Partendo dalla teoria dei cicli e ricicli storici dei sei regimi politici (tre positivi e tre degenerati), ossia Regno, Tirannide, Aristocrazia, Oligarchia, Democrazia; Oclocrazia, Regno e così via, Polibio osserva che la costituzione romana non segue questo processo di nascita-crescita-degenerazione.
Roma è un mondo a parte, uguale a nessuno, non è monarchica, né aristocratica, né democratica, ma: monarchica (consoli), aristocratica (senato) e democratica (comizi popolari), tutti coesistenti. Una compresenza dei tre regimi politici, in rapporto dialettico e bilanciato dove l'uno controlla l'altro perchè alcuno prevalga in modo assoluto.
Il popolo di Roma, in effetti, ha un forte potere con i seguenti presupposti:
- Assegnazione di onori e punizioni. Fattore decisivo in una comunità, poiché sono il bastone e la carota con cui si governa una comunità.
- Emissione delle sentenze di morte, con la concessione, talvolta, di mutarla in condanna all'esilio, ius exsilii.
- Assegnazione delle cariche.
- Verifica delle leggi, con la possibilità da parte dei Tribuni della Plebe di opporre il proprio veto, ius intercessionis.
- Decisione della pace o della guerra.
- Ratifica o rigetto di alleanze, accordi e trattati.
Ma per partecipare ai lavori dei comizi era necessaria la presenza fisica al Foro, per cui solo gli abitanti dell'Urbe e delle immediate vicinanze avevano la possibilità di incidere sulla vita politica di Roma, come fosse ancora una città-stato, pur non essendolo più sulla carta.
Però i patrizi
Nei comizi il voto non aveva valore individuale ma collettivo (per centuria o per tribù), e le centurie (ripartite in base al censo) erano per la maggior parte costituite dalla prima classe censitaria, i patrizi, e da quella dei cavalieri, gli equites.
Quindi, su un totale di 193 centurie, se la prima classe (80 centurie) e la classe dei cavalieri (18) si fossero unite, avrebbero ottenuto la maggioranza.
Gli strumenti di propaganda politica a Roma, ossia l’ambitus, le contiones e l’istituzione della clientela, permettevano al patriziato senatorio di influire in modo decisivo all’interno dei comizi.
Vedi la votazione per la guerra contro Filippo V di Macedonia nel 200 a.c., come riferisce Tito Livio:
"Il popolo, stremato dalla Guerra Annibalica appena conclusa, disapprovò la nuova guerra; fu allora che l’eloquente orazione del console Publio Sulpicio Galba richiamò il popolo a una nuova convocazione in cui si decise per la guerra".
Così il potente e rinvigorito esercito romano sconfisse Filippo, sventando la minaccia di un’invasione e preparando la strada alla conquista della Grecia.
La Repubblica dei Romani era quindi un’aristocrazia, in cui però il popolo aveva forti poteri decisionali, seppur limitati. Non a caso lo Stato romano si esprimeva nel celebre Senatus Populusque Romanus, S:P:Q:R., il Senato e il Popolo romano.
Polibio, confrontando Roma e Cartagine, che si contesero la supremazia sul Mediterraneo, nota quanto siano simili i due sistemi politici, ma Roma vinse perché vi prevaleva la componente aristocratica, mentre a Cartagine prevaleva quella democratica:
"Poiché dunque presso gli uni [i Cartaginesi] decideva il popolo, e presso gli altri [i Romani] i migliori, le decisioni dei Romani sulle questioni politiche erano più valide; ed è per questo che, pur essendo stati completamente sconfitti [a Canne], grazie alla validità delle loro decisioni riuscirono infine a prevalere nella guerra contro i Cartaginesi."
Era quindi il Senato la vera e silenziosa forza di Roma, era l’autorità e il governo dei migliori. Era lo stesso Senato che uno sbalordito ambasciatore di Pirro, interrogato dal suo sovrano, definì "una assemblea di re".
RES PUBLICA POPULI ROMANI
Fu il sistema di governo di Roma nel periodo tra il 509 e il 27 a.c., in cui si ebbe una repubblica oligarchica. Roma, da piccola città stato del VI secolo a.c. divenne la capitale di uno Stato, formato da molti popoli e civiltà differenti, lo Stato più multirazziale mai esistito fino ai giorni nostri.
All'inizio il territorio della repubblica coincideva con quello della città, sui famosi sette colli, confinando con la regione dei Latini a sud e quella etrusca a nord. I poteri riservati al re, cioè il comando dell'esercito e il potere giudiziario, furono assegnati a due Consoli e il potere religioso al Pontifex Maximus. Seguirono poi le cariche di Edili, Censori, Questori e Tribuni della plebe, che costituirono le magistrature.
Per garantire la Repubblica, ogni carica, a parte quella del Censore, che poteva durare fino a 18 mesi, aveva il mandato di un solo anno. Inoltre ogni carica veniva assegnata ad almeno due uomini alla volta, ognuno dei quali aveva potere di veto sull'altro, sia per non lasciare vuoto l'incarico in caso di morte sia perchè nessuno esorbitasse nei suoi poteri.
Ma la cosa più importante è che le cariche erano gratuite, per cui l'onore diventava soprattutto un onere.
In tempo di guerra, nell'esercito romano il comando dei due Consoli era alternato a determinati giorni, cosicchè nessuno dei due aveva il comando esclusivo.
Mentre i Consoli erano sempre due, gli altri incarichi erano retti da più uomini, nella tarda Repubblica c'erano 8 Pretori all'anno e 20 Questori.
I magistrati si dividevano in quelli dotati di comando, cum imperium: Consoli, Pretori e Dittatori. protetti dalle guardie del corpo, i Littori, e quelli sine imperio, con potere limitato, tutti gli altri, privi di Littori. Sui nuovi territori di conquista non si elessero nuovi magistrati ma dei promagistrati: Proconsole e Propretore, che avevano sul campo gli stessi poteri di un magistrato ma che facevano capo a un magistrato cui rispondevano del loro operato.
Sia i magistrati che le leggi erano votate dalle Assemblee Popolari, di cui le più importanti erano i Comizi Centuriati, in cui il peso nelle votazioni era proporzionale al censo, in cui prevalevano le famiglie patrizie. L'importanza della plebe era comunque maggiore rispetto al periodo monarchico, in cui i comizi curiati erano solo patrizi.
Venne inoltre concesso alla plebe di partecipare all'esercito, finchè la plebe non ottenne i Tribuni della plebe, eletti dal Concilio della plebe.
Il Senato, costituito da 300 membri, tutti capi di famiglie patrizie, Patres, ed ex consoli, Consulares, era invece solo patrizio, con l'incarico di fornire pareri e indicazioni ai magistrati, di fatto poi vincolanti, e di approvare le decisioni prese dalle Assemblee popolari.
Il dittatore invece era una carica eccezionale, limitata a periodi di emergenza militare, con un mandato di 6 mesi in cui diventava la guida dello Stato. Eleggeva un suo collaboratore a lui subordinato, il Magister Equitum, maestro della cavalleria, una specie di luogotenenete.
Cariche politiche della Repubblica furono dunque:
- Console
- Proconsole
- Pretore
- Propretore
- Edile
- Questore
- Proquestore
- Censore
- Tribuno della plebe
- Tribuno Consolare
- Tribuno militare
- Pontefice massimo
- Dittatore
- Maestro della cavalleria
- Princeps Senatus
- Duumviri
- Triumviri
- Decemviri
- Vigintisexviri
- Tribuno erario
- Quinqueviri muris turribusque reficiendis
- Magister vicorum et pagorum
- Praefecti
LA CACCIATA DEI RE DI ROMA
Narra Tito Livio che Sesto Tarquinio, figlio dell'ultimo Re di Roma Tarquinio il Superbo, violentò Lucrezia, nobildonna romana che riferì il delitto alla propria famiglia, e che, non reggendo il disonore della violenza subita si uccise.
La famiglia di Lucrezia per vendetta fomentò e guidò la rivolta contro la famiglia reale, che abbandonò Roma per rifugiarsi in Etruria. Lucio Tarquinio Collatino, marito di Lucrezia, e Lucio Giunio Bruto vinsero le elezioni come primi due Consoli, supremi magistrati della Repubblica, divenendo Capi dello Stato Romano.
Il re Tarquinio però si rivolse a Porsenna, re di Chiusi, per chiedere il sostegno militare e riappropiarsi del trono. Porsenna, anch'egli etrusco, si mise personalmente alla testa delle truppe e assediò Roma ma gli atti di valore dei Romani come Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia, indussero Porsenna a ritirarsi.
In realtà il crescente peso della plebe, sostenuto dagli Etruschi per rovesciare il potere oligarchico romano, e togliersi pertanto di torno una potente concorrente commerciale sul Mediterraneo, spinse i patrizi alla cacciata di Tarquinio il Superbo e a prendere le armi contro gli Etruschi.
La cacciata dei re però segnò una crisi militare ed economica per Roma, perchè i popoli latini circostanti, come Equi e Volsci si ripresero parte dei territori di Roma, la quale perse anche l'egemonia marittima, mentre l'emarginazione dei ceti plebei artigiani e mercantili, che sotto la monarchia avevano guidato la crescita economica, fece regredire l'economia ad agricola e povera, dominata dai grandi proprietari.
Il potere passò dal re ai due primi Consoli e il sacerdozio col culto di Iuppiter Optimus Maximus nel grande tempio sul colle Capitolino passò al Rex sacrorum, il Re delle cose sacre. Fino alla fine della Repubblica l'accusa di ambire alla corona di re rimase una delle più gravi in cui poteva incorrere un personaggio potente (ancora nel 44 a.c. gli assassini di Giulio Cesare sostennero di aver agito per prevenire la restaurazione di una monarchia esplicita).
Figurarsi che a Roma le api erano considerate segno infausto se incontrate in luogo non dovuto, come quando entrarono nel tempio di Marte, perchè erano simbolo di monarchia e potevano quindi preannunciarne l'avvento.
LA SECESSIONE DELLA PLEBE
I plebei sempre più privati di diritti abbandonarono la città, portandosi dietro famiglia e beni mobili, e accampandosi fuori le mura per ben tre volte: nel 494, nel 450 e nel 287 a.c. Nella prima secessione i plebei ottennero l'elezione di due rappresentanti, i tribuni, nella seconda ottennero la redazione delle Dodici Tavole della legge che portò il numero di Tribuni a 10, nella terza ottennero le Lex Hortensia, che diede al voto del Concilium Plebis, il Concilio dei plebei, praticamente il "plebiscito".
La conquista di nuovi territori permise di sanare i conflitti tra patrizi e plebei donando a questi nuove terre, in cui la plebe portò la civiltà romana contribuendo alla coesione dello Stato.
I PERSONAGGI DELLA REPUBBLICA
Inizio Repubblica
- Lucrezia
- Lucio Iunio Bruto
- Attilio Regolo
- Muzio Scevola
- Marco Furio Camillo
- Orazio Coclite
- Decio Mure
- Attilio Regolo
- Cincinnato
- Appio Claudio il Censore
- Annibale
- Scipione l'Africano
- Scipione Emiliano
- Catone il Censore
Tarda Repubblica
- Tiberio Sempronio Gracco
- Gaio Sempronio Gracco
- Gaio Mario
- Lucio Cornelio Silla
- Pompeo Magno
- Giulio Cesare
- Marco Licinio Crasso
- Marco Tullio Cicerone
- Spartaco
TITO LIVIO - LIBRO II
Infatti cosa ne sarebbe stato di quel branco di pastori e di avventurieri se, fuggiti dai loro paesi per cercare libertà o impunità nel recinto inviolabile di un tempio, si fossero liberati della paura di un re e avessero cominciato a lasciarsi trascinare dalla virulenza dei demagoghi e a scontrarsi verbalmente coi senatori di una città che non era la loro, prima che l'amore coniugale, l'amore paterno e l'attaccamento alla terra stessa (sentimento questo legato alla lunga consuetudine) non avessero unito le loro aspirazioni?
- Lo Stato, minato dalla discordia, non sarebbe riuscito a muovere nemmeno i primi passi. Invece l'atmosfera di serenità e moderazione che accompagnò la gestione del potere ne influenzò a tal punto la crescita che, una volta raggiunta la piena maturità delle sue forze, poté esprimere i frutti migliori della libertà. E poi l'inizio della libertà risale a questa data non tanto perchè il potere monarchico subì un ridimensionamento, ma piuttosto perchè fu stabilito che i consoli durassero in carica soltanto un anno.
- I primi a occupare questa magistratura mantennero tutte le attribuzioni e le insegne dei re, salvo che non ebbero contemporaneamente i fasci per non dare alla gente l'impressione di un terrore raddoppiato. Bruto, che col consenso del collega fu il primo ad averli, dimostrò di non essere meno attento nel preservare la libertà di quanto fosse stato determinato nel rivendicarla.
- In questa direzione ecco quale fu il suo primo provvedimento: per evitare che il popolo, tutto preso dalla novità di essere libero, potesse in seguito lasciarsi convincere dalle suppliche allettanti della casa reale, lo costrinse a giurare che non avrebbe permesso più a nessuno di diventare re a Roma. Poi, per rinforzare il senato ridotto ai minimi termini dalle esecuzioni a catena pretese dall'ultimo re, ne portò il totale degli effettivi a trecento nominando senatori i personaggi più in vista dell'ordine equestre.
- Di lì pare che entrò nell'uso di convocare per le sedute del senato padri e coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva agli ultimi eletti). Il provvedimento giovò straordinariamente all'armonia cittadina e al riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale.
(Tito Livio - Ab Urbe Condita)
BIBLIO
- P. A. Brunt - Classi e conflitti sociali nella Roma repubblicana - Bari - Laterza - 1972 -
- Itala Dondero e Patrizio Pensabene - Roma repubblicana fra il 509 e il 270 a.c.. - Roma - Quasar -1983 -
- Antonietta Dosi - Lotte politiche e giochi di potere nella Roma repubblicana - Milano - Mursia - 1999 -
- Carcopino - L'età repubblicana - in Storia di Bologna - I - Bologna nell'antichità - Bologna - Bononia University Press - 2005 -
- T. Mommsen con il fratello August Mommsen - Cronologia romana fino al tempo di Cesare - 1858 -
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