CULTO DI GIOVE - ZEUS



ZEUS GRECO

Zeus, signore del fulmine, inizio e principio, è la forza e il signore di tutto. È l’unico corpo regale in cui si muove l’universo, il fuoco, la terra, l’acqua, la paura ancestrale e l’amore dai cento piaceri
..." (Inno Orfico)

Zeus, come la precedente Grande madre, si accoppia con tutto, per simboleggiare la prolificità della natura, ma mentre la Dea era bene accetta negli accoppiamenti, il Dio deve perloppiù procurarseli con la forza. Il che rispecchia l'uso antico dello stupro.

Zeus non ama le donne, le stupra o le seduce con l'inganno, le fa partorire e le abbandona. Come gli fa dire Omero nell'Iliade, in fondo non ha amato mai:

Ché non mai tanto l'animo mi vinse
e non mai tanto il cuor mi empì l'amore
di una donna mortale o di una Dea:
non quando amor mi vinse della sposa
d'Issìone, onde nacque Piritòo
per senno ai Numi simile; non quando
di Danae, d'Acrisio la figliuola
dal pié leggiadro, da cui Pèrseo nacque
che fu di tutti gli uomini il più chiaro;
non quando della figlia di Fenice
tanto famosa, che alla luce diede
Minosse e il deiforme Radamanto;
non quando, in Tebe, di Semèle e Alcmèna
(e il magnanimo figlio Eracle questa
mi partorì, Diòniso letizia
del mondo quella generò); non quando
della regina dalle belle chiome
Demètra, o di Latona gloriosa.


Per quanto sia Giunone la protettrice del matrimonio, nel mito antico lui obbliga Giunone a sposarlo istituendo il matrimonio. E' il sopravvento del patriarcato sul matriarcato, dove le donne si accoppiavano liberamente. Lo testimonia Eschilo nelle Supplici, che piangono sul destino delle donne costrette al matrimonio.

Tutto ciò ch’è fatale accadrà:
di Zeus non è valicabile
la mente senza confini.
Come per molte donne che ti precedettero
Con le nozze si concluderà il tuo destino.




GIOVE ROMANO

Virgilio
"Iuppiter hac stat" (Giove è con noi)


Inno orfico a Zeus

"Zeus molto onorato, grande Zeus indistruttibile, a te noi offriamo
questa testimonianza liberatrice e questa preghiera.
O re, attraverso il tuo capo apparvero queste cose divine,
la dea madre terra e le erte cime dei monti
e il mare e tutto quanto il cielo dentro racchiude.
Zeus Cronio, con lo scettro, Kataibates, dall'animo forte,
di tutto generatore, principio di tutto e di tutto fine,
che scuoti la terra, che accresci, che purifichi, che tutto scuoti,
Lampeggiante, Tonante, Folgoratore, Zeus che fai germogliare;
dalle forme svariate, ascoltami, concedi salute perfetta
e la dea Pace e fama irreprensibile di ricchezza".


Giove era il re degli Dei, figlio del Dio Saturno e di Opi. In origine Dio del cielo, Giove era venerato come Dio della pioggia, del tuono e del fulmine. Come protettore di Roma venne poi chiamato Iuppiter Optimus Maximus ("il migliore e il più grande") ed era venerato in un tempio sul Campidoglio. I Romani identificavano Giove con Zeus, il Dio dei greci, ma il culto religioso romano era molto diverso. Il nome Iuppiter veniva da: Iovis Pater, un'abbreviazione.

La religione romana non richiedeva un atto di fede esplicito e conforme a una dottrina, ma si basava sui rituali, con la definizione degli spazi, il sacrificio e la divinazione.

La definizione degli spazi e la loro attribuzione ai legittimi proprietari era basilare. Gli spazi nei quali sarebbero stati eretti templi, altari ed edifici venivano “in-augurati”, organizzati cioè secondo un orientamento che rispettasse i punti cardinali, dopo aver consultato la volontà di Giove.

A questo punto, essi venivano dedicati e consacrati, cioè donati e trasferiti solennemente nella proprietà degli Dei.

Il sacrificio era la base della pietas religiosa del singolo. Si sacrificava per rendere omaggio agli Dei, per ringraziarli, per chiedere perdono, per ottenere qualcosa, per consultarne il parere. La forma più solenne di sacrificio prevedeva l’offerta di vittime animali, oppure solamente verdure cotte o liquidi, come vino, latte ecc. Nella pratica religiosa romana non esistevano pratiche meditative, nè letture di testi sacri, né preghiere stabilite. L’unico “dogma” esistente era quello dell’osservanza rigida di offerte e sacrifici.

Inoltre gli Dei venivano supplicati solo per ottenere una grazia o farsi perdonare un'inosservanza o un reato. Per il resto gli si rendeva un contenuto omaggio, non li si doveva pregare ogni giorno, nè dimostrargli amore o adorazione. Li si doveva rispettare e rendergli i dovuti sacrifici nei giorni stabiliti, ma l'idea del fioretto e della rinuncia non esisteva.

Tra gli Dei e gli uomini c'era una specie di patto, il devoto faceva una richiesta e, se il Dio esaudiva, il devoto manteneva la promessa del voto, e nell'epigrafe si specificava che "il Dio se l'era meritato", insomma un do ut des, ti do affinchè tu mi dia. Agli Dei si prometteva un sacrificio, più costoso se la grazia era più importante, come il sacrificio di un animale.

Oppure, se la cosa era più importante e a seconda delle finanze del richiedente, si prometteva un'epigrafe, un ornamento, o un'ara, o una statua, o un santuario o addirttura un tempio. Un generale o un imperatore che chiedeva la vittoria sui nemici poteva ben promettere un tempio.


Dal museo di Aquileia, le epigrafi:

Sacro ad Esculapio Augusto e ad Igea Augusta. Gaio Stazio Mosco, seviro ad Aquileia, decurione del collegio dei carpentieri, ha sciolto volentieri un voto, avendolo (le divinità) ben meritato.
- A Giove Diano Gaio Errennio Candido ha sciolto un voto volentieri avendolo (il Dio) ben meritato.
- Al Dio Mitra, forte e invitto, Publio Elio Mercuriale, Quinto Tessignio Massimiano, ‘padri’, per Stazio Aurelio Vittore sciolsero un voto volentieri, avendolo (il Dio) ben meritato.
- A Silvano Augusto e a Mercurio, sciolse un voto volentieri, avendolo (gli Dei) ben meritato.
A volte il devoto dimenticava e gli Dei rinfrescavano la memoria:
- Sacro a Diana Augusta. Quinto Claudio Severino, seviro ad Aquileia, avendo formulato un voto, lo ho sciolto dopo che la Dea gliel’ha richiamato alla memoria.
Oppure gli Dei si rivelavano direttamente all'uomo pio:
- Arnufis, interprete dei libri sacri dell’Egitto, e Terenzio Prisco, alla Dea rivelatasi.

Giove, nel nome del quale si compivano i più sacri giuramenti, era il simbolo più elevato della comunità politica, che si reggeva sul “diritto” e sulla “lealtà”, ius et fides. Questa, per giunta, poteva essere resa più forte dalla legittimazione sacrale dei rapporti politici con i popoli confinanti: cosa che avverrà per mezzo del collegio dei Fetiales, gli esperti del diritto internazionale tutelato dal Dio sovrano.

Al quale, in quanto promotore di ogni vittoria, sulla soglia del tempio capitolino, si recherà poi in abiti insolitamente regali l’imperator, il generale vittorioso, per deporre l’alloro e la veste trionfale ai piedi della sua immagine, il trionfo non dovendosi intendere altro che il coronamento di un’azione militare condotta secondo il suo volere.



IL MITO

Il mito romano parte dal mito greco. Nella Teogonia del greco Esiodo, Saturno (Crono) era figlio di Urano, il Cielo, e di Gea, la Terra. Saturno salì al potere, evirando e detronizzando il padre Urano ma venne profetizzato che un giorno uno dei figli di Saturno lo avrebbe a sua volta spodestato così, per evitarlo, divorò tutti i figli appena nati. La moglie di Saturno, Opi (Gea), nascose il suo sesto figlio, Giove (Zeus), nell'isola di Creta, ed al suo posto offrì a Saturno una pietra avvolta in fasce.

Il piccolo Giove fu allattato dalla capra Amaltea, mentre un gruppo di Cureti gridavano, danzavano e battevano le loro lance contro gli scudi perché Saturno non sentisse il pianto del bambino.

Diventato adulto, Giove costrinse Saturno a rigettare prima la pietra che l'aveva sostituito, poi fratelli e sorelle. A questo punto liberò dalla loro prigione nel Tartaro anche i fratelli di Saturno, gli Ecatonchiri e i Ciclopi.

Insieme, Giove con fratelli e sorelle, Ecatonchiri e Ciclopi, rovesciarono dal trono Saturno e gli altri Titani nella terribile battaglia chiamata Titanomachia.

I Titani sconfitti furono relegati nel Tartaro. Atlante, in quanto capo dei Titani che avevano combattuto contro Zeus, fu condannato a reggere il cielo sulle sue spalle.

Dopo la battaglia contro i Titani Giove sorteggiò coi fratelli maggiori i tre regni: Giove ebbe i cieli e l'aria, Nettuno le acque e Plutone il mondo dei morti.

I Giganti, furibondi per la prigionia dei fratelli Titani, si ribellarono agli Dei scagliando massi e tizzoni ardenti verso il cielo. Giunone (Hera), la moglie di Giove, profetizzò che i Giganti non sarebbero mai stati sconfitti da un Dio, ma solo da un mortale che vestiva con pelli di leone, e solo con una certa erba che rendeva invulnerabili. L'uomo era Ercole e Giove, vagando in una regione indicatagli da Minerva (Athena), trovò l'erba magica. Così furono sconfitti anche i Giganti e Giove regnò.

Giove aveva come moglie la sorella Giunone e una miriade di figli, due soli con Giunone ma tanti con Dee, ninfe e donne mortali. Nella maggior parte dei casi si trattava di stupri, ma poichè era il re se lo poteva permettere, e Giunone doveva sopportare.



GLI ATTRIBUTI

La quercia, albero consacrato e con cui gli antichi ornavano quasi tutte le statue di questo Dio, come segno di vita, che credevasi data da lui ai mortali. Dicesi che i Galli adorassero Giove in una quercia altissima.
 
I fulmini, suo attributo principale, e che Giove talvolta tiene m mano tal altra figurano ai suoi piedi; oppure portati dall'aquila in bocca o negli artigli, e ciò per mostrare i loro effetti terribili e fatali per castighi severi; lievi e di poco male, per ammonimenti agli errori degli uomini.



I SACERDOTI DEL CULTO

Al suo culto era consacrato il flamine maggiore chiamato Flamine Diale, personificazione vivente di Giove, di cui celebrava i riti, godeva di grandi onori, ma, proprio per la sua funzione, era sottoposto a molteplici limitazioni e tabù come non poter lasciare la città per più di un giorno, limite portato da Augusto a due giorni, e non poteva dormire fuori dal proprio letto per più di tre notti.

Già molto prima dell’edificazione del grande tempio dei Tarquini, il Flamen Dialis, la cui carica preesisteva al culto capitolino, ad ogni Idi del mese sacrificava un ovis idulis, un agnello delle Idi.

Sull’altro rilievo del colle, volto al Tevere, gli era sacra una quercia, il primo luogo consacrato di Roma al di fuori del pomerio, divenuta secoli dopo un tempio a Giove Feretrio, conservante le spoglie opime tratte da Romolo al re di Caenina Acrone.

Lì sarà poi custodito lo scettro di verbena e la pietra di selce (lapis silex) che i Feziali recheranno con sé a garanzia del sepotere conferito ai Romani dal Dio. Infatti il Giove del più antico calendario romano, Iuppiter Feretrius, ha già un carattere sovrano, ma non ancora Ottimo Massimo, pur avendo come compagni subordinati Mars e Quirinus. Al primordiale sacello di Giove Feretrio culminava il più antico trionfo, o ovatio, che si svolgeva lungo la Sacra via, a patire dal sacello della Dea Strenia.


Divieti del Flamine

- Non doveva viaggiare a cavallo,
- nè vedere eserciti in armi,
- nè prestare giuramento,
- nè passare sotto viti legate,
- nè nominare o toccare capre, carne cruda, fave, edera.
- Poteva portare solo anelli spezzati (non interi attorno al dito),
- non si poteva prelevare fuoco dalla sua casa se non per usi sacri,
- se si introduceva in casa sua qualcuno che era legato, i legami gli dovevano essere tolti, portati sul tetto attraverso l'impluvio e da lì gettati in strada.
- Non doveva avere nodi sul berretto né alla cintura né in altra parte del corpo,
- se qualcuno condannato alla fustigazione si gettava ai suoi pedi, per quel giorno non poteva essere fustigato,
- i suoi capelli potevano essere tagliati solo da un uomo libero.
- doveva dormire in un letto coi zampi ricoperti di fango,
- non poteva dormire fuori dal proprio letto per più di tre notti,
- nessuno poteva dormire nel suo letto,
- doveva tenere presso al letto una cassetta con focacce sacrificali,
- i suoi capelli e unghie tagliati dovevano essere sepolti sotto un albero "felice".
- Ogni giorno per lui era festivo, sempre a capo coperto tranne che in casa,
- non doveva toccare la farina con lievito,
- poteva togliersi la tunica intima solo in luoghi coperti,
- a tavola nessuno poteva sedere in posizione più elevata di lui, ad eccezione del rex sacrorum.
- Doveva lasciare la carica di flamine se perdeva la moglie,
- il suo matrimonio si scioglieva solo con la morte del coniuge,
- non poteva entrare nel luogo in cui si teneva la pira funebre,
- né toccare cadaveri, poteva però assistere ai funerali.
- Doveva portare sempre un copricapo di cuoio bianco, l'apex o albogalerus, con in cima un ramoscello di ulivo dalla cui base si dipartiva in filo di lana.

Anche la Flaminica Diale, che diventava flaminica di Giunone, doveva osservare divieti simili, più altri: doveva portare una veste colorata, doveva mettere un germoglio di albero "felice" nello scialle, non doveva salire più di tre scalini se la scala non era coperta ai lati, quando partecipava alla processione degli Argei non si doveva ornare la testa, né pettinare i capelli.

Al suo passaggio doveva cessare ogni attività lavorativa ed essere rispettato il silenzio per non disturbare il suo costante contatto con Giove. Ogni qual volta pronunciava il nome di Giove, doveva sempre alzare le braccia al cielo. Unico tra i sacerdoti poteva presenziare nel Senato con il diritto alla sedia curule ed alla toga pretesta. Presenziava al rito della Confarreatio ed egli stesso doveva essere sposato con questo rito.



FESTIVITA' DI GIOVE
  • gennaio: 1 - Giove Giunone e Giano.
  • aprile: 13 - Giove liberatore - Giove vittorioso.
  • giugno: 5 - Giove Fidio - 9 Giove Pistore - 13 - Giove folgore - 27 - Giove Statore.
  • settembre: 1 - Giove Libero - 5 - Giove Statore - 5-19 - Giochi per Giove Ottimo Massimo - 13 - Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva).
  • agosto: 19 - Giove e Venere
  • ottobre: 1 - Giove e Giunone - 7 Giove folgore - 7 Giove e Giunone - 15 Giochi Campidoglio in onore di Giove
  • Novembre: 1 banchetto in onore Giove Epulo - 4-17 ludi plebei plebei in onore di Giove. Il 13 è il culmine dei giochi.



I MOLTI NOMI DI GIOVE
  • Iove Abretano, da Abretana. provincia della Misia, ove nel Dio era molto onorato. Questa provincia prese i nome dalla ninfa Brettia o Bretia.
  • Iove Adventus Optimus Maximus - che arriva a ristabilire l'ordine.
  • Iove Aedes - che regna nel suo tempio.
  • Iove Almus - che conforta.
  • Iove Amaranus - portatore di amarezze.
  • Iove Ammonio - che comparve sotto forma di ariete per dissetare Bacco in Libia.
  • Iove Antipatro - per aver detronizzato il padre Saturno.
  • Iove Anxur - Giove bambino.
  • Iove Apeninus - degli appennini tra i sabini.
  • Iove Attinus - tra i sabini.
  • Iove Arcanus - il Giove occulto.
  • Iove Beleno - tra i Paeligni
  • Iove Cacunus. - leggesi in una piastrina di bronzo, di cui s'ignora la provenienza; e Iovi Cacuno  in un frammento di pietra, trovato nella cima del monte detto Pietra Demona nella Sabina. II Biondi (Atti dell'Accad. pontif.) fu il primo a mettere questo epiteto di Giove in rapporto con la parola cacumen; e altri epiteti analoghi dati alla stessa divinità, come culminalis, Poeninus etc. confermano questa relazione.
  • Iove Capitolinus Optimus Maximus - Giove che regna col suo tempio del Campidoglio.
  • Iove Caelus O. M. - il re del cielo.
  • Iove Caelestis O. M. - abitatore del cielo.
  • Iove Ciminius - adorato nel tempio cimino.
  • Iove Clitumnus - "Clitumnus Umbriae, ubi Juppiter eodem nomine est" Il Dio umbro Cltunno che qui è chiamato anche Giove.
  • Iove Cohortalis O. M. - protettore delle coorti.
  • Iove Conservator - che protegge e conserva.
  • Iove Culminalis O. M. - che è al vertice di tutto.
  • Iove Cultor - che si prende cura.
  • Iove Custos - che custodisce.
  • Iove Defensor O. M. - Difensore ottimo e massimo.
  • Iove Depulsor O. M. - che respinge i nemici.
  • Iove Dianus - "A Giove Diano Gaio Errennio Candido ha sciolto un voto volentieri avendolo (il Dio) ben meritato." Si trova solo in questa iscrizione.
  • Iove Diespater - padre dei giorni.
  • Iovis Domesticus - che si comporta come un familiare.
  • Iove Eliopolitano - che è venerato a Heliopolis in Siria.
  • Iove Epulus - che ha i sacerdoti epuloni.
  • Iove Exsuperantissimus O. M. - che sta al disopra di tutti.
  • Iove Fagutalis adorato nel colle Fagutale
  • Iove Farreus - cui era sacro come sacrificio il panis farreus, il pane di farro.
  • Iove Fazius - in Campania.
  • Iove Feretrius - che colpisce e ferisce.
  • Iove Fidius - il custode della legge, il difensore della verità e il protettore di giustizia.
  • Iove Fisiu - in Umbria.
  • Iove Fladius - a Cuma.
  • Iove Flagius - a Capua.
  • Iove Flagius - adorato a Cuma.
  • Iove Fulgor - folgore.
  • Iove Frugifer - fruttifero.
  • Iove Fulgoratur - che scaglia la folgore.
  • Iove Fulminator - che scaglia il fulmine.
  • Iove Iguvium - in Umbria.
  • Iove Impulsor - che dà l'impulso.
  • Iove Inventor - inventore.
  • Iove Invictus - invitto.
  • Iove Iurarius - che protegge i giuramenti.
  • Iove Iutor -
  • Iove Iuventas - protettore della gioventù.
  • Iove Lapis - solido come pietra.
  • Iove Larene - tra i Paeligni
  • Iove Latiaris - Giove laziale, adorato nel tempio a Monte Cavo.
  • Iove Latius - Jupiter dei latini.
  • Iove Liberator - liberatore.
  • Iove Lucetius - che porta la luce.
  • Iove Maius - il più grande.
  • Iove Meilichios - dolce come il miele.
  • Iove Monitor O. M. - colui che avverte.
  • Iove Mourcus - in Apulia.
  • Iove Opitulator - soccorritore.
  • Iove Optimus Maximus - Giove protettore di Roma.
  • Iove Paganicus - protettore dei villaggi.
  • Iove Paleni - tra i Paeligni di Sulmo.
  • Iove Pantheus - che è gli Dei tutti.
  • Iove Pater Patrato - il Padre manifestato agli uomini.
  • Iove Patrono - patrono.
  • Iove Pecunia - protettore delle monete.
  • Iove Pistor - fornaio
  • Iove Pluvialis - che dà la pioggia.
  • Iove Praedator - predatore.
  • Iove Praestes - protettore.
  • Iove Propagator O. M. - propagatore O. M.
  • Iove Propugnator - che propugna.
  • Iove Puer - Giove fanciullo.
  • Iove Purgator - che purifica.
  • Iove Purpurio O. M. -
  • Iove Rector - che guida.
  • Iove Redux - protettore dei reduci.
  • Iove Restitutor - che rifonde.
  • Iove Ruminus - che nutre.
  • Iove Sabatio - identificato col Dio Sabatio.
  • Iove Salutaris O. M. - che dà la salute.
  • Iove Sempiternus - eterno.
  • Iove Serapis (fusione con Serapide)
  • Iove Serenus - a Pesaro.
  • Iove Serenator - che rasserena.
  • Iove Servator O. M. - salvatore, osservatore
  • Iove Senio - ospitale.
  • Iove Scotita - tenebroso.
  • love Sospes - salvatore.
  • Iove Soter - salvatore.
  • Iove Stator - che dà forza e stabilità. Nome della statua che Romolo dedicò a Giove, perchè, supplicato, fermò l'esercito dei Romani, facendogli voltar fronte e rianimandolo, che, combattendo contro i Sabini, si era messo in fuga. Il Dio era rappresentato nudo, in piedi, con l'asta nella destra e i fulmini nella sinistra. 
  • Iove Succellus - fusione col Dio celtico Succellus
  • love Summanus - il volto oscuro di Giove.
  • Iove Tempestas - che porta tempesta.
  • Iove Terminus - che stabilisce il termine.
  • Iove Territor - che spaventa.
  • Iove Tifatinus - in Campania.
  • Iove Tonans - tonante.
  • Iove Tonitrator - che fa tuonare.
  • Iove Valens - che ha valore. 
  • Iove Versor - che modifica.
  • Iove Vesuvius - in Campania.
  • Iove Vindex - protettore, difensore.
  • Diovis - contrazione di Diespiter Iovis.
  • Iuppiter - contrazione di Iovis Pater
  • Iuppiter Dolichenus - apparso a un centurione della IV legione Flavia e introdotto da Vespasiano nel 71 d.c.
  • Vediovis - Giove ctonio.
Nelle rappresentazioni: 
  • Giove con 4 orecchie, come lo rappresentarono i Lacedemoni, per mostrare che questo Dio ode e intende tutto; oppure per significare che per giudicare bisognava avere due orecchie per sentire una parte, e due per sentire l'altra. 
  • Giove con tre ocelli. Si vuole che presso gli Argivi esistesse una statua di Giove avente due occhi disposti normalmente, e un terzo nel mezzo della fronte; e ciò per aver questo Dio tre regni da governare: il Cielo, l'inferno e il mare. 
  • Giove Orcio. Così chiamavano i Greci il Dio custode del giuramento. Era rappresentato tenendoo i fulmini a due mani. 


IL RITUALE

Il tempio si elevava nell' Area Capitolina e davanti alla scalinata si trovava il grande altare di Giove, Ara Iovis, dove solenni sacrifici venivano offerti all' inizio dell' anno, per le celebrazioni dei trionfi ed in alcune altre occasioni.

Questo tempio divenne un deposito delle opere d'arte di vario genere, delle donazioni dei generali romani e degli stranieri, come pure delle offerte dedicatorie e trofei delle vittorie, delle quali il più antico registrato era una corona dorata donata dai Latini nel 459. Il numero di questi divenne così grande che nel 179 a.c. fu necessario rimuovere alcune delle statue e molti dei doni affissi alle colonne.

A Giove si poteva sacrificare tutto ciò che era connesso alla sua natura, cioè i suoi miti. Poteva essere offerto vino, o mola salsa (da cui il termine immolare), una specie di polenta fatta di farina di ghiande e acqua, (la ghianda era come la quercia sacra a Giove), oppure un animale. L'offerta vegetale era gradita e così il vino, ma erano molto meno impegnative, per l'offerente e per la divinità.

La vittima veniva portata all’altare addobbata con nastri e ghirlande (ai bovini spesso si indoravano le corna); i partecipanti si purificavano con acqua lustrale (consacrata immergendovi un tizzone acceso) cui seguiva un sacro silenzio interrotto dall'invocazione alla divinità. I musici davano la cadenza del rito, grani d'orzo venivano gettati sull'altare e sulla vittima, che veniva anch'essa purificata per aspersione; dalla sua fronte si recideva qualche ciuffo di pelo che veniva gettato nel fuoco acceso sull’altare. Il sacrificatore, vestito di bianco e colla veste che ricopriva il capo, sgozzava con il coltello sacrificale la vittima; il sangue sgorgato veniva raccolto e spruzzato sull’altare. Se la vittima era di grandi dimensioni, veniva prima abbattuta con una scure.

C'erano precise regole sulla scelta della vittima, non doveva avere imperfezioni, il manto doveva avere il colore preciso che occorreva al rito, e soprattutto doveva incedere verso l'altare a "lento pede" cioè tranquillo, se si dibatteva o deviava il rito era annullato.
Lo stesso stato provvedeva ai sacrifici alle divinità, in particolar modo a Giove, oltre ai privati che desideravano rendergli omaggio. Molto indicato era ul bue o la giovenca, candidi o con macchie particolari che gli davano un certo significato. Dopo l'uccisione le interiora, le ossa e il grasso venivano bruciati sull'altare, mentre il resto veniva donato ai sacerdoti e al sacrificante.

Se il sacrificio era pingue, le carni degli animali venivano cotte e distribuite al pubblico, soprattutto ai poveri. Il sacrificio di grandi animali e in gran numero era detta Ecatombe, per i Greci cento buoi ma per i Romani più generico. L'Hostia era il sacrificio cruento, cioè di animali, e l'Ovazione l'uccisione di pecore o agnelli. In genere a Giove si sacrificavano bovini, ma anche uccelli in qualità di Dio dei cieli.


Attrezzi del sacrificio:

Un mestolo detto Simpulum (o Simpuvium ) che serviva per attingere dei liquidi per aspergere il capo della vittima sacrificale. Poi un bastonino con crine di cavallo legato all'estremità, detto Aspergillum, per aspergere oggetti, altari, ecc. Praefericulum era il nome della brocca in cui era contenuto il liquido da versare col Simpulum o da aspergere con l'Aspergillum.

Poi il Lituus Auguralis , un bastone ricurvo utilizzato dagli Auguri per tracciare nel cielo la porzione da osservare per trarre gli auspici.

Altri strumenti possono essere la Patera , una sorta di piattino circolare usata per raccogliere liquidi con cui omaggiare gli dei o per raccogliere il sangue delle vittime. Il lungo pugnale usato per uccidere l'animale era chiamato Secespita.




PREGHIERE A GIOVE

- Iuppiter Optime Maxime pater omnipotens Rex deorum hominumque sive quo alio nomine appellari volueris si pietate mereor da mihi domo familiae nostrae prosperitatem felicitatem opere nostro. Ita est. -

O Giove ottimo massimo, padre onnipotente, re degli dei, o se vorrai essere chiamato con qualche altro nome, se sono degno della benevolenza, dona a me e alla casa della nostra famiglia prosperità e fortuna nel nostro lavoro. Fine. (letteralmente: è andata. Si usa tutt'oggi alla fine della Messa cattolica)

- Salve Iuppiter O.M., pater omipotens, rex deorum ominumque, stator, lapis, latiaris, fulgurator, tonans, Fidio, farree, hospitalis, capitoline, arcane, sive quo alio nomine appellari volueris! Tibi offero hoc vinum et tu sies mihi propitius in opere meo. Ita est. -

Salve Giove Ottimo Massimo, padre onnipotente, redi tutti gli Dei, stabilizzatore, pietra, Laziale, folgoratore, tuonante, Fidio, festoso, ospitale, capitolino, arcano, o qualsiasi altro nome tu voglia! Ti offro questo vino e tu siimi propizio nel mio lavoro. Fine.

- Audi, Iuppiter, civium preces et hostes a patriae finibus arce! -
Ascolta, Giove, le preghiere dei cittadini e caccia i nemici dai confini della patria!

- Iuppiter, te hoc ferto obmovendo bonas preces precor, uti sies volens propitius mihi liberisque meis domo familiaeque meae mactus hoc ferto. -
Giove, facendoti questa offerta prego con buone preghiere, affinchè tu sia propizio a me, alla mia casa e ai miei familiari. Possa quesra offerta confortarti.

 Iuppiter Capitoline, et auctor ac stator romani nominis Gradive Mars, perpetuorumque custos Vesta ignium et quidquid numinum hanc Romani imperii molem in amplissimum terrarum orbis fastigium extulit vos publica voce obstesto atque precor: custodite, servate, protegite hunc statum, hanc pacem, hunc principem, eique functo longissima statione mortali destinate successores quam serissimos, sed eos quorum cervice tam fortiter sustinendo terrarum orbis imperio sufficiant quam huius suffecisse sensimus, consiliaque omnium ciuium aut pia (iuvate aut impia confringite). -

Giove Capitolino e tu Marte Gradivo, fondatore e sostegno del nome romano e tu, Vesta, custode del fuoco eterno, e voi, divinità tutte che avete innalzato questa mole dell'impero romano ai più alti fastigi del mondo, vi scongiuro e vi invoco, a nome di questo popolo: guardate, salvate e proteggete questo stato di prosperità, questa pace, questo principe; a lui, al termine di una lunghissima dimora tra gli uomini, destinate, il più tardi possibile, dei successori le cui spalle siano in grado di sostenere il dominio del mondo tanto validamente, quanto sentiamo che sono state le sue e assecondate, se sono pii, i propositi dei cittadini e rendeteli vani, se sono empi. (Preghiera di Velleio Patercolo)




TEMPLI


TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO
APPROFONDIMENTO



TEMPIO DI GIOVE LAZIALE

Anticamente era denominato Mons Albanus e sulla sua sommità sorgeva il santuario federale dei latini, rimasto sotto l'egida di Alba Longa sino alla distruzione di quest'ultima, intorno alla metà del VII secolo a.C.: il centro, che era dedicato a Iuppiter Latiaris, entrò allora nella sfera di influenza di Roma, con il conseguente spostamento del cuore religioso dei collegati presso il santuario di Diana Nemorense. Ne resta solo la via Sacra, per intero, in basolato romano, e pietre della cinta esterna. Sopra vi venne eretto un monastero, poi un ristorante e infine i ripetitori TV.

Nell'antico santuario laziale si celebravano le Feriae Latinae, la cui data, in età storica, era fissata dai consoli il giorno stesso della loro entrata in carica (feste conceptivae). Il culmine della celebrazione consisteva nel sacrificio a Giove di un toro bianco le sue carni venivano distribuite ad ogni popolo latino partecipante, il cui nome veniva scandito ancora nella tarda età imperiale, come simbolo della originaria parità di diritti di tutti i membri della lega.

Venivano portate al Dio diverse offerte, distinte per comunità: i frutti dell'attività pastorale, la principale fonte di sostentamento dei prisci Latini, assieme ad alcuni simboli di pesci offerti delle comunità delle zone lacustri. Elemento curioso è inoltre l'uso dei partecipanti di utilizzare delle corde appese ai rami degli alberi per andare in altalena (oscillare).

Calata la notte e conclusi i riti solenni, si procedeva alla purificazione (lustratio) dell'area sacra con del latte (non il vino perché simbolo di una società agricola). Nello stesso momento a Roma si chiudeva un intenso giorno di celebrazioni durante il quale i pii cittadini, sospeso il lavoro, avevano goduto dello spettacolo della corsa delle quadrighe in Campidoglio e assistito al sacrificio di un condannato a morte.

Per tutta l'età imperiale il culto di Iuppiter Latiaris e, di conseguenza, la fama del santuario del Mons Albanus, è ben documentato dalle fonti letterarie, che ricordano, ad esempio, l'audacia di Caligola nel presentarsi ai sudditi come novello dio dei latini e l'ipotesi di un sacrificio umano fatto al Latiaris dallo stesso Adriano (la vittima sarebbe stata Antinoo), ma alla fine del IV secolo l'oblio avvolse completamente il santuario e la sua millenaria storia.



TEMPIO DI GIOVE STATORE

I resti di una grande costruzione, realizzata con massi di peperino e opera a sacco, sono visibili sul lato meridionale dell’arco di Tito, identificati con quelli del tempio votato e dedicato da Romolo, fuori dell’area della Roma Quadrata, per ringraziare Giove, intervenuto a ristabilire l’ordine nelle file dei soldati romani, dopo un grave attacco da parte dei Sabini.

Il tempio,dedicato a Giove Statore, sarebbe un voto di Romolo per la battaglia vinta coi Sabini.

La sua festa si celebrava il 27 giugno, in cui si celebrava il culto anche in un altro tempio di Giove Statore costruito nei pressi del Circus Flaminius da Q. Caecilius Macedonicus dopo il suo trionfo del 146 a.c.

Il tempio, restaurato o costruito dal console Attilio Regolo nel 294 a.c., è rappresentato sul rilievo della tomba degli Aterii, a destra dell'Arco di Tito, e sempre secondo questo rilievo, il tempio aveva quattro colonne sulla facciata, rivolta verso il Clivo Palatino. Esisteva ancora nel IV sec. d.c.; nel medio evo sopra le sue fondamenta fu eretta la Torre Cartularia, nella quale si conservava l'archivio della Chiesa Romana.



TEMPIO DI IUPPITER VICTOR in Quirinale

Si festeggiava il 15 aprile e si ricordava la dedicatio del tempio, voluto da Quintus Fabius Rullianus nel 295 a.c. in occasione della guerra sannitica.

Era Padre Giove che dà la vittoria. Pertanto andava onorato per aver molte volte concesso la vittoria al popolo romano e ai suoi generali.




TEMPIO DI GIOVE CUSTODE

Alcuni identificano nell'area capitolina il podio del tempio di Giove Custode, edificato da Domiziano in ricordo del periodo scampato durante l'assedio del campidoglio da parte dei seguaci di Vitellio, ma non ce ne sono prove.


TEMPIO DI IOVIS REDUX (GIOVE REDUCE)

II tempio ci è noto per un' iscrizione ritrovata presso la chiesa di s. Maria Navicella, sul colle Celio (C. VI 428):
"PRO SALUTE ET REDITU Domini Nostri IMPeratoris
CAESARIS C JULIO VERO MAXIMO POI FELICI INVICTO
AUGusto. DOMITIUS BASSUS centurio FRumentariorum
AGENS VICE PRINCIPIS PEREGRINORUM TEMPLUM lOVIS REDUCIS
CastrOrum PEREGRINORUM OMNI CULTU DE SUO EXORAVIT"
Il Borghesi (Oeuvr. 3 p. 435) ha provato che, ove è scritto il nome di Massimino, sia da leggere quelli, abrasi, di Alessandro Severo e di Giulia Mammea. Il tempio sorgeva nel mezzo del Castrum stesso. Cf. Hermes 1879 p. 570.



TEMPIO DI GIOVE ANXUR

Il colossale santuario, in cima al Monte di Giove (Monte S. Angelo), ha origini che si perdono nella preistoria, e precede sicuramente la conquista romana e forse anche i Volsci.

Ritrovamenti in prossimità dell’area sacra fanno presupporre che, già 12000 anni or sono, i cacciatori del paleolitico avessero un riferimento rituale in quel luogo, forse connesso all'antro oracolare intorno al quale, nell’arco dei millenni, vennero costruite successive strutture religiose partendo dalle tracce d’imponenti mura megalitiche.

La ristrutturazione dei vecchi templi avvenne verso la fine del II sec. a.c congiuntamente al tempio di Giove Laziale, sulla cima del Monte Cavo, al quale facevano riferimento tutte le genti laziali, forse molto prima della fondazione ufficiale di Roma.

Il nome di Anxur viene soprattutto da alcune parole di Virgilio, nel VII libro dell’Eneide, che afferma come nelle campagne terracinesi si celebrassero i culti di Giove Fanciullo e di Giunone Vergine, che prende anche il nome di Feronia. Le mura che circondano il tempio, con torri disposte a distanza regolare, sono state attribuite a Silla ma qualcuno le retrodata al III sec. a.c, quali baluardi contro l’esercito di Annibale durante la seconda guerra punica.

Il tempio è una struttura presumibilmente articolata su tre livelli. La terrazza intermedia mostra le fondamenta di un edicola, completamente disassata rispetto all’orientamento di tutta la struttura rivolta a Sud-Ovest mentre il grande tempio, di cui restano soltanto le fondamenta e le arcate di sostegno, è rivolto a Sud.

Sembra che lo sperone di roccia circondato da un piccolo recinto, proteggesse con un’edicola un foro parlante, il “punto d’ascolto” dei vaticini provenienti dall’antro oracolare. Il foro entrava in comunicazione con l’ingresso all’antro oracolare.

Di tale antro sono rimasti alcuni gradini e una grotta che avanza per pochi metri; più oltre è completamente ostruita. E’ presumibile che, nel passato, si entrasse nel ventre della montagna per molte decine o forse centinaia di metri.

Sulla cima del tempio, in prossimità di un ulteriore sperone di roccia, è stato individuato l'auguraculum, sede di avvistamenti di uccelli, di auspici e di riti. Il Giove romano era il garante della sovranità, che poteva elargire attraverso gli uccelli che solcano lo spazio consacrato dagli auguri, gli auspicia e gli auguria.



TEMPIO DI GIOVE A CUMA

Il tempio di Giove, sulla terrazza più alta del Monte di Cuma, grazie all’esplorazione compiuta tra il 1927 e il 1928, ha completamente rimesso in luce una grossa platea templare, impostata su un banco tufaceo grigio. Il santuario, eretto alla fine del VI sec. a.c., fu oggetto di numerosi interventi e trasformazioni. I resti visibili risalgono all’età romana e bizantina.

Del tempio greco periptero (fine VI-prima metà del V sec. ) resta il basamento orientato Est/Ovest, in blocchi di tufo giallo posti sul perimetro e su 4 allineamenti. Abbandonato forse in età sannitica, l’edificio fu riedificato nella prima età imperiale.

In età giulio-claudia, cui si datano le strutture in reticolato e laterizio, venne realizzato un tempio a portico: la cella lunga e stretta, coperta con tetto a doppia falda, decorata internamente da semicolonne alternate a nicchie quadrangolari, esternamente da lesene, era al centro di un cortile; su tre lati di questo un portico, con muro perimetrale, pilastri laterizi e basse arcate.

Due file di pilastri davanti alla cella ne formavano il pronao, si accedeva all’edificio da tre ingressi ad Est preceduti da una gradinata. Fra alcuni intercolumni si possono riconoscere porzioni dell’antico pavimento in signino, con inserzioni di tessere marmoree.

Più tardi, tra V e VI sec. d.c. per il culto cristiano si trasformò il tempio in basilica a 5 navate, di cui tre centrali più alte delle laterali. L’altare in muratura fu addossato al fondo della cella e un fonte battesimale circolare, rivestito di lastre policrome di marmo con sei colonne marmoree fu inserito all’ambiente dietro la cella. Fosse sepolcrali furono tagliate nel basamento e tra i pilastri. Nell’VIII sec. d.c. diventa la cattedrale della città dedicata a San Massimo.


Ludi Romani o Ludi Magni

A Giove erano dedicati a Roma i Ludi Romani, anticamente denominati Ludi Magni che si svolgevano, in età augustea, dal 4 al 19 settembre, nel Circus Maximus, Circo Massimo. Erano stati istituiti da Tarquinio Prisco. Dal 366 a.c. divennero annuali. Dal 347 a.c. furono organizzati dagli aediles curules, magistrati patrizi.


Poplifugia

Festa celebrata il 5 luglio in onore di Iuppiter, ossia Giove. Poplifugium significa "fuga del popolo". Ricordava una fuga durante una guerra e la successiva riscossa sotto la protezione di Iuppiter.

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- D. Feeney - Letteratura e religione nell'antica Roma - Salerno - Roma - 1998 -
- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- John Scheid, Jesper Svenbro - The Craft of Zeus: Myths of Weaving and Fabric - Penn State Press -  1996 -
- George Dumezil - JupiterMars, Quirinus (Jupiter Mars Quirinus. Parigi, Gallimard, 1941). Torino, Ed. scientifiche Einaudi, 1955.
- Carandini - Giove custode di Roma. Il Dio che difende la città - Novara - UTET - 2016 -
- Giacomo Boni - Nuova Antologia - Iovi victori. 1917 -

2 commenti:

  1. complimenti avete il blog migliore sui romani, molto documentato e serio.

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  2. Blog molto bello, ma sinceramente riguardo i nomi delle divinità nel mito greco me li confondete sempre con i nomi romani e questa cosa dopo un po da fastidio.

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