L'economia di Roma e di parte della penisola italica è stata, nei primi secoli, una economia agricola di consumo. I contadini, pecorai soprattutto, ma anche allevatori di suini, vissero di cereali, farro e orzo prima ancora che di grano, oltre che di verdure, latte e formaggi. Impararono poi a lavorare i prodotti, le pelli e gli strumenti in legno, ferro ecc., il che rese necessario radunarsi in un agglomerato che potesse funzionare da punto di vendita.
Sorse così il PAGUS, il villaggio, con le proprie consuetudini, le proprie produzioni artigianali, i propri Dei e i propri miti, spesso simili nell'adorazione degli Dei, ma con varianti nel mito e nei riti da un paese all'altro. Era la religione Pagana, da Pagus, quella che il Cristianesimo faticò tanto ad abbattere, perchè con caratteristiche diverse da villaggio e villaggio, intrecciata alle opere produttive dei pagani, dall'agricoltura all'artigianato e al commercio.
Per la raccolta dei prodotti occorrevano ceste, secchi, erpici, rastrelli, pale e vanghe, martelli, nonchè vasi ed anfore, casse e pentole per cuocere il cibo. Così i pastori, ormai stanziali e agricoltori, iniziarono a lavorare le pelli per farne mantelli che riparassero dal freddo, ma pure otri per l'acqua, finimenti per muli, copricapo, borse e lacci per tenere le vesti. Non a caso il petaso (cappello) e la sacca per le monete di Mercurio erano di pelle. Con le ossa degli animali fecero aghi per cucire, pettini, astragali e zufoli.
Con l'argilla grossolanamente impastata riposero e cossero il cibo, poi fecero le anfore per contenere acqua e vino, infine coprirono le capanne con tetti di argilla che ben riparavano da sole e pioggia.
Con le canne fecero i cesti per raccogliere i prodotti del suolo, e iniziarono a tessere stoffe di lana e lino (se ne trovano tracce di ambedue già nel Neolitico), fabbricandosi col legno arcolai, telai e fusi.
Il legno era di uso basilare, sia per i pali che sostenevano la capanna, tra cui si ponevano fango e frasche, sia per le palizzate e i ricoveri degli animali, sia per tavoli e sedili, o cucchiai, piatti, strumenti per la lavorazione della terra, per la cardatura della lana ecc.
Insomma furono i Pagus i primi produttori artigianali che cominciarono a scambiarsi prodotti tra loro, per cui furono pure i primi commercianti.
LA BONIFICA DELLE PALUDI
I contatti con le popolazioni vicine e la navigabilità del Tevere fecero il resto, con scambi culturali e di manufatti. Soprattutto all'inizio con gli Etruschi, che insegnarono ai Romani a colorare le stoffe di rosso, utilizzando le secrezioni del murice: una conchiglia che abita il fondo marino nutrendosi di piccole conchiglie.
I Romani usarono i murici facendone allevamento e seccandoli al sole. Il liquido secreto si ossidava all'aria divenendo verdognolo, bluastro ed infine rosso-porpora fino al violaceo. Il manto di porpora dei Romani nacque da lì.
Gli Etruschi furono anche i primi a costruire un tetto sulle case di cui solo le fondamenta erano in pietra, ma il resto di fango, pali e frasche. Cossero infatti l'argilla per farne tegole molto pesanti rette da coppi, il che salvava l'interno dalla pioggia e dal caldo, ma soprattutto dalla necessità di rifare continuamente la tettoia di frasche.
Inoltre gli etruschi insegnarono l'arte di costruire l'arco. Fino ad allora porte e portali erano squadrati, ponendo un trave trasversale su due verticali. Il sistema nuovo era di costruire una intelaiatura di legno su cui porre una corona di pietre con un cuneo rastremato al centro, il che sosteneva molto più peso e durava molto di più. In realtà i Romani non lo adottarono molto nell'architettura delle case, ma lo adoperarono nelle porte cittadine e negli acquedotti, nei ponti, negli archi di trionfo, nonchè negli anfiteatri, come il Colosseo e nelle terme, insomma per le grandi costruzioni.
Sempre col sistema del legno arcuato a caldo e tenuto da una raggiera unita alla base da un'asta, come una semiruota, gli Etruschi furono costruttori di ponti, e i Romani, che erano grandi apprendisti di ogni cosa forestiera, lo impararono da loro. Il termine di Pontefice viene dall'arte di costruire ponti (pontem facitor, Pontifex), una capacità che si ereditava nelle famiglie, una corporazione riservata e segreta. Per il prestigio che donava fu poi riservato il termine ai sacerdoti. Il capo dei pontefici veniva chiamato pontifex maximus, (o Summus Pontifex) da cui il nome odierno del Papa: il Sommo Pontefice.
Gli Etruschi insegnarono ancora la metallurgia, a cominciare dalle miniere di allume, famose quelle della Tolfa, ma pure il ferro e il piombo (isola d'Elba, Populonia ecc.), nonchè la lega del bronzo e, per scopi ornamentali o sacri, l'elettro, fusione di oro argento e stagno, per gioielli e statuette sacre.
Fiorirono così la costruzione di armi e armature, di cuoio borchiato o di metallo, tenute con fettucce di cuoio, e i sandali, di legno snodabile e cuoio. Anche le vesti femminili si abbellirono di ricami e di veli.
Particolarmente abili erano gli Etruschi nella gioielleria, che i Romani copiarono solo in parte, trovando uno stile proprio meno orientaleggiante. I Romani usarono più le paste vitree che le pietre preziose, con oro a 22 carati e argento a 900, a volte miste a lacci di cuoio, oltre che a catene preziose.
Di conseguenza alle guerre di conquista i Romani disposero di molti schiavi di guerra che adoperarono non solo in casa ma per la coltivazione dei campi, che passò quindi da familiare a latifondista, in quanto una famiglia con molti schiavi poteva lavorare molta terra.
Ma soprattutto gli etruschi insegnarono loro a bonificare le paludi ed irrigare i campi, costruendo canali, invasamenti e chiuse. In molte zone, vedi Barbarano del Lazio, dove si scorgono le chiuse etrusche in tufo, sormontate da quelle romane in muri a sacco (malta mista a ciottoli), e pure immense cisterne per l'acqua scavate nel tufo. Il che permise di coltivare più campi e con maggiore produttività. I territori alluvionali e il suolo vulcanico furono una felice combinazione che fecero, e fanno tutt'oggi, dei prodotti italici tra i più buoni al mondo.
Ma i Romani non vennero solo a contatto con gli Etruschi ma anche coi Sabini, popolo piuttosto evoluto con fori, terme, teatri e templi. Una società di stampo più matriarcale di quella romana, con i suoi Dei e i suoi costumi. I sabini costruirono carri in legno e bronzo, statue in terracotta e pure in marmo, oreficeria in oro e argento, incisa o fusa, corredi anforari in bronzo, terracotta e così via.
Avevano una Grande Dea, Feronia, la Signora delle belve, che i Romani adottarono come divinità minore. Una cittadina fiorente fu infatti quella sabina del Locus Feroniae, di cui abbiamo resti importanti sulla via Tiburtina.
I Romani furono in realtà un popolo di rozzi pastori latini, di stirpe indoeuropea (gruppo latino-falisco), già presenti dal X secolo, che mescolandosi ai popoli vicini, dagli Etruschi ai Sabini, agli Osci, agli Umbri, ai Marsi, ai Sanniti, ai Greci e ai Pelasgi, avendo contatti pure coi fenici e i siriani, consentirono il fiorire di una cultura promiscua e pertanto ricca di tradizioni e abilità, fin dall'VIII sec. a.c. Il grande merito dei Romani fu l'apertura a tutte le culture e a tutte le genti e a tutte le innovazioni.
L'URBANIZZAZIONE DELL'IMPERO
Durante il periodo dei Cesari la penisola italica raggiunse la supremazia militare, economica e culturale nei confronti delle altre parti dell'lmpero. Iniziò con Cesare che proclamò di status romano la Gallia e la Britannia, la prima romanizzazione delle province. Ottenere la cittadinanza romana era un'ambizione di molte province, ma per ottenerla dovevano aderire alle leggi di Roma.
Il nome ITALIA
Lo troviamo per la prima volta nella "Confederazione Italica", come appare in una stele di Corfinium in Abruzzo, formata da diverse popolazioni che si posero in guerra con Roma per ottenere la sospirata cittadinanza.
Prima dell'espansione romana, l'Italia era composta da diverse popolazioni e culture, soprattutto indoeuropee, e forse anche dell'ellesponto, come riferisce la tradizione di Enea, con un substrato ligure del neolitico. Ma vi si impiantarono molte altre culture, come la splendida Magna Grecia dall'VIII sec. a.c. Al centro invece gli Osci, Sabini, Sanniti, Latini ed Umbri, nonchè i Pelasgi e gli Etruschi, probabilmente venuti dall'Asia minore. Nel nord i Liguri, e i Celti, che diedero luogo alla Gallia Cisalpina.
Dopo i due Cesari, le preoccupazioni erano: controllare la stabilità delle province e respingere eventuali invasioni, per il principio augusteo del: "Si vis pacem para bellum." cioè: Se vuoi la pace prepara la guerra. Il principio della PAX ROMANA, ovvero la Pax Augusta di Giulio Cesare Ottaviano.
LE PROVINCE ROMANE (zummabile) |
ROMA E LE PROVINCE
L'economia romana si basò molto sulle le province orientali (Asia minore) e settentrionali (Gallia, Germania), terre di produzione dei consumi di Roma. Potendo contare sul maggior prodotto delle campagne, la capitale raggiunse circa l milione di abitanti; di cui oltre 200000 vivevano di sussidi in denaro e in natura (distribuzioni periodiche di grano, olio, vino) da parte dello Stato.
A Roma fiorì pertanto la speculazione edilizia creando nuovi ricchi e nuovi clienti, ma anche nuovi poveri. Enorme il divario tra le splendide abitazioni dei patrizi e le insulae di alloggi della plebe romana, sovraffollati e facili all'incendio.
D'altronde più che creare poveri Roma li raccoglieva. L'immigrazione era continua, perchè a Roma qualcosa da fare si trovava sempre, e inoltre c'erano i sussidi dello stato, per cui tutti i disperati correvano alla capitale. Roma era per l'epoca l'America per gli emigranti: il paese delle possibilità. Sarà poi Cesare a porre un freno concedendo ai poveri terre in province lontane.
LO SFRUTTAMENTO DELLE PROVINCE
L'asservimento e lo sfruttamento delle Province fu opera dell'esercito prima e la burocrazia imperiale degli aristocratici poi. Esercito e burocrazia costituirono un dissanguamento continuo di denaro, che potè essere sostenuto finchè si conquistarono nuove terre e nuove ricchezze. Poi l'espansione imperiale si arrestò e l'amministrazione fu meno fiorente.
Roma era un pozzo di consumi di prodotti delle campagne italiche e delle province, in mano a Senatori ed aristocratici. Eccezione furono le ville, a cominciare da quelle dentro Roma, i cosiddetti Horti (orti). Iniziò Lucullo, stanco dei rumori del centro di Roma, sul Pincio, seguito ben presto da Sallustio. Da allora andò di moda. Molti romani che non potevano acquistare una villa al centro, compravano un grosso appezzamento nella periferia, fino ad allora riservata ai poveri, costruendovi una casa magnifica con campi e orti che rendevano la villa autosufficiente per cibo e prodotti.
Qui i Romani posero statue, giardini, ninfei e fontane al punto che anche i ricchi patrizi restarono talmente affascinati da seguirne l'esempio. Sorsero così molti Horti, come quelli di Mecenate, di cui resta il famoso Oratorio, o come quelli di Sallustio di cui si conservano i resti, nonchè gli Horti Lamiani di cui restano splendide statue.
Durante il tardo-impero la città diventa luogo di divertimento, soprattutto nei circhi, e di consumo della campagna che funziona da centro di lavoro e di produzione. Nella città si trovano scuole, ginnasi, teatri, biblioteche, e circolano la cultura e gli idiomi della civiltà greco-latina. Nelle campagne invece mancano le scuole per cui si parla solo l'idioma locale.
Oltre al divario di diritti legali fra città e campagna, c'è il fatto che il ceto dirigente proviene dalle città, mentre dalle campagne si reclutano solo soldati. Fare i soldati però è una possibilità di far carriera e arricchirsi, tanto che la maggior parte degli imperatori derivò dall'esercito.
L'ESTENSIONE E LA POPOLAZIONE DELLE PRINCIPALI CITTA' DELL'IMPERO
Suolo italico
ROMA - 1800 ettari - 1 milione di abitanti
CAPUA - 180 ettari - 70000 abitanti
MEDIOLANUM - 133 - 50000
BOBONIA - 83 - 30000
AUGUSTA J. TAURINORUM - 47 - 20000
VERONA - 45 - 20000
AUGUSTA PRAETORIA - 41 - 20000
Suolo extraitalico
LEPTIS MAGNA - 400 - 100000
AUGUSTA TREVERORUM - 285 - 50000
NEMAUSUS - 220 - 70000
VINDOBONA - 200 - 60000
BOBONIA - 83 - 30000
AUGUSTA J. TAURINORUM - 47 - 20000
VERONA - 45 - 20000
AUGUSTA PRAETORIA - 41 - 20000
Suolo extraitalico
LEPTIS MAGNA - 400 - 100000
AUGUSTA TREVERORUM - 285 - 50000
NEMAUSUS - 220 - 70000
VINDOBONA - 200 - 60000
LONDINIUM - 140 - 50000
LUTELIA - 55 - 20000
Suolo extraeuropeo
ALEXANDRIA - 900 - 500000 - 1 milione
CARTHAGO - 300 - 200000 - 300000
NOVA ROMA (Costantinopoli) - 1400 - 500000
IL TARDO IMPERO
Nel secolo II d.c. l'organizzazione agricola della penisola italica subisce notevoli cambiamenti.
La concorrenza delle province, il lavoro a bassa produttività degli schiavi, l'assenteismo dei proprietari impegnati a Roma nelle carriere politiche, cambia il sistema economico. Per supplire alla carenza di lavoratori, i proprietari terrieri formano una rete di coloni, schiavi o liberti.
VIE DI COMUNICAZIONE DELL'IMPERO (INGRANDIBILE) |
Assistiamo perciò al moltiplicarsi delle "villae", stavolta di campagna. La "villa suburbana" è un'insula circondata da terre, case coloniche autosufficienti per la coltivazione, con pastorizia e produzioni artigianali, dagli strumenti di lavoro per la terra agli oggetti di uso domestico. Inoltre pian piano assumono funzioni giuridiche, fiscali e di protezione, circondandosi di mura e di uomini armati. In più la parte padronale si abbellisce di pitture, statue e giardini, somigliando sempre più agli Horti romani.
IL CROLLO DELL'IMPERO
Alla base della lotta politica del secolo III vi è il contrasto fra città e campagna per la ripartizione degli oneri fiscali: i tenutari delle campagne, spesso ex militari, vogliono sottrarsi al dominio dei ceti urbani.
Ma soprattutto fu decisivo l'avvento dei barbari, che passano per le città non per conquistarle, perchè sono popoli nomadi, ma per saccheggiarle e trucidare la popolazione. Così le città si spopolano per cercare salvezza e cibo.
I barbari distruggono anche gli acquedotti e le culture, la città muore e inizia il grande esodo per le campagne, in qualunque luogo ospitale o inospitale, perfino nelle grotte. E' la fine dell'Impero. .
BIBLIO
- Famiano Nardini - Roma antica - Stamperia De Romanis - 1666 -
- Luciano Canfora - Noi e gli antichi. Perché lo studio dei greci e dei romani giova all'intelligenza dei moderni - Milano - Rizzoli 2002 -
- Luciano Canfora - Gli antichi ci riguardano, Bologna, Il Mulino, 2014 (Collana: «Voci») -
- Luciano Canfora - Gli antichi ci riguardano, Bologna, Il Mulino, 2014 (Collana: «Voci») -
- Ronald Syme - La Rivoluzione Romana (The Roman Revolution, Oxford University Press, 1939 - Einaudi, Torino, 2014 -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - vol. V/1 - Firenze - 1973 -
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