni cosa.
Ottaviano parlò, e chiese ai senatori un termine, e fece chiamare a sé la Sibilla Tiburtina, e tutto quello che avevano detto i senatori, egli riferì alla Sibilla. La quale chiese un termine di tre giorni. E la Sibilla digiunò tre giorni in quel palazzo, e poi rispose ad Ottaviano e disse: "Misericordia o imperatore, questo è il segno del giudizio. Il tuo sudore [Il tuo operato] rifonderà la terra. Dal cielo deve venire il re del mondo, forse a te è data licenza di vederlo".
E in quell'istante il cielo si aprì, e su di lui discese una gran luce, ed Ottaviano vide in cielo una giovane donna incoronata di splendido aspetto su di un altare molto bello, e teneva in braccio un bambino.
Ed Ottaviano ne ebbe gran meraviglia, ed udì una voce che così diceva: "Questo è l'altare del figlio di Dio". Ed Ottaviano si gettò immediatamente a terra e adorò Cristo. Poi raccontò questa visione ai senatori, e costoro se ne meravigliarono molto. Questa visione ebbe luogo nella camera di Ottaviano imperatore là dov'è la chiesa di Santa Maria in Campidoglio, e da allora innanzi fu chiamata Santa Maria in Ara Coeli."
Naturalmente la storia è di pura invenzione ecclesiastica, ma siccome era troppo difficile scalzare dal popolo una figura così eminente ed amata, non rimase altra soluzione che fingere una sua specie di conversione al cristianesimo.
UNA STELE EGIZIANA NOMINA L’IMPERATORE ROMANO AUGUSTO COME FARAONE
Dal quotidiano Britannico INDEPENDENT del 10 aprile 2010
- Gli studiosi, nel tradurre il testo inciso su una stele eretta nel tempio d Iside in Egitto nel 29 a.c. come ricordo di una vittoria Romana, hanno scoperto il nome dell’imperatore Augusto inciso in un cartiglio, onore normalmente riservato a un faraone Egiziano.
Le forze di Ottaviano sconfissero Cleopatra e Marco Antonio nella battaglia di Azio nel 31 a.c. e conquistarono Alessandria. Gli storici ritengono che Ottaviano non fu mai incoronato come un faraone Egiziano.
La stele fu commissionata da Caio Cornelio Gallo, soldato Romano e poeta incaricato da Ottaviano di amministrare l’Egitto creggendo l’incarico fino al 27 a.c. quando fu richiamato a Roma.
La stele celebra la fine dei Re Tolemaici e la sconfitta del Re degli Etiopi. Il testo è scritto in tre lingue, geroglifici Egiziani, Latino e Greco. La stele è nota da circa 150 anni, tuttavia l’iscrizione è sempre risultata di difficile lettura perchè non sufficientemente chiara. In un primo tempo si era supposto che il nome scritto nel cartiglio in un riquadro oblungo fosse quello di Gaio Cornelio Gallo.
La professoressa Martina Minas-Nerpel, che fa parte del team che si è occupato della traduzione del testo inciso sulla stele, ha dichiarato che l’iscrizione indica chiaramente che Ottaviano Augusto era trattato come un faraone dagli egiziani.
“Il nome di Ottaviano è scritto in un cartiglio, trattato come un qualunque altro re Egiziano”, la professoressa crede che i sacerdoti avessero insistito per questo titolo onorifico e che fosse interesse di Ottaviano accondiscendere.
“I sacerdoti dovevano avere un faraone attivo, e l’unico faraone attivo sotto Ottaviano era lo stesso Ottaviano. I sacerdoti avevano la necessità di vederlo come un faraone, altrimenti la loro comprensione del mondo sarebbe crollata.”
Ancora un altro cartiglio del 30 a. c. con il nome di Ottaviano è stato ritrovato nell’isola di Kalabsha, nell’Egitto meridionale.
Vedi anche: LIVIA DRUSILLA
BIBLIO
- Sesto Aurelio Vittore - De Caesaribus -
- Augusto - Res Gestae divi Augusti -
- Cassio Dione Cocceiano - Historia Romana -
- Mario Attilio Levi - La caduta della repubblica romana - Messina - Principato - 1924 -
- Mario Attilio Levi - Tito Livio e gli ideali augustei - Napoli - Gaetano Macchiaroli editore - 1949 -
- Mario Attilio Levi - Augusto e il suo tempo - Milano - Rusconi Editore - 1986 -
- Mario Attilio Levi - La lotta per la successione di Giulio Cesare e l'avvento di Ottaviano Augusto - Milano: Vita e Pensiero - 1939 -
- Mario Attilio Levi - Il tempo di Augusto - Firenze - La nuova Italia - 1951 -
Grandissimo Augusto, uno degli imperatori più illuminati che Roma abbia mai avuto. Il degno successore di Cesare.
RispondiEliminacorregete, Azia minore era la nipote di Cesare, non la sorella
RispondiEliminaVero, grazie della correzione.
RispondiEliminagrande grandissimo, buon sangue non mente.
RispondiEliminaGrazie ma io volevo sapere il secolo in cui Ottaviano riceve il titolo di Augusti
RispondiEliminaEsattamente nel 27 D.C.
RispondiElimina27 a.C.!!
EliminaE che cosa fa a livello militare???
RispondiEliminaIn che modo nacque la sua amicizia con Agrippa e Mecenate?
RispondiEliminaAgrippa e Ottaviano furono amici intimi fin dall'infanzia. Furono entrambe ufficiali di cavalleria sotto Cesare nella battaglia di Munda ( 45 a.C. ) In seguito Cesare inviò Ottaviano e Agrippa a studiare ad Apollonia con le legioni macedoni, li conobbero Gaio Cilnio Mecenate con cui condivisero gli stessi studi, nacque una solida amicizia.
RispondiEliminaA me invece mi servirebbe sapere quale monumenti fece erigere Ottaviano... Mi serve per domani, grazie in anticipo
RispondiEliminaUna cosa sola, si dice triumvirato, non triunvirato, in teoria
RispondiEliminaProfonda ammirazione per il grande Cesare Augusto .
RispondiEliminaPersonalmente considero Adriano il più illuminato fra tutti.
Quando era il fine del suo regno?
RispondiEliminaio volevo sapere quali tra le sue mosse politiche furono biasimate e perche?
RispondiEliminacioè mi correggo potevano essere biasimate e perchè
RispondiEliminaLa sua età reale quando ricevette il titolo di Augusto nel 27 D.C ?!
RispondiEliminaNel 27 a.C. aveva 36 anni
EliminaUn po' di parte la vicenda Teutoburgo, nell'aspetto della scelta e delle conseguenze. Rinunciando all'espansione all'Elba, Augusto commise un micidiale errore politico che avrebbero pagato a caro prezzo i successori. Il suo nondum matura est, causato dall'assenza di estensioni coltivabili apprezzabili e miniere, avrebbe consentito ai Germani di organizzarsi come Nazioni fuori dall'influenza romana e, più nell'immediato, rese difficilmente difendibile per la sua lunghezza la frontiera Reno-Danubio.
RispondiEliminaChe significa princeps di Augusto
RispondiEliminaOrezzz
RispondiEliminasiuuuuuu
RispondiEliminaScusate, ma per quanto riguarda la storia della Sibilla, chi ha detto che è invenzione ecclesiastica? e chi ha detto che Augusto si fece pseudo cristiano?
RispondiEliminaVide solo tanta magnificenza da quella visione che si "prostò" davanti ad essa, ma il cristianesimo non c'era nemmno all'epoca.
Inoltre Augusto non dava molto adito a quelli che rano gli dei romani......
Vi ricordo che la Sibilla di Cuma in questo caso, fece pure una previsione a Nerone;
"Il tuo regno durerà, ma guardati dal settantesimo anno" Nerone, che non aveva nemmeno 30 anni, pensò di avere molti anni davanti a sè. Invece dopo breve tempo tre legioni gli si ribellarono e vinsero quelle a lui fedeli. I comandanti delle tre legioni, tre generali pari grado, affidarono il comando supremo al più anziano: il settantenne Galba. e Nerone si suicidò quando ormai era circondato dai nemici.