FAUSTOLO TROVA I GEMELLI ( Cesare Maccari ) |
Nome: Romulus
Nascita: Alba Longa nel 771 a.c.
Morte: 715 a.c.
Predecessore: inizio regno
Successore: Numa Pompilio
Fratello gemello: Remo
Consorte: Ersilia
Figli: Prima e Avilio
Dinastia: di Alba Longa
Padre: Marte
Madre: Rea Silvia
Consorte: Ersilia
Figli: Prima e Avilio
Dinastia: di Alba Longa
Padre: Marte
Madre: Rea Silvia
Nonno: Numitore, re di Albalonga
Regno: 753-715 a.c.
"Sul terreno su cui sarebbe nata Roma, i due fratelli trassero gli auspici: nacque una lite tra i due, nel corso del quale Remo trovò la morte. Romolo tracciò un solco intorno al Palatino: era nata la Roma Quadrata."
(AA.VV. Dizionario della civiltà romana, Roma 1990, p. 174.)
Dopo la fondazione leggendaria della città, ritenuta il 21 Aprile del 753 a.c., Romolo, che derivò il suo nome dalla città, e non il contrario, ne divenne il primo Re. Era rappresentante dei Ramnes, cioè una tribù latina.
Plutarco racconta che un certo Lucio Taruzio, matematico, astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone avesse calcolato il giorno della nascita dei due gemelli Romolo e Remo: il 24 marzo del 771 a.c., nel qual caso i gemelli avrebbero fondato Roma all'età di 18 anni.
La leggenda narra che Romolo e Remo erano figli del Dio della guerra Marte, invaghitosi della vestale Rea Silvia, figlia di Numitore, re di Albalonga, a sua volta discendente di Enea.
La pre-leggenda
- La preleggenda è che l'eroe troiano Enea, figlio di Venere, scampato col padre Anchise e col figlio Ascanio alla strage dei troiani dopo la distruzione di Troia, naviga finchè non approda nel Lazio.
- Qui viene accolto dal re Latino, da sua moglie Amata e da sua figlia Lavinia, di cui Enea si innamora. Ma Lavinia è promessa a Turno, re dei Rutuli, pertanto non può sposare Enea che non si rassegna ed entra in guerra col rivale.
- Esiste però un oracolo secondo cui l'unione di Lavinia con uno straniero avrebbe dato origine a una stirpe con alti destini. Per cui il re latino rompe la promessa con Turno. Il conflitto si estende, Enea ha dalla sua i Latini e trova alleanza presso le popolazioni greche che abitano il Palatino, guidate da re Evandro e suo figlio Pallante, dall'altra Rutuli, Volsci ed Etruschi.
- Dopo vari eccidi, tra cui quello di Pallante ucciso da Turno e la morte di re Latino, si decide sul singolo combattimento tra Enea e Turno.
- Enea vince e sposa Lavinia, poi fonda Lavinio. Come nell'Iliade tutto accade per una donna, mai per impossessarsi di un territorio, sarà vero?
Comunque il tempo passa e tra Lavinia e Ascanio, figlio di Enea, non corre buon sangue, perchè Enea è morto e Lavinia regna sui latini e su Lavinio.
Il che dimostra l'epoca di retaggi matriarcali, visto che una donna può regnare. Lavinia fugge e genera Silvio, antenato di Romolo e Remo, mentre Ascanio, antenato di Numitore, va a fondare Albalonga.
Dunque Romolo discende da Enea per parte di madre, e Iulo Ascanio sarà il capostipite della Gens Iulia, almeno così sostenne Giulio Cesare.
« Nella sesta olimpiade, ventidue anni dopo che era stata istituita la prima, Romolo figlio di Marte, dopo aver vendicato le offese recate al nonno, durante le feste in onore della dea Pale fondò Roma sul Palatino. » (Velleio Patercolo - Sroria Romana)
Non appena nominato re Romolo dovette combattere contro i Ceninensi, gli Antemnati e i Crustumini, vincendoli e sottomettendoli. Poi si battè coi Sabini.
Livio, in Ab Urbe condita, racconta che:
"Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e favorire l'unione di nuovi matrimoni. All'ambasceria non fu dato ascolto da parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano per loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un simile potere."
Romolo prima di tutto fortificò il monte Palatino, dov’era stato allevato; sacrificò ad Ercole secondo il rito dei Greci e agli altri Dei secondo il rito degli Albani. Compiuta secondo i riti la sacra cerimonia, Romolo si preoccupò di popolare la sua città. Offrì perciò asilo e protezione a tutti quelli che non potevano più vivere dove si trovavano: malandrini, briganti, debitori che non pagavano, gente che era odiata o perseguitata, o chiunque fosse povero nella sua terra e cercasse di meglio, insomma aprì le porte all'immigrazione.
Le XII tavole
A Romolo sono attribuite le XII tavole delle prime leggi romane:
"La famosa tavola di bronzo antichissima, dove è riferita la Legge Regia degl'antichi, adornata attorno con nobil cornice di marmo pavonazza. Questa pesa 2147 libre ed è del seguente tenore - SENATUS POPULUSQUE ROMANUS. -" Una lapide ricorda che essa fu portata dal Laterano al Campidoglio da papa Gregorio 13°, e infatti ancora lì è conservata, attualmente in restauro.
Di lui Dionigi (I sec. a.c.) scrisse:
« Censurò tutti quei miti che si tramandano sugli dèi, in cui erano offese e accuse contro di essi, ritenendoli empi, dannosi, offensivi e non degni degli dèi e neppure degli uomini giusti. Prescrisse inoltre che gli uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel modo più rispettoso possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna della loro natura divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu evirato dai figli né che Crono massacrò i figli per paura di essere detronizzato, che Zeus pose fine alla supremazia di Crono, che era suo padre, rinchiudendolo nelle carceri del Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né ferite, né patti, né la loro servitù presso gli uomini. »
(Dionigi di Alicarnasso)
Secondo altre fonti reperite dallo studioso Andrea Fulvio (1638) Romolo fece un lungo dicorso ai suoi cittadini:
"Valorosi uomini, l'apparente forma che voi vedete d'una Città novella è stata fortificata dalle vostre forti mani di bastioni ma ella ha ancora bisogno di fortificamenti. Se noi saremo d'accordo; noi insieme, benché pochi, senza armi, nondimeno oggi la difenderemo"
Disse ancora molte altre cose nella medesìma sentenza; gli esortò a beneficamente vivere; publicò alcuni decreti come leggi in quel tempo a quella Città molto accommodati; utili di quella maniera cioè:
- Che non facessero cosa alcuna senza prima prenderne gli auspicij
- Che i loro padri avessero ad intervenire ne magistrati, ne sacrificij
- Che i plebei cultivassero il contado
- Che i Re potessero disporre di tutte le cose sacre
- Che i padri le havessero in custodia.
- Che il popolo havrebbe a creare i magistrati
- Che tutti fussero tenuti d apprender le leggi; deliberare della guerra
- Che non si presta fede alle favole che degli Iddij ti dicono.
- Che non s'adorassero gli Iddij forestieri da Fauno in fuora.
- Che di notte non si potesse vegliare ne far ritirata dentro a templi.
- Che gli uxoricidi fossero decapitati.
- Che niuno ardisse dire parole disoneste in presenza di donne.
- Che ciascuno andasse con la toga lunga infin sopra i talIoni per la Città
- Che i parti mostruosi senza fraude alcuna fussero uccisi
- Che niuno potesse ne entrare ne potesse uscire della Città se non per le porte ordinarie
- Che le mura di quella fussero sàcrosànte
- Che quella donna che fue legitiniamente maritata s'intende partecipi per metà de beni; delle cose sacre del marito; si come egli era Signor di casà cosi ella era Signora; come la figliuola heredita il padre cosi ella fusse herede del morto marito
- Che quclla che fusse convinta di adulterio il marito; i parenti la potessero ammazzare come a lor piaceva.
- Che bevendo vino in casa ella fusse punita come adultera
- Che i padri havessero libera, piena autorità sopra figliuoli di confinarli, venderli, ammazzarli.
Numa Pompilio mitigò in gran parte la crudeltà di cotali decreti che in versì erano scntti; cosi ordinò certe leggi fondate su la equità, bontà molto accommodate; così fecero gli altri Re che dopo lui seguitarono ma sopra ogni altro Servio Tullio.
(Andrea Fulvio - Antichità di Roma - 1638)
LA RUPE TARPEA
Ma qui sorge un altro mito, quello della vestale, Tarpeia, figlia del comandante della rocca Spurio Tarpeio, che corrotta con un paio di bracciali d'oro da Tito Tazio, aprì le porte del Campidoglio a un drappello di armati. Per ringraziamento i Sabini la schiacciarono coi loro scudi.
Occorre precisare che la rupe Tarpea era dedicata anticamente alla Signora delle selve, da Tharphos, greco che significa appunto selva boscaglia. Tanto più che il vezzo di buttare la gente dalla rocca è prettamente greco e sicuramente già vigeva.
Non a caso poi vi si rinvenne la testa di una Dea che rivestì il ruolo di Roma caput mundi. E la testa fu rinvenuta proprio sulla rupe Tarpea, e in questo mito l'augure raccomanda di non rivelare il luogo della scoperta. Come mai?
Forse per non rivelare che gli antenati di Roma furono matriarcali e con una Dea Madre, cosa che riscoprirà ben nel XIX secolo Bachofen col suo contestatissimo "Il Matriarcato".
Tanto è vero che di diversi Re di Roma si ignora la paternità, solo perchè all'epoca si diventava re in quanto figli o mariti di una regina. Per Romolo il padre diventa Marte, ma in realtà è figlio di una sacerdotessa vestale, Rea Silvia.
I miti, si sa, vengono sempre mutati dai vincitori, ma di quella reminiscenza matriarcale Roma se ne avvantaggerà, producendo la cosiddetta Pietas Romana, che tanta civiltà portò nel mondo barbaro.
Insomma Sabini e Romani decisero di finirla ponendo a capo, Mezio Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani. Quest'ultimo morì in battaglia e i Romani le presero di santa ragione. Però Romolo, invocando Giove e promettendogli un tempio, contrattaccò e vinse. Fu allora che le donne sabine si posero tra i contendenti chiedendo la pace.
Plutarco in Vita di Romolo, racconta che:
"Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio."
Le donne dei Romani non avrebbero mai osato tanto, per questo la faccenda parve incredibile, solo le Sabine, abituate al rispetto dei maschi avrebbero potuto.
Insomma le competizioni e le battaglie iniziali ci furono, tanto più che i Sabini erano di stampo matriarcale al contrario dei Latini già patriarcali, rimaneggiate in "il ratto delle sabine". Più credibile che stanchi di combattere i due popoli stringessero alleanza, estendendola anche agli etruschi.
Romolo ratificò infatti l'alleanza sposando una sabina, una certa Ersilia, da cui ebbe una figlia, di nome Prima ed un figlio, di nome Avilio, che però non si sa che fine fecero.
Plutarco, Vita di Romolo, 14,5:
"Il segnale convenuto per l'assalto era questo: Romolo si sarebbe alzato, avrebbe ripiegato il mantello, poi l'avrebbe di nuovo indossato. Molti armati di spada con gli occhi fissi su di lui, al segnale sguainano le spade e urlando si slanciano sulle figlie dei Sabini"
Insomma i Romani erano a corto di donne, non si sa perchè, a meno che, come in tanti popoli primitivi dediti alla guerra, le bambine venissero in parte eliminate, per cui decisero di rapire le Sabine.
Romolo dette ordine di non toccare le vergini per tutta la notte e di portargliele il giorno dopo. Le Sabine erano rabbiose e disperate. Romolo spiegò che non le avevano rapite per violentarle ma per sposarle e che fosse una nobile usanza greca, un bel modo per contrarre matrimonio. I greci rapivano le donne per sposarle?
Forse si, perchè nel sud Italia, in Sicilia, fino a non molto tempo fa usava la "fuitina" la piccola fuga, degli innamorati, affinchè, consumato l'accoppiamento, costringesse i parenti ad acconsentire all'unione. E il sud Italia è quanto mai greco.
Sembra che i Romani però cercassero di corteggiarle trattandole degnamente, e c'è da crederlo, perchè all'epoca le donne erano abituate al rispetto, non a caso quando questo venne meno in epoca greca, molte di loro si fecero Amazzoni conquistando, come asserì Giulio Cesare, tutta l'Asia.
Quindi pian piano le donne accettarono i matrimoni mentre i Sabini ci pensarono su, e ci pensarono parecchio, visto che quando mossero guerra le donne avevano già figli. Perchè passarono tanti mesi la storia non lo dice, o semplicemente il mito è inventato e vi fu guerra tra i due popoli seguita dalla pace.
Comunque il mito prosegue raccontando che le donne sabine, allo scontro tra i due popoli, uscirono dalla città vestite a lutto. Alcune con in braccio o al seguito i bambini piccoli. Raggiunsero piangendo il campo dei Sabini e il consiglio degli anziani, e qui si gettarono ai piedi del re. I Sabini le rimproverarono, infine si decise per la pace.
Però altre fonti, tra cui Plutarco, pure facendo un racconto analogo, dichiarano che le donne accorsero si con i figli, ma fecero i versi della guerra minacciando sia mariti che padri, e altre invece cercarono di rabbonire i padri mostrando i pargoli. Il che convince di più perchè le sabine erano all'epoca abbastanza libere e rispettate. Tanto è vero che posero delle condizioni.
I Romani dovettero infatti stabilire per contratto il trattamento delle donne:
- non dovranno mai lavorare per i loro mariti, salvo filare la lana;
- per la strada gli uomini dovranno cedere loro il passo;
- nulla di sconveniente sarà detto a loro o in loro presenza;
- nessun uomo potrà mostrarsi nudo davanti a loro;
- i loro figli avranno una veste speciale (praetexta) e un ciondolo d'oro (bulla aurea) che li renderanno sacri e inviolabili.
Il che fa pensare che vennero adottate le usanze sabine, che d'altronde avevano reminiscenze matriarcali, peccato che questi diritti vennero poi dimenticati. Solo il tanto criticato impero romano farà tornare un trattamento più umano ed equo sia per le donne che per i figli, trattamento che cadrà di nuovo nell'inciviltà con l'avvento del cristianesimo.
"Non viene pattuita solo la pace, ma anche la fusione dei due popoli. Il regno diventa uno solo. Furono istituite anche le tre centurie di cavalieri, Ramnensi da Romolo, Tiziensi da Tazio e, quanto ai Luceri, è incerta l'origine. Da allora i due re esercitarono il potere non solo in comune ma anche in perfetta concordia." (T. Livio I,13).
SIR AVILLIAM GELL - MEMBRO DELL.' ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOCIA DELLA SOCIETA' REALE E DELLA. SOCIETÀ' DEGLI ANTIQUARI DI LONDRA -
- ILLUSTRATE CON TESTO E NOTE DA A. N I B B Y
- PUBLICO PROFESSORE DI ARCHEOLOGIA NELL'ARCHIGINNASIO ROMANO -
- MEMBRO ORDINARIO DELL'ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA -
- CORRISPONDENTE DELL' ACCADEMIA REALE ERCOLANESE - ROMA - 1820.-
Ratto Delle Sabine
"Dionisio nel libro II pag. 100. il dimostra, il quale dice, che la festa istituita da Romulo, e poi dai Romani continuata a celebrare fino ai suoi tempi, e chiamata Consualia consisteva nel fare un sacrificio sopra un' ara sotterranea presso il Circo Massimo, la quale scavasi intorno; e questo sacrificio veniva seguito da corse di cavalli accoppiati e sciolti: che il Dio in onore del quale queste cose facevansi era Conso dai Romaui chiamato, che equivaleva al Nettuno de' Greci, e perciò sotterranea era l'ara, come quella del Dio scuotitore della Terra, ma altri credevano che Conso non fosse che un Genio presidente ai consigli segreti: si determina concordemente nel Circo Massimo.
Plutarco, che nella "vita di Romulo" di questo stesso altare di Conso parlando lo dice da Romulo fatto a bella posta trovare: Ma la guerra contro l'esercito riunito de' Sabini condotti da Tazio Re di Curi fu più dubbiosa, e micidiale per Roma: imperciocchè il Re Sabino per assalire la città stessa colle sue forze non attese che Romulo venisse a devastare il suo territorio.
Questi dall'altro canto non conoscendosi forte abbastanza per andare ad attaccare il nemico, lo aspettò a pie fermo, e per maggior sicurezza della città rialzonne le mura, fortificò con fosse, e terrapieni l'Aventino ed il monte Saturnio poi detto Capitolino, che erano più vicini alla sua città, e quasi la dominavano, e ricevuti soccorsi dalla Etruria, e da Numitore suo nonno.
Si è veduto di sopra, che le prime mura di Roma per gli autori non sembra che fosse altro che una palizzata. Forse però dopo il ratto delle Sabine saranno state costrutte più solide, poiché Dionisio dove parla de' preparativi fatti da Romulo contro Tazio, dice, che per rendere il Muro del Palatino più sicuro a quei di dentro lo alzò con terrapieni più alti: poi uscì ad accamparsi sull'Esquilino con una parte de' suoi, lasciando il Quirinale in guardia de'suoi alleati gli Etruschi.
Si nomina pure poco dopo un Lucumone da Sorano città della Etruria, uomo valoroso, e nelle cose di guerra illustre: Dionisio continua: Le posizioni militari scelte da Romulo in tale occasione non potevano essere più saggiamente prese, se si considerano le località; mentre avea fortificato il monte Capitolino e l'Aventino, che più degli altri al Palatino accostavansi, e vi avea posto truppe in guardia, egli col nerbo delle truppe e degli alleati coprì Roma verso il nord, e nord est occupando il Quirinale, e l'Esquilie, che più agio gli davano ai movimenti militari essendo meno ineguali, ed assai spaziosi.
Tazio non potendo avvicinarsi a Roma per le colline, che erano, come si è detto, occupate da Romulo e dagli Etrusci, sboccò colle sue genti nella pianura in seguito chiamata Campo Marzio e pose i suoi alloggiamenti sotto il monte Saturnio. Questo colle, che era più dappresso a Roma, e perciò era stato meglio degli altri fortificato, veniva guardato da una mano dì gente capitanata da Tarpejo.
Contro questo monte si rivolse Tazio, considerandolo come il punto più importante per poter battere Roma, e pervenne ad impadronirsene, sia per tradimento, come l'opinione generale pretende, sia per sorpresa: e siccome in questa fatto ebbe gran parte Tarpeja , figlia dì colui, che vi commandava, perciò da quella epoca il monte ottenne il nome di Tarpejo, nome che rimase sempre ad una parte di esso ( quantunque il resto dopo prendesse altra denominazione dì Capitolium ), e fu quella, che riserbata al supplizio de' rei continuò ad appellarsi la rupe, o il sasso Tarpejo, siccome si appella tutt'ora.
All' avviso della espugnazione di un posto così importante Romulo co' suoi alleati venne in soccorso di Roma, e cercò di riprendere il colle perduto ma fu indarno, che rimasto egli stesso ferito nella pugna, e morto Lucumone, capo degli Etrusci, i Sabini attaccarono la città stessa .
Questa però veniva custodita dal fiore della gioventù, i quali sboccarono contro i nemici, cercando di respingerli: nello stesso tempo Romulo riavutosi dal colpo ricevuto, corse a rianimare i suoi, e per meglio riuscire fece voto a Giove di edificargli un tempio sotto la denominazione di Statore nel sito stesso.
Sono varie le opinioni degli antichi sopra Tarpeja, e sopra la presa del Campidoglio fatta dai Sabini , le quali possono leggersi in Dionisio, in Livio e in Plutarco nella vita di Romulo.
Che poi il monte venisse denominato Tarpejo, e continuasse cosi a chiamarsi fino alla fondazione del Tempio di Giove Capitolino da Tarrjuinio , nella quale occasione il monte dissesi Capitolium e la rupe dalla quale si gittavano i rei conservò sola il nome di Tarpeja, lo mostra Plutarco in questi termini nella vita di Romulo.
Tra i due popoli la concordia fu istantanea o completa, e da un tale avvenimento, il sito, nel quale venne conchìiiso il trattato fu detto Via Sacra. Dionisio, che di questa concordia parla più a lungo, racconta, che secondo il trattato, Romulo co' suoi Romani rimase padrone della Roma primitiva: Tazio co' Sabini si stabili sul colle Tarpejo e per addizione, siccome i due popoli non aveano spazio sufficiente, una parte del Quirinale, e del Celio fu loro assegnata dove questi due colli più vicini si trovano al Tarpejo ed al Palatino.
Ma dobbiamo qui prevenire il lettore, che con ciò non vuol credersi da noi, che il Quirinale, ed il Celio fossero chiusi nelle mura imperciocché gli antichi vanno d' accordo nell'assicurarci, che dopo la riunione de' Romani a' Sabini il solo monte Capitolino, o Tarpejo fu colla valle intermedia riunito al Palatino con mura.
Infatti Dionisio dice che questa pace si concluse verso la metà della Via. Cosi per rendere Dionisio analogo a se stesso, e concorde con ciò, che Tacito racconta va inteso ciò che dice nel libro II. questa valle era allora ingombrata da boschi, e dalla palude accennata di sopra, la quale venne riempiuta, ed i boschi furono tagliati i e trovandosi posta tra i due colli, fu deciso, che servirebbe loro di mercato, o Foro in comune.
Secondo questo racconto è ragionevole supporre, che dal Palatino al Tarpejo fossero dirette due cortine di mura, le quali continuando sul ciglio delle rupi verso il Campo Marzio, vennero a chiudere.
Si vegga il passo citato di Dionisio nella nota precedente, e quello che questo stesso Scrittore dice. parlando del Tempio di Vesta stabilito da dentro tutto intiero il Tarpejo: nello stesso tempo questo accrescimento rese inutile quella parte del muro primitivo di Roma, che dominava il Foro ma forse questa non venne tosto abbattuta.
I due Re governarono pacificamente parecchi anni i loro popoli riuniti e pare che la concordia non fosse in guisa alcuna alterata ma è facile giudicare che l'ambizione di Romulo non vedesse di buon occhio la sua autorità divisa, e per conseguenza è da credersi, che se non fu 1' autore, almeno fomentò le differenze che insorsero fra Tazio e i Laurenti, le quali finirono coll'assassinio del Re Sabino: che se di ciò non abbiamo una prova diretta, l'indifferenza, che mostrò Romulo nella morte del suo collega, fa molto sospettare della sua fede.
Ciò deve credersi per la gelosia, che fra i due Re dovea regnare, e soprattutto per i passi di Livio, e di Ovidio, che nominano la porta del Palatino, che più sotto vedremo essere la Mugonia, esistente ancora ai tempi loro; ed è appunto questa la porta, che stava nel lato del colle, che sovrastava al Foro, che veniva designata col nome di Porta vetus Palata.
Livio nel capo VI. del I libro cosi narra questa morte "Però non produsse alcun cangiamento nel recinto, che rimase lo stesso fino alla morte di Romulo avvenuta a 71 anni avanti dell'era volgare, alla quale epoca Roma non chiudeva dentro le mura, che il Palatino, ed il Tarpejo, e la valle, che separa i due colli. "
Dionisio nel libro II narra lo stesso avvenimento con più lunghi particolari, ma con poca varietà, e chiama Laviniati quelli che Livio appella Laurenti, ed aggiunge che la morte di Tazio avvenne 1'anno VI del suo regno con Romulo.
Plutarco va di accordo con Dionisio, e con Livio, e fa Laurenti gli offesi dai seguaci di Tazio, e Lavinio il luogo della uccisione sua siccome Livio: quindi aggiungendo i sospetti, che corsero in questo affare circa Romulo, soggiunge, che ciò non alterò punto la buona armonia de'Sabini dimoranti in Roma, i quali altri per amore, altri per timore restarono quieti.
Il regno pacifico di Nama Pompilio quantunque non accrescesse la popolazione dì Roma con mezzi violenti, come il suo predecessore, pure favorì molto al suo aumento, cosicché fu di bisogno aggrandire il recinto. Del che abbiamo una prova in Dionisio, il quale ci assicura, che Numa ampliando le mura della città chiuse dentro il monte Quirinale, fin allora stato senza difesa.
Ma a Dionisio si oppone Livio, che dice il Quirinale essere stato riunito a Roma dall'aver ricevuto altri accrescimenti dopo la riunione con Tazio, il dimostra non solo il silenzio degli antichi, che di altro accrescimeuto non parlano; ma ancora fa asserzione di Plinio, che nel capo V. del III. libro della sua Storia Naturale afferma che Romulo non lasciò alla sua morte la città con più di tre o quattro porte, il che mostra una estensione assai limitata.
D' altronde siccome vedremo nel progresso del discordo o li accrescimenti fatti a Roma da Numa, da Tulio, da Anco, e da Servio, necessariamente ne segue che alla morte di Romulo la città non comprendesse dentro le mura che i colli Palatino e Tarpeo e la valle che divideva i due colli stessi.
Questo passo di Dionisio serve di dichiarazione all' altro, di questo stesso scrittore riferito nella nota e da questo apparisce, che il Quirinale sotto Romulo cominciò solo ad abitarsi, ma non fu rinchiuso dentro le mura, come fra poco Servìo Tullio ed in tale discordia non si trova altro mezzo da conciliare i duo autori, che supponendo avere Numa cinto soltanto di mura quella parte del colle Quirinale, che più a Roma, o per dir meglio al monte Tarpejo accostavasi, lasciando il resto di fuori.
Imperciocché la estrema lunghezza vedremo del Celio, che solo venne nel recinto rinchiuso da Tullo Ostilio, e che sotto Romulo non cominciò ad abitarsi. Il monte Quirinale oggi si appressa di molto al Campidoglio."
LA VERSIONE DI ANTONIO NIBBY (grande storico archeologo dell'800)
All'avviso della espugnazione di un posto così importante Romulo co' suoi alleati venne in soccorso di Roma, e cercò di riprendere il colle perduto; ma fu indarno, che rimasto egli stesso ferito nella pugna, e morto Lucumone, capo degli Etrusci, i Sabini attaccarono la città stessa. Questa però veniva custodita dal fiore della gioventù, i quali sboccarono contro i nemici, cercando di respingerli: nello stesso tempo Romulo riavutosi dal colpo ricevuto, corse a rianimare i suoi, e per meglio riuscire fece voto a Giove di edificargli un tempio sotto la denominazione di Statore nel sito stesso, nel quale avea gittate le fondamenta della sua città.
La pugna ricominciò più furiosa nella valle fra i due colli Palatino, e Capitolino ; ivi Mezio Curzio , che comandava la cavalleria Sabina, inesperto de' luoghi, trovossi intrigato in una palude, che esisteva fra i due colli, e che dopo tale avvenimento fu detta il Lago Curzio: la battaglia insensibilmente erasi portata verso la estremità del monte, che poi prese il nome di via Sacra, e continuava incerta, ed accanita, quando un nuovo stratagemma fu posto in opera da Romulo, di far uscire le donne perchè fossero mediatrici fra i loro padri, e i mariti: il ritrovato di Romulo andò a seconda de' suoi desideri la pacificazione fra i due popoli fu istantanea o completa, e da un tale avvenimento, il sito, nel quale venne conchìuso il trattato fa detto Via Sacra.
Dionisio, che di questa concordia parìa più a lungo, racconta, che secondo il trattato, Romulo co' suoi Romani rimase padrone della Roma primitiva: Tazio co' Sabini si stabili sul colle Tarpejo e per addizione, siccome i due popoli non aveano spazio sufficiente, una parte del Quirinale, e del Celio fu loro assegnata dove questi flue colli più vicini si trovano al Tarpejo, ed al Palatino."
Infatti Roma venne governata da due Re che necessariamente dettero alla città un nuovo ordinamento, dividendo la popolazione in tre “tribù”:
Il consiglio degli anziani, che coadiuvava il Re e ne decideva l'elezione, venne portato a 200 membri. Scelti fra le famiglie più importanti, i “Patres”, determinò il nome “patrizi”, divenendo in seguito il “Senato”.
Ogni curia doveva contribuire all’esercito, fornendo una “centuria” di 100 fanti e una “decuria” di 10 cavalieri: in tutto dunque l’esercito era formato da 3000 fanti e 300 cavalieri, sotto il comando del re.
Di Tito Tazio non si parla mai, ma egli fu re insieme a Romolo, per cui i sette re di Roma furono in definitiva otto. Re Tazio si stabilì con il popolo sabino sul Quirinale mentre i romani rimasero sul Campidoglio.
Qualche anno dopo, alcuni parenti di Tazio maltrattarono gli ambasciatori dei Laurenti che fecero appello al diritto delle genti. Tazio appoggiò i consanguinei ma non la giustizia, per cui il castigo divino non tardò a venire: mentre era a Lavinio, intento a un solenne sacrificio, fu sorpreso dagli avversari e ucciso.
Tito Livio commenta: "Si dice che Romolo abbia accettato quell'evento con minor dolore di quanto fosse giusto attendersi, forse a causa di quella divisione del potere che lo lasciava poco tranquillo, forse perché riteneva che Tazio fosse stato ucciso, tutto sommato, giustamente".
Insomma Tito Tazio morì presto, forse in un’imboscata presso Lavinio, e lasciò Romolo unico re che stabilì un nuovo luogo dove riunire le assemblee: il Foro, una pianura alla base del Campidoglio, che era stata prosciugata dagli Etruschi dalle acque insalubri.
« Nella sesta olimpiade, ventidue anni dopo che era stata istituita la prima, Romolo figlio di Marte, dopo aver vendicato le offese recate al nonno, durante le feste in onore della Dea Pale fondò Roma sul Palatino. »
(Velleio Patercolo, Storia romana, II, CXXXI)
L'annalista Lucio Pisone Frugi, console nel 133 a.c. raccontava che Romolo era molto sobrio nel consumo del vino.
Romolo in qualità di re prese a guardia personale 12 littori, poi scelse 100 senatori e i loro discendenti si chiamarono patrizi. Così divise Roma in due classi, i patrizi e i plebei, in base alle origini nobili o meno delle persone ma non in base alla ricchezza. I plebei non avevano diritti politici e l’unico modo per tutelarsi era diventare “clienti” di un patrizio, fornendogli servizi in cambio di sussistenza e protezione. I patrizi erano la classe minore ma governativa, e i senatori continuarono ad essere scelti tra i patrizi.
Romolo fu un capo politico e religioso, ma anche militare annettendo a Roma nuovi territori, conquistati all’etrusca Veio e alla latina Fidene. Come capo religioso controllò le festività e gli Dei da onorare, in pratica tutto il calendario. Fu chiamato Romolo Quirino perchè assimilato al Dio sabino Quirino, anche se alcuni autori non sono d'accordo, ma molte cose lo fanno pensare, ad esempio che il colle Quirinale fu abitato per lungo tempo dai Sabini, e che qui eressero il tempio al Dio Quirino, e il fatto che Cures fosse il nome di una città sabina, e che Quirino fosse protettore delle Curie, che da lui presero il nome.
I Fidenati, che avevano attaccato Roma, furono sconfitti con uno stratagemma. I legionari romani, in inferiorità numerica, avevano infatti finto una ritirata con lo scopo di portare il nemico allo scoperto. I Fidenati caddero nel tranello e furono annientati con un contrattacco a sorpresa.
ANNALI DI ROMA, DALLA SUA FONDAZIONE A' DI' NOSTRI
"I Ceninesi i Crustominii e gli Antennati eran popoli che in parte sofferta avevano l'ingiuria commessa da Romolo. Troppo lentamente parve ad essi che Tazio ci suoi Sabini si diportassero in quella impresa. Si riunirono pertanto e tutti tre risolsero di portare ai Romani la guerra. Quindi ne i Crustominii nè gli Antennati corrispondendo al desiderio dei Ceninesi cioè di assalire Roma senza più indugiare impresero soli ad eseguirne il disegno.
Nerone loro Re si pone alla testa dell'esercito s'inoltra sul territorio Romano e gli dà il sacco. Non si tosto ne ha Romolo la notizia che accorre con le sue legioni presenta battaglia ai nemici li pone in rotta, uccide Acrone di propria mano e lo spoglia prende la nemica Città e con la facilità di questa impresa fa vedere quanto vano sia lo sdegno privo di forza.
Esultante per il prospero evento taglia Romolo un grosso ramo di quercia e appende sul medesimo le spoglie del vinto Re. Quindi ricopertosi di veste purpurea e cinto il crine di corona d'alloro erge di propria mano il trofeo della vittoria e sfilando l'esercito in ordine di battaglia marciava trionfante a Roma fra i canti d'inni e di rozzi versi militari. Questa fu l'origine dei trionfi magnifici dei Romani.
Per eternare una si lieta giornata salì Romolo il vicino Monte Saturno detto Campidoglio disegnò un luogo per innalzarvi un Tempio a Giove sotto il titolo di Feretrio onde collocarvi le spoglie di Acroiie siccome poi avvenne e le altre che riportate avessero i suoi Successori i quali di propria mano uccidessero un Re o Generale nemico.
La parola Feretrio secondo Plutarco deriva dal verbo ferire usato dai Romani. Gli stendardi di guerra inventati da Romolo erano manipoli di fieno legati sopra delle pertiche. Essi eran varii fra loro per distinguere la diversità di quelli che militavano sotto ciascuno stendardo. I militari appellavansi manipolari per cagione dei divisati manipoli.
Nella morte di Romolo usavansi ancora siffatti stendardi. Del Tempio edificato da Romolo a Giove Feretrio racconta Dionigi che a suoi giorni vedevansi ancora le vestigia ed era così piccolo e stretto che le sue mura non erano più lunghe di quindici piedi."
I VEIENTI
"La III guerra sostenuta da Romolo dopo la morte di Tito Tazio fu coi Vejenti. Vejo distava da Roma nella parte settentrionale circa cento stadj che da Rollin si ragguaglia a quindici miglia ed il suo territorio era limitrofo a quello di Roma. Situata questa in alta e scoscesa rupe assai popolosa c ricca era la più possente città dei dodici popoli Etnischi.
(ANNALI DI ROMA - 1836)
LA REGGIA DI ROMOLO
La Casa Romuli, l’abitazione in cui il primo re di Roma avrebbe risieduto, era riconosciuta in una piccola capanna, frequentemente risanata e ricostruita, posta verso l’angolo sud-ovest del colle Palatino.
I lavori di scavo del 1946 misero in luce, proprio in quest’area del Palatino, i frammenti di alcune capanne che, grazie alle sostanze rinvenute sulla pavimentazione, fu possibile confrontare con le urne cinerarie a capanna all’interno della necropoli del Foro Romano, e datarle quindi alla I età del Ferro, nei secoli IX e VIII a.c.
Questa importante scoperta avvalora la tradizione sia in merito alla data della fondazione di Roma, sia sulla posizione della leggendaria Casa Romuli. I suoi resti riguardano però solo la pavimentazione delle capanne, realizzate attraverso l’incisione e lo scavo del tufo e incorniciate da una piccola fessura utile al drenaggio dell’acqua piovana in modo che non penetrasse all’interno dell’abitazione.
La casa più grande, quella che si suppone la Reggia, è ha forma di un rettangolo ovalizzato di m. 4,90 x 3,60. La pavimentazione ha sei fori circolari, di cui uno al centro, sicuramente per i pali che sostenevano il tetto e le pareti. Altri quattro fori su uno dei lati inferiori della pavimentazione indicherebbero l'alloggiamento dei sostegni per la porta d’ingresso, alta poco più di un metro. Altri fori all’esterno della capanna, sostenevano probabilmente una pensilina.
Per ulteriori informazioni: LA REGIA
LE CAPANNE DI ROMOLO E DI MARTE CON OPS (di Andrea Carandini)
ANTONIO NIBBY
ROMOLO NON ACCREBBE LA CITTA'
"Che Roma alla morte di Romolo non avesse ricevuto altri accrescimenti dopo la riunione con Tazio lo dimostra non solo il silenzio degli antichi, che di altro accrescimento non parlano; ma ancora l'asserzione di Plinio, che nel capo V. del III libro della sua Storia Naturale afferma che Romulo non lasciò alla sua morte la città con più di tre o quattro porte, il che mostra una estensione assai limitata.
D' altronde siccome vedremo nel progresso del discorso gli accrescimenti fatti a Roma da Numa, da Tulio, da Anco, e da Servio, necessariamente ne segue che alla morte di Romulo la città non comprendesse dentro le mura che i colli Palatino e Tarpejo, e la valle che divideva i due colli stessi.
Questo passo di Dionisio serve di dichiarazione all'altro di questo stesso scrittore riferito nella nona e da questo apparisce, che il Quirinale sotto Romulo cominciò solo ad abitarsi, ma non fu rinchiuso dentro le mura, come fra poco vedremo del Celio, che solo venne nel recinto rinchiuso da Tullo Ostilio, e che sotto Romulo non cominciò se non ad abitarsi.
Il monte Quirinale oggi si appressa di molto al Campidoglio non essendo disgiunto da esso che dal piano sul quale già si erse il magnifico Foro Traiano, più però dove accostarglisi ne' tempi antichissimi imperrocchè da Dione sappiamo che l'imperatore Traiano spianò una parte del colle per edificare il suo Foro, e per mostrare l'altezza della collina da lui abbattuta, e per servirgli da sepolcro, eresse la magnifica colonna coclide che ancora si ammira."
LA MORTE
Romolo scomparve nel nulla durante un eclissi di sole accompagnata da un temporale. Questo episodio venne interpretato come divino e confermava la discendenza del re dal Dio Marte. Questa interpretazione venne confermata dal patrizio Giulio Proculo, amico fedele del Re. Molti sospettarono un attentato da parte di alcuni senatori che avrebbero ucciso Romolo facendone sparire il cadavere, tesi probabile.
Romolo, al momento della scomparsa, aveva 55 anni ed avrebbe governato per 37 anni. Ma la sua esistenza è leggenda o realtà?
"D' altronde siccome vedremo nel progresso del discorso gli accrescimenti fatti a Roma da Numa, da Tulio, da Anco, e da Servio, necessariamente ne segue che alla morte di Romulo la città non comprendesse dentro le mura, che i colli Palatino e Tarpejo, e la valle, che divideva i due colli stessi."
Dai recentissimi scavi ai piedi del Palatino, è emersa un'area corredata di reperti preziosi che corrisponderebbe a una Reggia dell'VIII sec. a.c., che potrebbe senza dubbio essere la Reggia di Romolo, o comunque di chi per lui. Perchè alla base di ogni leggenda, come l'archeologia ha più volte dimostrato, c'è una realtà.
BIBLIO
- Plutarco - Vita di Romolo -
- Carlo de Simone. "Considerazioni sul nome di Romolo" - Andrea Carandini, Paolo Carafa (a cura di) - "Palatium e Sacra via" - Bollettino di Archeologia -
- Andrea Carandini - Roma il primo giorno - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- Appiano - Historia Romana - libri III e IV -
- Diodoro Siculo - Bibliotheca historica - libri IX-XIII -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane -
- Eutropio - Breviarium historiae romanae -
- Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC - Liber I -
- Giovanni Brizzi - Storia di Roma -.Dalle origini ad Azio - Bologna - Patron - 1997 -
- Massimo Pallottino - Origini e storia primitiva di Roma - Milano - Rusconi - 1993 -
- Livio - Ab Urbe condita libri -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Firenze - Sansoni - 1972 -
Regno: 753-715 a.c.
DOMANDE
- Quando nacque Romolo?
Romolo nacque nel 771 a.c. ad Albalonga
- Quando morì Romolo?
Romolo morì nel 715 a.c..
- Come si chiamava il fratello di Romolo?
- Come si chiamava il fratello di Romolo?
Il fratello di Romolo si chiamava Remo.
- Di chi era figlio Romolo?
Romolo era figlio del Dio Marte e della vestale Rea Silvia.
- Chi era il nonno di Romolo?
Il nonno di Romolo era Numitore, re di Albalonga.
- Chi fu che fece abbandonare i neonati Romolo e Remo nelle acque del Tevere?
Numitore fece abbandonare Romolo e Remo nel Tevere perchè un oracolo aveva previsto che gli avrebbero usurpato il trono.
- Da chi vennero allattati Romolo e Remo?
Romolo e Remo vennero allattati da una lupa.
- Da chi vennero allevati Romolo e Remo?
Romolo e Remo vennero allevati dal pastore Faustolo e da sua moglie Acca Larenzia.
- Come morì Remo?
Remo morì ucciso da suo fratello Romolo.
- Come morì Romolo?
Morì assunto in cielo durante una tempesta o, secondo altri, ucciso dai senatori.
- Cosa fece Romolo per Roma?
Stabilì il diritto di asilo per fuggiaschi ed errabondi, organizzò il Ratto delle sabine per trovare mogli ai romani, promulgò le leggi delle XII Tavole, governò insieme al re dei sabini unendo i due popoli, divise il popolo in tre tribù: Ramnes, Tities e Luceres che divennero patrizi mentre gli stranieri divennero plebei. Stabilì che le mogli non potessero lasciare i mariti ma potessero venire ripudiate.- Contro chi combattè Romolo?
Romolo combattè e vinse i Ceninensi, gli Antemnati, i Crustumeri e i Cameriani.
ROMOLO E REMO
"Sul terreno su cui sarebbe nata Roma, i due fratelli trassero gli auspici: nacque una lite tra i due, nel corso del quale Remo trovò la morte. Romolo tracciò un solco intorno al Palatino: era nata la Roma Quadrata."
ROMOLO |
Dopo la fondazione leggendaria della città, ritenuta il 21 Aprile del 753 a.c., Romolo, che derivò il suo nome dalla città, e non il contrario, ne divenne il primo Re. Era rappresentante dei Ramnes, cioè una tribù latina.
Plutarco racconta che un certo Lucio Taruzio, matematico, astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone avesse calcolato il giorno della nascita dei due gemelli Romolo e Remo: il 24 marzo del 771 a.c., nel qual caso i gemelli avrebbero fondato Roma all'età di 18 anni.
La leggenda narra che Romolo e Remo erano figli del Dio della guerra Marte, invaghitosi della vestale Rea Silvia, figlia di Numitore, re di Albalonga, a sua volta discendente di Enea.
La pre-leggenda
- La preleggenda è che l'eroe troiano Enea, figlio di Venere, scampato col padre Anchise e col figlio Ascanio alla strage dei troiani dopo la distruzione di Troia, naviga finchè non approda nel Lazio.
- Qui viene accolto dal re Latino, da sua moglie Amata e da sua figlia Lavinia, di cui Enea si innamora. Ma Lavinia è promessa a Turno, re dei Rutuli, pertanto non può sposare Enea che non si rassegna ed entra in guerra col rivale.
- Esiste però un oracolo secondo cui l'unione di Lavinia con uno straniero avrebbe dato origine a una stirpe con alti destini. Per cui il re latino rompe la promessa con Turno. Il conflitto si estende, Enea ha dalla sua i Latini e trova alleanza presso le popolazioni greche che abitano il Palatino, guidate da re Evandro e suo figlio Pallante, dall'altra Rutuli, Volsci ed Etruschi.
- Dopo vari eccidi, tra cui quello di Pallante ucciso da Turno e la morte di re Latino, si decide sul singolo combattimento tra Enea e Turno.
- Enea vince e sposa Lavinia, poi fonda Lavinio. Come nell'Iliade tutto accade per una donna, mai per impossessarsi di un territorio, sarà vero?
Comunque il tempo passa e tra Lavinia e Ascanio, figlio di Enea, non corre buon sangue, perchè Enea è morto e Lavinia regna sui latini e su Lavinio.
Il che dimostra l'epoca di retaggi matriarcali, visto che una donna può regnare. Lavinia fugge e genera Silvio, antenato di Romolo e Remo, mentre Ascanio, antenato di Numitore, va a fondare Albalonga.
Dunque Romolo discende da Enea per parte di madre, e Iulo Ascanio sarà il capostipite della Gens Iulia, almeno così sostenne Giulio Cesare.
« Nella sesta olimpiade, ventidue anni dopo che era stata istituita la prima, Romolo figlio di Marte, dopo aver vendicato le offese recate al nonno, durante le feste in onore della dea Pale fondò Roma sul Palatino. » (Velleio Patercolo - Sroria Romana)
Non appena nominato re Romolo dovette combattere contro i Ceninensi, gli Antemnati e i Crustumini, vincendoli e sottomettendoli. Poi si battè coi Sabini.
Livio, in Ab Urbe condita, racconta che:
"Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e favorire l'unione di nuovi matrimoni. All'ambasceria non fu dato ascolto da parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano per loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un simile potere."
Romolo prima di tutto fortificò il monte Palatino, dov’era stato allevato; sacrificò ad Ercole secondo il rito dei Greci e agli altri Dei secondo il rito degli Albani. Compiuta secondo i riti la sacra cerimonia, Romolo si preoccupò di popolare la sua città. Offrì perciò asilo e protezione a tutti quelli che non potevano più vivere dove si trovavano: malandrini, briganti, debitori che non pagavano, gente che era odiata o perseguitata, o chiunque fosse povero nella sua terra e cercasse di meglio, insomma aprì le porte all'immigrazione.
Le XII tavole
"La famosa tavola di bronzo antichissima, dove è riferita la Legge Regia degl'antichi, adornata attorno con nobil cornice di marmo pavonazza. Questa pesa 2147 libre ed è del seguente tenore - SENATUS POPULUSQUE ROMANUS. -" Una lapide ricorda che essa fu portata dal Laterano al Campidoglio da papa Gregorio 13°, e infatti ancora lì è conservata, attualmente in restauro.
Di lui Dionigi (I sec. a.c.) scrisse:
« Censurò tutti quei miti che si tramandano sugli dèi, in cui erano offese e accuse contro di essi, ritenendoli empi, dannosi, offensivi e non degni degli dèi e neppure degli uomini giusti. Prescrisse inoltre che gli uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel modo più rispettoso possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna della loro natura divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu evirato dai figli né che Crono massacrò i figli per paura di essere detronizzato, che Zeus pose fine alla supremazia di Crono, che era suo padre, rinchiudendolo nelle carceri del Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né ferite, né patti, né la loro servitù presso gli uomini. »
(Dionigi di Alicarnasso)
Secondo altre fonti reperite dallo studioso Andrea Fulvio (1638) Romolo fece un lungo dicorso ai suoi cittadini:
"Valorosi uomini, l'apparente forma che voi vedete d'una Città novella è stata fortificata dalle vostre forti mani di bastioni ma ella ha ancora bisogno di fortificamenti. Se noi saremo d'accordo; noi insieme, benché pochi, senza armi, nondimeno oggi la difenderemo"
Disse ancora molte altre cose nella medesìma sentenza; gli esortò a beneficamente vivere; publicò alcuni decreti come leggi in quel tempo a quella Città molto accommodati; utili di quella maniera cioè:
- Che non facessero cosa alcuna senza prima prenderne gli auspicij
- Che i loro padri avessero ad intervenire ne magistrati, ne sacrificij
- Che i plebei cultivassero il contado
- Che i Re potessero disporre di tutte le cose sacre
- Che i padri le havessero in custodia.
- Che il popolo havrebbe a creare i magistrati
- Che tutti fussero tenuti d apprender le leggi; deliberare della guerra
- Che non si presta fede alle favole che degli Iddij ti dicono.
- Che non s'adorassero gli Iddij forestieri da Fauno in fuora.
- Che di notte non si potesse vegliare ne far ritirata dentro a templi.
- Che gli uxoricidi fossero decapitati.
- Che niuno ardisse dire parole disoneste in presenza di donne.
- Che ciascuno andasse con la toga lunga infin sopra i talIoni per la Città
- Che i parti mostruosi senza fraude alcuna fussero uccisi
- Che niuno potesse ne entrare ne potesse uscire della Città se non per le porte ordinarie
- Che le mura di quella fussero sàcrosànte
- Che quella donna che fue legitiniamente maritata s'intende partecipi per metà de beni; delle cose sacre del marito; si come egli era Signor di casà cosi ella era Signora; come la figliuola heredita il padre cosi ella fusse herede del morto marito
- Che quclla che fusse convinta di adulterio il marito; i parenti la potessero ammazzare come a lor piaceva.
- Che bevendo vino in casa ella fusse punita come adultera
- Che i padri havessero libera, piena autorità sopra figliuoli di confinarli, venderli, ammazzarli.
Numa Pompilio mitigò in gran parte la crudeltà di cotali decreti che in versì erano scntti; cosi ordinò certe leggi fondate su la equità, bontà molto accommodate; così fecero gli altri Re che dopo lui seguitarono ma sopra ogni altro Servio Tullio.
Furono di poi pubblicatc le leggi delle XII Tavole; confitte in piazza.
Stabilita per tanto la Città con queste leggi mediante i buoni costumi; le buone arti lungamente fiori; massimamente mediante la clementia. Perchè vennero in tanta grandezza che molti popoli spontaneamente senza alcuna violenza d'arme si diedero a Romani.
Queste furono le arti mediante le quali col favore de gli Dei sempre furono vincitori; fortissimi reputati; perciò ne la Città mantenne la libertà, la giustizia, accrescendo di giorno in giorno, diventando pel concorso delle genti ogni giorno più populosa; concorrendovi genti di tutto il mondo se ne fece una Città perpetua regina dell altre; capo dell'universo.
Romolo lasciò Roma con tre porte; come a molti piace con quattro.
Stabilita per tanto la Città con queste leggi mediante i buoni costumi; le buone arti lungamente fiori; massimamente mediante la clementia. Perchè vennero in tanta grandezza che molti popoli spontaneamente senza alcuna violenza d'arme si diedero a Romani.
Queste furono le arti mediante le quali col favore de gli Dei sempre furono vincitori; fortissimi reputati; perciò ne la Città mantenne la libertà, la giustizia, accrescendo di giorno in giorno, diventando pel concorso delle genti ogni giorno più populosa; concorrendovi genti di tutto il mondo se ne fece una Città perpetua regina dell altre; capo dell'universo.
Romolo lasciò Roma con tre porte; come a molti piace con quattro.
(Andrea Fulvio - Antichità di Roma - 1638)
RUPE TARPEA |
LA RUPE TARPEA
Ma qui sorge un altro mito, quello della vestale, Tarpeia, figlia del comandante della rocca Spurio Tarpeio, che corrotta con un paio di bracciali d'oro da Tito Tazio, aprì le porte del Campidoglio a un drappello di armati. Per ringraziamento i Sabini la schiacciarono coi loro scudi.
Occorre precisare che la rupe Tarpea era dedicata anticamente alla Signora delle selve, da Tharphos, greco che significa appunto selva boscaglia. Tanto più che il vezzo di buttare la gente dalla rocca è prettamente greco e sicuramente già vigeva.
Non a caso poi vi si rinvenne la testa di una Dea che rivestì il ruolo di Roma caput mundi. E la testa fu rinvenuta proprio sulla rupe Tarpea, e in questo mito l'augure raccomanda di non rivelare il luogo della scoperta. Come mai?
Tanto è vero che di diversi Re di Roma si ignora la paternità, solo perchè all'epoca si diventava re in quanto figli o mariti di una regina. Per Romolo il padre diventa Marte, ma in realtà è figlio di una sacerdotessa vestale, Rea Silvia.
I miti, si sa, vengono sempre mutati dai vincitori, ma di quella reminiscenza matriarcale Roma se ne avvantaggerà, producendo la cosiddetta Pietas Romana, che tanta civiltà portò nel mondo barbaro.
Insomma Sabini e Romani decisero di finirla ponendo a capo, Mezio Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani. Quest'ultimo morì in battaglia e i Romani le presero di santa ragione. Però Romolo, invocando Giove e promettendogli un tempio, contrattaccò e vinse. Fu allora che le donne sabine si posero tra i contendenti chiedendo la pace.
Plutarco in Vita di Romolo, racconta che:
"Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio."
Le donne dei Romani non avrebbero mai osato tanto, per questo la faccenda parve incredibile, solo le Sabine, abituate al rispetto dei maschi avrebbero potuto.
Insomma le competizioni e le battaglie iniziali ci furono, tanto più che i Sabini erano di stampo matriarcale al contrario dei Latini già patriarcali, rimaneggiate in "il ratto delle sabine". Più credibile che stanchi di combattere i due popoli stringessero alleanza, estendendola anche agli etruschi.
Romolo ratificò infatti l'alleanza sposando una sabina, una certa Ersilia, da cui ebbe una figlia, di nome Prima ed un figlio, di nome Avilio, che però non si sa che fine fecero.
IL RATTO DELLE SABINE
Plutarco, Vita di Romolo, 14,5:
"Il segnale convenuto per l'assalto era questo: Romolo si sarebbe alzato, avrebbe ripiegato il mantello, poi l'avrebbe di nuovo indossato. Molti armati di spada con gli occhi fissi su di lui, al segnale sguainano le spade e urlando si slanciano sulle figlie dei Sabini"
Insomma i Romani erano a corto di donne, non si sa perchè, a meno che, come in tanti popoli primitivi dediti alla guerra, le bambine venissero in parte eliminate, per cui decisero di rapire le Sabine.
Romolo dette ordine di non toccare le vergini per tutta la notte e di portargliele il giorno dopo. Le Sabine erano rabbiose e disperate. Romolo spiegò che non le avevano rapite per violentarle ma per sposarle e che fosse una nobile usanza greca, un bel modo per contrarre matrimonio. I greci rapivano le donne per sposarle?
Forse si, perchè nel sud Italia, in Sicilia, fino a non molto tempo fa usava la "fuitina" la piccola fuga, degli innamorati, affinchè, consumato l'accoppiamento, costringesse i parenti ad acconsentire all'unione. E il sud Italia è quanto mai greco.
Sembra che i Romani però cercassero di corteggiarle trattandole degnamente, e c'è da crederlo, perchè all'epoca le donne erano abituate al rispetto, non a caso quando questo venne meno in epoca greca, molte di loro si fecero Amazzoni conquistando, come asserì Giulio Cesare, tutta l'Asia.
Quindi pian piano le donne accettarono i matrimoni mentre i Sabini ci pensarono su, e ci pensarono parecchio, visto che quando mossero guerra le donne avevano già figli. Perchè passarono tanti mesi la storia non lo dice, o semplicemente il mito è inventato e vi fu guerra tra i due popoli seguita dalla pace.
Comunque il mito prosegue raccontando che le donne sabine, allo scontro tra i due popoli, uscirono dalla città vestite a lutto. Alcune con in braccio o al seguito i bambini piccoli. Raggiunsero piangendo il campo dei Sabini e il consiglio degli anziani, e qui si gettarono ai piedi del re. I Sabini le rimproverarono, infine si decise per la pace.
Però altre fonti, tra cui Plutarco, pure facendo un racconto analogo, dichiarano che le donne accorsero si con i figli, ma fecero i versi della guerra minacciando sia mariti che padri, e altre invece cercarono di rabbonire i padri mostrando i pargoli. Il che convince di più perchè le sabine erano all'epoca abbastanza libere e rispettate. Tanto è vero che posero delle condizioni.
I Romani dovettero infatti stabilire per contratto il trattamento delle donne:
- non dovranno mai lavorare per i loro mariti, salvo filare la lana;
- per la strada gli uomini dovranno cedere loro il passo;
- nulla di sconveniente sarà detto a loro o in loro presenza;
- nessun uomo potrà mostrarsi nudo davanti a loro;
- i loro figli avranno una veste speciale (praetexta) e un ciondolo d'oro (bulla aurea) che li renderanno sacri e inviolabili.
Il che fa pensare che vennero adottate le usanze sabine, che d'altronde avevano reminiscenze matriarcali, peccato che questi diritti vennero poi dimenticati. Solo il tanto criticato impero romano farà tornare un trattamento più umano ed equo sia per le donne che per i figli, trattamento che cadrà di nuovo nell'inciviltà con l'avvento del cristianesimo.
"Non viene pattuita solo la pace, ma anche la fusione dei due popoli. Il regno diventa uno solo. Furono istituite anche le tre centurie di cavalieri, Ramnensi da Romolo, Tiziensi da Tazio e, quanto ai Luceri, è incerta l'origine. Da allora i due re esercitarono il potere non solo in comune ma anche in perfetta concordia." (T. Livio I,13).
SIR AVILLIAM GELL - MEMBRO DELL.' ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOCIA DELLA SOCIETA' REALE E DELLA. SOCIETÀ' DEGLI ANTIQUARI DI LONDRA -
- ILLUSTRATE CON TESTO E NOTE DA A. N I B B Y
- PUBLICO PROFESSORE DI ARCHEOLOGIA NELL'ARCHIGINNASIO ROMANO -
- MEMBRO ORDINARIO DELL'ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA -
- CORRISPONDENTE DELL' ACCADEMIA REALE ERCOLANESE - ROMA - 1820.-
Ratto Delle Sabine
"Dionisio nel libro II pag. 100. il dimostra, il quale dice, che la festa istituita da Romulo, e poi dai Romani continuata a celebrare fino ai suoi tempi, e chiamata Consualia consisteva nel fare un sacrificio sopra un' ara sotterranea presso il Circo Massimo, la quale scavasi intorno; e questo sacrificio veniva seguito da corse di cavalli accoppiati e sciolti: che il Dio in onore del quale queste cose facevansi era Conso dai Romaui chiamato, che equivaleva al Nettuno de' Greci, e perciò sotterranea era l'ara, come quella del Dio scuotitore della Terra, ma altri credevano che Conso non fosse che un Genio presidente ai consigli segreti: si determina concordemente nel Circo Massimo.
Plutarco, che nella "vita di Romulo" di questo stesso altare di Conso parlando lo dice da Romulo fatto a bella posta trovare: Ma la guerra contro l'esercito riunito de' Sabini condotti da Tazio Re di Curi fu più dubbiosa, e micidiale per Roma: imperciocchè il Re Sabino per assalire la città stessa colle sue forze non attese che Romulo venisse a devastare il suo territorio.
Questi dall'altro canto non conoscendosi forte abbastanza per andare ad attaccare il nemico, lo aspettò a pie fermo, e per maggior sicurezza della città rialzonne le mura, fortificò con fosse, e terrapieni l'Aventino ed il monte Saturnio poi detto Capitolino, che erano più vicini alla sua città, e quasi la dominavano, e ricevuti soccorsi dalla Etruria, e da Numitore suo nonno.
Si è veduto di sopra, che le prime mura di Roma per gli autori non sembra che fosse altro che una palizzata. Forse però dopo il ratto delle Sabine saranno state costrutte più solide, poiché Dionisio dove parla de' preparativi fatti da Romulo contro Tazio, dice, che per rendere il Muro del Palatino più sicuro a quei di dentro lo alzò con terrapieni più alti: poi uscì ad accamparsi sull'Esquilino con una parte de' suoi, lasciando il Quirinale in guardia de'suoi alleati gli Etruschi.
Si nomina pure poco dopo un Lucumone da Sorano città della Etruria, uomo valoroso, e nelle cose di guerra illustre: Dionisio continua: Le posizioni militari scelte da Romulo in tale occasione non potevano essere più saggiamente prese, se si considerano le località; mentre avea fortificato il monte Capitolino e l'Aventino, che più degli altri al Palatino accostavansi, e vi avea posto truppe in guardia, egli col nerbo delle truppe e degli alleati coprì Roma verso il nord, e nord est occupando il Quirinale, e l'Esquilie, che più agio gli davano ai movimenti militari essendo meno ineguali, ed assai spaziosi.
Tazio non potendo avvicinarsi a Roma per le colline, che erano, come si è detto, occupate da Romulo e dagli Etrusci, sboccò colle sue genti nella pianura in seguito chiamata Campo Marzio e pose i suoi alloggiamenti sotto il monte Saturnio. Questo colle, che era più dappresso a Roma, e perciò era stato meglio degli altri fortificato, veniva guardato da una mano dì gente capitanata da Tarpejo.
Contro questo monte si rivolse Tazio, considerandolo come il punto più importante per poter battere Roma, e pervenne ad impadronirsene, sia per tradimento, come l'opinione generale pretende, sia per sorpresa: e siccome in questa fatto ebbe gran parte Tarpeja , figlia dì colui, che vi commandava, perciò da quella epoca il monte ottenne il nome di Tarpejo, nome che rimase sempre ad una parte di esso ( quantunque il resto dopo prendesse altra denominazione dì Capitolium ), e fu quella, che riserbata al supplizio de' rei continuò ad appellarsi la rupe, o il sasso Tarpejo, siccome si appella tutt'ora.
All' avviso della espugnazione di un posto così importante Romulo co' suoi alleati venne in soccorso di Roma, e cercò di riprendere il colle perduto ma fu indarno, che rimasto egli stesso ferito nella pugna, e morto Lucumone, capo degli Etrusci, i Sabini attaccarono la città stessa .
MONETA DI ROMOLO CON CERERE SEDUTA E IL SERPENTE |
Sono varie le opinioni degli antichi sopra Tarpeja, e sopra la presa del Campidoglio fatta dai Sabini , le quali possono leggersi in Dionisio, in Livio e in Plutarco nella vita di Romulo.
Che poi il monte venisse denominato Tarpejo, e continuasse cosi a chiamarsi fino alla fondazione del Tempio di Giove Capitolino da Tarrjuinio , nella quale occasione il monte dissesi Capitolium e la rupe dalla quale si gittavano i rei conservò sola il nome di Tarpeja, lo mostra Plutarco in questi termini nella vita di Romulo.
Tra i due popoli la concordia fu istantanea o completa, e da un tale avvenimento, il sito, nel quale venne conchìiiso il trattato fu detto Via Sacra. Dionisio, che di questa concordia parla più a lungo, racconta, che secondo il trattato, Romulo co' suoi Romani rimase padrone della Roma primitiva: Tazio co' Sabini si stabili sul colle Tarpejo e per addizione, siccome i due popoli non aveano spazio sufficiente, una parte del Quirinale, e del Celio fu loro assegnata dove questi due colli più vicini si trovano al Tarpejo ed al Palatino.
Ma dobbiamo qui prevenire il lettore, che con ciò non vuol credersi da noi, che il Quirinale, ed il Celio fossero chiusi nelle mura imperciocché gli antichi vanno d' accordo nell'assicurarci, che dopo la riunione de' Romani a' Sabini il solo monte Capitolino, o Tarpejo fu colla valle intermedia riunito al Palatino con mura.
Infatti Dionisio dice che questa pace si concluse verso la metà della Via. Cosi per rendere Dionisio analogo a se stesso, e concorde con ciò, che Tacito racconta va inteso ciò che dice nel libro II. questa valle era allora ingombrata da boschi, e dalla palude accennata di sopra, la quale venne riempiuta, ed i boschi furono tagliati i e trovandosi posta tra i due colli, fu deciso, che servirebbe loro di mercato, o Foro in comune.
Secondo questo racconto è ragionevole supporre, che dal Palatino al Tarpejo fossero dirette due cortine di mura, le quali continuando sul ciglio delle rupi verso il Campo Marzio, vennero a chiudere.
Si vegga il passo citato di Dionisio nella nota precedente, e quello che questo stesso Scrittore dice. parlando del Tempio di Vesta stabilito da dentro tutto intiero il Tarpejo: nello stesso tempo questo accrescimento rese inutile quella parte del muro primitivo di Roma, che dominava il Foro ma forse questa non venne tosto abbattuta.
I due Re governarono pacificamente parecchi anni i loro popoli riuniti e pare che la concordia non fosse in guisa alcuna alterata ma è facile giudicare che l'ambizione di Romulo non vedesse di buon occhio la sua autorità divisa, e per conseguenza è da credersi, che se non fu 1' autore, almeno fomentò le differenze che insorsero fra Tazio e i Laurenti, le quali finirono coll'assassinio del Re Sabino: che se di ciò non abbiamo una prova diretta, l'indifferenza, che mostrò Romulo nella morte del suo collega, fa molto sospettare della sua fede.
Ciò deve credersi per la gelosia, che fra i due Re dovea regnare, e soprattutto per i passi di Livio, e di Ovidio, che nominano la porta del Palatino, che più sotto vedremo essere la Mugonia, esistente ancora ai tempi loro; ed è appunto questa la porta, che stava nel lato del colle, che sovrastava al Foro, che veniva designata col nome di Porta vetus Palata.
Livio nel capo VI. del I libro cosi narra questa morte "Però non produsse alcun cangiamento nel recinto, che rimase lo stesso fino alla morte di Romulo avvenuta a 71 anni avanti dell'era volgare, alla quale epoca Roma non chiudeva dentro le mura, che il Palatino, ed il Tarpejo, e la valle, che separa i due colli. "
Dionisio nel libro II narra lo stesso avvenimento con più lunghi particolari, ma con poca varietà, e chiama Laviniati quelli che Livio appella Laurenti, ed aggiunge che la morte di Tazio avvenne 1'anno VI del suo regno con Romulo.
Plutarco va di accordo con Dionisio, e con Livio, e fa Laurenti gli offesi dai seguaci di Tazio, e Lavinio il luogo della uccisione sua siccome Livio: quindi aggiungendo i sospetti, che corsero in questo affare circa Romulo, soggiunge, che ciò non alterò punto la buona armonia de'Sabini dimoranti in Roma, i quali altri per amore, altri per timore restarono quieti.
Il regno pacifico di Nama Pompilio quantunque non accrescesse la popolazione dì Roma con mezzi violenti, come il suo predecessore, pure favorì molto al suo aumento, cosicché fu di bisogno aggrandire il recinto. Del che abbiamo una prova in Dionisio, il quale ci assicura, che Numa ampliando le mura della città chiuse dentro il monte Quirinale, fin allora stato senza difesa.
Ma a Dionisio si oppone Livio, che dice il Quirinale essere stato riunito a Roma dall'aver ricevuto altri accrescimenti dopo la riunione con Tazio, il dimostra non solo il silenzio degli antichi, che di altro accrescimeuto non parlano; ma ancora fa asserzione di Plinio, che nel capo V. del III. libro della sua Storia Naturale afferma che Romulo non lasciò alla sua morte la città con più di tre o quattro porte, il che mostra una estensione assai limitata.
D' altronde siccome vedremo nel progresso del discordo o li accrescimenti fatti a Roma da Numa, da Tulio, da Anco, e da Servio, necessariamente ne segue che alla morte di Romulo la città non comprendesse dentro le mura che i colli Palatino e Tarpeo e la valle che divideva i due colli stessi.
Questo passo di Dionisio serve di dichiarazione all' altro, di questo stesso scrittore riferito nella nota e da questo apparisce, che il Quirinale sotto Romulo cominciò solo ad abitarsi, ma non fu rinchiuso dentro le mura, come fra poco Servìo Tullio ed in tale discordia non si trova altro mezzo da conciliare i duo autori, che supponendo avere Numa cinto soltanto di mura quella parte del colle Quirinale, che più a Roma, o per dir meglio al monte Tarpejo accostavasi, lasciando il resto di fuori.
Imperciocché la estrema lunghezza vedremo del Celio, che solo venne nel recinto rinchiuso da Tullo Ostilio, e che sotto Romulo non cominciò ad abitarsi. Il monte Quirinale oggi si appressa di molto al Campidoglio."
LA PUBBLICAZIONE DELLE XII TAVOLE |
LA VERSIONE DI ANTONIO NIBBY (grande storico archeologo dell'800)
"Ma la guerra contro l'esercito riunito dei Sabini condotti da Tazio Re di Curi appare incerta e micidiale per Roma: imperciocchè il Re Sabino portossi ad assalire la città stessa colle sue forze, e non attese che Romulo venisse a devastare il suo territorio. Questi dall'altro canto non conoscendosi forte abbastanza per andare ad attaccare il nemico, lo aspettò a pie fermo, e per maggior sicurezza della città rialzonne le mura, fortificò con fosse, e terrapieni l'Aventino ed il monte Saturnio poi detto Capitolino, che erano più vicini alla sua città, e quasi la dominavano, e ricevuti soccorsi dalla Etruria, e da Numitore suo avo, uscl ad accamparsi sull'Esquilino con una parte de' suoi, lasciando il Quirinale in guardia de' suoi alleati, gli Etruschi.
Romulo mentre avea fortificato il monte Capitolino, e l'Aventino, che più degli altri al Palatino accostavansi, e vi avea posto truppe in guardia, egli col nerbo delle truppe e degli alleati coprì Roma verso il nord, e nord est occupando il Quirinale e l'Esquilie, che più agio gli davano ai movimenti militari essendo meno ineguali, ed assai spaziosi.
Tazio non potendo avvicinarsi a Roma per le colline, che erano, come si è detto, occupate da Romulo, e dagli Etrusci, sboccò colle sue genti nella pianura in seguito chiamata Campo Marzio, e pose i suoi alloggiamenti sotto il monte Saturnio. Questo colle, che era più dappresso a Roma, e perciò era stato meglio degli altri fortificato, veniva guardato da una mano dì gente capitanata da Tarpejo. Contro questo monte si rivolse Tazio, considerandolo come il punto più importante per poter battere Roma, e pervenne ad impadronirsene, sia per tradimento, come l'opinione generale pretende, sia per sorpresa: e siccome in questo fatto ebbe gran parte Tarpeja, figlia dì colui che vi comandava, perciò da quella epoca il monte ottenne il nome di Tarpejo, nome, che rimase sempre ad una parte di esso (quantunque il resto dopo prendesse altra denominazione dì Capitolium), e fu quella, che riserbata al supplizio de' rei continuò ad appellarsi la rupe, o il sasso Tarpejo, siccome si appella tutt' ora.
Romulo mentre avea fortificato il monte Capitolino, e l'Aventino, che più degli altri al Palatino accostavansi, e vi avea posto truppe in guardia, egli col nerbo delle truppe e degli alleati coprì Roma verso il nord, e nord est occupando il Quirinale e l'Esquilie, che più agio gli davano ai movimenti militari essendo meno ineguali, ed assai spaziosi.
Tazio non potendo avvicinarsi a Roma per le colline, che erano, come si è detto, occupate da Romulo, e dagli Etrusci, sboccò colle sue genti nella pianura in seguito chiamata Campo Marzio, e pose i suoi alloggiamenti sotto il monte Saturnio. Questo colle, che era più dappresso a Roma, e perciò era stato meglio degli altri fortificato, veniva guardato da una mano dì gente capitanata da Tarpejo. Contro questo monte si rivolse Tazio, considerandolo come il punto più importante per poter battere Roma, e pervenne ad impadronirsene, sia per tradimento, come l'opinione generale pretende, sia per sorpresa: e siccome in questo fatto ebbe gran parte Tarpeja, figlia dì colui che vi comandava, perciò da quella epoca il monte ottenne il nome di Tarpejo, nome, che rimase sempre ad una parte di esso (quantunque il resto dopo prendesse altra denominazione dì Capitolium), e fu quella, che riserbata al supplizio de' rei continuò ad appellarsi la rupe, o il sasso Tarpejo, siccome si appella tutt' ora.
La pugna ricominciò più furiosa nella valle fra i due colli Palatino, e Capitolino ; ivi Mezio Curzio , che comandava la cavalleria Sabina, inesperto de' luoghi, trovossi intrigato in una palude, che esisteva fra i due colli, e che dopo tale avvenimento fu detta il Lago Curzio: la battaglia insensibilmente erasi portata verso la estremità del monte, che poi prese il nome di via Sacra, e continuava incerta, ed accanita, quando un nuovo stratagemma fu posto in opera da Romulo, di far uscire le donne perchè fossero mediatrici fra i loro padri, e i mariti: il ritrovato di Romulo andò a seconda de' suoi desideri la pacificazione fra i due popoli fu istantanea o completa, e da un tale avvenimento, il sito, nel quale venne conchìuso il trattato fa detto Via Sacra.
Dionisio, che di questa concordia parìa più a lungo, racconta, che secondo il trattato, Romulo co' suoi Romani rimase padrone della Roma primitiva: Tazio co' Sabini si stabili sul colle Tarpejo e per addizione, siccome i due popoli non aveano spazio sufficiente, una parte del Quirinale, e del Celio fu loro assegnata dove questi flue colli più vicini si trovano al Tarpejo, ed al Palatino."
RICONCILIAZIONE TRA ROMOLO E TITO TAZIO |
I DUE RE
Infatti Roma venne governata da due Re che necessariamente dettero alla città un nuovo ordinamento, dividendo la popolazione in tre “tribù”:
- i Ramnes, formata dai latini,
- i Tities, formata dai sabini,
- i Luceres, formata dagli etruschi.
Il consiglio degli anziani, che coadiuvava il Re e ne decideva l'elezione, venne portato a 200 membri. Scelti fra le famiglie più importanti, i “Patres”, determinò il nome “patrizi”, divenendo in seguito il “Senato”.
Ogni curia doveva contribuire all’esercito, fornendo una “centuria” di 100 fanti e una “decuria” di 10 cavalieri: in tutto dunque l’esercito era formato da 3000 fanti e 300 cavalieri, sotto il comando del re.
Di Tito Tazio non si parla mai, ma egli fu re insieme a Romolo, per cui i sette re di Roma furono in definitiva otto. Re Tazio si stabilì con il popolo sabino sul Quirinale mentre i romani rimasero sul Campidoglio.
Qualche anno dopo, alcuni parenti di Tazio maltrattarono gli ambasciatori dei Laurenti che fecero appello al diritto delle genti. Tazio appoggiò i consanguinei ma non la giustizia, per cui il castigo divino non tardò a venire: mentre era a Lavinio, intento a un solenne sacrificio, fu sorpreso dagli avversari e ucciso.
Tito Livio commenta: "Si dice che Romolo abbia accettato quell'evento con minor dolore di quanto fosse giusto attendersi, forse a causa di quella divisione del potere che lo lasciava poco tranquillo, forse perché riteneva che Tazio fosse stato ucciso, tutto sommato, giustamente".
Insomma Tito Tazio morì presto, forse in un’imboscata presso Lavinio, e lasciò Romolo unico re che stabilì un nuovo luogo dove riunire le assemblee: il Foro, una pianura alla base del Campidoglio, che era stata prosciugata dagli Etruschi dalle acque insalubri.
ROMOLO
« Nella sesta olimpiade, ventidue anni dopo che era stata istituita la prima, Romolo figlio di Marte, dopo aver vendicato le offese recate al nonno, durante le feste in onore della Dea Pale fondò Roma sul Palatino. »
(Velleio Patercolo, Storia romana, II, CXXXI)
L'annalista Lucio Pisone Frugi, console nel 133 a.c. raccontava che Romolo era molto sobrio nel consumo del vino.
Romolo in qualità di re prese a guardia personale 12 littori, poi scelse 100 senatori e i loro discendenti si chiamarono patrizi. Così divise Roma in due classi, i patrizi e i plebei, in base alle origini nobili o meno delle persone ma non in base alla ricchezza. I plebei non avevano diritti politici e l’unico modo per tutelarsi era diventare “clienti” di un patrizio, fornendogli servizi in cambio di sussistenza e protezione. I patrizi erano la classe minore ma governativa, e i senatori continuarono ad essere scelti tra i patrizi.
Romolo fu un capo politico e religioso, ma anche militare annettendo a Roma nuovi territori, conquistati all’etrusca Veio e alla latina Fidene. Come capo religioso controllò le festività e gli Dei da onorare, in pratica tutto il calendario. Fu chiamato Romolo Quirino perchè assimilato al Dio sabino Quirino, anche se alcuni autori non sono d'accordo, ma molte cose lo fanno pensare, ad esempio che il colle Quirinale fu abitato per lungo tempo dai Sabini, e che qui eressero il tempio al Dio Quirino, e il fatto che Cures fosse il nome di una città sabina, e che Quirino fosse protettore delle Curie, che da lui presero il nome.
I Fidenati, che avevano attaccato Roma, furono sconfitti con uno stratagemma. I legionari romani, in inferiorità numerica, avevano infatti finto una ritirata con lo scopo di portare il nemico allo scoperto. I Fidenati caddero nel tranello e furono annientati con un contrattacco a sorpresa.
ROMOLO UCCISORE DI ACRONE, PORTA LE SUE SPOGLIE AL TEMPIO DI GIOVE |
ANNALI DI ROMA, DALLA SUA FONDAZIONE A' DI' NOSTRI
"I Ceninesi i Crustominii e gli Antennati eran popoli che in parte sofferta avevano l'ingiuria commessa da Romolo. Troppo lentamente parve ad essi che Tazio ci suoi Sabini si diportassero in quella impresa. Si riunirono pertanto e tutti tre risolsero di portare ai Romani la guerra. Quindi ne i Crustominii nè gli Antennati corrispondendo al desiderio dei Ceninesi cioè di assalire Roma senza più indugiare impresero soli ad eseguirne il disegno.
Nerone loro Re si pone alla testa dell'esercito s'inoltra sul territorio Romano e gli dà il sacco. Non si tosto ne ha Romolo la notizia che accorre con le sue legioni presenta battaglia ai nemici li pone in rotta, uccide Acrone di propria mano e lo spoglia prende la nemica Città e con la facilità di questa impresa fa vedere quanto vano sia lo sdegno privo di forza.
Esultante per il prospero evento taglia Romolo un grosso ramo di quercia e appende sul medesimo le spoglie del vinto Re. Quindi ricopertosi di veste purpurea e cinto il crine di corona d'alloro erge di propria mano il trofeo della vittoria e sfilando l'esercito in ordine di battaglia marciava trionfante a Roma fra i canti d'inni e di rozzi versi militari. Questa fu l'origine dei trionfi magnifici dei Romani.
Per eternare una si lieta giornata salì Romolo il vicino Monte Saturno detto Campidoglio disegnò un luogo per innalzarvi un Tempio a Giove sotto il titolo di Feretrio onde collocarvi le spoglie di Acroiie siccome poi avvenne e le altre che riportate avessero i suoi Successori i quali di propria mano uccidessero un Re o Generale nemico.
La parola Feretrio secondo Plutarco deriva dal verbo ferire usato dai Romani. Gli stendardi di guerra inventati da Romolo erano manipoli di fieno legati sopra delle pertiche. Essi eran varii fra loro per distinguere la diversità di quelli che militavano sotto ciascuno stendardo. I militari appellavansi manipolari per cagione dei divisati manipoli.
Nella morte di Romolo usavansi ancora siffatti stendardi. Del Tempio edificato da Romolo a Giove Feretrio racconta Dionigi che a suoi giorni vedevansi ancora le vestigia ed era così piccolo e stretto che le sue mura non erano più lunghe di quindici piedi."
BATTAGLIA TRA ROMANI E VEIENTI - CAVALIERE D'ARPINO |
I VEIENTI
"La III guerra sostenuta da Romolo dopo la morte di Tito Tazio fu coi Vejenti. Vejo distava da Roma nella parte settentrionale circa cento stadj che da Rollin si ragguaglia a quindici miglia ed il suo territorio era limitrofo a quello di Roma. Situata questa in alta e scoscesa rupe assai popolosa c ricca era la più possente città dei dodici popoli Etnischi.
Pretendevano i Vejenti che i Romani togliessero il presidio lasciato in Fidene capitale d'Etruria e che al popolo di questa Città si restituisse il dominio sui proprj beni. Che questo fosse un pretesto a colorire ch'eglino mossi erano da gelosìa, attesa la crescente potenza Romana, è facile a dedursi dalla promossa dimanda tanto ingiusta quanto ridicola imperocchè non avendo essi dato verun soccórso ai Fidènati quando trovavansi oppressi dalla guerra era vana la pretensione di riavere i beni de vinti passati in mani dei vincitori.
Ne avvenne per conseguenza che i loro Ambasciatori spediti a Roma con tali pretese tornassero senz'aver nulla ottenuto ed anzi con risposte ingiuriose e sprezzanti. Allora i Vejenti si mossero con forte armata e posero i loro accampamenti in luogo occulto vicino a Fidene. Informato Romolo di questa mossa uscì con esercito poderoso alla volta di quella Città attaccò il nemico e lo pose in rotta.
I Vejenti più che col ferro perirono annegati nel fiume che tentarono di trapassare a nuoto. Il fiume secondo Dionigi era gonfio onde può dedursi che tali fatti accaddero nella stagione autunnale e in tempo delle piene. I Vejenti anzichè calmarsi si ostinarono nella guerra, il loro esercito coll'ajuto ancora de Popoli confederati si marciarono contro i Romani. Nelle vicinanze egualmente di Fidene ebbe luogo altro combattimento che fu più atroce e decisivo. I Vejenti vennero disfatti con strage di molti e molti rimasero prigionieri.
S'impadronirono i Romani dei loro accampamenti dei loro denari e delle loro armi. Le navi de nemici che stavano collocate nel fiume servirono pel trasporto de prigionieri a Roma e Romolo trionfò per la terza volta. Questo trionfo fu assai più magnifico dei precedenti. Plutarco aggiunge che a suoi tempi era commun voce che la massima parte di questa impresa fu opera di Romolo avendo in tal incontro fatto mostra di tutta 1'arte militare unita all'ardire e che operò portenti oltre 1'umano potere.
Stima poi del tutto favoloso il racconto di taluni i quali asserivano che di quindicimila uccisi in battaglia metà perirono per le mani di Romolo. I Vejenti uccisi in battaglia metà perirono per le mani di Romolo. Egli vuole finalmente che il trionfo di questi avvenisse il giorno 15 del mese di Ottobre e che tra i prigionieri che onoravano il trionfo eravi il Capitano stesso dei Veii, uomo vecchio ma che sembrò non adoperasse in quella guerra tutto il senno e la conveniente esperienza.
Per la qual cosa riferisce lo Storico che a suoi tempi, quando sacrificavasi per una riportata vittoria, si conduceva un vecchio vestito di Pretesta per la piazza del Campidoglio appendendogli al petto una bolla da fanciullo e il banditore gridava "Sardi messi all'incanto!" poichè credevasi che i Toscani quali erano i Vejenti derivassero da una Colonia de Sardi.
Non molto dopo questa disfatta i Vejenti spedirono ambasciatori a Roma per chiedere la pace Romolo profittando di questa opportunità 1'accordò con legge che gli si rilasciasse una parte di vicino al Tevere chiamata Septem Pagi e le Saline che avevano sui lidi del mare. Plutarco chiama quel terreno Settepagio che quanto dire la Settima parte Romolo fece inoltre alleanza coi Vejenti per cento anni.
Le condizioni di questo trattato furono incise in una colonna di Rame per vieppiù perpetuarne la memoria. Volle Romolo dopo questi fatti di propria autorità rilasciare senza riscatto i prigionieri fatti nella battaglia e lasciò in loro arbitrio lo stabilirsi in Roma. Ve ne restarono difatti in maggior numero ed ottennero il diritto della cittadinanza ed una quantità di Terre di qua dal Tevere che si distribuì in sorte."
Per la qual cosa riferisce lo Storico che a suoi tempi, quando sacrificavasi per una riportata vittoria, si conduceva un vecchio vestito di Pretesta per la piazza del Campidoglio appendendogli al petto una bolla da fanciullo e il banditore gridava "Sardi messi all'incanto!" poichè credevasi che i Toscani quali erano i Vejenti derivassero da una Colonia de Sardi.
Non molto dopo questa disfatta i Vejenti spedirono ambasciatori a Roma per chiedere la pace Romolo profittando di questa opportunità 1'accordò con legge che gli si rilasciasse una parte di vicino al Tevere chiamata Septem Pagi e le Saline che avevano sui lidi del mare. Plutarco chiama quel terreno Settepagio che quanto dire la Settima parte Romolo fece inoltre alleanza coi Vejenti per cento anni.
Le condizioni di questo trattato furono incise in una colonna di Rame per vieppiù perpetuarne la memoria. Volle Romolo dopo questi fatti di propria autorità rilasciare senza riscatto i prigionieri fatti nella battaglia e lasciò in loro arbitrio lo stabilirsi in Roma. Ve ne restarono difatti in maggior numero ed ottennero il diritto della cittadinanza ed una quantità di Terre di qua dal Tevere che si distribuì in sorte."
LA REGGIA DI ROMOLO
La Casa Romuli, l’abitazione in cui il primo re di Roma avrebbe risieduto, era riconosciuta in una piccola capanna, frequentemente risanata e ricostruita, posta verso l’angolo sud-ovest del colle Palatino.
I lavori di scavo del 1946 misero in luce, proprio in quest’area del Palatino, i frammenti di alcune capanne che, grazie alle sostanze rinvenute sulla pavimentazione, fu possibile confrontare con le urne cinerarie a capanna all’interno della necropoli del Foro Romano, e datarle quindi alla I età del Ferro, nei secoli IX e VIII a.c.
Questa importante scoperta avvalora la tradizione sia in merito alla data della fondazione di Roma, sia sulla posizione della leggendaria Casa Romuli. I suoi resti riguardano però solo la pavimentazione delle capanne, realizzate attraverso l’incisione e lo scavo del tufo e incorniciate da una piccola fessura utile al drenaggio dell’acqua piovana in modo che non penetrasse all’interno dell’abitazione.
La casa più grande, quella che si suppone la Reggia, è ha forma di un rettangolo ovalizzato di m. 4,90 x 3,60. La pavimentazione ha sei fori circolari, di cui uno al centro, sicuramente per i pali che sostenevano il tetto e le pareti. Altri quattro fori su uno dei lati inferiori della pavimentazione indicherebbero l'alloggiamento dei sostegni per la porta d’ingresso, alta poco più di un metro. Altri fori all’esterno della capanna, sostenevano probabilmente una pensilina.
Per ulteriori informazioni: LA REGIA
LE CAPANNE DI ROMOLO E DI MARTE CON OPS (di Andrea Carandini)
L’approdo sul Tevere al sito di Roma si trovava in origine a una estremità dell’Aventino, dove era l’ara Massima di Ercole, l’eroe civilizzatore che di ritorno dalle peripezie nel più estremo Occidente – le Baleari? – aveva soppresso il capo indigeno sputafuoco chiamato Caco, che aveva avuto il suo antro lì vicino. Nelle piene il Tevere si insinuava tra Campidoglio e Aventino, raggiungendo le bassure del Velabrum e della vallis Murcia e il Cermalus, il versante del Palatino rivolto all’Aventino.
È presso questo approdo che Romolo, ottenuti sull’Aventino gli auspici favorevoli per fondare la città e inaugurarsi re, ha scagliato l’hasta per prendere possesso del Palatino. L’hasta era il simbolo del potere, della conquista e della proprietà in forma di lancia. L’hasta scagliata aveva raggiunto il Cermalus e si era conficcata davanti alla capanna del capo e porcaro Faustulus e della sua compagna Acca, la Madre dei Lari e degli Arvali, che erano stati anche i genitori putativi presso i quali Remo e Romolo erano stati allevati.
Remo e Romolo erano figli di Marte (Mars) e di Rhea Silvia, principessa di Alba, un villaggio al centro del Lazio dove si venerava il Giove (Iuppiter) di tutti i Latini (Latiaris). Erano stati esposti al Tevere dal perfido re albano Amulio. La cesta che li conteneva era stata abbandonata sulla riva del fiume presso il Lupercal, il santuario/grotta di Mars e di Faunus Lupercus (lupus e hircus/capro) posto ai piedi del Cermalus. Non potevano capitare in luogo più propizio. Il Tevere si era prontamente ritirato risparmiandoli e un picchio e una lupa avevano nutrito i gemelli.
Mars era il divino generatore di Picus il picchio e di Faunus il lupo: gli avi totemici che avevano salvato i gemelli. In cima al Cermalus, dove era stato il "tugurium Faustuli" e dove l’hasta di Romolo si era conficcata, mettendovi radici e tornando a essere vivente corniolo, il re-augure Romolo edifica la sua casa o capanna. Di fronte a essa svolge i primi riti per fondare Roma. Nasconde in una fossa – come in un penus o sotterranea dispensa – terre e primizie dei vari rioni e distretti della comunità e poi accende lì accanto su un’ara il primo fuoco regio, magari derivato dal focolare della reggia di Alba che sua madre Rhea Silvia aveva un tempo accudito.
Infine il re-augure fissa con le pietre del pomerium i limiti del suolo palatino per il quale ottiene da Giove un'inaugurazione – potremmo dire una benedizione – e traccia con l’aratro, al di fuori di quelle pietre, il sulcus primigenius, per edificarvi poi al di sopra un murus, interrotto da tre porte, erette dove aveva sollevato l’aratro. Si trattava di un murus sanctus, posto entro una fascia di suolo non abitabile, non coltivabile, non alterabile e non violabile, delimitata dietro al murus dalle pietre del postmoerium/ pomerium e davanti a esso da quelle del promoerium.
La benedizione di Giove ottenuta da Romolo, o inaugurazione, aveva dato al Palatino uno statuto superiore al resto dell’abitato e all’agro dei Quirites. Solo il Palatino era allora la urbs Roma, tanto che una porta sopravvissuta del suo murus si chiamava Romanula. Sul Cermalus gli archeologi hanno rinvenuto una grande capanna ovale sorretta all’interno da quattro pali, in cui possiamo riconoscere il tugurium Faustuli, dove Romolo era stato allevato.
Questa capanna è stata poi rasata per edificarvi sopra due capanne associate. Una era di abitazione e vi si può riconoscere la casa Romuli. L’altra, articolata in due ambienti, il primo rettangolare con funzione di vestibulum e il secondo tondeggiante, era probabilmente il sacrarium di Mars e Ops, la coppia generatrice divina nella quale si possono riconoscere i genitori di Romolo: Mars e Rhea (Silvia), nome quest’ultimo equivalente a quello di Ops, la dea dell’opulenza. Lì era forse anche la curia saliorum, cioè la stanza dei sacerdoti di Mars, depositari del lituus di Romolo, il bastone-tromba di cui il re si era servito per osservare il volo degli uccelli rivelatori delle volontà di Giove e per inaugurare il Palatino.
Davanti alla capanna di Romolo è stata rinvenuta una cavità rettangolare (fossa), associata a un’ara lavorata nel tufo. Era probabilmente la fossa utilizzata dal re per accogliere e unificare terre e primizie dell’abitato e forse anche dell’agro. Accanto era l’altare sul quale può essere stato acceso il primo fuoco regio della città. Capanne, fossa e ara si trovavano tra il ciglio o supercilium delle scalae Caci e il percorso del futuro clivus Victoriae, entro un’area ben definita e circondata da un recinto.
Era forse il recinto che delimitava il fanum di Mars e Ops, nel quale la casa Romuli era stata accolta, come poi le case dei re-auguri nella radura o lucus sacra a Vesta, la dea del fuoco comune. Al tempo dei Tarquini, i sacraria di queste divinità saranno accolti in un edificio regio che era considerato anch’esso un fanum, cioè un’area delimitata e consacrata a una divinità.
La doppia capanna, che può essere interpretata come sacrarium di Mars e Ops e come curia Saiorum, verrà preservata e venerata dai Romani, con nuovi apprestamenti, nel corso di oltre mezzo millennio – indice della sacralità del luogo –, fino a quando verrà seppellita sotto l’area antistante il tempio della Magna Mater, edificato nel 191 a.C.
Da allora le memorie romulee saranno accolte nell’annesso recinto o sacellum, dove si trovano la descritta fossa con ara della fondazione e dove probabilmente era stata riproposta la capanna del re fondatore, che Varrone (Lingua Latina 5.54) definisce aedes (al singolare) Romuli. Il tutto è stato preservato fino alla tarda antichità come un museo del fondatore e della fondazione di Roma, in una continuità complessiva durata più di un millennio.
Analoghe conservazioni e riproposizioni si conoscono per il murus e le portae del Palatino, fatte e rifatte fino all’incendio del 64 d.C., quindi nel corso di oltre 800 anni. La memoria mitistorica dei Romani si ancorava pertanto a monumenti alto-arcaici, più volte restaurati e riproposti, la cui secolare continuità stupisce e condiziona una critica storica informata.
(Andrea Carandini)
ANTONIO NIBBY
ROMOLO NON ACCREBBE LA CITTA'
"Che Roma alla morte di Romolo non avesse ricevuto altri accrescimenti dopo la riunione con Tazio lo dimostra non solo il silenzio degli antichi, che di altro accrescimento non parlano; ma ancora l'asserzione di Plinio, che nel capo V. del III libro della sua Storia Naturale afferma che Romulo non lasciò alla sua morte la città con più di tre o quattro porte, il che mostra una estensione assai limitata.
D' altronde siccome vedremo nel progresso del discorso gli accrescimenti fatti a Roma da Numa, da Tulio, da Anco, e da Servio, necessariamente ne segue che alla morte di Romulo la città non comprendesse dentro le mura che i colli Palatino e Tarpejo, e la valle che divideva i due colli stessi.
Questo passo di Dionisio serve di dichiarazione all'altro di questo stesso scrittore riferito nella nona e da questo apparisce, che il Quirinale sotto Romulo cominciò solo ad abitarsi, ma non fu rinchiuso dentro le mura, come fra poco vedremo del Celio, che solo venne nel recinto rinchiuso da Tullo Ostilio, e che sotto Romulo non cominciò se non ad abitarsi.
Il monte Quirinale oggi si appressa di molto al Campidoglio non essendo disgiunto da esso che dal piano sul quale già si erse il magnifico Foro Traiano, più però dove accostarglisi ne' tempi antichissimi imperrocchè da Dione sappiamo che l'imperatore Traiano spianò una parte del colle per edificare il suo Foro, e per mostrare l'altezza della collina da lui abbattuta, e per servirgli da sepolcro, eresse la magnifica colonna coclide che ancora si ammira."
LA MORTE
Romolo scomparve nel nulla durante un eclissi di sole accompagnata da un temporale. Questo episodio venne interpretato come divino e confermava la discendenza del re dal Dio Marte. Questa interpretazione venne confermata dal patrizio Giulio Proculo, amico fedele del Re. Molti sospettarono un attentato da parte di alcuni senatori che avrebbero ucciso Romolo facendone sparire il cadavere, tesi probabile.
Romolo, al momento della scomparsa, aveva 55 anni ed avrebbe governato per 37 anni. Ma la sua esistenza è leggenda o realtà?
"D' altronde siccome vedremo nel progresso del discorso gli accrescimenti fatti a Roma da Numa, da Tulio, da Anco, e da Servio, necessariamente ne segue che alla morte di Romulo la città non comprendesse dentro le mura, che i colli Palatino e Tarpejo, e la valle, che divideva i due colli stessi."
Dai recentissimi scavi ai piedi del Palatino, è emersa un'area corredata di reperti preziosi che corrisponderebbe a una Reggia dell'VIII sec. a.c., che potrebbe senza dubbio essere la Reggia di Romolo, o comunque di chi per lui. Perchè alla base di ogni leggenda, come l'archeologia ha più volte dimostrato, c'è una realtà.
BIBLIO
- Plutarco - Vita di Romolo -
- Carlo de Simone. "Considerazioni sul nome di Romolo" - Andrea Carandini, Paolo Carafa (a cura di) - "Palatium e Sacra via" - Bollettino di Archeologia -
- Andrea Carandini - Roma il primo giorno - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- Appiano - Historia Romana - libri III e IV -
- Diodoro Siculo - Bibliotheca historica - libri IX-XIII -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane -
- Eutropio - Breviarium historiae romanae -
- Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC - Liber I -
- Giovanni Brizzi - Storia di Roma -.Dalle origini ad Azio - Bologna - Patron - 1997 -
- Massimo Pallottino - Origini e storia primitiva di Roma - Milano - Rusconi - 1993 -
- Livio - Ab Urbe condita libri -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Firenze - Sansoni - 1972 -
9 comment:
Bravissimi, un signor sito, ma si sa qualcosa sull'aspetto di Romolo o chiedo troppo?
Ti ringrazio ma aimè non si ha alcun resto scultoreo, pittorico o effige di alcun tipo che ritragga Romolo.
Storia che merita di essere raccontata
romolo fu un re che alla fine non fece molto....i patrizi e i plebei c' erano già in tutte le altre civiltà anche sumere semplicemente che cambiava il loro nome. Non mi sto lamentando perchè oltre a questo piccolo particolare fu un grande re
E la scienza del diritto?
Qualche anno fa scoprirono una grotta sul Palatino, e avanzarono l'ipotesi che si trattasse della grotta ove vennero nutriti Romolo e Remo. Naturalmente la "lupa" in questione era la moglie di Faustolo, Acca Larentia ("lupam inter pastores")
Dimmi come era fatto di aspetto
Ps: Taruzio amico di Plutarco, fissa la data di nascita di Romolo al 21 Settembre e il concepimento al 23 Dicembre. Vi ripeto il testo direttamente dalle vite di Plutarco:
"Ma nei tempi di Varrone il filosofo, uomo che lesse più storie di qualunque altro che fosse in Roma, visse Taruzio amico suo, filosofo anch'egli e matematico, il quale si mise a calcolare il tempo per via d'astrologia, per solo speculare, nella qual cosa era fitenuto eccellente. A costui, Varrone propose di ritrovare il giorno e l'ora nella quale nacque Romulo, raccogliendo il punto dalla conseguenza delle sue avventure, come si fa nella risoluzione delle proposizioni di geometria.
Poiché dicono esser la medesima contemplazione il predire il futuro nella vita dell'uomo dal fissare il punto della sua nascita e rintracciare l'ora della nascita dagli avvenimenti seguiti nella vita. Taruzio fece secondo la proposta, e considerati gli accidenti e le.opere di Romulo, il tempo della vita e il modo della morte, e tutto raccolto insieme, disse molto risolutamente e francamente, che era stato concepito nel ventre della madre nel primo anno della seconda Olimpiade del mese detto "Choeac" dagli Egizii, e da noi Dicembre, al 23, nell'ora terza del giorno, quando eclissò interamente il sole e la nascita seguì nel ventunesimo del mese Thoth, da noi detto Settembre, all'alba; e, da lui, essere stata fondata Roma al nove del mese Pharmuthi, corrispondente al nostro Aprile, fra la seconda e terza ora del giorno. Perchè voglion dire che la fortuna delle città, come degli uomini, abbia signore di sè il tempo e si possa prevedere nel considerare la posizione e l'aspetto che hanno le stelle nel momento della prima fondazione. Ma queste cose e simili piaceranno per avventura, più per la novità e singolarità, che non offenderanno per la falsità delle favole."
Troppo lungo
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