Nome completo: Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus
Nascita: Anzio 15 dicembre 37
Morte: Roma 9 giugno 68
Sepoltura: colle Pincio presso la tomba di famiglia dei Domizii Ahenobarbi
Predecessore: Claudio
Successore: Galba
Coniuge: Claudia Ottavia, Poppea, Statilia Messalina
Figli: Claudia Augusta morta a 4 mesi
Dinastia: giulio-claudia
Padre: Gneo Domizio Enobarbo
Madre: Giulia Agrippina Augusta
Regno: 54-68 d.c.
DOMANDE
- Come si chiamava Nerone?
Nerone si chiamava Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus.
- Quando è nato Nerone?
Nerone è nato ad Anzio il 15 dicembre 37.
- Quando è morto Nerone?
Nerone è morto a Roma il 9 giugno 68.
- Quando avvenne l'incendio di Roma sotto Nerone?
L'incendio di Roma sotto Nerone avvenne il 64 d.c.
- Come governò Nerone?
Nerone governò male, spendendo molto per gli spettacoli, per i suoi lussi e per la sua reggia: la Domus Aurea. Affidò le guerre ai suoi generali e commise violenze e crudeltà.
- Nerone ebbe la damnatio memoriae?
Si, nel 68 d.c., con la morte dell'imperatore Nerone, il Senato sancì, per la prima volta ufficialmente, la damnatio memoriae (la morte del ricordo) per l'imperatore defunto per cui vennero cancellati il suo nome e la sua immagine esposti al pubblico.
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Snippet in primo piano dal WNel 68 d.c., con la morte dell'imperatore Nerone, il Senato sancì, per la prima volta ufficialmente, la damnatio memoriae.
Il nome Nero, che nell'antica lingua sabina stava per ardito, coraggioso, divenne nome personale nella famiglia Claudia che era, appunto, di origine sabina. Da non confondere col termine Niger = nero in lingua latina.
Nel 39 Giulia Agrippina Minore, madre di Lucio Nerone, scoperta per una congiura contro il fratello Caligola, venne cacciata in esilio da Roma. L'anno seguente morì suo marito e il suo patrimonio venne confiscato da Caligola, ragion per cui cadde in ristrettezze e Lucio fu affidato alla zia Domizia, non ricca, che gli dette come precettori un barbiere ed un ballerino, da cui avrebbe forse preso l'inclinazione per lo spettacolo.
Alla morte di Caligola Agrippina tornò a Roma per occuparsi del figlio quattrenne, cui dette nuovi precettori greci. Nel 49 sposò l'imperatore Claudio suo zio, ed ottenne la revoca dell'esilio di Seneca, facendone un precettore del figlio.
Però Agrippina non fece tutto questo per amore del figlio ma per le ambizioni su di lui. Tanto è vero che poichè Nerone dimostrava maggior affetto verso la zia Domizia, com'era naturale che fosse, visto che l'aveva allevato, Agrippina la accusò di complotto contro l'imperatore, facendola condannare a morte. Costrinse inoltre il figlio undicenne a testimoniare contro la zia, unica figura materna della sua vita. Inoltre lo fece fidanzare con Ottavia figlia di Claudio, di otto anni. Insomma lo usò come uno strumento.
Nerone salì al trono nel 55 a soli diciassette anni, al posto del legittimo figlio di Claudio, Britannico, ucciso per volontà di Sesto Burro, e forse anche di Seneca, due figure molto influenti per il nuovo imperatore.
« A diciassette anni, quando fu divulgata la morte di Claudio, avanzò verso le sentinelle di guardia tra l'ora sesta e l'ora settima [...]. Salutato imperatore sulla gradinata del palazzo, venne portato al Castro in lettiga e, rivolta una rapida allocuzione ai soldati, andò in Curia, uscendone che già era il vespero, dopo aver rifiutato, a causa dell'età, soltanto il titolo di Padre della Patria fra tutti gli immensi onori che gli venivano attribuiti. »
(Svetonio, Vite dei Cesari, Nerone, 8)
Il matrimonio incestuoso, voluto da Agrippina, tra Nerone e la sorellastra Claudia Ottavia, si attuò con grande scandalo dei romani, ma Nerone in seguito divorziò preferendole la bella Poppea, già amante di Marco Salvio Ottone, un amico di Nerone. Poppea fu sospettata d'aver organizzato l'omicidio di Agrippina che morì probabilmente avvelenata, mentre Ottone venne inviato come governatore in Lusitania. Ciononostante Nerone sposò Poppea.
"Nerone rompea le botteghe, spogliò una matrona, ornata di porpora, della vesta e degli altri suoi beni, rubò gli ornamenti de i sacri templi e fece disfare le statue d’oro e d’argento fatte".
(Svetonio)
Lo stesso anno Burro venne ucciso per ordine di Nerone e Seneca invitato a suicidarsi; la carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino, già esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina. Contemporaneamente vennero introdotte leggi sul tradimento che mandarono a morte parecchie persone. Nerone ebbe da Poppea una sola figlia, che morì subito dopo.
L'INCENDIO DI ROMA
Nel 64 Roma fu colpita da un violento incendio che iniziò al Circo Massimo, estendendosi al Celio, al Palatino e a quasi tutta la città. I rioni tra il Circo e l' Esquilino furono totalmente distrutti, tutti gli altri gravemente danneggiati. Nerone fu avvertito mentre era ad Anzio e accorse a Roma, ma non poté salvare neppure la sua reggia.
Tacito: "Sembrava che Nerone ambisse la gloria di fondare una nuova città e di darle il proprio nome, perché delle 14 regioni in cui Roma era divisa, quattro soltanto restavano integre, 4 erano abbattute al suolo e delle altre 7 restavano pochi avanzi di tetti laceri e semi consunti dal fuoco".
Tuttavia Tacito scrisse che l'imperatore si dette molto da fare per i soccorsi, ricoverando i senza tetto nel mausoleo di Agrippa e nei giardini imperiali, con capanne e baracche costruite per l'occasione, e istituendo un calmiere per il prezzo del frumento.
Svetonio (Nero, 38). « mirifica…ad lavandum institutum, opus ceteres haud multo dispar”. (Sesto Aurelio Vittore, "de Caesaribus).
"Con essa vennero distrutte le case degli antichi generali, ornate delle spoglie dei nemici vinti, i templi costruiti dai re di Roma o al tempo delle guerre di Gallia e di Cartagine, e tutti i più importanti monumenti dell'antica repubblica".
Molti pensarono fosse stato l'imperatore a ordinare l'incendio, ma non ci sono prove a riguardo. Gli imperatori romani davano molta libertà alla nuova religione di volta in volta; e alcuni di loro, mossi da una sorta di sincretismo religioso, cercarono perfino di alleare il culto del Cristo con il culto ufficiale dell'impero.
Lo storico Giovanni Malala, (Siria 491 – 578) dice che Nerone fece indagini oneste sulla nuova religione e che, all'inizio, si mostrò piuttosto favorevole nei suoi confronti; un fatto non del tutto improbabile, se prendiamo in considerazione le circostanze dell'appello di Paolo, la sua assoluzione e le sue relazioni con Seneca e con i convertiti de domo Cæsaris "della casa di Cesare".
Fatto sta che per stornare i sospetti la colpa infine venne data ai cristiani. Pur essendo stati espulsi da Claudio, molti cristiani erano rimasti a Roma fondando una importante comunità, aderita soprattutto da schiavi e liberti. La persecuzione fu feroce e sanguinosa. Secondo la tradizione fu allora che San Paolo venne decapitato e San Pietro fu crocefisso a testa in giù.
Placati gli animi Nerone chiamò gli architetti Severo e Celero per il nuovo piano regolatore, così Roma fu riedificata con strade ampie e dritte, case più basse e soprattutto di pietra perchè meno incendiabili. Con le macerie vennero in parte colmate le paludi di Ostia.
Anche la reggia dell'imperatore fu ricostruita e sorse così la splendida Domus Aurea che andava dal Palatino al Celio e all'Esquilino.
Svetonio racconta:
Nel vestibolo sorgeva una immensa statua di Nerone alta centoventi piedi, che i portici, a tre Ordini di colonne, avevano una lunghezza di mille passi; e il palazzo racchiudeva uno stagno vasto come un lago, edifici che pareva formassero una grande città, con prati, campi, vigne, pascoli, boschetti popolati di armenti e di fiere. L'interno era tutto dorato, con lavori in gemme e madreperla. Il soffitto della sale da pranzo era circolare ed aveva una cupola girevole che come in cielo avvicendava il giorno e la notte. C'erano anche serbatoi di acqua albana e di acqua marina.
LA CONGIURA DI PISONE
Nerone aveva molti nemici, alcuni perchè danneggiati da lui e altri perchè rimpiangevano la Repubblica. Nel 65 si ordì una congiura colossale da parte di senatori, militi e prefetti.
Il capo era Calpumio Pisone, ricco e di nobile famiglia, poi il senatore Plauzio Laterano, molti altri e pure il poeta Lucano, nominato da Nerone augure e questore, dandogli la sua amicizia e incoronandolo nel teatro di Pompeo. In seguito però Lucano cadde in disgrazia, la sua carriera stroncata e la sua congiura scoperta.
Durante gli interrogatori uscirono fuori i nomi di Pisone, Seneca e Lucano. Sembra che per evitare la morte o la tortura molti facessero nomi di innocenti, e tra questi Lucano che accusò sua madre che nulla aveva a che fare. Le dimensioni della congiura spaventarono Nerone che raddoppiò le guardie, gli arresti e le torture.
Il tribuno Subio Flavo seppe morire con coraggio:
"Io ti odio: nessun soldato mi superò in fedeltà fino a che tu la meritavi; ma cominciai ad odiarti quando diventasti matricida, auriga, commediante e incendiario".
Pisone, sapendo di essere scoperto si tagliò le vene e così Lucano, cui fu dato da Nerone l'ordine di morire. Anche Seneca, ex maestro di Nerone, dovette tagliarsi le vene, ma poichè la morte tardava bevve la cicuta e si fece portare nel bagno caldo. Sua moglie per seguirlo si fece anch'essa tagliare le vene, ma Nerone, venutolo a sapere la fece curare e le fece dare in eredità una parte dei beni del morto.
Ma le persecuzioni per la congiura non finirono, tra cui quella di Caio Petronio, l'arbiter elegantiarum, di cui Tacito scriverà negli Annali:
"Un voluttuoso raffinato, e i suoi atti e le sue parole tanto più avevano piacevole sembianza di semplicità quanto più mostravano di trascuratezza e di abbandono... fu nella corte dell'imperatore l'arbitro del buon gusto, il regolatore di tutto ciò che nello sfarzo fosse leggiadria e finezza.
Si tagliò le vene, poi le legò, indi di nuovo le riaprì: e si intrattenne con gli amici a parlare giovialmente di cose né gravi ne grandi che restassero ad esempio della sua fermezza; né rimase ad ascoltare sentenze di filosofi o precetti sull' immortalità dell'anima, ma canzonette e facili poesie.
Premiò alcuni schiavi, altri ne punì. Volle pranzare e dormire affinché la morte, sebbene imposta, sembrasse naturale.
La vendetta romana non tardò, ventimila ebrei furono uccisi nella sola Cesarea e settantamila ad Alessandria. Poi i romani inviarono Erode Agrippa con un forte esercito che mise a ferro e a fuoco parecchie città, ma la guerra non cessava.
L'imperatore dette allora il comando della guerra a Tito Flavio Vespasiano, che entrò in Palestina alla testa di sessantamila soldati. I ribelli, con a capo lo storico Giuseppe, di fronte alla superiorità dei nemici fuggirono e Giuseppe, fatto prigioniero, passò dalla parte dei Romani. I Farisei, moderati, volevano trattare coi Romani, ma furono trucidati dagli Zeloti che si opponevano assolutamente ai romani. Vespasiano profittò di questa guerra civile per riprendere i combattimenti riconquistando la Palestina.
LE GUERRE
Nerone regnò per 14 anni e dovette sostenere varie guerre, ma l'esercito romano era forte e dotato di ottimi generali.
Guerra d'Armenia
Il re dell'Armenia Mitridate era stato ucciso dal fratello che aveva incoronato suo figlio Radamisto. Vologeso re dei Parti mandò allora in Armenia suo fratello Tiridate con un esercito che si dovette ritirare a causa della peste. Il trono fu dunque ripreso da Radamisto, ma il popolo favorevole a Vologeso si ribellò restituendo il trono a Tiridate.
Roma però non voleva perdere l'influenza sull'Armenia per cui inviò Numidio Quadrato con sei legioni. Vologeso spaventato chiese la pace ai Romani che la concessero per rafforzarsi, ma poi ripresero la guerra uccidendo gli uomini, facendo schiavi donne e bambini e radendo al suolo òa capitale.
Vologeso però aveva formato un nuovo esercito, che non resse la potenza dell'esercito romano, per cui chiese a Roma la pace. Alla fine si giunse a un accordo: Tiridate avrebbe regnato come vassallo dell'imperatore e si sarebbe recato a Roma per ricevere da Nerone le insegne regali.
Così fu e la cerimonia avvenne nel foro romano, con Nerone su uno scanno d'avorio tra aquile imperiali e insegne romane. Tiridate si gettò ai suoi piedi, Nerone lo fece alzare, l'abbracciò e gli pose la corona da re. Dal canto suo Vologeso giurò obbedienza e fedeltà a Roma. Quello stesso giorno Nerone fece chiudere il tempio di Giano, la guerra era finita.
Guerra di Britannia
Iniziò nel 59 con Svetonio Paulino al comando delle legioni, che invase il Galles, e fortificò i castra. Era morto il re degli Iceni, fedele a Roma, con eredi le sue due figlie e l'imperatore; ma i Romani ne avevano invaso e saccheggiato il territorio, oltraggiando vedova e figlie.
La vedova mise su un esercito e marciò su Camulodunum. Il presidio dei veterani romani fu espugnato, i difensori massacrati, la città arsa e saccheggiata. I Romani però riconquistarono la città e la vedova si uccise col veleno. Svetonio Paulino fu rimandato in Britannia per rinforzare i presidi e stabilire rapporti buoni con i vinti.
Fu ricacciata anche un'invasione di Frisi che avevano occupato terre destinate ai veterani.
Poi ci fu l'invasione germanica degli Ampsivari, guidata da Boiocalo, cacciati dalle loro terre dal popolo dei Chauci. I Romani tentarono di trattare la pace, ma Boiocalo rispose:
"Potrà mancarci una terra in cui vivere, ma non una terra in cui morire." Ma la guerra finì con la vittoria dei Romani.
OPERE PUBBLICHE
Nerone, oltre alla famosa ricostruzione di Roma a seguito dell'incendio, e alla splendida Domus Aurea, costruì l'acquedotto neroniano. Intraprese due imprese ciclopiche mai completate: il taglio dell'istmo di Corinto e un canale lungo 250.000 km, dalla costa dall'Averno a Roma.
Vedi la sezione: DOMUS AUREA
MORTE DI NERONE
Ne 67 Nerone fece ritorno in Italia. In Gallia però era scoppiata la rivoluzione. Nerone ordinò di punire i ribelli, ma se la prese comoda ed entrò a Roma sul carro di Augusto.
Svetonio:
"Nerone era vestito di porpora, indossava un manto tempestato di stelle d'oro e portava sul capo la corona vinta nei giuochi olimpici; nella mano destra teneva quella guadagnata nei giuochi pitici; le altre corone erano portate davanti a lui con iscrizioni che dicevano dove, da chi, con quali canti e con quali argomenti egli le avesse meritate.
Una folla plaudente seguiva il carro gridando il trionfo di Cesare. Fatta abbattere la porta del Circo Massimo, attraversò il Foro per recarsi al tempio di Apollo Palatino.
Lungo il percorso venivano immolate vittime e gettati profumi, uccelli, ornamenti e confetti. Giunto a casa collocò le sue corone nella sua camera, attorno al letto e vi fece porre la sua statua in abito di musico."
ROBERTO LANCIANI
Venne sepolto in un'urna di porfido, sormontata da un altare di marmo, nel sepolcro di famiglia dei Domizi, sopra cui fu edificata la chiesa di Santa Maria del Popolo. Con la sua morte terminò la dinastia giulio-claudia. "
(Roberto Lanciani)
LA LEGGENDA
Che venisse sepolto lì lo racconta una leggenda posteriore e alquanto cattolica. Secondo la leggenda medievale, l’imperatore fu sepolto al centro dell'attuale piazza del Popolo, ed in suo ricordo era stato piantato un albero di noce. Le ossa di Nerone però attiravano spiriti e demoni che, nel corso della notte, spaventavano i romani.
La zona era considerata dannata e il popolo chiese aiuto al Papa. Nel 1099, il Pontefice Pasquale II prescrisse a tutti come misura curativa tre giorni di digiuno, poi si ritirò a pregare in clausura e durante una veglia gli apparve la Madonna che gli suggerì, per liberare la zona dai demoni, di abbattere il noce, disseppellire Nerone, bruciare le ossa e disperderle nel Tevere.
La terza domenica dopo i tre giorni di digiuno Pasquale II fece quanto suggerito dalla Vergine, liberando per sempre la piazza dagli spiriti demoniaci. Su richiesta del popolo, dove prima sorgeva l’albero di noce, sorse una cappella commemorativa dedicata a Maria.
Nel 1472 Papa Sisto V la sostituì poi con l’attuale chiesa, che prese il nome di Santa Maria del Popolo in ricordo della volontà del popolo che si era prodigato per avere un santuario che ricordasse l’allontanamento dei demoni.
BIBLIO
Nel 39 Giulia Agrippina Minore, madre di Lucio Nerone, scoperta per una congiura contro il fratello Caligola, venne cacciata in esilio da Roma. L'anno seguente morì suo marito e il suo patrimonio venne confiscato da Caligola, ragion per cui cadde in ristrettezze e Lucio fu affidato alla zia Domizia, non ricca, che gli dette come precettori un barbiere ed un ballerino, da cui avrebbe forse preso l'inclinazione per lo spettacolo.
Alla morte di Caligola Agrippina tornò a Roma per occuparsi del figlio quattrenne, cui dette nuovi precettori greci. Nel 49 sposò l'imperatore Claudio suo zio, ed ottenne la revoca dell'esilio di Seneca, facendone un precettore del figlio.
Però Agrippina non fece tutto questo per amore del figlio ma per le ambizioni su di lui. Tanto è vero che poichè Nerone dimostrava maggior affetto verso la zia Domizia, com'era naturale che fosse, visto che l'aveva allevato, Agrippina la accusò di complotto contro l'imperatore, facendola condannare a morte. Costrinse inoltre il figlio undicenne a testimoniare contro la zia, unica figura materna della sua vita. Inoltre lo fece fidanzare con Ottavia figlia di Claudio, di otto anni. Insomma lo usò come uno strumento.
RICOSTRUZIONE GRAFICA DEL VOLTO (By Haroun Binous) |
« A diciassette anni, quando fu divulgata la morte di Claudio, avanzò verso le sentinelle di guardia tra l'ora sesta e l'ora settima [...]. Salutato imperatore sulla gradinata del palazzo, venne portato al Castro in lettiga e, rivolta una rapida allocuzione ai soldati, andò in Curia, uscendone che già era il vespero, dopo aver rifiutato, a causa dell'età, soltanto il titolo di Padre della Patria fra tutti gli immensi onori che gli venivano attribuiti. »
(Svetonio, Vite dei Cesari, Nerone, 8)
Il matrimonio incestuoso, voluto da Agrippina, tra Nerone e la sorellastra Claudia Ottavia, si attuò con grande scandalo dei romani, ma Nerone in seguito divorziò preferendole la bella Poppea, già amante di Marco Salvio Ottone, un amico di Nerone. Poppea fu sospettata d'aver organizzato l'omicidio di Agrippina che morì probabilmente avvelenata, mentre Ottone venne inviato come governatore in Lusitania. Ciononostante Nerone sposò Poppea.
"Nerone rompea le botteghe, spogliò una matrona, ornata di porpora, della vesta e degli altri suoi beni, rubò gli ornamenti de i sacri templi e fece disfare le statue d’oro e d’argento fatte".
(Svetonio)
Lo stesso anno Burro venne ucciso per ordine di Nerone e Seneca invitato a suicidarsi; la carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino, già esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina. Contemporaneamente vennero introdotte leggi sul tradimento che mandarono a morte parecchie persone. Nerone ebbe da Poppea una sola figlia, che morì subito dopo.
NERONE GIOVANE |
L'INCENDIO DI ROMA
Nel 64 Roma fu colpita da un violento incendio che iniziò al Circo Massimo, estendendosi al Celio, al Palatino e a quasi tutta la città. I rioni tra il Circo e l' Esquilino furono totalmente distrutti, tutti gli altri gravemente danneggiati. Nerone fu avvertito mentre era ad Anzio e accorse a Roma, ma non poté salvare neppure la sua reggia.
Tacito: "Sembrava che Nerone ambisse la gloria di fondare una nuova città e di darle il proprio nome, perché delle 14 regioni in cui Roma era divisa, quattro soltanto restavano integre, 4 erano abbattute al suolo e delle altre 7 restavano pochi avanzi di tetti laceri e semi consunti dal fuoco".
Tuttavia Tacito scrisse che l'imperatore si dette molto da fare per i soccorsi, ricoverando i senza tetto nel mausoleo di Agrippa e nei giardini imperiali, con capanne e baracche costruite per l'occasione, e istituendo un calmiere per il prezzo del frumento.
Svetonio (Nero, 38). « mirifica…ad lavandum institutum, opus ceteres haud multo dispar”. (Sesto Aurelio Vittore, "de Caesaribus).
NERONE BAMBINO |
Molti pensarono fosse stato l'imperatore a ordinare l'incendio, ma non ci sono prove a riguardo. Gli imperatori romani davano molta libertà alla nuova religione di volta in volta; e alcuni di loro, mossi da una sorta di sincretismo religioso, cercarono perfino di alleare il culto del Cristo con il culto ufficiale dell'impero.
Lo storico Giovanni Malala, (Siria 491 – 578) dice che Nerone fece indagini oneste sulla nuova religione e che, all'inizio, si mostrò piuttosto favorevole nei suoi confronti; un fatto non del tutto improbabile, se prendiamo in considerazione le circostanze dell'appello di Paolo, la sua assoluzione e le sue relazioni con Seneca e con i convertiti de domo Cæsaris "della casa di Cesare".
Fatto sta che per stornare i sospetti la colpa infine venne data ai cristiani. Pur essendo stati espulsi da Claudio, molti cristiani erano rimasti a Roma fondando una importante comunità, aderita soprattutto da schiavi e liberti. La persecuzione fu feroce e sanguinosa. Secondo la tradizione fu allora che San Paolo venne decapitato e San Pietro fu crocefisso a testa in giù.
Placati gli animi Nerone chiamò gli architetti Severo e Celero per il nuovo piano regolatore, così Roma fu riedificata con strade ampie e dritte, case più basse e soprattutto di pietra perchè meno incendiabili. Con le macerie vennero in parte colmate le paludi di Ostia.
Anche la reggia dell'imperatore fu ricostruita e sorse così la splendida Domus Aurea che andava dal Palatino al Celio e all'Esquilino.
Svetonio racconta:
Nel vestibolo sorgeva una immensa statua di Nerone alta centoventi piedi, che i portici, a tre Ordini di colonne, avevano una lunghezza di mille passi; e il palazzo racchiudeva uno stagno vasto come un lago, edifici che pareva formassero una grande città, con prati, campi, vigne, pascoli, boschetti popolati di armenti e di fiere. L'interno era tutto dorato, con lavori in gemme e madreperla. Il soffitto della sale da pranzo era circolare ed aveva una cupola girevole che come in cielo avvicendava il giorno e la notte. C'erano anche serbatoi di acqua albana e di acqua marina.
RICOSTRUZIONE DEL VOLTO |
LA CONGIURA DI PISONE
Nerone aveva molti nemici, alcuni perchè danneggiati da lui e altri perchè rimpiangevano la Repubblica. Nel 65 si ordì una congiura colossale da parte di senatori, militi e prefetti.
Il capo era Calpumio Pisone, ricco e di nobile famiglia, poi il senatore Plauzio Laterano, molti altri e pure il poeta Lucano, nominato da Nerone augure e questore, dandogli la sua amicizia e incoronandolo nel teatro di Pompeo. In seguito però Lucano cadde in disgrazia, la sua carriera stroncata e la sua congiura scoperta.
Durante gli interrogatori uscirono fuori i nomi di Pisone, Seneca e Lucano. Sembra che per evitare la morte o la tortura molti facessero nomi di innocenti, e tra questi Lucano che accusò sua madre che nulla aveva a che fare. Le dimensioni della congiura spaventarono Nerone che raddoppiò le guardie, gli arresti e le torture.
Il tribuno Subio Flavo seppe morire con coraggio:
"Io ti odio: nessun soldato mi superò in fedeltà fino a che tu la meritavi; ma cominciai ad odiarti quando diventasti matricida, auriga, commediante e incendiario".
Pisone, sapendo di essere scoperto si tagliò le vene e così Lucano, cui fu dato da Nerone l'ordine di morire. Anche Seneca, ex maestro di Nerone, dovette tagliarsi le vene, ma poichè la morte tardava bevve la cicuta e si fece portare nel bagno caldo. Sua moglie per seguirlo si fece anch'essa tagliare le vene, ma Nerone, venutolo a sapere la fece curare e le fece dare in eredità una parte dei beni del morto.
Ma le persecuzioni per la congiura non finirono, tra cui quella di Caio Petronio, l'arbiter elegantiarum, di cui Tacito scriverà negli Annali:
"Un voluttuoso raffinato, e i suoi atti e le sue parole tanto più avevano piacevole sembianza di semplicità quanto più mostravano di trascuratezza e di abbandono... fu nella corte dell'imperatore l'arbitro del buon gusto, il regolatore di tutto ciò che nello sfarzo fosse leggiadria e finezza.
Tigellino lo odiò avendo in lui visto il rivale, un rivale più esperto nell'arte della voluttà. Egli pertanto eccitò la crudeltà, quel sentimento cioè che era più forte nell'animo del principe, e accusò Petronio di amicizia con Scevino. Fu corrotto uno schiavo perché facesse da delatore, fu proibita la difesa; la maggior parte dei servi venne arrestata.
Era l'imperatore in quei giorni partito per la Campania; Petronio, che lo seguiva ebbe a Cuma l'ordine di fermarsi. Ma egli non fu trattenuto dal timore o dalla speranza né, d'altro canto, volle morire precipitosamente.
Era l'imperatore in quei giorni partito per la Campania; Petronio, che lo seguiva ebbe a Cuma l'ordine di fermarsi. Ma egli non fu trattenuto dal timore o dalla speranza né, d'altro canto, volle morire precipitosamente.
Si tagliò le vene, poi le legò, indi di nuovo le riaprì: e si intrattenne con gli amici a parlare giovialmente di cose né gravi ne grandi che restassero ad esempio della sua fermezza; né rimase ad ascoltare sentenze di filosofi o precetti sull' immortalità dell'anima, ma canzonette e facili poesie.
Premiò alcuni schiavi, altri ne punì. Volle pranzare e dormire affinché la morte, sebbene imposta, sembrasse naturale.
Nei suoi codicilli non adulò Nerone o Tigellino come soleva fare la maggior parte dei condannati alla pena capitale, ma sotto i nomi di giovinastri e di cortigiane egli scrisse il racconto delle turpitudini imperiali fino alle ultime vergogne. Poi sigillò e mandò lo scritto a Nerone e ruppe l'anello perché non servisse in seguito a far delle vittime."
LA RIVOLTA IN PALESTINA
Nerone partì per la Grecia per partecipare ai giochi istmici, nemei, olimpici, pitici, e argolici, insomma se li fece tutti.
Poi fece l'auriga e l'attore, cantò e suonò sulle scene, applaudito e dichiarato vincitore in ogni gara dai compiacenti nipoti di Temistocle. Nerone appagato proclamò libera l'Acaja e si fece adorare come Giove Liberatore.
Intanto era scoppiata la rivolta in Palestina, popolo martoriato dalla fame tra l'indifferenza di chi li governava. Si ribellarono i Sadducei, seguiti dai Farisei, favoriti dai più poveri e dagli Zeloti, in attesa del Messia che doveva salvare il popolo eletto e liberarlo dalla dominazione romana.
Nel 66 scoppiarono delle sommosse a Cesarea, tra Greci ed Ebrei. I Romani sostennero i Greci, gli Zeloti occuparono il tempio di Gerusalemme e costrinsero alla resa il castello di Masada massacrandone tutto il presidio.
LA RIVOLTA IN PALESTINA
Nerone partì per la Grecia per partecipare ai giochi istmici, nemei, olimpici, pitici, e argolici, insomma se li fece tutti.
Poi fece l'auriga e l'attore, cantò e suonò sulle scene, applaudito e dichiarato vincitore in ogni gara dai compiacenti nipoti di Temistocle. Nerone appagato proclamò libera l'Acaja e si fece adorare come Giove Liberatore.
Intanto era scoppiata la rivolta in Palestina, popolo martoriato dalla fame tra l'indifferenza di chi li governava. Si ribellarono i Sadducei, seguiti dai Farisei, favoriti dai più poveri e dagli Zeloti, in attesa del Messia che doveva salvare il popolo eletto e liberarlo dalla dominazione romana.
Nel 66 scoppiarono delle sommosse a Cesarea, tra Greci ed Ebrei. I Romani sostennero i Greci, gli Zeloti occuparono il tempio di Gerusalemme e costrinsero alla resa il castello di Masada massacrandone tutto il presidio.
La vendetta romana non tardò, ventimila ebrei furono uccisi nella sola Cesarea e settantamila ad Alessandria. Poi i romani inviarono Erode Agrippa con un forte esercito che mise a ferro e a fuoco parecchie città, ma la guerra non cessava.
L'imperatore dette allora il comando della guerra a Tito Flavio Vespasiano, che entrò in Palestina alla testa di sessantamila soldati. I ribelli, con a capo lo storico Giuseppe, di fronte alla superiorità dei nemici fuggirono e Giuseppe, fatto prigioniero, passò dalla parte dei Romani. I Farisei, moderati, volevano trattare coi Romani, ma furono trucidati dagli Zeloti che si opponevano assolutamente ai romani. Vespasiano profittò di questa guerra civile per riprendere i combattimenti riconquistando la Palestina.
LE GUERRE
Nerone regnò per 14 anni e dovette sostenere varie guerre, ma l'esercito romano era forte e dotato di ottimi generali.
Guerra d'Armenia
Il re dell'Armenia Mitridate era stato ucciso dal fratello che aveva incoronato suo figlio Radamisto. Vologeso re dei Parti mandò allora in Armenia suo fratello Tiridate con un esercito che si dovette ritirare a causa della peste. Il trono fu dunque ripreso da Radamisto, ma il popolo favorevole a Vologeso si ribellò restituendo il trono a Tiridate.
Roma però non voleva perdere l'influenza sull'Armenia per cui inviò Numidio Quadrato con sei legioni. Vologeso spaventato chiese la pace ai Romani che la concessero per rafforzarsi, ma poi ripresero la guerra uccidendo gli uomini, facendo schiavi donne e bambini e radendo al suolo òa capitale.
Vologeso però aveva formato un nuovo esercito, che non resse la potenza dell'esercito romano, per cui chiese a Roma la pace. Alla fine si giunse a un accordo: Tiridate avrebbe regnato come vassallo dell'imperatore e si sarebbe recato a Roma per ricevere da Nerone le insegne regali.
Così fu e la cerimonia avvenne nel foro romano, con Nerone su uno scanno d'avorio tra aquile imperiali e insegne romane. Tiridate si gettò ai suoi piedi, Nerone lo fece alzare, l'abbracciò e gli pose la corona da re. Dal canto suo Vologeso giurò obbedienza e fedeltà a Roma. Quello stesso giorno Nerone fece chiudere il tempio di Giano, la guerra era finita.
Guerra di Britannia
Iniziò nel 59 con Svetonio Paulino al comando delle legioni, che invase il Galles, e fortificò i castra. Era morto il re degli Iceni, fedele a Roma, con eredi le sue due figlie e l'imperatore; ma i Romani ne avevano invaso e saccheggiato il territorio, oltraggiando vedova e figlie.
La vedova mise su un esercito e marciò su Camulodunum. Il presidio dei veterani romani fu espugnato, i difensori massacrati, la città arsa e saccheggiata. I Romani però riconquistarono la città e la vedova si uccise col veleno. Svetonio Paulino fu rimandato in Britannia per rinforzare i presidi e stabilire rapporti buoni con i vinti.
Fu ricacciata anche un'invasione di Frisi che avevano occupato terre destinate ai veterani.
Poi ci fu l'invasione germanica degli Ampsivari, guidata da Boiocalo, cacciati dalle loro terre dal popolo dei Chauci. I Romani tentarono di trattare la pace, ma Boiocalo rispose:
"Potrà mancarci una terra in cui vivere, ma non una terra in cui morire." Ma la guerra finì con la vittoria dei Romani.
OPERE PUBBLICHE
Nerone, oltre alla famosa ricostruzione di Roma a seguito dell'incendio, e alla splendida Domus Aurea, costruì l'acquedotto neroniano. Intraprese due imprese ciclopiche mai completate: il taglio dell'istmo di Corinto e un canale lungo 250.000 km, dalla costa dall'Averno a Roma.
Vedi la sezione: DOMUS AUREA
LA MORTE DI NERONE |
MORTE DI NERONE
Ne 67 Nerone fece ritorno in Italia. In Gallia però era scoppiata la rivoluzione. Nerone ordinò di punire i ribelli, ma se la prese comoda ed entrò a Roma sul carro di Augusto.
Svetonio:
"Nerone era vestito di porpora, indossava un manto tempestato di stelle d'oro e portava sul capo la corona vinta nei giuochi olimpici; nella mano destra teneva quella guadagnata nei giuochi pitici; le altre corone erano portate davanti a lui con iscrizioni che dicevano dove, da chi, con quali canti e con quali argomenti egli le avesse meritate.
Una folla plaudente seguiva il carro gridando il trionfo di Cesare. Fatta abbattere la porta del Circo Massimo, attraversò il Foro per recarsi al tempio di Apollo Palatino.
Lungo il percorso venivano immolate vittime e gettati profumi, uccelli, ornamenti e confetti. Giunto a casa collocò le sue corone nella sua camera, attorno al letto e vi fece porre la sua statua in abito di musico."
GALBA
Nerone destituì i consoli, e si preparò a domare la rivolta illudendosi che sarebbe bastata la sua presenza. La rivolta gallica era capeggiata da Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense.
In Spagna scoppiò un'altra rivolta capitanata da Galba, governatore della Provincia Tarraconese, che fu proclamato imperatore dalle sue truppe e, poiché non aveva con sé che una legione, tre coorti e due squadroni di cavalleria, radunò le truppe ausiliarie e formò una guardia del corpo di cavalieri chiamati Evocati.
Le legioni imperiali del Reno, comandate da Virginio Rufo, sconfissero l'esercito di Giulio Vindice che si uccise, poi proclamarono imperatore il comandante Rufo, che però rifiutò.
Nerone perse la testa, tentò di fuggire per nave ma nessuno lo seguì. Ancora nella reggia si accorse che anche la sua guardia personale l'aveva abbandonato, allora cercò rifugio inutilmente presso gli amici, solo il liberto Faonte gli offrì asilo in una villa a quattro miglia da Roma. Durante il viaggio venne però riconosciuto, si nascose nella villa ma il Senato lo aveva dichiarato Nemico della patria, e la pena era la fustigazione appeso a una forca. Si pugnalò alla gola con l'aiuto di un servo.
Svetonio, nella Vita dei Cesari scrisse:
"Morì nel suo trentaduesimo anno d'età, nel giorno anniversario dell'uccisione di Ottavia e fu tale la gioia di tutti che il popolo corse per le strade col pileo.
Tuttavia non mancarono quelli che, per lungo tempo, ornarono di fiori la sua tomba, in primavera e in estate, e che esposero sui rostri ora le immagini di lui vestito di pretesta, ora gli editti con i quali annunciava, come se fosse ancora vivo, il suo prossimo ritorno per la rovina dei suoi nemici."
Nel 68 d.c., con la morte dell'imperatore Nerone, il Senato sancì, per la prima volta ufficialmente, la "damnatio memoriae", la condanna alla cancellazione del ricordo, per cui il nome di Nerone e la sua immagine vennero cancellati in qualsiasi epigrafe ed immagine.
Nerone destituì i consoli, e si preparò a domare la rivolta illudendosi che sarebbe bastata la sua presenza. La rivolta gallica era capeggiata da Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense.
In Spagna scoppiò un'altra rivolta capitanata da Galba, governatore della Provincia Tarraconese, che fu proclamato imperatore dalle sue truppe e, poiché non aveva con sé che una legione, tre coorti e due squadroni di cavalleria, radunò le truppe ausiliarie e formò una guardia del corpo di cavalieri chiamati Evocati.
Le legioni imperiali del Reno, comandate da Virginio Rufo, sconfissero l'esercito di Giulio Vindice che si uccise, poi proclamarono imperatore il comandante Rufo, che però rifiutò.
Nerone perse la testa, tentò di fuggire per nave ma nessuno lo seguì. Ancora nella reggia si accorse che anche la sua guardia personale l'aveva abbandonato, allora cercò rifugio inutilmente presso gli amici, solo il liberto Faonte gli offrì asilo in una villa a quattro miglia da Roma. Durante il viaggio venne però riconosciuto, si nascose nella villa ma il Senato lo aveva dichiarato Nemico della patria, e la pena era la fustigazione appeso a una forca. Si pugnalò alla gola con l'aiuto di un servo.
Svetonio, nella Vita dei Cesari scrisse:
"Morì nel suo trentaduesimo anno d'età, nel giorno anniversario dell'uccisione di Ottavia e fu tale la gioia di tutti che il popolo corse per le strade col pileo.
Tuttavia non mancarono quelli che, per lungo tempo, ornarono di fiori la sua tomba, in primavera e in estate, e che esposero sui rostri ora le immagini di lui vestito di pretesta, ora gli editti con i quali annunciava, come se fosse ancora vivo, il suo prossimo ritorno per la rovina dei suoi nemici."
Nel 68 d.c., con la morte dell'imperatore Nerone, il Senato sancì, per la prima volta ufficialmente, la "damnatio memoriae", la condanna alla cancellazione del ricordo, per cui il nome di Nerone e la sua immagine vennero cancellati in qualsiasi epigrafe ed immagine.
ROBERTO LANCIANI
LA TOMBA DI NERONE
La defezione dell'ultima legione romana è stata annunciata a Nero mentre è a cena alla Domus Aurea. Appresa la notizia, ha strappato le lettere, sconvolto il tavolo, sbattute sul pavimento due splendide tazze, chiamati omerica, perché la loro cesellatura rappresentava scene dell'Iliade; e dopo aver preso in prestito da Locusta una fiala di veleno, è andato ai giardini Servilian. Ha poi spedito un paio di servi fedeli di Ostia con l'ordine di mantenere uno squadrone di imbarcazioni veloci in preparazione per la sua fuga. Dopo questo domandò degli ufficiali dei Pretoriani se fossero disposti ad accompagnarlo nella sua fuga; alcuni hanno trovato una scusa, altri si rifiutarono apertamente; uno aveva il coraggio di chiedergli: "La morte è così difficile?"
Poi vari progetti cominciato a fare pressione la sua mente; ora era pronto a chiedere pietà da Galba, il suo avversario di successo; ora a chiedere aiuto da parte dei rifugiati dei Parti, e di nuovo a vestirsi a lutto, e appaiono piedi nudi e con la barba lunga davanti al pubblico per i rostri, e implorare il perdono per i suoi crimini; nel caso che venisse rifiutato, a chiedere il permesso di scambiare il potere imperiale per il governatorato di Egitto.
Poi vari progetti cominciato a fare pressione la sua mente; ora era pronto a chiedere pietà da Galba, il suo avversario di successo; ora a chiedere aiuto da parte dei rifugiati dei Parti, e di nuovo a vestirsi a lutto, e appaiono piedi nudi e con la barba lunga davanti al pubblico per i rostri, e implorare il perdono per i suoi crimini; nel caso che venisse rifiutato, a chiedere il permesso di scambiare il potere imperiale per il governatorato di Egitto.
Era pronto a portare questo progetto in esecuzione, ma il suo coraggio fallì all'ultimo momento, perché sapeva che la gente esasperata lo avrebbero a pezzi prima che potesse raggiungere il Forum. Verso sera si calmò la sua mente, nella consapevolezza che non ci sarebbe abbastanza tempo per prendere una decisione se avesse aspettato fino al giorno successivo.
Mentre si avvicinava la mezzanotte si svegliò, per scoprire che i pretoriani addetti alle porte dei giardini Serviliani si erano ritirati nelle loro caserme. Dei servi vennero inviati a svegliare gli amici che dormivano nella villa, ma nessuno di loro tornò. Andò attorno agli appartamenti, trovandoli chiusi e deserti. Rientrando nella sua stanza vide che i suoi assistenti privati erano fuggiti, portando i copriletti, e la fiala di veleno.
Poi sembrava deciso a porre fine alla sua vita gettandosi da uno dei ponti; ma ancora una volta il suo coraggio non vi riuscì, e pregò di trovare un nascondiglio. Fu in quel momento supremo che Faone il liberto gli ha offerto la sua villa suburbana, situata tra la via Salaria e via Nomentana, a quattro miglia al di fuori della porta Collina. La proposta è stata accettata immediatamente; e a piedi nudi, e vestito con una tunica, con un manto di materiale più comune sulle spalle, saltò su un cavallo e si diresse verso la porta, accompagnato da solo quattro uomini: Phaon, Epafrodito, Sporo, e un altro il cui nome non è dato.
Poi sembrava deciso a porre fine alla sua vita gettandosi da uno dei ponti; ma ancora una volta il suo coraggio non vi riuscì, e pregò di trovare un nascondiglio. Fu in quel momento supremo che Faone il liberto gli ha offerto la sua villa suburbana, situata tra la via Salaria e via Nomentana, a quattro miglia al di fuori della porta Collina. La proposta è stata accettata immediatamente; e a piedi nudi, e vestito con una tunica, con un manto di materiale più comune sulle spalle, saltò su un cavallo e si diresse verso la porta, accompagnato da solo quattro uomini: Phaon, Epafrodito, Sporo, e un altro il cui nome non è dato.
Gli incidenti del viaggio erano abbastanza terribili per privare il fuggitivo imperiale della ultima scintilla di speranza. Il cielo era coperto, e pesanti nuvole nere appeso vicino alla terra, la quiete della natura di essere di tanto in tanto interrotto da tuoni. La terra tremò proprio mentre era in sella oltre il campo del Pretorio. Sentiva le grida dei soldati ammutinati maledicendo il suo nome, mentre Galba veniva proclamato il suo successore.
Più avanti, i fuggitivi incontrarono diversi uomini si affrettavano verso la città in cerca di notizie. Nero sentì alcuni di loro dire l'un l'altro di correre in cerca di lui. Un altro passante chiese notizie dal palazzo. Prima di raggiungere il Ponte Nomentano, il cavallo di Nerone, spaventato da un cadavere che giaceva sul ciglio della strada, ebbe un sussulto. Il cappello gualcito e il fazzoletto fazzoletto, con il quale l'imperatore stava cercando di nascondere il suo volto, scivolò in parte, e proprio in quel momento un messaggero dal campo del Pretorio lo riconobbe, e per forza di abitudine gli dette il saluto militare.
Più avanti, i fuggitivi incontrarono diversi uomini si affrettavano verso la città in cerca di notizie. Nero sentì alcuni di loro dire l'un l'altro di correre in cerca di lui. Un altro passante chiese notizie dal palazzo. Prima di raggiungere il Ponte Nomentano, il cavallo di Nerone, spaventato da un cadavere che giaceva sul ciglio della strada, ebbe un sussulto. Il cappello gualcito e il fazzoletto fazzoletto, con il quale l'imperatore stava cercando di nascondere il suo volto, scivolò in parte, e proprio in quel momento un messaggero dal campo del Pretorio lo riconobbe, e per forza di abitudine gli dette il saluto militare.
Al di là del ponte la via Nomentana si divide: la strada principale, a destra, porta a Nomentum (Mentana); a sinistra per il territorio di Ficulea (la Cesarina). Si è ora chiamata la Strada delle Vigne Nuove. Nero e i suoi seguaci hanno preso questa strada di campagna. Le indicazioni fornite da Svetonio soddisfano l'aspetto attuale e la natura del distretto in modo che possiamo seguire esattamente i quattro uomini passo dopo passo alle porte della villa di Faone.
Le pendici delle colline erano allora, come lo sono ora, incolti, e coperti di cespugli. C'è ancora un percorso sulle sponde del Fosso della Cecchina, che porta alla parete posteriore della villa, "aversum Villae parietem"; e le colline sono ancora a nido d'ape con cave di pozzolana, il "cavernarum angustiæ" di Svetonio.
La villa si estende su un altopiano, o cresta, tra le valli di La Cecchina e Melaina. Il suo ingresso principale corrisponde esattamente con la porta della Vigna Chiari, la prima delle "vigne nuove" a destra come si va da Roma, ad una distanza di sei km dalla soglia della porta Collina. Per un raggio di mille piedi intorno alla porta, ci incontriamo i resti tipici di una villa romana del I sec.: portici, serbatoi d'acqua, e sostruzioni, dalla piattaforma di cui c'è una bella vista sulla pianura boscosa, il Tevere e l'Aniene, la città, e le colline del Vaticano, e del Gianicolo, che incorniciano il panorama.
Il sito è piacevole, appartato, silenzioso e, in modo che bene era adempiuto il desiderio di un "secretior latetra" espresso da Nerone nella sua condizione senza speranza. I fuggitivi smontarono a cavallo della Strada delle Vigne Nuove, lasciando i cavalli sciolti tra i rovi. Non volendo essere visto nella strada aperta, seguirono il sentiero in basso sulle rive del Cecchina, che è stato nascosto da una folta vegetazione di canne.
Era necessario un foro nella parete posteriore della casa, e mentre questo veniva fatto, Nero si dissetò da uno stagno d'acqua, vicino all'apertura delle cave di pozzolana. Una volta all'interno della villa, gli è stato chiesto di sdraiarsi su un divano coperto con il mantello di un contadino, e gli è stato offerto un pezzo di pane raffermo, e un bicchiere di acqua tiepida. Il cibo lo ha rifiutato, ma ha toccato il bordo della tazza con le labbra riarse. E' curioso di leggere in Svetonio delle tante smorfie che il miserabile fece prima che potesse decidere di uccidersi; ha deciso di farlo solo quando ha sentito il calpestio dei cavalieri che il Senato aveva inviato per arrestarlo.
Le pendici delle colline erano allora, come lo sono ora, incolti, e coperti di cespugli. C'è ancora un percorso sulle sponde del Fosso della Cecchina, che porta alla parete posteriore della villa, "aversum Villae parietem"; e le colline sono ancora a nido d'ape con cave di pozzolana, il "cavernarum angustiæ" di Svetonio.
La villa si estende su un altopiano, o cresta, tra le valli di La Cecchina e Melaina. Il suo ingresso principale corrisponde esattamente con la porta della Vigna Chiari, la prima delle "vigne nuove" a destra come si va da Roma, ad una distanza di sei km dalla soglia della porta Collina. Per un raggio di mille piedi intorno alla porta, ci incontriamo i resti tipici di una villa romana del I sec.: portici, serbatoi d'acqua, e sostruzioni, dalla piattaforma di cui c'è una bella vista sulla pianura boscosa, il Tevere e l'Aniene, la città, e le colline del Vaticano, e del Gianicolo, che incorniciano il panorama.
Il sito è piacevole, appartato, silenzioso e, in modo che bene era adempiuto il desiderio di un "secretior latetra" espresso da Nerone nella sua condizione senza speranza. I fuggitivi smontarono a cavallo della Strada delle Vigne Nuove, lasciando i cavalli sciolti tra i rovi. Non volendo essere visto nella strada aperta, seguirono il sentiero in basso sulle rive del Cecchina, che è stato nascosto da una folta vegetazione di canne.
Era necessario un foro nella parete posteriore della casa, e mentre questo veniva fatto, Nero si dissetò da uno stagno d'acqua, vicino all'apertura delle cave di pozzolana. Una volta all'interno della villa, gli è stato chiesto di sdraiarsi su un divano coperto con il mantello di un contadino, e gli è stato offerto un pezzo di pane raffermo, e un bicchiere di acqua tiepida. Il cibo lo ha rifiutato, ma ha toccato il bordo della tazza con le labbra riarse. E' curioso di leggere in Svetonio delle tante smorfie che il miserabile fece prima che potesse decidere di uccidersi; ha deciso di farlo solo quando ha sentito il calpestio dei cavalieri che il Senato aveva inviato per arrestarlo.
Egli ha poi messo il pugnale nella gola, aiutato per l'ultima spinta dal suo liberto Epafrodito. Il centurione inviato a prenderlo vivo è arrivato prima che spirasse. A lui Nero disse queste ultime parole:
" Troppo tardi. E la tua fedeltà? "
A poco a poco la lama è affondata, il suo volto assumendo un'espressione così terribile che tutti i presenti fuggirono dall'orrore. Icelus, liberto di Galba, l'imperatore neoeletto, dette il suo consenso ad un funerale decente.
Ecloge e Alexandra, i suoi assistenti, Atte la sua amante, e i tre uomini fedeli che lo avevano accompagnato nella fuga, provvedendo ai fondi necessari, circa cinquemila dollari (questa è la stima di Lanciani sul valore del dollaro del 1892, nel 2000 sicuramente sui 50000 dollari), lo composero. Il corpo venne cremato, avvolto in un lenzuolo di tessuto bianco con oro, lo stesso che aveva usato sul suo letto la notte di Capodanno.
Le tre donne raccolte le ceneri le misero nella tomba della famiglia di Domiziano, che si trovava sullo sperone del Pincio, dietro l'attuale chiesa di S. Maria del Popolo. L'urna era in porfido, l'altare sul quale si trovava era in marmo di Carrara, e la tomba stessa del marmo. Una scoperta patetica è appena stata fatta nella Vigna Chiari, nel punto esatto del suicidio di Nerone, dal mio amico, il Cav. Rodolfo Buti, quella della tomba di Claudia Ecloge, la vecchia donna che si era così dedicata al suo lattante.
L'epitaffio è una lastra di marmo pianura che contiene solo un nome. Ma questo semplice iscrizione, da leggere tra le rovine della villa di Faone, con ogni dettaglio della scena del suicidio davanti agli occhi, rende più impressione le sensazioni che forniscono un grande monumento alla sua memoria. Come non poteva essere sepolto all'interno o nei pressi della tomba di famiglia dei Domizi sul Pincio, ha selezionato il punto in cui erano stati cremati i resti di Nerone.
" Troppo tardi. E la tua fedeltà? "
A poco a poco la lama è affondata, il suo volto assumendo un'espressione così terribile che tutti i presenti fuggirono dall'orrore. Icelus, liberto di Galba, l'imperatore neoeletto, dette il suo consenso ad un funerale decente.
Ecloge e Alexandra, i suoi assistenti, Atte la sua amante, e i tre uomini fedeli che lo avevano accompagnato nella fuga, provvedendo ai fondi necessari, circa cinquemila dollari (questa è la stima di Lanciani sul valore del dollaro del 1892, nel 2000 sicuramente sui 50000 dollari), lo composero. Il corpo venne cremato, avvolto in un lenzuolo di tessuto bianco con oro, lo stesso che aveva usato sul suo letto la notte di Capodanno.
Le tre donne raccolte le ceneri le misero nella tomba della famiglia di Domiziano, che si trovava sullo sperone del Pincio, dietro l'attuale chiesa di S. Maria del Popolo. L'urna era in porfido, l'altare sul quale si trovava era in marmo di Carrara, e la tomba stessa del marmo. Una scoperta patetica è appena stata fatta nella Vigna Chiari, nel punto esatto del suicidio di Nerone, dal mio amico, il Cav. Rodolfo Buti, quella della tomba di Claudia Ecloge, la vecchia donna che si era così dedicata al suo lattante.
L'epitaffio è una lastra di marmo pianura che contiene solo un nome. Ma questo semplice iscrizione, da leggere tra le rovine della villa di Faone, con ogni dettaglio della scena del suicidio davanti agli occhi, rende più impressione le sensazioni che forniscono un grande monumento alla sua memoria. Come non poteva essere sepolto all'interno o nei pressi della tomba di famiglia dei Domizi sul Pincio, ha selezionato il punto in cui erano stati cremati i resti di Nerone.
" Quando Nerone morì per il più giusto dei destini
che il distruttore non aveva potuto distruggere,
tra le urla di gioia di Roma liberata,
di nazioni affrancate e del mondo in giubilo,
alcune mani non viste posero fiori sulla sua tomba,
forse la debolezza di un cuore non privo di sentimenti
per qualche gentilezza ricevuta,
quando il potere aveva lasciato
all'infelice un momento di innocenza "
tra le urla di gioia di Roma liberata,
di nazioni affrancate e del mondo in giubilo,
alcune mani non viste posero fiori sulla sua tomba,
forse la debolezza di un cuore non privo di sentimenti
per qualche gentilezza ricevuta,
quando il potere aveva lasciato
all'infelice un momento di innocenza "
L'epitaffio originale di Claudia Ecloge è stata rimossa per i Musei Capitolini, dove sembra perso tra tanti altri oggetti di interesse; ma lo studente che selezionerà la Vigne Nuove per un'escursione pomeridiana troverete una scritta, posta dalla nostra Commissione Archeologica sulla parete frontale del Casino di Vigna Chiari.
Venne sepolto in un'urna di porfido, sormontata da un altare di marmo, nel sepolcro di famiglia dei Domizi, sopra cui fu edificata la chiesa di Santa Maria del Popolo. Con la sua morte terminò la dinastia giulio-claudia. "
(Roberto Lanciani)
LA STATUA DI ANZIO ERETTA IN RICORDO DELL'IMPERATORE |
LA LEGGENDA
Che venisse sepolto lì lo racconta una leggenda posteriore e alquanto cattolica. Secondo la leggenda medievale, l’imperatore fu sepolto al centro dell'attuale piazza del Popolo, ed in suo ricordo era stato piantato un albero di noce. Le ossa di Nerone però attiravano spiriti e demoni che, nel corso della notte, spaventavano i romani.
La zona era considerata dannata e il popolo chiese aiuto al Papa. Nel 1099, il Pontefice Pasquale II prescrisse a tutti come misura curativa tre giorni di digiuno, poi si ritirò a pregare in clausura e durante una veglia gli apparve la Madonna che gli suggerì, per liberare la zona dai demoni, di abbattere il noce, disseppellire Nerone, bruciare le ossa e disperderle nel Tevere.
La terza domenica dopo i tre giorni di digiuno Pasquale II fece quanto suggerito dalla Vergine, liberando per sempre la piazza dagli spiriti demoniaci. Su richiesta del popolo, dove prima sorgeva l’albero di noce, sorse una cappella commemorativa dedicata a Maria.
Nel 1472 Papa Sisto V la sostituì poi con l’attuale chiesa, che prese il nome di Santa Maria del Popolo in ricordo della volontà del popolo che si era prodigato per avere un santuario che ricordasse l’allontanamento dei demoni.
BIBLIO
- Mario Attilio Levi - Nerone, Eracle, Ercole, Roma - L'Erma di Bretschneider - 1983 -
- Girolamo Cardano - Elogio di Nerone: mansuetudine, acume politico e saggezza di un esecrato tiranno - Milano - Gallone Editore - 1998 -
- Massimo Fini - Nerone: duemila anni di calunnie - Milano - Mondadori - 1993 -
- Mario Attilio Levi - Nerone: Saggio storico, Milano-Messina: G. Principato, 1945
- Miriam T. Griffin - Nerone: la fine di una dinastia -Torino, SEI - Soc. Ed. Intern. - 1994 -
- Dimitri Landeschi - Nerone, il grande incendio di Roma e la congiura di Pisone - Edizioni Saecula, 2015 -
- Mario Attilio Levi - Nerone e i suoi tempi - Milano - Rizzoli - 1995 -
- Pierre Grimal - Le procès de Néron - éditions De Fallois -
- Carlo Palumbo - La vita di Nerone - Le Grandi Biografie - Milano - Peruzzo - 1985 -
- Brian H. Warmington - Nerone: realtà e leggenda - Roma-Bari - Laterza 1973 -
- Girolamo Cardano - Elogio di Nerone: mansuetudine, acume politico e saggezza di un esecrato tiranno - Milano - Gallone Editore - 1998 -
- Massimo Fini - Nerone: duemila anni di calunnie - Milano - Mondadori - 1993 -
- Mario Attilio Levi - Nerone: Saggio storico, Milano-Messina: G. Principato, 1945
- Miriam T. Griffin - Nerone: la fine di una dinastia -Torino, SEI - Soc. Ed. Intern. - 1994 -
- Dimitri Landeschi - Nerone, il grande incendio di Roma e la congiura di Pisone - Edizioni Saecula, 2015 -
- Mario Attilio Levi - Nerone e i suoi tempi - Milano - Rizzoli - 1995 -
- Pierre Grimal - Le procès de Néron - éditions De Fallois -
- Carlo Palumbo - La vita di Nerone - Le Grandi Biografie - Milano - Peruzzo - 1985 -
- Brian H. Warmington - Nerone: realtà e leggenda - Roma-Bari - Laterza 1973 -
9 comment:
Grazie
Emozionante
Gran imperatore peccato che in italia non ci sono come lui
Ua si na fantasij o frat
si tramandata di generazionein generazione che la mio antenato piu antico sia nero claudius caesar augustus germanicus .diceva mia mamma
Oh, Senato di Roma, udite le parole di un uomo sotto il peso delle accuse e delle calunnie! Sono Nerone, vostro imperatore, e vi rivolgo la mia difesa con fermezza e chiarezza.
Accuse infamanti mi circondano come nubi tempestose, ma non crolleranno sulla mia innocenza come pioggia acida. Vi chiedo di considerare la verità dietro le menzogne che avete ascoltato.
Sono stato dipinto come un tiranno, un despota senza cuore. Ma coloro che mi calunniano non hanno mai visto il peso del mio dovere, la responsabilità di governare un impero vasto e complesso come il nostro. Le mie azioni, per quanto possano sembrare severe, sono state sempre motivate dalla volontà di proteggere e promuovere il bene di Roma.
Le voci di eccessi e lussuria sono esagerate e distorte. Sono un uomo di passione, sì, ma anche di disciplina e controllo. Il mio amore per l'arte e la cultura è stato frainteso come frivolezza. Ma chi può negare che la bellezza sia la linfa vitale di Roma stessa?
Non mi difendo dalle accuse di violenza, ma vi chiedo di considerare il contesto. Le decisioni prese nell'ardore del momento, nell'urgenza di proteggere l'ordine e la sicurezza, non possono essere giudicate con superficialità.
Sono stato un imperatore devoto, guidato dalla ricerca della grandezza e della gloria di Roma. Le mie azioni possono essere state controverse, ma la mia lealtà verso l'Impero e il suo popolo non può essere messa in dubbio.
Chiedo a voi, uomini di saggezza e giustizia, di guardare oltre le calunnie e valutare la mia vita e il mio regno con equità. Sono qui per difendere la mia eredità e il mio onore, perché la storia possa rendermi giustizia.
Che gli dèi veglino su Roma e su di noi. Vi ringrazio per aver ascoltato le mie parole.
Cittadini di Roma, ascoltatemi! Sono qui oggi per difendere il mio nome e il mio operato contro le ingiuste accuse che si abbattono su di me. Come vostro imperatore, ho servito Roma con cuore e anima, sempre nel migliore interesse della nostra grande città.
Vorrei innanzitutto ricordarvi i nostri successi. Durante il mio regno, Roma ha prosperato come mai prima d'ora. Le nostre legioni hanno portato gloria alle nostre frontiere e garantito la sicurezza dell'Impero. Le nostre strade sono fiorite di cultura e arte, riflettendo la magnificenza e la grandezza di Roma.
Alcuni potrebbero accusarmi di eccessi e di lussuria, ma io ho sempre cercato di vivere la vita con passione e dedizione. La bellezza e la creatività sono sempre state le mie guide, non motivi di disprezzo.
Quanto alle voci di violenza e tirannia, lasciate che la mia storia parli per me. Ho sempre cercato il consiglio dei saggi e ho agito con giustizia verso il mio popolo. Le mie decisioni possono non essere state sempre popolari, ma hanno avuto lo scopo di portare prosperità e stabilità a Roma.
Ora vi chiedo di non lasciare che le maligne calunnie offuschino i miei intenti e il mio impegno per il bene di Roma. Vi invito a giudicarmi sulla base dei miei atti e del mio servizio.
Che gli dèi proteggano Roma e la nostra causa. Vi ringrazio per avermi dato ascolto.
Mi rivolgo a voi in questo luogo sacro della nostra urbe per portare una grave accusa contro un individuo che minaccia i fondamenti della nostra società. Sono qui per esporre la verità e chiedere giustizia per gli atti ingiusti perpetrati da Nerone, l'imperatore romano.
Nerone, con la sua condotta dissoluta e immorale, ha offeso gli dei e ha minato i valori che sono il fondamento della nostra civiltà. Egli si è arrogato il titolo di divinità, profanando la sacralità della religione e l'ordine cosmico stesso. Non solo ha proclamato la propria divinità, ma ha perpetrato atti di depravazione morale che offuscano la nostra reputazione di uomini liberi e virtuosi.
Inoltre, Nerone ha condotto l'Impero Romano su un percorso di corruzione e distruzione morale. La sua sete di potere lo ha portato a saccheggiare tesori culturali, distruggere tradizioni millenarie e oppresso le masse con la sua tirannia.
O Senatori, non possiamo tollerare che una tale figura si erga al di sopra del popolo e dei valori che difendiamo. Lasciamo che la nostra indignazione per le azioni di Nerone spinga il nostro desiderio di giustizia e di rettitudine.
Chiedo a voi, Senatori, di unirvi a me nell'affermare i nostri principi e nell'esigere la fine di questo regno di terrore. La libertà e la dignità umana devono prevalere!
Che la nostra voce risuoni forte e chiara, affinché il tiranno sia deposto e la nostra civiltà possa rialzarsi nella gloria della verità e della giustizia.
Grazie, onorevoli cittadini, per la vostra attenzione e per la vostra determinazione nel difendere ciò che è sacro per noi tutti.
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