Secondo Plinio il primo medico greco giunse a Roma nel 219 a.c.: un certo Archagatos che fu così ben accolto al punto che lo si fornì di un ambulatorio a spese dello stato.
Tuttavia costui era molto disinvolto nel «bruciare e tagliare» le carni dei pazienti, tanto che gli fu affibbiato il soprannome di carnifex (macellaio).
STRUMENTI CHIRURGICI ROMANI |
"Diaulo era stato chirurgo: ora è un becchino. Cominciò ad essere medico nel modo che gli era possibile".
(Epigrammi, I,30)
oppure:
"Poco tempo fa Diaulo era medico, ora becchino: quello che fa da becchino, lo faceva anche da medico".
(Epigrammi, I,47)
Come si vede non tutti i Romani amavano i medici e Marco Porcio Catone sospettava che vi fosse una congiura dei greci che, per vendicarsi della conquista romana, avevano inviato a Roma i perfidi macellai «per uccidere tutti i barbari con la loro medicina».
Molti concordavano con Catone che aggiungeva che per non essere sospettati, e convincere della loro bravura, questi nemici dell'ingenuo popolo romano si facevano pagare lautamente.
Eppure la medicina fu seguita dai Romani e pure la chirurgia con i suoi strumenti.
Gli strumenti chirurgici romani, come ce li descrive Celso nell'VIII libro del suo De Medicina, non si differenziano granchè da quello di greci. Per gli interventi al cranio o alla colonna si compone di scalpelli, uncini, trapani, pinze da ossa, spatole, leve e cauterizzatori.
Furono i greci a portare la chirurgia a Roma, ma i greci la importarono dall'Egitto, dove si operava e si anestetizzava. Addirittura operavano al cervello, come compare da alcune pitture d'epoca.
La maggior parte dei reperti relativi allo strumentario chirurgico dei medici in epoca romana (I secolo d.c.) deriva dai ritrovamenti effettuati nella "casa del Chirurgo" durante gli scavi della Pompei romana, sepolta dalla lava dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.c. I reperti (40 strumenti) sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
TOMBA DI UN CHIRURGO ROMANO CON LA RAPPRESENTAZIONI DEGLI ARNESI DEL MESTIERE |
Nella preistoria della chirurgia le ampie ferite venivano “chiuse” o con delle pezze di stoffa strettamente avvolte o con la cauterizzazione oppure semplicemente cucite con delle fibre vegetali, con dei fili di lana o di seta, il tutto ovviamente senza nessuna sterilizzazione. Coloro che riuscivano a sopravvivere portavano poi delle vistose cicatrici.
La sterilizzazione non era ovviamente conosciuta per cui gli strumenti potevano contenere parti di legno, di osso, di tartaruga come in seguito ebbero, eppure non sono stati rinvenuti strumenti romani (e neppur greci) che non fossero interamente di metallo, a parte qualche eccezione di ossidiana.
La chirurgia romana e i suoi reperti hanno stupito il mondo per la loro modernità, alcuni dei loro strumenti chirurgici avrebbero potuto essere usati anche oggi, Il grande archeologo matteo della Corte asserì che alcuni strumenti rinvenuti a Pompei potessero essere strumenti chirurgici di veterinaria.
Scalpelli (bisturi)
Lo scalpello [chiamato anche, a partire dal XV secolo, bisturi] rappresenta l'esempio più antico di "ferro chirurgico". Quelli d'epoca più antica erano di fatti di selce o d'ossidiana. Solo nell'Età del Ferro, dal X sec. a.c., si fanno appunto in ferro.
Dopo il 300 a.c. furono usati anche acciaio, bronzo o una combinazione delle due leghe (di solito lama di acciaio e impugnatura di bronzo). Ne esistevano di diverse lunghezze: a lama lunga (18-17 cm) per incisioni profonde od estese; a lama corta (12-13 cm), con manico sagomato, per incisioni fini e precise.
Esistevano poi strumenti duplici: da una parte una lama affilata, dall'altra un cucchiaio un raschietto o una spatola.
Uncini
Altri strumenti di uso comune erano gli uncini, di acciaio o di bronzo, con la stessa funzione che hanno oggi nella moderna chirurgia.
Due erano i tipi fondamentali:
- quelli a punta smussa, utilizzati come sonde (specilli) per la dissezione o per sollevare vasi sanguigni;
- quelli a punta acuminata, per agganciare e spostare brandelli di tessuto o per allargare i bordi di una ferita.
Aulo Celso Celso, detto L'Ippocrate romano, disse che
"Il chirurgo, invece, deve essere innanzitutto giovane o di età prossima alla giovinezza, con mano ferma e capace, mai tremante, ed abile sia con la mano destra che con la sinistra. Deve possedere vista acuta e lucida e spirito impavido; deve essere tanto pietoso da desiderare la guarigione del suo paziente, ma non da accelerare la sua opera o da tagliare meno del necessario, scosso dai suoi lamenti; egli deve, invece, fare ogni cosa come se i lamenti del paziente non gli causassero alcuna emozione."
(De Medicina, VII, Proemium, 4) -
Trapani
I trapani erano usati per rimuovere le parti malate di un osso, soprattutto a livello cranico, o per rimuovere oggetti di spessore (armi) dalle ossa.
Erano di due tipi: la terebra e il modiolo. "La Terebra è simile alla trivella del falegname. Il Modiolo, in Greco chiamato cunicion, è un ferro cavo, lungo, e cavo negli orli inferiori, fatto a modo di sega, come dice Celso, il quale se in mezzo ha un chiodo è maschio, se ne è rivo, è femmina. Con l'uno e l'altro si fora il cranio, fermato su triplice base".
Pinze comuni
Le pinze erano utilizzate per rimuovere frammenti ossei o altri oggetti, come punte di freccia, e venivano forgiate in acciaio o bronzo. Erano lunghe 20 cm. circa, e avevano solitamente manici lavorati, come ancora oggi, per rendere meno sdrucciolevole la presa del chirurgo.
La cerniera delle due braccia era asimmetrica, in posizione distale rispetto ai manici, in modo da aumentare, spostando il fulcro delle leve, la forza di pressione delle punte, ricurve e con il margine interno seghettato, per mantenere saldamente la presa.
Soranus (lxiv) dice che in caso di trauma al cranio, la testa può essere aperta con uno strumento appuntito e le parti del cranio rimosse con una pinza ossea. Paul Aigenita (VI.xc) dice che in una frattura depressa del cranio "i frammenti d'osso devono essere rimossi con le dita se possibile, se non con una pinza ossea".
Pinze addominali
Si trattava di pinze da presa per afferrare tessuti di varia natura. L'azione veniva svolta all'estremità della pinza e veniva per lo più impiegata come pinza di presa e trazione da applicare a piccoli margini di tessuto dai quali partire per ampliare la dissezione e/o effettuare la asportazione. Generalmente veniva impiegata su strutture che poi venivano asportate.
Leve per osso
Le leve per osso indispensabili per sollevare ossa fratturate od infossate (rimettendole a livello) o per estrazioni dentarie (soprattutto di molari) consistevano in due parti speculari agganciate.
"Quando un frammento di cranio si trova cacciato sotto alla parte sana contigua, accade sovente che non lo si possa estrarre senza levare via un pezzo della parte non fratturata, sotto cui si trova il frammento depresso. Si potrebbe eseguire questa operazione con perdita assai piccola dell'osso
sano, quando si potesse levar via una piccola porzione del frammento depresso. Quando il male non consiste che in una fenditura con depressione, basta di dilatare alquanto la fenditura, perchè il chirurgo possa inserire la punta di una leva per rialzare la porzione depressa.."
Cauterizzatori
Molto usato (ma anche, talvolta, abusato - vedi Arcagato) dai chirurghi fu il ferro per cauterizzazione (lat. ferrum candens, ferro incandescente).
Costruito solitamente in ferro, in casi particolari in bronzo, consisteva in un lungo manico affilato ad una estremità e terminante, dall'altra estremità, con una piccola piastra piatta. Questa, una volta arroventata, era applicata sui tessuti del malato per vari scopi: come mezzo di azione superficiale, per ridurre un'infiammazione nei tessuti profondi sottostanti od adiacenti; come emostatico; come bisturi, avendo il vantaggio di ottenere un taglio con emostasi simultanea; come agente necrotizzante per distruggere (bruciandola) una neoplasia.
È inoltre da ricordare che, durante il primo secolo d.c., al tempo di Celso, era conosciuta e praticata la laringoscopia indiretta. Questo metodo permise oltre che l'asportazione di corpi estranei, anche la conoscenza dell'anatomia funzionale e della fisiologia della laringe direttamente sul vivente prima che nel 1900 venisse introdotto il metodo diretto.
Tubi
Dopo le operazioni sul naso, sul retto, sulla vagina, ecc., era solito inserire un tubo di piombo o di bronzo per prevenire la contrazione o l'adesione e anche per veicolare i medicamenti. erano di diverse lunghezze e larghezze.
La chirurgia romana e i suoi reperti hanno stupito il mondo per la loro modernità, alcuni dei loro strumenti chirurgici avrebbero potuto essere usati anche oggi, Il grande archeologo matteo della Corte asserì che alcuni strumenti rinvenuti a Pompei potessero essere strumenti chirurgici di veterinaria.
SCALPELLI |
Scalpelli (bisturi)
Lo scalpello [chiamato anche, a partire dal XV secolo, bisturi] rappresenta l'esempio più antico di "ferro chirurgico". Quelli d'epoca più antica erano di fatti di selce o d'ossidiana. Solo nell'Età del Ferro, dal X sec. a.c., si fanno appunto in ferro.
Dopo il 300 a.c. furono usati anche acciaio, bronzo o una combinazione delle due leghe (di solito lama di acciaio e impugnatura di bronzo). Ne esistevano di diverse lunghezze: a lama lunga (18-17 cm) per incisioni profonde od estese; a lama corta (12-13 cm), con manico sagomato, per incisioni fini e precise.
Esistevano poi strumenti duplici: da una parte una lama affilata, dall'altra un cucchiaio un raschietto o una spatola.
UNCINI |
Uncini
Due erano i tipi fondamentali:
- quelli a punta smussa, utilizzati come sonde (specilli) per la dissezione o per sollevare vasi sanguigni;
- quelli a punta acuminata, per agganciare e spostare brandelli di tessuto o per allargare i bordi di una ferita.
TRAPANI |
"Il chirurgo, invece, deve essere innanzitutto giovane o di età prossima alla giovinezza, con mano ferma e capace, mai tremante, ed abile sia con la mano destra che con la sinistra. Deve possedere vista acuta e lucida e spirito impavido; deve essere tanto pietoso da desiderare la guarigione del suo paziente, ma non da accelerare la sua opera o da tagliare meno del necessario, scosso dai suoi lamenti; egli deve, invece, fare ogni cosa come se i lamenti del paziente non gli causassero alcuna emozione."
(De Medicina, VII, Proemium, 4) -
I trapani erano usati per rimuovere le parti malate di un osso, soprattutto a livello cranico, o per rimuovere oggetti di spessore (armi) dalle ossa.
Erano di due tipi: la terebra e il modiolo. "La Terebra è simile alla trivella del falegname. Il Modiolo, in Greco chiamato cunicion, è un ferro cavo, lungo, e cavo negli orli inferiori, fatto a modo di sega, come dice Celso, il quale se in mezzo ha un chiodo è maschio, se ne è rivo, è femmina. Con l'uno e l'altro si fora il cranio, fermato su triplice base".
PINZE COMUNI |
Pinze comuni
La cerniera delle due braccia era asimmetrica, in posizione distale rispetto ai manici, in modo da aumentare, spostando il fulcro delle leve, la forza di pressione delle punte, ricurve e con il margine interno seghettato, per mantenere saldamente la presa.
PINZE PER OSSA |
Pinze per ossa
PINZE ADDOMINALI |
Pinze addominali
Si trattava di pinze da presa per afferrare tessuti di varia natura. L'azione veniva svolta all'estremità della pinza e veniva per lo più impiegata come pinza di presa e trazione da applicare a piccoli margini di tessuto dai quali partire per ampliare la dissezione e/o effettuare la asportazione. Generalmente veniva impiegata su strutture che poi venivano asportate.
LEVE PER OSSO |
Leve per osso
Le leve per osso indispensabili per sollevare ossa fratturate od infossate (rimettendole a livello) o per estrazioni dentarie (soprattutto di molari) consistevano in due parti speculari agganciate.
"Quando un frammento di cranio si trova cacciato sotto alla parte sana contigua, accade sovente che non lo si possa estrarre senza levare via un pezzo della parte non fratturata, sotto cui si trova il frammento depresso. Si potrebbe eseguire questa operazione con perdita assai piccola dell'osso
sano, quando si potesse levar via una piccola porzione del frammento depresso. Quando il male non consiste che in una fenditura con depressione, basta di dilatare alquanto la fenditura, perchè il chirurgo possa inserire la punta di una leva per rialzare la porzione depressa.."
CAUTERIZZATORI |
Cauterizzatori
Molto usato (ma anche, talvolta, abusato - vedi Arcagato) dai chirurghi fu il ferro per cauterizzazione (lat. ferrum candens, ferro incandescente).
È inoltre da ricordare che, durante il primo secolo d.c., al tempo di Celso, era conosciuta e praticata la laringoscopia indiretta. Questo metodo permise oltre che l'asportazione di corpi estranei, anche la conoscenza dell'anatomia funzionale e della fisiologia della laringe direttamente sul vivente prima che nel 1900 venisse introdotto il metodo diretto.
TUBI |
Dopo le operazioni sul naso, sul retto, sulla vagina, ecc., era solito inserire un tubo di piombo o di bronzo per prevenire la contrazione o l'adesione e anche per veicolare i medicamenti. erano di diverse lunghezze e larghezze.
Ma potevano servire anche da drenaggio per introdurre liquidi all'interno dell'organismo a scopo terapeutico o detergente; oppure al contrario per far uscire sostanze dal corpo, come sangue, bile, pus ecc.
Forbici chirurgiche
L'autore chirurgico Oribasio tratta il taglio dei capelli come una normale procedura medica in un capitolo speciale del suo lavoro. Spesso anche Celso si riferisce al taglio dei capelli come misura terapeutica. In realtà serviva per radere la parte interessata da interventi chirurgici.
Pur avendo pochi riferimenti all'uso delle cesoie per tagliare i tessuti, le forbici erano taglienti e di diversa lunghezza; robustezza ed angolatura. Potevano essere utilizzate per la dissezione di tessuti, vasi e visceri o per tagliare i fili di sutura.
La parte anteriore presentava le lame taglienti e la porzione posteriore, l’impugnatura ad anelli. Venivano impugnate con le falangi distali negli anelli, del primo e quarto dito, con il secondo dito che poggia sulla branca anteriore della forbice, per garantire il controllo dello strumento e la direzione di taglio. Il taglio veniva eseguito con la forbice in posizione verticale, per garantire la visione di ciò che si sezionava.
Quasi tutti gli scrittori medici menzionano lo spathomele. Consiste in un bastoncino con una punta a foglia di ulivo a un'estremità e una spatola all'altra. La spatola poteva essere usata anche come divaricatore. Era uno strumento farmaceutico e non strettamente chirurgico.
L'estremità a foglia veniva utilizzata per mescolare medicamenti, la spatola per diffonderli sulla parte interessata. La spatola era usata dai pittori per preparare e mescolare i loro colori. I numeri molto grandi in cui sono stati trovati indicano che il loro uso non era limitato ai medici.
L'uso della ventosa era legato all'ipotesi che il dolore o la malattia potessero venire "succhiati" fuori dal corpo. Le prime antiche ventose erano fatte con corna di animali, poi di metallo: si applicavano alla cute mentre una persona aspirava l'aria attraverso un piccolo foro; più tardi si sfruttò il fenomeno fisico dell'aumento di volume dell'aria calda e della sua contrazione quando essa si raffreddavaFORBICI CHIRURGICHE |
Forbici chirurgiche
L'autore chirurgico Oribasio tratta il taglio dei capelli come una normale procedura medica in un capitolo speciale del suo lavoro. Spesso anche Celso si riferisce al taglio dei capelli come misura terapeutica. In realtà serviva per radere la parte interessata da interventi chirurgici.
Pur avendo pochi riferimenti all'uso delle cesoie per tagliare i tessuti, le forbici erano taglienti e di diversa lunghezza; robustezza ed angolatura. Potevano essere utilizzate per la dissezione di tessuti, vasi e visceri o per tagliare i fili di sutura.
La parte anteriore presentava le lame taglienti e la porzione posteriore, l’impugnatura ad anelli. Venivano impugnate con le falangi distali negli anelli, del primo e quarto dito, con il secondo dito che poggia sulla branca anteriore della forbice, per garantire il controllo dello strumento e la direzione di taglio. Il taglio veniva eseguito con la forbice in posizione verticale, per garantire la visione di ciò che si sezionava.
SPATOLE |
Spatole
L'estremità a foglia veniva utilizzata per mescolare medicamenti, la spatola per diffonderli sulla parte interessata. La spatola era usata dai pittori per preparare e mescolare i loro colori. I numeri molto grandi in cui sono stati trovati indicano che il loro uso non era limitato ai medici.
VENTOSE |
Il più grande veniva utilizzato per le più grandi aree sul corpo, come la parte posteriore o le cosce. Il più piccolo veniva applicato alle braccia.
Strumenti per il salasso
Arcagato, uno dei primi medici greci a praticare a Roma, utilizzò ampiamente il salasso. Galeno credeva che il sangue fosse l'umore dominante, quello che avesse più bisogno di essere controllato. Al fine di bilanciare gli umori, un medico avrebbe rimosso il sangue in 'eccesso' (la pletora) dal paziente o gli avrebbe dato un emetico per indurre il vomito, o un diuretico per indurre la minzione.
Arcagato, uno dei primi medici greci a praticare a Roma, utilizzò ampiamente il salasso. Galeno credeva che il sangue fosse l'umore dominante, quello che avesse più bisogno di essere controllato. Al fine di bilanciare gli umori, un medico avrebbe rimosso il sangue in 'eccesso' (la pletora) dal paziente o gli avrebbe dato un emetico per indurre il vomito, o un diuretico per indurre la minzione.
Questo uso si allargò nel medioevo e oltre fino a divenire una vera fissazione. Non solo i chirurghi ma pure i barbieri salassarono uomini donne e bambini fino allo sfinimento spesso peggiorando di molto la salute dei soggetti.
Clistere
Celso non solo conosceva ma prescriveva e praticava egli stesso il lavaggio idrico dell'intestino, come del resto molti terapeuti dell'antichità. Uno di questi, Rufos di Efeso, scrisse addirittura un piccolo trattato sui vari tipi di clisteri e nel suo "Trattato sulle malattie dei reni" prescrive in caso di nefrite un lavativo caldo in piccola quantità per evitare la dannosa pressione di un intestino troppo pieno sui reni malati.
CLISTERE |
Clistere
Celso non solo conosceva ma prescriveva e praticava egli stesso il lavaggio idrico dell'intestino, come del resto molti terapeuti dell'antichità. Uno di questi, Rufos di Efeso, scrisse addirittura un piccolo trattato sui vari tipi di clisteri e nel suo "Trattato sulle malattie dei reni" prescrive in caso di nefrite un lavativo caldo in piccola quantità per evitare la dannosa pressione di un intestino troppo pieno sui reni malati.
Il clistere andava bene per tutti, tanto più che l'imperatore Nerone si faceva praticare periodicamente dei clisteri, addirittura, per conservare una "voce forte e squillante", come riferisce Svetonio nelle Vite dei dodici Cesari.
Comunque gli strumenti di metallo avevano una derivazione di pelle leggera che poteva essere inserito nel corpo senza danneggiare i tessuti.
Forcipe
In Ezio (II.iv.2), vi è un'interessante descrizione dell'amputazione dell'ugola schiacciandola dapprima con una pinza in modo da prevenire l'emorragia e quindi tagliarla. Ippocrate (I.63) menziona il forcipe come uno degli strumenti necessari del buon medico. Il forcipe è una specie di tenaglia che deve tener ben stretto un qualcosa che deve essere escisso da una cavità.
Un bassorilievo romano rinvenuto ad Ostia antica rappresenta un parto con forcipe. Il bassorilievo è andato perduto (o venduto) e la sua autenticità è stata messa in dubbio.
Speculum Vaginale
Uno dei più spettacolari strumenti medici romani è il dilatatore vaginale o lo speculum. Comprende un priapiscus con 2 (o a volte 3 o 4) valvole a coda di rondine che vengono aperte e chiuse da una maniglia con un meccanismo a vite, una disposizione che doveva ancora essere trovata negli speculum dell'Europa del XVIII secolo.
Soranus è il primo autore che fa menzione dello speculum appositamente realizzato per la vagina. Gli scrittori greco-romani di ginecologia e ostetricia spesso ne raccomandano l'uso nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi vaginali e uterini, eppure è uno degli strumenti medici superstiti più rari.
Speculum rettale
La prima menzione dello speculum rettale si trova nel trattato sulla fistola di Ippocrate (III.331): "posando il paziente sulla schiena si esamina la parte ulcerata dell'intestino mediante lo speculum rettale." Ippocrate ne descrisse uno appunto per l'uso anale, all'epoca conosciuto con il nome di catoptere.
Venne usato altresì dai romani (lo strumento fu rinvenuto tra le rovine di Pompei, presso la Casa del Chirurgo), e da lì si diffuse a livello mondiale nei secoli successivi. Archigene, che esercitò con successo la professione di medico a Roma durante il regno dell'imperatore Traiano (98-117 d.c.) gli dette il nome di dioptro, e lo adoperò per osservazioni della cervice uterina. Forse non era molto diverso da quello vaginale.
FORCIPE |
Forcipe
In Ezio (II.iv.2), vi è un'interessante descrizione dell'amputazione dell'ugola schiacciandola dapprima con una pinza in modo da prevenire l'emorragia e quindi tagliarla. Ippocrate (I.63) menziona il forcipe come uno degli strumenti necessari del buon medico. Il forcipe è una specie di tenaglia che deve tener ben stretto un qualcosa che deve essere escisso da una cavità.
Un bassorilievo romano rinvenuto ad Ostia antica rappresenta un parto con forcipe. Il bassorilievo è andato perduto (o venduto) e la sua autenticità è stata messa in dubbio.
SPECULUM VAGINALE |
Speculum Vaginale
Uno dei più spettacolari strumenti medici romani è il dilatatore vaginale o lo speculum. Comprende un priapiscus con 2 (o a volte 3 o 4) valvole a coda di rondine che vengono aperte e chiuse da una maniglia con un meccanismo a vite, una disposizione che doveva ancora essere trovata negli speculum dell'Europa del XVIII secolo.
Soranus è il primo autore che fa menzione dello speculum appositamente realizzato per la vagina. Gli scrittori greco-romani di ginecologia e ostetricia spesso ne raccomandano l'uso nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi vaginali e uterini, eppure è uno degli strumenti medici superstiti più rari.
SPECULUM RETTALE |
Speculum rettale
La prima menzione dello speculum rettale si trova nel trattato sulla fistola di Ippocrate (III.331): "posando il paziente sulla schiena si esamina la parte ulcerata dell'intestino mediante lo speculum rettale." Ippocrate ne descrisse uno appunto per l'uso anale, all'epoca conosciuto con il nome di catoptere.
Venne usato altresì dai romani (lo strumento fu rinvenuto tra le rovine di Pompei, presso la Casa del Chirurgo), e da lì si diffuse a livello mondiale nei secoli successivi. Archigene, che esercitò con successo la professione di medico a Roma durante il regno dell'imperatore Traiano (98-117 d.c.) gli dette il nome di dioptro, e lo adoperò per osservazioni della cervice uterina. Forse non era molto diverso da quello vaginale.
BIBLIO
- Giorgio Weber - Areteo di Cappadocia: interpretazioni e aspetti della formazione anatomo-patologica del Morgagni - Firenze - 1996 -
- Danielle Gourevitch - I giovani pazienti di Galeno. Studio per la patogenesi dell'impero romano - Roma-Bari - Laterza - 2001 -
- Oribasio - Collecta medicinalia -
- Sorano di Efeso - Trattato di ostetricia e ginecologia - edizione Eose - Lipsia - 1882 -
4 comment:
Molto affascinante sapere la medicina e la chirurgia del passato per studiare come ragionavano gli antichi romani
Molto interessante,utile e inquietante allo stesso tempo
Di che epoca sono gli strumenti?
Molto affascinante! Di dove sono le fotografie?
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