( Fonte ) |
« In fatto di cibi era sobrio e di gusto quasi volgare. Le sue preferenze andavano al pane comune, ai pesciolini, al formaggio di vacca pressato a mano, ai fichi freschi, della specie che matura due volte all'anno. Mangiava anche prima di cena, in ogni momento e in qualsiasi luogo, come esigeva il suo stomaco »
Lo dice lui stesso in una delle sue lettere:
« In vettura abbiamo gustato pane e datteri »
«Mentre in lettiga tornavo a casa dalla galleria ho mangiato un po' di pane con qualche acino di uva dura.»
E di nuovo:
«Mio caro Tiberio nemmeno un Giudeo, il giorno di sabato, osserva così rigorosamente il digiuno come ho fatto io quest'oggi, perché soltanto al bagno, dopo la prima ora della notte, ho mangiato due bocconi, prima che si incominciasse ad ungermi.»
Questo appetito capriccioso lo obbligò talvolta a mangiare da solo, sia prima, sia dopo un banchetto, mentre poi durante il pasto regolare non toccava cibo.
Augusto era sobrio in tutto, e non perchè voleva dimostrare di esserlo, come è stato scritto, ma perchè lo era davvero. Lo era nel cibo, nelle vesti e pure nella casa, ma non era di gusti volgari, come afferma Svetonio, e la sua domus lo dimostra. La casa, di epoca tardo repubblicana, intorno al 36 a.c., era di Augusto quando non era ancora imperatore, lo diverrà nel 27 a.c..
Augusto era di gens Iulia, famiglia ormai ricca grazie a Cesare, sua madre Azia era la figlia della sorella di Cesare, Giulia minore, inoltre suo padre era un ricco mercante. Insomma avrebbe potuto scegliere molto di meglio per la sua casa, ma c'erano diverse ragioni: era un tipo sobrio, aveva una grande paura di ammalarsi e amava i miti della grandezza di Roma, quei miti che esaltavano il coraggio e l'austerità dei tempi antichi.
LA PIANTA |
ANDREA CARANDINI
Nell’antichità le fotografie non esistevano, ma alcuni rilievi e monete del tempo di Augusto altro non sono che fotografie animate, che molto aiutano a ricostruire il palazzo del princeps in dettagli significativi come la porta di casa, il culto di Bacco all’esterno della casa, una veduta di quest’ultima, il culto di Vesta e infine l’ara di Apollo con il tetrastylum Augusti che stava nella porticus delle Danaidi.
Entro una parete in finta opera quadrata si apriva la porta di casa fiancheggiata da allori – come probabilmente anche ai lati dell’ingresso al mausoleo – e anche da trofei. Era sovrastata dalla corona di quercia decretata nel 27 a.c. con l’iscrizione P.P., pater Patriae o patri Patriae. Claudio vi aggiungerà una corona navale dopo il trionfo sulla Britannia.
LA BALCONATA SUL CIRCO
Dopo l’8 a.c. il princeps ha aggiunto sul fronte del suo palazzo-santuario, che era rimasto ancora quello alquanto incongruo della domus Octaviani, un corpo rettangolare enorme e dall’organica e impressionante facciata rivolta al Circo. Sopra di esso era un terrazzo porticato, contenente probabilmente una serie di alberelli di alloro, la silva Apollinis che al centro aveva un’ara, probabilmente quella definitiva della Roma Quadrata.
Come la porticus delle Danaidi, anche questa, a livello più basso, rientrava nell’area Apollinis, formando entrambe un quadrato di 360 piedi, corrispondente alla Roma Quadrata intesa come un’area che alludeva alla Roma quadrangolare romulea sul Palatino. Sul fronte e al centro di questo corpo era una balconata o maenianum che leggermente protrudeva e dalla quale si potevano osservare le corse nel Circo.
Al di sotto erano tre piani di sostruzioni, la ima pars Palatii, che ospitava probabilmente i numerosi liberti e schiavi della familia Caesaris e in particolare quelli addetti al Fiscus, cioè ai proventi dalle province comandate da Augusto, e al Patrimonium, cioè ai proventi dai beni suoi personali, congiuntamente amministrati.
In questa ima pars del palazzo hanno poi operato, sotto Claudio ormai perfettamente strutturati, i liberti che svolgevano le funzioni di segretari di stato: Callistus a libellis, cioè alle petizioni, Narcissus ab epistulis, cioè alla corrispondenza, Pallas a rationibus, cioè alle finanze, Polibius a studiis, cioè alla biblioteca, e il segretario a cognitionibus, cioè alla giustizia (Dione Cassio, 60.5.14, 30.6b, 31.2-5; Tacito, Annali, 12.53; Svetonio, Vita di Claudio, 28).
Ai margini esterni di questa sostruzione erano numerose stanze (44 x 3 = 132), che prendevano luce dalle finestre: probabilmente gli uffici. Dietro di essi erano ambienti maggiori (26 x 3 = 78), che al piano superiore prendevano luce dall’alto e nei piani inferiori dalle stanze con finestre ai margini del corpo: erano probabilmente gli alloggi del personale.
L’ergastulum domestico sotterraneo proprio dei nobili e magistrati repubblicani era diventato nel palazzo-santuario di Augusto un gigantesco ministero, composto da 210 stanze, nel quale ha operato la prima burocrazia dell’Occidente. Al centro della sostruzione era il nucleo interno, composto di ambienti meno vivibili, lunghi, stretti e bui, usati forse come depositi e magazzini e al bisogno anche come prigione (Tacito, Annali, 20.40; Dione Cassio, 58.11.4; Svetonio, Vita di Tiberio, 54, 65).
Al piano terra questo nucleo interno era riservato probabilmente al Lupercal, santuario che fino all’8 a.C. è stato descritto da Dionigi di Alicarnasso all’aperto e ai piedi della parete tufacea del Cermalus. La fonte del Lupercal è identificabile nel sontuoso ninfeo rotondo e lì accanto doveva essere anche la grotta, forse oramai un’elegante abside, che conteneva l’immagine della lupa e dei gemelli. Ma dopo l’8 a.C. il santuario è stato inglobato nella sostruzione e l’abside, che si trovava in fondo, è stata inclusa in un ambiente rettangolare in forma di basilica.
Vi si poteva accedere dall’ingresso principale, alla base e al centro del maenianum, il quale si trovava a sua volta nell’asse del sovrastante tempio di Apollo, sul quale l’intero complesso palaziale era stato strutturato. Marte e Fauno Luperco (lupo e capro) erano gli antenati mitici di Romolo e Apollo era il padre mitico di Augusto, il principe e pontefice massimo che aveva rifondato Roma, governandola da un palazzo-santuario di Apollo che si trovava tra il Lupercal e la casa Romuli.
Con Domiziano gli spazi per la burocrazia si estendono. Nel complesso intorno all’aedes Iovis Victoris erano disponibili ormai una settantina di stanzette al piano terra e lungo il c.d. clivo Palatino B, per non dire delle altre 20 stanze distribuite su quattro o cinque piani rivolte al vicus Curiarum. Insomma, una possibile caserma di burocrati composta di 450 ambienti, più del doppio della ima pars Palatii.
(Andrea Carandini)
RAGGIUNGERE LA DOMUS
Per raggiungere la Domus si parte dalla via Sacra, all'altezza del tempio di Antonino e Faustina, passando accanto alla Regia e al tempio di Vesta. Poi si prende una scala che porta in salita alla grandiosa Domus Tiberiana, quindi a sinistra e diritto nel lungo portico che termina alla "Casa di Livia" dietro la quale si trova la "Casa di Augusto" con a fianco il tempio di Apollo Palatino, a dominare il Circo Massimo.Augusto era nato sul Palatino e lo scelse come residenza fin dall'inizio della sua carriera politica. Questo fatto fu determinante per il futuro del colle, perché da allora divenne naturale per gli altri imperatori risiedere sul Palatino.
Acquistò la casa dell'oratore Ortensio, situata accanto alla cosiddetta "casa di Romolo" ancora esistente, secondo la tradizione, nel 31 a.c., la ampliò con l'acquisto di case vicine e vi dimorò senza tuttavia farne un palazzo vero e proprio. La sua costruzione fu il risultato di un raggruppamento di diverse abitazioni tra le quali quella di Caio Lutazio Catulo.
La Casa di Augusto fu innalzata nel corso del 36 a.c. poco dopo il giorno in cui l’imperatore riportò a Roma una vittoria conquistata nelle terre sicule insieme a Sesto, il figlio di Pompeo.
Una parte della residenza era riservata alla moglie Livia, la cosiddetta "Casa di Livia", raffinata e bellissima, e anche ben conservata negli affreschi. Fu proprio lui a far seppellire questa casa, per edificarvi la reggia, e proprio per questo si è conservata.
Il tempio di Apollo iziaco, o Apollo palatino, non fu inglobato nella reggia come altri sostengono, ma fu costruito da Augusto nell'ambito della residenza imperiale. Questa si stendeva per ben 12 mila m.q., su più livelli. Infatti il tempio di Apollo ha aiutato a decifrare la Domus, perchè Svetonio e Velleio Patercolo riferirono che la casa era adiacente al tempio, inizialmente costruito nell'area privata dell'imperatore e poi donato allo Stato.
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« Il vestibulum antistante, regale e alto, interamente ricostruito da Augusto, era retto da colonne ioniche, mentre nel timpano figurava il clipeus (scudo rotondo) virtutis, analogo a quello che ornava il vestibulum del mausoleo. Sotto il vestibulum erano ai lati le statue di Venus e di Mars con Eros, come probabilmente avveniva anche nelle nicchie ai lati dell’entrata del mausoleo, mentre al centro era la statua seduta del Genius Augusti con cornucopia, probabilmente assimilato a Romolo.
Ai piedi delle scale che portavano al vestibulum erano verosimilmente le due arae Numinis et Genii Augusti, rappresentate in un rilievo di Palermo, proprio come l’ara Divi Augusti si trovava davanti all’ingresso al mausoleo. Ci aiutano a ricostruire questo ingresso, degno della casa di Giove, uno dei rilievi di Sorrento, un aureo di Caninio Gallo del 12 a.c., e urne cinerarie, come quella ostiense di L. Cacius Cinnamus, della fine del i secolo d.c..
È possibile che le sculture del Genio, di Marte e di Venere venissero riproposte nel compluvium dei Penates, in quanto antenati di Enea, Iulo, Cesare e Augusto. A destra del vestibulum, il muro perimetrale della casa privata era occupata da una fontana a cinque vasche, che al centro aveva una nicchia ricavata nella parete che accoglieva un rilievo di Bacchus madidus, mentre ai lati e sulla fontana erano erme di Dioniso giovane e vecchio, gli originali trovati in situ.
Il luogo è rappresentato in un rilievo conservato presso il British Museum, Townley Collection, in cui la scena dionisiaca, pur complicandosi e animandosi, documenta fedelmente il luogo di culto esterno alla casa e anche, sul retro, la casa stessa, rappresentata accuratamente, dove spicca un ambiente eminente, posto al secondo piano, dotato di finestra bipartita e con al fianco un corpo alto e stretto, coperto da tettuccio, contenente probabilmente la scala che consentiva di accedervi.
Lo stesso ambiente si vede anche in facciata, sulla quale compare, oltre il contenitore della scaletta, un’altra finestra bipartita e un frontone ornato da ghirlande, da una testa di medusa e da due tritoni, come nel tetrastylum Augusti, un tempietto a quattro colonne che si trovava nel portico delle Danaidi.
La scaletta è quella che abbiamo ipotizzato al fianco del cubiculum di Augusto e l’ambiente eminente altro non può essere – conoscendo la casa nel suo insieme – che lo studiolo/ laboratorio chiamato Syracusae, di cui il rilievo conferma l’ubicazione al primo piano e l’appropriato isolamento, simile a quello di Ortigia. Sotto la falda del tetto figurano festoni, applicati da un servo, che stanno a indicare una festa, probabilmente quella del completamento della casa privata.
A sinistra figura una quercia, che immaginiamo ombreggiasse il peristylium, mentre a destra è una palma entro recinto, da immaginare nel compluvium dei Penates e dei Lares. Un rilievo conservato a Palermo e un denario di Tiberio consentono di ricostruire il compluvium di Vesta, simmetrico a quello dei Lares/Penates, dove era l’aedicula tonda della Dea contenente il Palladium.
Non abbiamo invece rappresentazioni dell’aedicula dei Penates e dei Lares, ma ne sopravvivono in compenso le fondazioni che consentono di ricostruirla nella sua giusta dimensione. Davanti al tempietto di Vesta erano l’ara e basi che sostenevano un toro e un ariete, alludenti a segni dello zodiaco.
Forse di fronte all’ara era la statua seduta della Dea, probabile replica di quella contenuta nell’aedes Vestae, affiancata da altre due divinità stanti, probabilmente Cerere e Flora, come mostra un altro rilievo di Sorrento, cui potrebbero forse corrispondere, nell’altro compluvium, il Genius di Augusto, Enea e Venere.
Se Lares e Penates erano venerati insieme nella casa di Augusto, potrebbe darsi che ciò avvenisse anche all’aedes Larum nel lucus Vestae. Rilievi di Berlino e di Villa Albani rappresentano l’altare eretto al centro della porticus delle Danaidi, al quale sacrificano – il 9 ottobre del 28 a.c., giorno della dedica del tempio – Apollo, Latona e Diana, coadiuvati da Vittoria, la quale offre ad Apollo una patera nella quale versa con una brocchetta un liquido da versare in un sacrificio o libare, per cui abbiamo qui un Dio che sacrifica a sé stesso.
L’altare rotondo, fiancheggiato da una statua di Apollo con patera, è inserito in un recinto o sacellum, accessibile tramite un invito fatto da due muri leggermente più stretti e bassi ornati da tripodi, che per via letteraria sappiamo essere stati d’oro (Res Gestae Divi Augusti, 24.2; Svetonio, Vita di Augusto, 52.1). Dietro al recinto spuntano un albero e un tempietto, il tetrastylum Augusti, nel quale era ospitata la statua del Genius.
Il fregio dell’edificio presenta animali correnti e svastiche e il frontone, con una testa di medusa tra due tritoni, i quali rimandano all'ornamento del frontone dello studiolo chiamato Syracusae. Arae al Genius potevano trovarsi alla base della scala del vestibulum della casa privata e forse anche in un lotto della casa natale ad capita Bubula. In un altro rilievo di Sorrento figurano le tre statue di culto del tempio, con Apollo al centro, che con la destra tiene un tripode, sua madre Latona e sua sorella Diana.
Un aureo di L. Mescinio Rufo del 16 a.c. mostra Augusto che, in occasione dei ludi saeculares svoltisi il 3 giugno del 17 a.c., distribuisce i suffimenta, cioè torce con zolfo e bitume per fumigazioni purificatorie domestiche, da un tribunal, simile a quelli affiancati a un’ara raffigurata nella Forma Urbis Severiana entro l’area Apollinis, da identificare come l’altare della Roma Quadrata posta al centro della silva Apollinis, dopo l’8 a.c..
Vi sono anche luoghi realmente fotografabili ma per nulla accessibili, come il nymphaeum rotondo rinvenuto ai piedi della casa di Ottaviano, da identificare con la fonte del Lupercal da Ottaviano restaurata. La decorazione è a mosaico di pietruzze colorate, pomici, ciottoli e conchiglie. L’aquila al centro della cupola, lo stile della decorazione e la posizione del ninfeo rimandano al triumviro che abitava al di sopra, sul Cermalus. »
(Andrea Carandini)
A nord di questi vani ci sono i resti di un peristilio, sopra una pavimentazione a mosaici e appartenente ad un’abitazione più antica, tra fine II sec. e inizi III sec. a.c. A seguire si possono notare i frammenti di altri vani che facevano parte dell’abitazione denominata Casa di Livia, riconosciuta grazie al rinvenimento di un condotto all’interno dell’abitazione, realizzato in piombo che recava, come si usava fare a quel tempo, il nome del proprietario cioè Iulia Aug(usta).
Per entrare all’interno della costruzione oggi c'è un esteso corridoio, realizzato su un terreno in pendenza la cui pavimentazione è ancora originaria, a tasselli neri disposti in modo regolare su un fondo bianco.
Si giunge così a un pianerottolo, con resti della pavimentazione originaria a mosaici neri e bianchi. Dal pianerottolo di accede, invece, ad un giardino rettangolare dotato, in origine, di pilastri quadrati di cui resta solo il basamento, e che forse sorreggevano una tettoia.
LA VOLTA |
Questo accesso fu smantellato quando la Casa fu annessa al complesso augusteo. Il giardino, che in origine rappresentava un ingresso secondario, preceduto dall’esteso corridoio divenne, in questo modo, l’accesso principale alla Casa.
La vasta area che si erge a sud del giardino ha mantenuto l'originaria decorazione pittorica: di fronte all’ingresso, infatti, vi è un muro al cui centro è raffigurato un panorama in cui troneggia una statua di Diana. Sul giardino si aprono altre tre grandi aree, chiuse a volta, con pavimentazione in mosaico bianco e nero, che mantengono la decorazione in secondo stile.
Quest’area non fu costruita contemporaneamente al resto della Casa, dato che esse nascondono alcune porte che furono chiuse in un secondo periodo. Le pareti originarie, realizzate secondo un reticolato non molto regolare, possono essere collocate negli anni tra il 75 e il 50 a.c., mentre i dipinti sono del 30 a.c.
Anche il tablinio, la stanza centrale, ha il muro di destra decorato con una magnifica scenografia teatrale. Il piano della parete è suddiviso in tre parti che si alternano con alcune colonne in stile corinzio, sorrette da alti basamenti, e rappresentate in modo da sembrare separate dalla parete retrostante.
Queste colonne sembrano sorreggere un soffitto realizzato in cassettoni. Al centro di ogni scomparto era raffigurata una porta e la porta dello scomparto centrale è abbellita dalla rappresentazione pittorica di un soggetto appartenente alla mitologia, ovvero dalla riproduzione del noto dipinto di Nikias intitolato Io sorvegliata da Argo e Mercurio che giunge a liberarla.
La aperture poste ai lati, invece, raffigurate con i battenti aperti, permettevano di osservare lo sfondo abbellito da strutture architettoniche realizzate in prospettiva e animate dalla presenza di alcuni personaggi.
Sulla parete posta di fronte all’entrata è posto un dipinto in cui sono raffigurati Polifemo e Galatea: anche se al momento in cui fu scoperto, il dipinto versava ancora in buone condizioni di conservazione, oggi è quasi completamente scomparso.
All’interno della stanza di destra, invece, sono ancora ben conservate le decorazioni, a riquadri, sul muro posto a sinistra in cui sono raffigurate, nella parte inferiore, alcune ghirlande ricche di foglie e frutta mentre, nella parte superiore si snoda, invece, uno stupendo fregio, realizzato su uno sfondo in giallo, sul quale trovano raffigurazione alcune scene di vita egiziana.
La camera posta a sinistra, invece, è dotata di muri dipinti utilizzando gli stessi elementi decorativi ma privi delle scene figurate.
Chi si aspetta una dimora principesca potrebbe rimanere deluso: le stanze sono abbastanza piccole, collegate tra loro e prive di finestre. Prendevano luce solo dalla porta, con un affaccio allora su un grande giardino, che oggi però sono chiuse da un muro d’epoca neroniana. Anche gli arredi, da come raccontano gli storici, erano modesti.
La Casa di Augusto era organizzata in diversi vani, realizzati con mattoni quadrati di tufo, sistemati in due righe che si appoggiano ad un muro contenitivo: verso ovest le stanze più isolate e più piccole, con pavimentazione in mosaico bianco e nero, dovrebbe essere l’abitazione vera e propria.
I vani più a est, invece, collocati attorno ad una grande sala centrale con pavimentazione in marmo, dovevano essere adibiti a luoghi di rappresentanza.
Sui due lati del peristilio si aprono infatti i locali più rappresentativi dell'abitazione. Il nucleo è situato sul pendio del Palatino (lato Velabro), nel tratto adiacente al tempio di Apollo Palatino eretto da Augusto, tra le "scale di Caco" e le biblioteche di Domiziano.
Le "scale" salgono dalla base un tempo paludosa del colle, di lato alla "mitica" grotta del fauno Luperco (il Lupercale) dove Romolo e Remo sarebbero stati allattati. Caco era un gigante e bandito, che fu ucciso da Ercole al quale aveva rubato le mandrie. Augusto avrebbe insomma organizzato la propria abitazione quasi in collegamento verticale con il luogo che più di tutti evocava la nascita di Roma.
In tutto sono quattro ambienti (sebbene la domus fosse naturalmente più grande), tre al piano di sotto, dove si è ricostruito un ingresso con una grande rampa, una sala da pranzo (oecus) e un cubicolo, uno al piano di sopra, accessibile attraverso un terrazzo, il cosiddetto studiolo, perchè ospitava lo studio privato di Augusto.
Le decorazioni dei muri, invece erano di grande qualità. Colori straordinari e splendenti, dal preziosissimo cinabro agli ocra dorati delle terre, e poi figure fantastiche, decorazioni raffinatissime, alla moda di Alessandria. Gli affreschi sono ritenuti tra gli esempi più belli, insieme con quelli di Palazzo Massimo e della casa di Livia, del cosiddetto secondo stile.
Il timbro cromatico più forte è il rosso pompeiano, vivissimo e sconosciuto dei secoli passati. E poi uccellini, vasi, festoni vegetali, un tripudio di aeree colonnette. Sulla volta, stucchi candidi e pitture dove compare l'azzurro cobalto, il viola.
La Stanza delle Maschere ha la spettacolare vivacità di una scena teatrale ellenistica, in cui le maschere poggiano, in apparenza, su alcune cornici poste a metà altezza. Raffigurato al centro di ogni muro, poi, vi è un dipinto in cui è rappresentato un tempio agreste.
Il Locale delle Prospettive stupisce con indimenticabili vasi di vetro pieni di frutta, e la Stanza dei Festoni di Pino con i leggerissimi finti porticati, composta da ghirlande di pino disposte tra sottili colonne appartenenti ad un porticato che si innalza da un’alta pedana. I dipinti che si trovano all’interno di queste due stanze rappresentano sicuramente la testimonianza più importante sulle pitture di secondo stile note oggi.
La zona est, aperta al pubblico, ha stanze più grandi e maggiorente rivestite. Tra di esse ricordiamo una sala abbellita da pannelli scuri separati da paraste rosse ed un’altra sala, probabilmente la biblioteca, dotata di piccole celle alle pareti e di pannelli gialli posti su uno sfondo rosso.
Un’altra zona della Casa di Augusto, quella che si trova ad est rispetto al peristilio, ha un'enorme stanza circondata da colonne con pavimentazione a intarsi marmorei e abbellimenti sulle pareti; una piccola aula di forma quadrata caratteristica per le sue pareti abbellite da pannelli color porpora che, grazie ad un’illusione ottica, sembrano aprirsi verso l’esterno.
Lo splendido studiolo di Augusto, un miracolo di gusto egizio-alessandrino. sta invece nella soffitta, lontano da tutti. E' decorata da pannelli in cui sono raffigurati animali e nicchie vegetali e un soffitto abbellito da dipinti e stucchi. Dalla Domus aurea sono venute le «grottesche» care al Rinascimento. Ma le sue radici sono qui, nel Palatino e nella casa di Augusto, antecedente alla Domus neroniana.
Quest’area della Casa di Augusto era caratterizzata dall’avere una scalinata che arrivava al Tempio di Apollo, la cui costruzione fu conclusa nel corso del 28 a.c., fatto realizzare dallo stesso imperatore in seguito alla vittoria di Nauloco che lo vedeva opposto a Sesto Pompeo.
Pitture raffinate, forse eseguite da un Maestro greco, che nel tempo erano cadute in terra, ridotte in frammenti anche piccolissimi, ora sono state ricostruite, attraverso dieci anni di lavoro e certosina pazienza dagli esperti della sovrintendenza, che si sono succeduti.
Il puzzle più affascinante dell’epoca contemporanea, nel luogo in cui Augusto ha deciso di vivere. Un luogo di una simbolicità gigantesca, perchè a due passi dalla capanna di Romolo e Remo e sopra il Lupercale.
La casa di Augusto svela oggi il mistero della grotta e il recinto sacro di Fauno Luperco, mitologico protettore della fertilità, dove avvenne l'epifania di Remo e Romolo. Essi giacciono ai piedi e poi sotto la casa di Augusto, secondo la scoperta dell'archeologo Carandini, forse per fare sue le memorie della fondazione della città, collegando la sua reggia alla capanna di Romolo, cui si ispirava come nuovo fondatore di Roma e del suo impero.
La reggia di Augusto si stendeva per ben 12.000 mq. Ma non deve stupire, la reggia fu dimora privata e insieme palazzo imperiale per le funzioni civili, politiche e religiose, dato che Augusto era guida e autorità in tutti i settori, con tutti i poteri e le cariche a vita, compresa quella di Pontefice Massimo. Tutto pertanto si svolgeva nella sua reggia.
Ottaviano l'aveva concepita sul modello ellenistico a due peristili, che richiamava alla mente i palazzi dei sovrani d'Oriente. Augusto la trasformò in un santuario, un ufficio civico e amministrativo, e una reggia, nonchè tempio di Apollo, di Vesta e della Magna Mater.
Il palatio augusteo era articolato su due terrazze degradanti da nord a sud, secondo uno schema il cui asse centrale pare costituito dal tempio di Apollo, oggi conservato nelle fondazioni del podio in opera cementizia.
Al livello superiore, disposti attorno a un atrio, si trovavano gli ambienti dell’abitazione privata, non più conservati. Una scala metteva in comunicazione questa porzione del complesso con un altro settore dell’ala privata della casa, situato al livello inferiore, circa nove metri più in basso.
Qui è visibile una serie di ambienti, costruiti in opera quadrata di tufo con resti del rivestimento parietale a intonaco. La relativa semplicità nella decorazione e negli allestimenti concorderebbe con la tradizionale modestia attribuita dagli antichi testi alla casa di Augusto.
I vani destinati al ricevimento e alla rappresentanza, ben distinto dal precedente e aperto alla frequentazione pubblica, erano invece piuttosto sontuose. In questo settore si possono visitare cinque ampie sale di studio e riunione, riccamente decorate, aperte mediante singoli vestiboli sul lato nord di un peristilio colonnato con decorazione a lastre architettoniche in terracotta, dietro le quali erano locali destinati a magazzino.
Una seconda serie di vani, allineati sul lato est del peristilio, era direttamente comunicante con il livello superiore della cella del tempio di Apollo.
Piccoli cubicoli dalla sfolgorante decorazione pittorica recentemente ricomposta, possono essere identificati con quelli che gli autori antichi ci indicano come destinati ai momenti di riflessione e di studio del princeps.
In base a queste descrizioni antiche sappiamo poi che l’ampia proprietà casa-tempio doveva comprendere anche lunghi porticati e biblioteche, di cui si conservano scarse tracce archeologiche nella porzione esr dell’area. Poche modifiche furono apportate nell’arco della vita del complesso, che risulta già abbandonato in epoca flavia (seconda metà del I secolo d.c.), quando si interrò tutta la porzione inferiore per la costruzione del palazzo imperiale.
Il 26 gennaio 2007 fu rinvenuta la leggendaria grotta sotto le rovine del palazzo di Augusto sul Palatino, durante il suo restauro. Una cavità ad una profondità di 15 m.
Il 20 novembre 2007 è stato rilasciato un primo gruppo di foto che mostra la volta della grotta, adornata di mosaici colorati e di conchiglie.
Il centro della volta è decorato con un'aquila bianca, che è il simbolo del principato di Augusto. Gli archeologi sono ancora alla ricerca dell'entrata della grotta, sotto il colle Palatino, nei pressi del palazzo di Augusto.
INGRANDIRSI INVADENDO CASE ALTRUI di Andrea Carandini
Il desiderio di accrescere la proprietà – cupido iungendi – non riguardava solamente le tenute in campagna ma anche i lotti abitativi in città. A est del fanum/templum con aedes di Giove Statore aveva inizio il tratto meno rilevante della Sacra via che portava alle Carinae, altro quartiere elegante oltre a quelli della Velia e del Palatino. Era un tratto meno rilevante perché a monte del clivo Palatino la via era affiancata esclusivamente da case private (Carandini 2016).
Sul versante palatino del percorso erano case arcaiche durate dal 530 a.c. alla fine del III secolo a.c., per cui in questo tempo si camminava ancora in una città dall’aspetto tardo-arcaico, con quanto ciò poteva comportare a livello di archivi per tabulae, d’iscrizioni, di scaffali per imagines maiorum e di trofei di guerra; ciò vale anche per la domus Publica, che conteneva gli annales Maximi, la memoria ufficiale di Roma.
Dopo, le case in opera quadrata del tempo di Tarquinio il Superbo sono state sostituite da altre, le prime a disporre di fondazioni in opera cementizia. Tra queste, le due più a oriente si aprivano, come le antecedenti, non sulla Sacra via bensì sul clivo Palatino B, allora una strada di secondaria importanza. La dimora all’angolo tra le due strade era appartenuta a M. Emilio Scauro, console e trionfatore su popoli gallici tra Veneto e Friuli nel 115 a.c., un uomo di poca fortuna, poi arricchitosi tanto da comprare per 700.000 sesterzi lo schiavo grammatico greco Dafni; nel 109 a.c., quando era censore, aveva fatto costruire un tratto della via Aemilia che aveva collegato il Tirreno al Po.
Subito accanto a questa casa era quella di Gneo Ottavio, homo novus che aveva raggiunto il consolato nel 165 a.c. Nel 162 a.c. la casa era passata al figlio omonimo, console nel 128 a.c., e infine al nipote L. Ottavio, console nel 75 a.c., morto nel 74 a.c. Il figlio di Scauro, dallo stesso nome, aveva ereditato la casa paterna nell’88 a.c. e a essa aveva aggiunto nel 74 a.c. la casa di L. Ottavio, raddoppiando così la proprietà.
Demolite entrambe le dimore, nel 58 a.c. Scauro figlio costruisce sopra di esse una grande e unitaria magione. Proprio in quell’anno, da edile, aveva eretto anche un teatro provvisorio, poco dopo smontato, per ornare la scena del quale erano state trasportate a Roma 360 colonne: di marmo al piano terreno, di vetro a quello intermedio e di legno dorato a quello superiore (Plinio il Vecchio, Storia Naturale, 36.24).
Quattro di esse, di marmo Luculleo (“Africano” dell’isola di Teos) e altissime (38 piedi, m 11,23), avevano decorato la porta centrale o valva Regia della scena del teatro provvisorio. Smontato questo teatro – il primo teatro stabile di Roma sarà quello di Pompeo, del 55 a.c. – le quattro enormi colonne sono diventate i sostegni dell’atrio tetrastilo (sostenuto da quattro colonne) della sua magione, il maggiore di Roma.
Tra l’82 e il 58 Scauro figlio aveva acquisito una terza casa, per farne un annesso di servizio. Era stata dell’oratore L. Licinio Crasso, che intorno al 100 a.c. aveva disposto per la prima volta di un atrium sostenuto da sei colonne di marmo straniero proveniente dal monte Imetto nell’Attica (alte 12 piedi, m 3,5); aveva anche un triclinium con letti di bronzo, coppe argentee opera del cesellatore greco Mentore del IV secolo a.c. e infine un hortus ombreggiato da sei bagolari.
La casa era stata valutata una enormità, 6 milioni di sesterzi, metà dei quali erano il valore di quei bagolari: ombra amena e rarissima nel cuore di Roma. Nel 52 Scauro va in esilio accusato de ambitu, cioè di corruzione elettorale. L’atrium ipertrofico di Scauro aveva presupposto un ampio basamento dotato di strutture in grado di reggere le quattro straordinarie colonne. Questo basamento, archeologicamente noto, conteneva un ergastulum o alloggio per gli schiavi dotato di 62 cellette (mq 2,85 ciascuna), ciascuna con due basi in muratura per sostenere le tavole del letto.
Un ambiente di questo quartiere servile, lungo, stretto e dotato di un bancone, era il Lararium delle sei decine o decuriae di schiavi. Nei sotterranei della casa era anche un balneum o bagno, assai bene attrezzato. Varie rampe di servizio portavano a tre diversi piani della dimora: quello ipogeo, quello nobile dell’atrio e quello rialzato che si trovava sul retro. Alcuni hanno attribuito le cellette sotto l’atrium di Scauro a un lupanar, cioè a un bordello.
Eppure conosciamo altri due casi a Roma con cellae sotto l’atrium e se la prostituzione è il mestiere più antico del mondo, l’alloggio degli schiavi – guardie del corpo, servitori, contabili e scrivani – era a Roma una necessità imprescindibile. Ad esempio, la casa attribuita a Gneo Domizio Calvino disponeva di 16 cellae servili: numero ragionevole, che dà la misura della megalomania finita male di Scauro. La dimostrazione che si tratta di stanze per schiavi e non per prostitute si ha nella sostruzione della casa di Augusto, che è un enorme quartiere per liberti e schiavi.
Della casa di Scauro conosciamo l’indirizzo approssimativo, visto che a Roma non esistevano numeri civici: “in quella parte del Palatino che si trova quando scendi per la Sacra via e prendi la prima strada a sinistra”, cioè il clivo Palatino B (Asconio, In difesa di Emilio Scauro, commentario, 23). Grazie all’indirizzo rivelato da una fonte letteraria e all’eccezionalità della dimora rivelata dagli scavi – unica casa nel quartiere in grado di sostenere colonne tanto alte – l’identificazione del monumento con la dimora di Scauro può ritenersi sicura.
Sommerso dai debiti, Scauro aveva venduto nel 53 a.c. la sontuosa magione a Clodio per 14 milioni e 800 mila sesterzi (quasi 5 milioni per ciascuno dei tre lotti), ma quest’ultimo e la terribile moglie Fulvia non si sono goduti la casa, perché nel 52 a.c. Clodio viene ucciso dagli uomini del suo avversario Milone ed è nell’enorme atrio della dimora che viene esposto il corpo dell’aristocraticissimo che si voleva plebeo.
La casa di Clodio sul Palatino – prima reggia tardo-repubblicana di Roma (mq 7823), di poco inferiore a quella di Ottaviano (mq 8442) – aveva inglobato la casa di Cicerone e la porticus Catuli – luogo di culto alla Fortuna huiusce diei –, poi toltegli e restituite all’oratore e all’uso pubblico; grave smacco per il nobile demagogo, che allora si era buttato ad acquistare la casa di Scauro, di poco più piccola, ma con l’atrio più grande di Roma, il che lo compensava di quanto aveva perduto: una vera reggia!
Il nucleo originario della casa palatina di Clodio verrà nuovamente abitato da Fulvia tra il 52 e il 49 con il marito G. Scribonio Curione, poi per tre anni da lei sola vedova di Scribonio; tra il 46 e il 40 a.c. lo abita ancora con l’ultimo marito Marco Antonio (d’ora in poi Antonio), il quale per un anno aveva avuto come vicino il nemico Cicerone, fatto da lui eliminare nel 43.
Tra il 40 e il 31 la casa viene abitata da Antonio e dalla nuova moglie Ottavia, sorella di Ottaviano.
Morto Antonio la casa è passata a Ottaviano. Qualche tempo prima del 17 a.c., la casa grandiosa di Scauro e poi di Clodio è stata ristrutturata intorno a un atrio finalmente ridotto, ora aperto sulla Sacra via. Aveva perduto le quattro enormi colonne del grandissimo atrio per volere di Augusto, che le aveva sottratte a quella casa perché andassero a decorare nuovamente una valva Regia scenica, questa volta del teatro di Marcello.
In età giulio-claudia la casa è stata abitata dal volterrano G. Cecina Largo, console nel 42 d.c. Il quartiere palatino in cui era stata la casa di Scauro, interamente da noi indagato, dice molto sulla vita politica e sociale di Roma alla fine della Repubblica.
Con queste case negli occhi e con le lettere di Cicerone in mente si capisce il mondo a cui Augusto ha posto fine, concentrando il potere su di sé e governando l’Impero dalla sua casa, concepita come un microcosmo del centro politico e sacrale di Roma. Infatti la cupido iungendi raggiungerà un culmine con le due mandate di numerosi espropri resisi necessari per erigere la casa di Ottaviano e poi per quella ancora più ampia di Augusto.
(Andrea Carandini)
BIBLIO
- Plinio Secondo - Panegyricus -
- Svetonio - De vita Caesarum libri VIII -
Hi! 😀
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