DA CITTA' A STATO



LA CRISI

Dopo la cacciata dei Tarquini, vi fu a Roma una crisi militare ed una economica. La crisi militare venne perchè la caduta della monarchia dette ai confinanti un'idea di debolezza militare, per cui ci fu una controffensiva dei Latini, degli Equi e dei Volsci che si ripresero parte dei loro territori, riguadagnando pure l’egemonia marittima del commercio sul Mediterraneo. La crisi economica ci fu perchè il potere dopo la monarchia tornò nelle mani dei Patrizi, a discapito di contadini, artigiani e mercanti con un grosso danno all'economia agricola tornata nelle mani dei grandi latifondisti.

I primi Consoli assunsero i ruoli dei re con l'eccezione del Rex sacrorum o "Re delle cose sacre", il sacerdozio di Iuppiter Optimus Maximus nel tempio del colle Capitolino. Durante la repubblica, l'età minima per l'elezione a console era di 40 anni per i Patrizi e di 42 per i Plebei. Di fatto i Consoli erano eletti dal popolo ma poichè esisteva il clientelismo, non di rado i Patrizi corrompevano col denaro per ottenerne il voto.

Memori degli antichi diritti durante la monarchia, perduti con la Repubblica, i Plebei erano in continuo conflitto con gli Aristocratici. I Plebei erano il partito dei Populares e gli Arisotcratici il partito degli Optimates. Accorgendosi che ogni battaglia era inutile, i Plebei, nel 494 a.c., abbandonarono l'Urbe, portandosi dietro famiglia e beni, stabilendosi sulle colline fuori dalle mura, la cosiddetta Secessione Aventina. Grazie a questa ottennero di eleggere due Tribuni che li rappresentassero, sacri, inviolabili e difesi dalla Plebe.

Una seconda secessione, nel 450, ottenne la redazione delle Dodici Tavole della legge e il numero di Tribuni fu portato a 10. Verso il 270 le magistrature furono aperte ai plebei, e la terza secessione portò alle Lex Hortensia, che concesse il voto al Concilio dei Plebei, il plebiscito odierno.

Tito Livio racconta che sull'Aventino si riunì la plebe di Roma, in secessione perchè scontenta delle leggi e del trattamento a netto favore dei Patrizi. Fu il primo sciopero romano e probabilmente mondiale, dove i Plebei incrociarono le braccia bloccando l'economia romana. Per fare tornare i Plebei al lavoro fu chiamato a trattare con loro Menenio Agrippa che, sull'Aventino, li persuase a tornare col famoso apologo sulle diverse membra del corpo. In realtà furono le riforme concesse a convincere i Plebei. Conscia così della necessità di spartire nuove terre ai Populares, Roma cercò di espandere il suo dominio su nuovi territori.



LA CONQUISTA DELLA PENISOLA (496 a.c. - 275 a.c.)

Roma, da lungo tempo etrusca, era esclusa dalla lega delle città latine, pertanto le guerre si combatterono sui confini latini. Visto però che nessuna delle due fazioni riuscì a prevalere, si venne nel 496 a.C. a un trattato tra Romani e Latini, per cui Roma riconosceva l'autonomia delle città latine, ma si riservava il Supremo Comando in caso di guerra.

I Romani sentivano infatti aria di guerra dagli Equi e dai Volsci dagli Appennini centro-meridionali. In queste battaglie, del Monte Algido e di Corbione, nacquero le leggende di Coriolano e di Cincinnato.


CORIOLANO

Eutropio, "Breviarium ab Urbe condita" racconta:
« Q. Marcio, duce romano, che aveva conquistato Corioli, città dei Volsci, accecato dall'ira si recò presso i Volsci e ottenne aiuti contro i Romani. Sconfisse spesso i Romani, arrivando fino a cinque miglia da Roma, pronto a combattere anche contro la sua patria, respinti i legati inviati per chiedere la pace, vinto solamente dal pianto e dalle suppliche della madre Veturia e della moglie Volumnia, andate da lui da Roma, ritirò l'esercito. E questo fu il secondo capo, dopo Tarquinio, ad essersi opposto alla propria patria.»
Sembra che Coriolano, della gens Marcia, fosse stato esiliato per comportamento indegno e che per reazione tradì alleandosi coi Volsci, ma per quanto ravveduto, si narra fosse ucciso proprio per questo dai Volsci.



CINCINNATO

Eutropio, "Breviarium ab Urbe condita"
« A causa del blocco di un esercito romano sul monte Algido a dodici miglia dalla città, Lucio Quinzio Cincinnato, un uomo che possedeva soltanto quattro acri di terra e lo coltivava con le proprie mani, venne nominato dittatore. Egli trovandosi al lavoro impegnato nell'aratura, si deterse il sudore, indossò la toga praetexta, accettò la carica, sconfisse i nemici e liberò l'esercito. »
Vinta la battaglia contro gli Equi dunque l'onesto Cincinnato salutò tutti, mollò il Consolato e tornò ai suoi campi. Ma un consolato si sa, durava sei mesi e al massimo un anno.

Insomma vinti Equi e Volsci, i Romani volsero gli occhi sull'etrusca Veio, che le contendeva il dominio commerciale sul Tevere. La guerra si concluse nel 396 a.c. con la distruzione della bellissima città (di cui però restano notevoli reperti nell'area) ad opera di Furio Camillo, dopo un assedio di dieci anni. Ma il centro Italia non era ancora in mani romane, e c'era soprattutto la migrazione di Celti da nord e Sanniti da sud.


I CELTI

Alla fine del V secolo a.c. gli indoeuropei Celti migrarono dall'Europa del nord verso Francia, Spagna, il sud dell'Inghilterra, e l'Italia Settentrionale.
La battaglia con Roma avvenne a Chiusi nel 390 a.c., dove i Galli Senoni, con Brenno, vinsero prima gli Etruschi e poi i Romani sul fiume Allia.
Si narra pure che a suo tempo il Lucumone Porsenna avesse imposto l'abbattimento delle mura romane lasciando così Roma alla mercé dei Galli. Ma questo fa pensare a uno scarico di responsabiltà sulle città etrusche per giustificare le guerre successive all'Etruria.


IL SACCO DI ROMA

I Romani superstiti della battaglia di Allia, inseguiti dai Galli, si ritirarono entro le mura di Roma, dimenticando di chiuderne le porte, così riporta Livio, ma è a dir poco incredibile. Dovendo sostenere l'inviolabilità delle mura romane si evitò di raccontare che non ressero all'assalto nemico.

I Galli misero a ferro e fuoco l'intera città, ivi incluso l'archivio di stato, cosicché leggenda e storia si sovrapposero. Si dice che l'irruzione dei Galli in Senato trovò i senatori eroicamente composti sui loro scranni, ma che venissero malgrado ciò massacrati tutti. I Romani rimanenti si rifugiarono sul Campidoglio, il colle più fortificato, subendo un ulteriore assedio.

La leggenda narra che le oche sacre del tempio capitolino di Giunone avvisarono dei Galli che stavano per entrare sul colle, salvando i Romani. Strano che i Romani sulle mura non avessero vedette. Sembra invece si giungesse a un accordo che costò all'Urbe 1000 libre d'oro, perchè i Romani morivano di fame ma i Galli avevano un'epidemia che li devastava.

Ma siccome quando si perde si inventano sempre eroismi, venne inventato l'episodio della bilancia truccata dai Galli per ottenere più oro con Brenno che vi pose su anche la sua spada gridando : "Guai ai vinti!", ma poi tutto si ricompose col provvidenziale arrivo di Marco Furio Camillo, conquistatore di Veio, che urlò: «Non con l'oro si difende l'onore della patria, bensì col ferro delle armi!» facendo fuggire i Galli che spaventati mollarono il bottino.



LA RICOSTRUZIONE

Roma era stata rasa al suolo, non aveva mura nè oro e la Lega Latina era in pezzi. La plebe, unica manovalanza produttiva, ne profittò per ottenere leggi più eque. Le mura attorno ai sette colli furono ricostruite e fortificate in 12 anni (378 a.c.). Quando il nemico è esterno la gente si allea, per cui per un certo tempo aristocratici e plebe trovarono un accordo, da cui nacque l'S.P.Q.R. cioè Senatus Populusque Romano, letteralmente il Senato e il Popolo Romano, finalmente uniti.
Questa terribile disfatta cambiò la visione dei Romani che finalmente si occuparono di ciò che più contava: difendere Roma.

Francesco De Martino ha accuratamente calcolato che all'inizio del VI secolo a.c. Roma occupava un territorio di 150 chilometri quadrati con 10.000 abitanti; alla fine della monarchia etrusca, cento anni più tardi, il suo territorio si estendeva invece su 820 chilometri quadrati, con una popolazione di 50.000 abitanti: Roma era diventata, quindi, non solo una delle più grandi città italiche (la potente Siracusa in quel periodo contava circa 40.000 abitanti), ma una rispettabile potenza mediterranea.
(Francesco De Martino,Storia economica di Roma antica, La Nuova Italia, 1980).



L'ESERCITO

Si riformò l'esercito: le armi di bronzo furono sostituite da quelle di ferro, più duro, leggero e affilabile del bronzo.
Gli scudi da tondi divennero rettangolari e convessi all'esterno.

Fu introdotta la spada corta, il gladium, al posto della spada lunga che non consentiva lo scudo grande.
La serrata degli scudi rettangolari formò la testuggine molto protettiva per i soldati in prima linea o sotto un nugolo di frecce. Fu introdotto un giavellotto leggero e potente, il pilum che, tra l'altro, aveva il vantaggio di spezzarsi con il colpo, di modo che il nemico non potesse utilizzarlo.

La legione romana diventò più manovrabile e veloce. Venne strutturata su tre linee una avanti all'altra: davanti gli Hastati (i meno esperti, armati di lance e corazze leggere, spada e scudo), in mezzo i Principes (lancia, due giavellotti, spada, scudo e pugnale), dietro i Triari (i veterani, con scudo, lancia, pugnale, elmo).

La cavalleria venne disposta ai lati della fanteria. Ogni legione era formata in genere da 4.200 fanti e da 300 cavalieri.



I SANNITI (343 - 290 a.c.)


LA I GUERRA SANNITICA

Ora i Sanniti dominavano il territorio dal Gargano a Pescara, con mire espansionistiche verso la regione campana del nord, perchè il sud era già loro.
Fu Roma a inaugurare le guerre sannitiche, quando Capua, assediata dai Sanniti, le chiese aiuto. L'aiuto arrivò e i Romani vinsero, ma si accordarono con un trattato di pace.


LA II GUERRA SANNITICA

La seconda guerra fu ancora iniziata dai Romani per soccorrere Napoli assediata. I Sanniti avevano come alleati Etruschi, Umbri, Sabini e Lucani.

I Romani non solo vennero sconfitti ma dovettero passare sotto le Forche Gaudine, un passaggio di lance tanto inclinate da costringere i vinti ad inchinarsi davanti ai vincitori.

Una terribile umiliazione per i Romani, l'unica che subì, e che non poteva essere dimenticata.


LA III GUERRA SANNITICA

Giunse infatti la terza guerra sannitica, con Sanniti, Umbri, Etruschi e i famigerati Galli Senoni alleati contro Roma. Nella disperazione della dura battaglia il console Publio Decio Mure compì il rito sacrificale della devotio consacrandosi a Marte ed agli Dei Inferi, e quindi sacrificando la vita all'esito della battaglia. Il console morì ma ai Romani dette tanto coraggio che si lanciarono nella battaglia e vinsero.

Altre battaglie annientarono gli ultimi nemici:
i Galli Senoni, 285-282 a.c. e i Celti nel 225 a.c., quando i Romani riuscirono a bloccare l'ennesima invasione a Talamone.



LA MAGNA GRECIA

Sconfitti i Sanniti, Roma spostò le mire sulle città greche della Magna Grecia. Furono i tarantini a iniziare, che nel 280 a.c. affondarono delle navi romane che transitavano, malgrado i trattati, nel golfo di Taranto. I tarantini chiesero aiuto al re dell'Epiro Pirro che venne in soccorso.

Le guerre pirriche andarono dal 280 al 275 a.c., quando Pirro fu sconfitto nella battaglia di Benevento e costretto a tornarsene in patria. Taranto resistette all'assedio romano per tre anni, capitolando nel 272 a.c. Ora la penisola italica era romana.



LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO (264 a.c. - 146 a.c.)

La penisola italiana era ormai romana, ma la Sardegna, la Corsica e la Sicilia occidentale erano sotto il controllo dei Cartaginesi, mentre la Sicilia orientale era sotto il controllo di Siracusa.
Roma desiderava ora annettersi la Sicilia, il grande granaio italico.


LA I GUERRA PUNICA

Iniziò quando Messina, assediata da Siracusa, chiesero aiuto a Roma e Roma accorse. Per i Cartaginesi fu una violazione dei trattati e dichiararono guerra a Roma. La guerra si protrasse per circa 20 anni, dal 264 al 241 a.c., combattuta soprattutto per mare concludendosi con la battaglia delle Isole Egadi e la vittoria dei Romani. Approfittando della rivolta dei mercenari, detta anche Guerra mercenaria, che investì Cartagine per tre anni, Roma nel 238 a.c. si appropriò di Sardegna e Corsica.

Amilcare, generale cartaginese, andò a conquistare territori in Spagna, che aveva giacimenti di minerali pregiati. Da qui, dopo la politica di rafforzamento del genero di Amilcare, Asdrubale, partì Annibale per muovere guerra a Roma. Nel 218 a.c. dopo aver espugnato e distrutto Sagunto, alleata di Roma, Annibale intraprese la famosa marcia con gli elefanti attraverso la Provenza e le Alpi nella Seconda guerra punica, dal 219 a.c. al 202 a.c., coinvolgendo anche Spagna e Cartagine. A Canne i Romani vennero sconfitti. La Repubblica romana stava per cadere.

Filippo V di Macedonia, incoraggiato dalla sconfitta romana a Canne si alleò nel 215 a.c. con Annibale, per ottenere uno sbocco sul mar Adriatico. La guerra terminò nel 205 a.c., con la pace di Fenice, con cui Filippo ottenne uno sbocco sull'Adriatico.


Attilio Regolo

Marco Attilio Regolo, Marcus Atilius Regulus, nato non si sa bene se a Sora o Balsorano nel 299 a.c., fu eletto console nel 267 a.c. e, con il collega Lucio Giunio Libone, guidò l'esercito contro le città greche di Puglia e Lucania dopo la sconfitta di Pirro re dell'Epiro, conquistando buona parte della Puglia e Brindisi, il che dava a Roma il controllo dell'imbocco del Mare Adriatico.

La seconda nomina a console per Atilio fu nel 256 a.c. mentre Roma è in guerra con Cartagine già da otto anni. Sicilia e Sardegna erano sotto controllo di Roma, così il Senato decise di portare la guerra sulle coste dell'Africa invadendo le colonie cartaginesi. Fu costruita una grande flotta di 230 navi con 97.000 uomini fra soldati e marinai, sia per il trasporto delle truppe e dei rifornimenti, sia per la protezione dei convogli. Cartagine mise in acqua una flotta ancora più potente di 250 navi e 150.000 marinai.

Le due flotte si scontrarono a Capo Ecnomo, Roma vinse e Atilio Regolo sbarcò a Clupea per costringere l'esercito cartaginese ad entrare in azione. I cartaginesi intrevennero e Atilio Regolo li sconfisse occupando Tunisi. Gli ordini di Roma furono di far rientrare in patria parte dell'esercito e delle navi, cosa di cui si incaricò l'altro console, Lucio Manlio Vulsone Longo.

Cartagine, mentre intavolava trattative di pace, affidò la riorganizzazione dell'esercito allo stratega spartano Santippo. Atilio Regolo impose una resa senza condizioni. Cartagine disperata riprese le ostilità e Regolo fu sconfitto presso Tunisi e fatto prigioniero.

Si salvarono circa 2.000 uomini che ripararono a Clupea e furono raccolti da una flotta romana che venne però quasi distrutta da una furiosa tempesta. La guerra continuò in Sicilia e in mare per altri tredici anni. Roma e Cartagine stremate intavolarono trattative di pace.

La leggenda di Marco Atilio Regolo, cantata da Quinto Orazio Flacco nelle Odi, narra che Cartagine abbia inviato il prigioniero a Roma perché convincesse i concittadini a chiedere la pace. Se non avesse avuto successo sarebbe tornato a Cartagine e mandato a morte, tutto sulla parola. Ma Regolo, in quegli anni di prigionia aveva visto le terribili condizioni economiche di Cartagine, per cui esortò Roma a continuare la guerra.

Doveva essere l'anno 246 a.c. in quanto l'anno successivo la guerra riprese con l'intervento cartaginese in Sicilia guidato da Amilcare Barca, padre di Annibale e Roma creò colonie su tutti i territori potenzialmente soggetti a sbarchi cartaginesi o con forte presenza di greci, da poco sottomessi e non ancora integrati.

Probabile che l'episodio delle torture subite da Regolo, il taglio delle palpebre per bruciargli gli occhi al sole e il rotolamento da una collina dentro una botte irta di chiodi siano una leggenda; per Lucio Anneo Seneca fu invece crocifisso. Forse è vero o forse no, però Marco Atilio Regolo fu fatto prigioniero, e, propaganda o no, una bella fine non la fece.


LA II GUERRA PUNICA

Annibale accumulò vittorie al Trebbia, al Trasimeno e a Canne, combattendo per anni battaglie per Capua, Cuma, Taranto, Locri Epizefiri ripetutamente conquistate e perdute. Furono i generali Scipioni in Spagna a contrastarlo e togliergli le città vinte.

Alla fine, sfidando il Senato romano, Publio Cornelio Scipione l'Africano, proconsole della Sicilia nonchè abilissimo condottiero e stratega militare, andò a combattere a Cartagine e dopo due anni di battaglie sconfisse Annibale, rientrato in patria, nella battaglia di Zama che pose fine alla guerra, togliendo a Cartagine il predominio del Mediterraneo.


LA III GUERRA PUNICA

Per paura che Cartagine, ormai debole, venisse occupata dalla Numidia, i Romani partirono con un esercito di 80.000 uomini e 4.000cavalieri contro Cartagine, che si arrese inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica. L'esercito romano sbarcò a Utica, che si arrese.

Cartagine dovette consegnare armi, armature, e materiale bellico. Dopodichè partì l'ordine di distruggere la città. Cartagine si ribellò: uccise gli italici presenti in città, liberò gli schiavi per farli combattere, richiamò Asdrubale e altri esuli, e fu chiesta una moratoria di 30 giorni per inviare una delegazione a Roma.

I Romani la concessero e i cartaginesi in 30 giorni fecero miracoli, forgiando ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le catapulte ormai ricostruite. Le donne offrirono i capelli per le corde degli archi. Ai Romani non restò che assediare la città.

Asdrubale raccolse 50.000 uomini ben armati, espose sulle mura i cadaveri mutilati dei nemici ed assunse il potere supremo.

A Roma intanto fu nominato console Publio Cornelio Scipione Emiliano. Attaccò di notte il porto difeso da Asdrubale coi suoi 7.000 uomini. Asdrubale dovette fuggire e Scipione bloccò il porto e i rifornimenti per gli assediati.

Questi scavarono un tunnel guadagnando il mare e riuscirono a costruire cinquanta navi ma Scipione distrusse la flotta e il tunnel fu richiuso. Cartagine era in preda alla fame e alla pestilenza, infine Scipione decise che era ora di dar battaglia, strappando vicolo per vicolo. Cartagine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto. Venne sparso del sale perchè non risorgesse mai più.

Roma era padrona incontrastata del Mediterraneo chiamato anche MARE NOSTRUM.



I VINTI

Le ragioni per cui Roma riuscì bene o male a tenere sotto il suo dominio terre tanto diverse con popolazioni diverse va ricercato nella mentalità e i costumi dei Romani. Essendo una società multietnica e in contatto con molte altre civiltà avevano acquisito un'apertura mentale piuttosto ampia. Pertanto rispetto ai popoli conquistati avevano una civiltà più equa, moderna e tollerante.



I DIRITTI CIVILI

  • Roma: i cittadini godevano di pieni diritti, politici e civili.
  • Colonie: città a difesa di luoghi strategici da cittadini romani (colonie romane) o latini (colonie latine); gli abitanti avevano gli stessi diritti dei cittadini romani. Consentivano ai cittadini più poveri di migliorare le condizioni di vita per la trasferta, controllando i territori e le popolazioni sconfitte.
  • Municipi: città conquistate da Roma con autonomia amministrativa e propri magistrati. Gli abitanti godevano gli stessi diritti civili dei Romani, meno i diritti politici, e dovevano contribuire alla difesa con militari, viveri, armi, carri e navi.
  • Soci o alleati: città legate a Roma da trattati di alleanza. Roma decideva sulla pace e sulla guerra, ma si gestivano da se stesse.
  • Roma non impose tributi esorbitanti, nè spoliazioni di ricchezze alle città vinte, comportandosi, in questo, in modo diverso da quasi tutti gli altri popoli conquistatori dell'epoca.
  • Il più delle volte richiedeva solo aiuti militari in caso di guerra, in modo da assicurare una difesa comune.
  • I popoli conquistati potevano commerciare tra loro e con Roma, mantenevano buona parte delle loro proprietà fondiarie.
  • Le famiglie più importanti e ricche potevano essere ammesse alla cittadinanza romana e anche stabilirsi nella stessa Roma.
  • I popoli conquistati continuavano a professare la propria religione.
  • Sulle città conquistate i Romani costruirono ponti, strade, acquedotti, porti, teatri: oppure fondarono nuove città.
  • I territori conquistati erano garantiti da altri invasori, spesso molto più crudeli e devastanti.
  • Erano garantiti i porti e i viaggi in mare dalla pirateria.
  • Nelle città era garantito l'ordine pubblico.
  • Le leggi romane garantivano l'uso dei tribunali e dei processi secondo la legge.
  • Al contrario dell'ellenizzazione che cercò di sostituire le istituzioni locali con quelle greche, impose la lingua, i costumi e la filosofia greche, Roma lasciò ai popoli conquistati la cultura, la lingua, la religione, i costumi, l'amministrazione e la politica locale. Invero impose la lingua romana ma come lingua aggiuntiva, e divulgò l'alfabetizzazione.
Non dimentichiamo che nel mondo di allora di diritti e di leggi ce n'erano pochi. Il padre aveva diritto di vita e di morte sui figli, la tortura e la mutilazione dei prigionieri di guerra era normale, come il sopruso del forte sul debole senza speranza di giustizia. Con i suoi infiniti difetti Roma fu L'UNICO FARO DELLA CIVILTA'.


BIBLIO

- Mario Pani - Elisabetta Todisco - Società e istituzioni di Roma antica - Roma - 2005 -
- Biondo Biondi - Istituzioni di diritto romano - Ed. Giuffré - Milano - 1972 -
- Giovanni Rotondi - Leges publicae populi Romani: elenco cronologico con una introduzione sull'attività legislativa dei comizi romani - Hildesheim - Olms, 1962 -
- Sesto Pomponio - De origine iuris -
- Mario Attilio Levi - Plebei e patrizi nella Roma arcaica - Como - New Press - 1992 -
- Antonietta Dosi - Così votavano i Romani - Vita e Costumi nel mondo romano antico – 2ª serie, Quasar, Roma - 2004 -




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