L'ALLEVAMENTO NELL'IMPERO ROMANO


L’allevamento e la pastorizia furono tra le principali risorse economiche della penisola italica.
L’uso degli animali domestici in epoca remota migliorò le pratiche agricole, con l’introduzione dell’aratro trainato da bestie da soma e degli animali per il trasporto, soprattutto i muli.

  • I bovini - I bovini erano gli animali più utili, produttori di: latte, burro, formaggio, carne, pelli, concime, corna e ossa per la fabbricazione di strumenti e oggetti d’abbigliamento, e pelli. Anche se la carne bovina non era la preferita dei Romani, possedere un gregge di bovini era una ricchezza. Durante l’inverno si teneva da parte una buona scorta di granaglie, non solo per gli uomini ma anche per buoi, che dovevano sostenere poi l’aratura dei campi. Dai reperti archeologici però nella zona del Latium si sono osservate tracce di pastorizia in epoche molto arcaiche, ma soprattutto suini e ovini, di meno i bovini, che vennero allevati in modo più esteso in un secondo tempo.                                                                                                                           
  • Gli equini - Anche i cavalli erano utilizzati come mezzi di trasporto, ma più per la corse del circo e per gli equites degli eserciti. Il loro allevamento era costoso e impegnativo, per cui i contadini preferivano asini e muli, più resistenti e meno bisognosi di cure. Delle asine si apprezzava molto il latte, sia per i bambini, soprattutto i neonati, sia come base di cosmetici.                       
  • Gli ovini - Le pecore erano l’allevamento più diffuso, perchè fornivano lana per gli indumenti, latte, destinato soprattutto al formaggio, e concime per la coltivazione dei campi. La campagna intorno all'Urbe fu da sempre l'agro romano destinato alle pecore, allora come oggi. Si allevavano anche le capre, non più di 50-100 capi per gregge. Il loro latte era pregiato, e in più fornivano il cuoio.                                                                                                                                    
  • I suini - L’allevamento del maiale era molto diffuso, richiedeva poche cure, si riproduceva rapidamente e dava una carne molto apprezzata. Ogni contadino, anche se non allevava animali, teneva nel cortile almeno una coppia di maiali, nutrendoli con ghiande e avanzi di cucina. Plinio il Vecchio ricordava oltre cinquanta ricette di carne suina. Con le loro carni si producevano le carni insaccate di lunga conservazione, col lardo si cucinava e col sego si alimentavano le lucerne, mentre con le setole si facevano pennelli. Il maiale non era però quello odierno, bensì una specie di cinghiale più piccolo e un pò meno selvaggio.                                 
  • Il pollame - Molto diffusi anche polli e galline, apprezzati dai contadini per il loro sterco, ottimo correttore dei vigneti e dei campi più magri, e per la loro carne. La quantità di galline e polli consigliata per una fattoria media era di 200 capi, cui bastava un solo custode. Non mancavano neppure le oche in branco.                                                                                                    
  • Le api - Il miele era ampiamente usato dai Romani e l’allevamento delle api era un ottimo investimento. Si costruivano le arnie con cortecce di sughero o vimini di salice intrecciati, sconsigliata l’argilla, che si surriscalda d’estate e gela d’inverno. I fori per il nettare dovevano essere piccolissimi, così da non far passare il freddo e ospiti indesiderati, come gli scarabei e le farfalle notturne, che succhiavano i favi. Le arnie venivano disposte su un rialzo di pietre lisciato e intonacato, per impedire la salita di lucertole e bisce, e collocate in luoghi soleggiati e lontani dai pascoli degli animali, recintati da un muricciolo forato da finestrine per il passaggio delle api. I pascoli preferiti erano quelli ricchi di piante odorose e alberi da frutto. I Romani non avevano lo zucchero, anche se dalle barbabietole ottenevano un sciroppo piuttosto dolce, ma il miele era molto più apprezzato.                                                                                                      
  • Ma si investiva anche nell'allevamento del pesce in piscine artificiali sia d'acqua dolce che marine: murene, astici, orate, dentici, spigole, storioni, mujo cioè triglie, ombrine, rubecole cioè fragolini, barbi, lucci, cefali, polpi, anguille e capitoni, ostriche e mitili.
    o dei volatili nelle voliere, o in conigli nelle conigliere.

La festa pastorale

A Roma il 13 febbraio si festeggiavano i Lupercali, un'antica festa pastorale forse anteriore alla fondazione di Roma. I sacerdoti, detti Luperci, sacrificavano una capra nella grotta del Lupercale, ai piedi del Palatino presso il Velabro, dove la lupa avrebbe allattato Romolo e Remo. Col sangue dell'animale ucciso bagnavano poi la fronte di due ragazzi, che detergevano poi con un panno di lana imbevuto di latte.

Quindi tagliavano la pelle della capra in piccole strisce per farne delle fruste con le quali, correndo attorno al Palatino, colpivano la gente che veniva cosi februata, ossia purificata, e soprattutto le donne, per un rito di fertilità. Recentemente è sato rinvenuto a Roma una specie di ninfeo sotterraneo a volta, con un'aquila al centro della volta e con guarnizioni di pietre colorate, sassi e conchiglie, ritenuto l'antico Lupercale romano dove si celebrava l'omonima festa.


BIBLIO

- Naturalis Historia - XXXI -
- Antonietta Dosi - Le abitudini alimentari dei Romani” (coautore Francois Schnell), Vita e Costumi dei Romani Antichi - Quasar - Roma - 1991 -
- De Beata Vita di Sant’Agostino - XXVI -
- Peter Temin - Estimating GDP in the Early Roman Empire - Elio Lo Cascio (ed.) - Innovazione tecnica e progresso economico nel mondo romano - Edipuglia - Bari - 2006 -


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