L'AFRODITE GRECA
Il nome greco è Afrodite, da aphros, schiuma. Secondo la tradizione più comune Afrodite sarebbe stata partorita dalla scimmia marina raccoltasi intorno alle parti mutilate di Urano, che furono gettate in mare da Crono, dopo ch'egli ebbe evirato il padre. Appena nata, si avvicinò all'isola di Creta e poi a Cipro, e passeggiando sulla riva del mare i fiori spuntavano sotto i suoi piedi.
Secondo le idee cosmogeniche della natura di Afrodite, ella era la personificazione della potenza generatrice della natura e la madre di tutti gli essere viventi. Una conferma di ciò potrebbe aversi nella tradizione che, nella gara di Tifone con gli Dei, Afrodite si cangiò in pesce, il quale si considera di grandi forze generatrici.
Ma, secondo la leggenda dei Greci, ella era la Dea dell'amore che incitava questa passione nei cuori degli Dei e degli uomini, e signoreggiava, con questa potenza, tutta la creazione animata.
Essendo nata dal mare era venerata come protettrice dei naviganti. Appena sorta dalle acque le Ore la vestirono e la adornarono di rose, mirto e di gioielli accompagnandola poi a Citera ponendola su una conchiglia e dove prontamente le fu innalzato un santuario. Da lì fu portata dagli Dei dell'Olimpo su un carro trainato da candide colombe.
"Le Ore dal diadema d'oro la coprirono di vesti immortali, il capo le cinsero del serio d'oro mirabilmente intrecciato. Nel forellino del lobo d'orecchio le misero fiori preziosi d'oro e ottone, indi ornarono il delicato collo e il seno lucente di collane d'oro di cui esse stesse si fregiano, allorché, cerchi d'oro nei capelli, si recano all'amena danza degli Dei e alla casa del padre. Compiuta l'opra, portarono Afrodite, tutta splendida com'era ornata, agli immortali. - Benvenuta - essi esclamarono, porsero la man destra e ognun la desiderò quale sposa da condurre alla propria magione. Stupore così e meraviglia destò Citerea dalle ghirlande di violette."
Come Dea della natura le sono sacre le rose e le piante, ma anche gli animali, come il delfino, la quaglia e la lepre. passeri, colombe e cigni, nonchè l'ariete e il serpente. Possedeva un cinto che rendeva irresistibile chiunque lo indossasse, che donò poi a Ippolita, regina delle Amazzoni.
Per Platone vi sarebbero due Veneri: Venere Urania, figlia di Urano, il cielo, rappresentante l’amore puro, e Venere Pandemia, figlia di Dione, Dea dell’amore volgare. L'amore puro sarebbe quello degli uomini verso gli efebi, che oggi si chiamerebbe pedofilia.
Ma Venere è anche la Dea che protegge chi rischia per amore:
"Osare si deve: Venere stessa aiuta chi ha coraggio.
Se un giovane tenta per primo una soglia, lei l'asseconda
e se una fanciulla coi denti di una chiave
socchiude la porta, è lei che le insegna
a strisciare furtiva dal morbido letto,
ad appoggiare il piede senza far rumore,
a scambiare davanti al suo uomo cenni eloquenti,
e a nascondere messaggi d'amore in gesti convenuti.
Ma non a tutti l'insegna: solo a chi
l'indolenza non l'attarda o a chi il timore
non gli vieta di levarsi dal letto in una notte oscura".
(Tibullo)
Gli Amori
Lucrezio
"Quando tu vieni, fuggono i venti e si dileguano le nuvole; per te la terra la fiorire il leggiadro ornamento dei fiori, per te sorride lo specchio delle acque del mare, e gli spazi lucenti del cielo splendono in silenzio ".
Ne ebbe diversi. Zeus le fece sposare lo Zoppo Efesto o Vulcano, che ella tradì subito con Ares o Marte. Elios o Sole rivelò a Efesto il tradimento, così il Dio dei vulcani fabbricò una rete d'oro e ve li imprigionò nell'amplesso portando i fedifraghi dagli altri Dei chiedendo vendetta.
Le Dee per pietà o pudore se ne andarono, ma gli Dei apprezzarono molto le forme di Venere ed Hermes, Mercurio, lo espresse ad alta voce, dicendo che non gli sarebbe spiaciuto stare al posto di Marte.
Venere ne tenne conto e ne fece il suo amante successivo, da cui generò Eros, cioè Cupido, Dio dell'amore. Ma non disdegnò neppure i mortali, come Anchise, con cui generò Enea.
"Que quoniam rerum naturam sola gubernas,
Sec sine te quicquam dias in luminis oras
Exoritur, neque fit lunum, neque amabile quicquam". (Lucrezio)
Turan è la divinità etrusca simile alla greca Afrodite, famosa la sua raffigurazione su di un vaso nel nel "Giudizio di Paride".
In era più arcaica fu rappresentata come divinità alata. Il suo nome significava "La Signora", come oggi si chiama Dio "Il Signore", il che fa presupporre fosse l'antica Madre degli Dei.
Accanto a Uni ed a Minerva, Turan era la divinità femminile più importante in Etruria, e dava il nome al mese di luglio, in cui si celebravano le sue feste principali.
Il suo culto principale si ebbe nel santuario di Gravisca, l’antico porto della città etrusca di Tarquinia.
L’origine di questo culto greco-etrusco a Gravisca, è testimoniato da molte iscrizioni dedicatorie in entrambe le lingue, databili dall’inizio del VI sec. e fino al IV sec. a.c.
La maggior parte di queste iscrizioni furono dedicate da donne forse per il suo potere di innamorare e ingravidare. Visto il contesto portuale, probabilmente proteggeva i naviganti.
Lucrezio - Inno a Venere
"Genitrice degli Eneadi, voluttà degli uomini e degli dei,
Venere datrice di vita, che sotto i corsi celesti degli astri
dovunque ravvivi della tua presenza il mare percorso dalle navi,
le terre fertili di messi, poiché grazie a te
ogni specie vivente è concepita e, nata, vede la luce del sole,
te, o dea, fuggono te i venti, te le nuvole del cielo,
e il tuo arrivo; l'operosa terra fa spuntare per te
soavi fiori, a te sorridono le distese del mare
e il cielo rasserenato splende di una luce diffusa.
Infatti non appena si svela lo spettacolo
del giorno primaverile, e, sprigionato, si ravviva
il soffio dello Zefiro fecondatore,
gli uccelli dell'aria annunciano prima te, o Dea, e il tuo
arrivo, colpiti nei cuori dalla tua potenza.
Quindi le fiere e gli animali domestici balzano
per i pascoli rigogliosi, e attraversano i rapidi ruscelli:
così ogni bestia, catturata dal tuo fascino
ti segue ardentemente dove intendi condurlo.
Insomma, per i mari e i monti e i fiumi travolgenti
e le dimore frondose degli uccelli e le pianure verdeggianti,
infondendo a tutti nei petti un carezzevole amore
fai in modo che trasmettano specie dopo specie le loro generazioni.
Tu puoi bastare da sola a reggere il mondo,
e solo per le tue grazie a noi è dato ammirare
tutto quello che esiste di dolce ed amabile."
I Romani che le dedicarono la stella del mattino detta Luxfero, cioè "porto la luce", che il cattolicesimo ha demonizzato in Lucifero, cioè il demonio. A Roma le era dedicato un colle, Montecitorio, o monte di Citerea, uno dei suoi appellativi, oggi profana sede del governo italiano.
Le sono sacre:
- le rose,
- il melograno,
- la mela,
- il mirto,
- la pernice,
- la lepre
- la colomba
- e il delfino.
Esisteva però anticamente una Venere Italica, Dea dei boschi, dei cipressi e delle bacche.
Templum Veneris
Festa celebrata a Roma il 19 agosto in onore di Venus. Si ricordava la dedicatio del tempio.
Templum Veneris Ericinae apud Portam Collinam
Festa celebrata il 23 aprile in onore di Venus Ericina, Venere del Mons Eryx in Sicilia.
Il tempio, sito nei pressi della Porta Collina, era stato offerto dal consul L. Porcius Licinius nel 184 a.c. durante la guerra con i Liguri ed era stato dedicato dallo stesso Licinius nella sua qualità di duumvir nel 181 a.c.
Templum Veneris Genetricis
Festa celebrata il 26 settembre in onore di Venus Genetrix, Venere Madre. Si ricordava la dedicatio del tempio.
Il tempio era stato deciso da Iulius Caesar in occasione della battaglia di Pharsalus. Venne costruito nel Forum Iulium ed inaugurato nel 46 a.c. Genetrix si riferisce alla divina origine della famiglia Iulia.
Templum Veneris Victricis
Festa celebrata il 12 agosto in onore di Venus Victrix, Venere Vittoriosa. Si ricordava la dedicatio del tempio
Venus Verticordia
Festa celebrata il primo aprile in onore della Dea Venus Verticordia, Venere che ispira i cuori. Alle calende di Aprile Venere Verticordia veniva celebrata con serti e fiori. Veneralia erano chiamati i rituali che si svolgevano in suo onore.
Come narra Ovidio nei Fasti, la Dea ispira al matrimonio “…diede la loro origine agli alberi e ai seminati, riunì insieme gli animi rozzi degli uomini e insegnò loro ad unirsi, ciascuno con la sua congeniale compagna” (cfr. Fasti, IV, 96-98).
Infatti il poeta invita tutte le donne, vergini, spose e meretrici, ad onorare Venere Verticordia perchè grazie all’intervento della Dea i cuori delle donne romane si volgessero verso il matrimonio. Dal che si deduce, anche se nessuno lo cita, che le donne romane non ardevano all'idea nè di sposarsi nè di fare figli.
Vedevano nel matrimonio la fine dei giochi, dei corteggiamenti e della libertà, e nei figli c'era il pericolo del parto, piuttosto frequente all'epoca, perchè sembra che una donna su dieci morisse di parto.
"Madri e nuore latine, e anche voi
che non portate benda né lunga veste,
venerate ugualmente la dea…
la dea è tutta da detergere…
offritele rose novelle e altri fiori.
Ella vuole che anche voi
vi laviate sotto un verde mirto…”
(Fasti, IV).
Qui Ovidio allude al bagno rituale che si teneva durante la festa del primo Aprile con lavacri della statua della Dea, nonché la tradizione del bagno collettivo, cui potevano prendere parte tutte le donne all’ombra di un mirto, considerato sacro Venere.
Dopodichè le donne bevevano il cocetum, bevanda a base di latte, papavero pestato e miele raccolto dai favi, che per le sue caratteristiche oppiacee le trasportava nel sonno e nell’oblio. Ma per dirla tutta addormentarsi non è il massimo della festa, il fatto è che anticamente le donne bevevano il cocetum per porsi in contatto con la Dea ed averne responsi o consigli.
Venus Ericina
Il 23 aprile ed il 25 ottobre si festeggiava Venus Ericina con una processione verso il moderno incrocio tra Via Sicilia e Via Lucania, fuori dell'antica cinta di mura, dove era localizzato il tempio di Venere Erycina, i cui resti erano visibili ancora nel '500. I Romani acquisivano gli Dei dei popoli vinti, ma i loro templi dovevano sorgere fuori delle mura dell'Urbe. La statua della Dea era giunta a Roma nel 201 a.c. dalla Sicilia, dove era veneratissima nel tempio di Erice sulla vetta del monte S.Giuliano.
Le sue sacerdotesse, le hierodulae, esercitavano la prostituzione sacra in onore della Dea, diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo. In quelle festivita tutte le meretrici di Roma si recavano in pellegrinaggio al tempio di Via Sicilia e, come riferisce Ovidio, con generose offerte pregavano Venere Erycina, protettrice delle donne pubbliche dell'Urbe, di vegliare sulle loro capacità professionali.
Le colonne marmoree di quel tempio sono state riutilizzate nella costruzione di una cappella nella Chiesa di S.Pietro in Montorio al Gianicolo (sig!). L'immagine della Dea, rinvenuta nella zona del tempio con altre sculture, come il trono Ludovisi, dovrebbe essere quella conservata al Museo Altemps di Roma.
L'Aphrodite Erikine era venerata in Sicilia in cima al monte Erice, presso Trapani. Forse di origine fenicia, fu detta anche Eneade, per la leggenda troiana delle origini di Roma. Ad Erice si diceva che Enea avesse fatto erigere l'heroon del pare Anchise, sposo di Venere.
Nel santuario di Erice si praticava la prostituzione sacra e si celebravano due solenni feste dette anagògya e katagògya che segnavano, rispettivamente, la partenza della Dea e delle sue colombe per la Libia ed il suo ritorno, nove giorni dopo, quando una colomba rossa precedeva le altre.
Quando i Romani conquistarono Erice, la Dea fu celebrata come Dea della bellezza e fu portata a Roma come una Dea patria. In Sicilia, come da decreto del Senato, la Dea ricevette un tributo annuo dalle diciassette città più fedeli dell'isola ed una guarnigione permanente di due centurie.
Nel 215 Fabio Massimo innalzò in onore di Venere un tempio entro il Pomerio. Nel 184 il console Porcio Licinio votò un secondo tempio alla Dea fuori del Pomerio, nei pressi di Porta Collina.
Anagogie
Feste che si facevano in Sicilia per invocare il ritorno della Dea.
Vinalia
che si divideva in Vinalia priora e Vinalia Rustica. Il vino era considerato un medicamento, nei Meditrinalia (11 ottobre) gustando il vino si recitava: "Novum vetus vinum bibo: novo veteri morbo medeor" cioè "Bevo vino nuovo e vecchio, curo la vecchia e nuova malattia":
Vinalia Priora
Venere era festeggiata insieme a Giove il 24 aprile, festa in cui si degustava il vino novello. Il vino era di Venere e pertanto Venenum, che cura se bevuto con moderazione e pericoloso se si esagera, come una medicina. Nei riti più arcaici il vino sostituiva il sangue o almeno ne era l'equivalente. Il vino nuovo veniva libato ma in parte sparso sull'altare per gli Dei. Priora in quanto era il primo vino.
Vinalia Rustica
Si festeggiavano Giove e Venere nel 19 di agosto per propiziare la nuova vendemmia bevendo vino vecchio e più alcolico che aiutava ad affrontare la fatica. il vino era considerato Venereo perchè come l'amore e il sesso, poneva in uno stato di ebbrezza e faceva dimenticare il doloree la fatica.
Tempio di Venere Genitrice
Era posto all'interno del Foro di Cesare a Roma, inaugurato nel 46 a.c., sul fondo nord-occidentale del foro.
Promesso in voto da Giulio Cesare alla Dea durante la battaglia di Farsalo, fu detta Genitrix per la mitica discendenza del dittatore da lei, attraverso Iulo, progenitore della gens Giulia, da Enea, figlio della Dea.
Il tempio venne danneggiato dall'incendio scoppiato sul Campidoglio nell'80 e ricostruito sulle medesime fondazioni sotto Traiano, in seguito all'abbattimento della sella montuosa tra Campidoglio e Quirinale per l'erezione del Foro di Traiano, sella al cui pendio si addossava il tempio.
Venne nuovamente dedicato, come riportano i Fasti Ostiensi il 12 maggio del 113, nello stesso giorno dell'inaugurazione della Colonna di Traiano.
Danneggiato dall'incendio avvenuto sotto l'imperatore Carino nel 283, sotto Diocleziano fu rinforzato inglobando le colonne della facciata in un muro in laterizio e collegandolo con archi in laterizio rivestito di marmo alla Basilica Argentaria.
Se ne conserva solo il podio, al quale si accedeva da due scalinate laterali, e parte dell'abside in fondo alla cella, inglobata nelle strutture traianee. Aveva otto colonne sulla fronte e nove sui fianchi, privo di colonne sul retro.
Dell'edificio ricostruito da Traiano, con pianta identica alla precedente, si conservano numerosi resti della ricca decorazione marmorea.
Sono state rialzate sul podio tre delle colonne di ordine corinzio del lato sud-occidentale del tempio, con la relativa trabeazione (cornice con mensole, fregio con decorazione a girali e architrave decorato inferiormente da lacunari con amorini in mezzo a girali d'acanto), rinvenute in posizione di caduta negli scavi degli anni '30. Alcuni dei resti sono esposti nel Museo dei Fori Imperiali.
Sul muro esterno della cella, rivestito da lastre in marmo che imitavano un'opera quadrata, le colonne esterne si rispecchiavano in un ordine di lesene. Tra di esse, su due registri sovrapposti, pannelli con amorini vari. Pannelli simili ed altri con decorazioni vegetali e piccoli animali, ornavano l'interno della cella.
Le pareti erano decorate da due ordini di colonne innalzate su un basamento, che inquadravano nicchie con frontoncini; sul primo ordine un fregio con amorini recanti gli attributi di varie divinità.
Sul fondo l'abside era stata ricostruita e maggiormente distaccata dalla cella vera e propria: alla parte absidale appartenevano le basi decorate reimpiegate nell'ingresso del Battistero lateranense.
Nell'abside si trovava la statua di Venere Genitrice, opera dello scultore neoattico Arcesilao. All'interno del tempio numerose oper d'arte, conosciute in parte dalle fonti:
Tempio di Venere e Roma:
APPROFONDIMENTO
Tempio di Venere a Pompei
Venne incisa su un muro a Pompei questa invocazione:
“Salute a te, o...nostra. Ininterrottamente ti prego, o mia signora; per Venere Fisica t’imploro di non respingermi. (Firma) Ricordati di me”.
Posto su un terrazzamento sul mare tra Porta Marina e la Basilica, appena fuori l’estremità sud-ovest della città, fu costruito demolendo edifici preesistenti; solo quelle lungo il pendio meridionale vennero mantenute e continuarono ad essere abitate dai sacerdoti del tempio.
Restano pochissime tracce dei portici e del tempio per i saccheggiamenti dopo l’eruzione del 79 d.c., data la totale assenza del materiale marmoreo.
Il tempio è orientato secondo l’asse Nord-Sud ed è diviso tramite un muro dalla Via Marina a cui dà le spalle. Il podio ha 29.15 m. in lunghezza e 15.05 in larghezza.
Il nucleo interno in cemento e lava si conserva fino al livello del pavimento, diviso da un muro in basalto.
Del pavimento si conservano solo tracce. Probabilmente dopo il terremoto del 62 d.c., per non chiuderlo e impedire ai sacerdoti di esercitare il culto venne costruita un’edicola provvisoria di cui rimangono ancora oggi le tracce.
Del tempio precedente al restauro, interamente in marmo, restano piccoli residui di architrave, colonne e frontone. Ai lati del tempio sorgevano i portici.
Per entrare al santuario si doveva accedere dall’angolo nord-est e anche il lato orientale presentava un piccolo ingresso. Tutte le pareti del tempio erano circondate da file di colonne: due sul lato orientale e occidentale, una su quello settentrionale.
Nei pressi del tempio le tracce di un altare in travertino, di due piedistalli (basi d’appoggio per una statua equestre e per una figura in piedi) e una scala con passaggio sotterraneo alle abitazioni sul pendio.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Francis Redding Walton - Afrodite - Dizionario di antichità classiche - Oxford Classical Dictionary - 1970 - Cinisello Balsamo - Milano - San Paolo - 1995 -
Esiodo
"Nacque dal membro mutilato di Urano, ad opera di Crono, che cadde in mare e diventò spuma. "Le Ore dal diadema d'oro la coprirono di vesti immortali, il capo le cinsero del serio d'oro mirabilmente intrecciato. Nel forellino del lobo d'orecchio le misero fiori preziosi d'oro e ottone, indi ornarono il delicato collo e il seno lucente di collane d'oro di cui esse stesse si fregiano, allorché, cerchi d'oro nei capelli, si recano all'amena danza degli dei e alla casa del padre. Compiuta l'opra, portarono Afrodite, tutta splendida com'era ornata, agli immortali. - Benvenuta - essi esclamarono, porsero la man destra e ognun la desiderò quale sposa da condurre alla propria magione. Stupore così e meraviglia destò Citerea dalle ghirlande di violette."
In realtà si tratta di una Dea Madre della natura, che pertanto si accoppia con tutto generando in continuazione, per questo fu vista come lussuriosa. In seguito divenne una delle tante divinità, ma sempre collegata al sesso.
Teseo sacrificò infatti ad Afrodite Epitragia una capra sulla riva del mare che subito si trasformò in capro, e la Dea fu raffigurata mentre cavalca l'ispida bestiola. E' evidente il simbolo della lussuria.
Dal V Inno omerico:
- Cantami, o Musa, le opre dell'aurea Afrodite Ciprigna, che risveglia la soave brama dei numi, soggioga le stirpi dei mortali, gli uccelli alti in cielo e tutte le bestie che in gran copia nutrono la terra e il mare; tutti quanti chiedono i lavori di Citerea ornata di serti. -In realtà si tratta di una Dea Madre della natura, che pertanto si accoppia con tutto generando in continuazione, per questo fu vista come lussuriosa. In seguito divenne una delle tante divinità, ma sempre collegata al sesso.
Teseo sacrificò infatti ad Afrodite Epitragia una capra sulla riva del mare che subito si trasformò in capro, e la Dea fu raffigurata mentre cavalca l'ispida bestiola. E' evidente il simbolo della lussuria.
Dal V Inno omerico:
Essendo nata dal mare era venerata come protettrice dei naviganti. Appena sorta dalle acque le Ore la vestirono e la adornarono di rose, mirto e di gioielli accompagnandola poi a Citera ponendola su una conchiglia e dove prontamente le fu innalzato un santuario. Da lì fu portata dagli Dei dell'Olimpo su un carro trainato da candide colombe.
"Le Ore dal diadema d'oro la coprirono di vesti immortali, il capo le cinsero del serio d'oro mirabilmente intrecciato. Nel forellino del lobo d'orecchio le misero fiori preziosi d'oro e ottone, indi ornarono il delicato collo e il seno lucente di collane d'oro di cui esse stesse si fregiano, allorché, cerchi d'oro nei capelli, si recano all'amena danza degli Dei e alla casa del padre. Compiuta l'opra, portarono Afrodite, tutta splendida com'era ornata, agli immortali. - Benvenuta - essi esclamarono, porsero la man destra e ognun la desiderò quale sposa da condurre alla propria magione. Stupore così e meraviglia destò Citerea dalle ghirlande di violette."
Come Dea della natura le sono sacre le rose e le piante, ma anche gli animali, come il delfino, la quaglia e la lepre. passeri, colombe e cigni, nonchè l'ariete e il serpente. Possedeva un cinto che rendeva irresistibile chiunque lo indossasse, che donò poi a Ippolita, regina delle Amazzoni.
Per Platone vi sarebbero due Veneri: Venere Urania, figlia di Urano, il cielo, rappresentante l’amore puro, e Venere Pandemia, figlia di Dione, Dea dell’amore volgare. L'amore puro sarebbe quello degli uomini verso gli efebi, che oggi si chiamerebbe pedofilia.
Ma Venere è anche la Dea che protegge chi rischia per amore:
"Osare si deve: Venere stessa aiuta chi ha coraggio.
Se un giovane tenta per primo una soglia, lei l'asseconda
e se una fanciulla coi denti di una chiave
socchiude la porta, è lei che le insegna
a strisciare furtiva dal morbido letto,
ad appoggiare il piede senza far rumore,
a scambiare davanti al suo uomo cenni eloquenti,
e a nascondere messaggi d'amore in gesti convenuti.
Ma non a tutti l'insegna: solo a chi
l'indolenza non l'attarda o a chi il timore
non gli vieta di levarsi dal letto in una notte oscura".
(Tibullo)
Gli Amori
Lucrezio
"Quando tu vieni, fuggono i venti e si dileguano le nuvole; per te la terra la fiorire il leggiadro ornamento dei fiori, per te sorride lo specchio delle acque del mare, e gli spazi lucenti del cielo splendono in silenzio ".
Ne ebbe diversi. Zeus le fece sposare lo Zoppo Efesto o Vulcano, che ella tradì subito con Ares o Marte. Elios o Sole rivelò a Efesto il tradimento, così il Dio dei vulcani fabbricò una rete d'oro e ve li imprigionò nell'amplesso portando i fedifraghi dagli altri Dei chiedendo vendetta.
Le Dee per pietà o pudore se ne andarono, ma gli Dei apprezzarono molto le forme di Venere ed Hermes, Mercurio, lo espresse ad alta voce, dicendo che non gli sarebbe spiaciuto stare al posto di Marte.
Venere ne tenne conto e ne fece il suo amante successivo, da cui generò Eros, cioè Cupido, Dio dell'amore. Ma non disdegnò neppure i mortali, come Anchise, con cui generò Enea.
"Que quoniam rerum naturam sola gubernas,
Sec sine te quicquam dias in luminis oras
Exoritur, neque fit lunum, neque amabile quicquam". (Lucrezio)
LA TURAN ETRUSCA
In era più arcaica fu rappresentata come divinità alata. Il suo nome significava "La Signora", come oggi si chiama Dio "Il Signore", il che fa presupporre fosse l'antica Madre degli Dei.
Accanto a Uni ed a Minerva, Turan era la divinità femminile più importante in Etruria, e dava il nome al mese di luglio, in cui si celebravano le sue feste principali.
Il suo culto principale si ebbe nel santuario di Gravisca, l’antico porto della città etrusca di Tarquinia.
L’origine di questo culto greco-etrusco a Gravisca, è testimoniato da molte iscrizioni dedicatorie in entrambe le lingue, databili dall’inizio del VI sec. e fino al IV sec. a.c.
La maggior parte di queste iscrizioni furono dedicate da donne forse per il suo potere di innamorare e ingravidare. Visto il contesto portuale, probabilmente proteggeva i naviganti.
LA VENERE ROMANA
Lucrezio - Inno a Venere
"Genitrice degli Eneadi, voluttà degli uomini e degli dei,
Venere datrice di vita, che sotto i corsi celesti degli astri
dovunque ravvivi della tua presenza il mare percorso dalle navi,
le terre fertili di messi, poiché grazie a te
ogni specie vivente è concepita e, nata, vede la luce del sole,
te, o dea, fuggono te i venti, te le nuvole del cielo,
e il tuo arrivo; l'operosa terra fa spuntare per te
soavi fiori, a te sorridono le distese del mare
e il cielo rasserenato splende di una luce diffusa.
Infatti non appena si svela lo spettacolo
del giorno primaverile, e, sprigionato, si ravviva
il soffio dello Zefiro fecondatore,
gli uccelli dell'aria annunciano prima te, o Dea, e il tuo
arrivo, colpiti nei cuori dalla tua potenza.
Quindi le fiere e gli animali domestici balzano
per i pascoli rigogliosi, e attraversano i rapidi ruscelli:
così ogni bestia, catturata dal tuo fascino
ti segue ardentemente dove intendi condurlo.
Insomma, per i mari e i monti e i fiumi travolgenti
e le dimore frondose degli uccelli e le pianure verdeggianti,
infondendo a tutti nei petti un carezzevole amore
fai in modo che trasmettano specie dopo specie le loro generazioni.
Tu puoi bastare da sola a reggere il mondo,
e solo per le tue grazie a noi è dato ammirare
tutto quello che esiste di dolce ed amabile."
I Romani che le dedicarono la stella del mattino detta Luxfero, cioè "porto la luce", che il cattolicesimo ha demonizzato in Lucifero, cioè il demonio. A Roma le era dedicato un colle, Montecitorio, o monte di Citerea, uno dei suoi appellativi, oggi profana sede del governo italiano.
Le sono sacre:
- le rose,
- il melograno,
- la mela,
- il mirto,
- la pernice,
- la lepre
- la colomba
- e il delfino.
Esisteva però anticamente una Venere Italica, Dea dei boschi, dei cipressi e delle bacche.
NOMI DI VENERE
- Venus Acidalia - ritenuta quale Dea delle amarezze e degli affanni. Nella città di Orcomene in Beozia eravi una fontana che portava questo nome, nelle cui acque le Grazie solevano bagnarsi. e che dava la guarigione.
- Venus Alleata - per un tempio a Mantinea in Arcadia.
- Venus Amatuntea - di Amatunte, o delle sabbie.
- Venus Amatusia - venerata a Cipro.
- Venus Anadiomene - Dea sorgente dall'onda, soprannome poco celebre prima di Apelle; ma il famoso dipinto di Afrodite Anadiomene, in cui era rappresentata come sorgente dal mare e in atto di asciugarsi i capelli, divenne celebre e destò l'emulazione d'altri artisti.
- Venus Anosia - empia.
- Venus Anzia - coperta di fiori.
- Venus Apostrofia - che allontana dai piaceri.
- Venus Architis - velata e piangente sil monte Libano (morte di Adone).
- Venus Arginnide - da un tempio innalzatole da Agamennone in Beozia.
- Venus Byblia - per il tempio siriano a Byblos.
- Venus Callicoma - dalla bella capigliatura.
- Venus Calva - Statua di Venere col capo calvo, che i Romani dedicarono in memoria delle donne che coi loro capelli fecero funi da tirare le macchine, che usava-no allora in guerra, quando i Romani, assediati dai Galli nel Campidoglio, mancavano di tutto.
- Venus Castinia - che fa sentire gli amanti come fratelli.
- Venus Clamis - per un tempio in uno stagno a Samo.
- Venus Callipigia - dalle belle natiche.
- Venus Catascopia - che guarda dall'alto in basso.
- Venus Ciprigna - nata a Cipro.
- Venus Citerea - venerata a Citera.
- Venus Corinthia - per un tempio dedicatole da Medea a Corinto.
- Venus Chryse - aurea.
- Venus Chrysosthephanos - magnifica
- Venus Dexicreon - per una statua ex voto a Cipro.
- Venus Elefantina - per una statua d'avorio.
- Venus Elicopis - dalle belle sopracciglia.
- Venus Eneide - dal tempio che le innalzò Enea sul monte Erice.
- Venus Epifragia - che cavalca un capro
- Venus Ericina - adorata in Sicilia. Ericina, derivato dal monte Erice dove aveva un famoso tempio edificato, secondo Virgilio, da Enea.
- Venus Giunonia per la statua del tempio di Venus Hyperchiria a Sparta.
- Venus Hortensis - giardiniera (guardiana dei giardini).
- Venus Hospita . ospitale con gli stranieri.
- Venus Golgia - per un tempio di Golgi a Cipro.
- Venus Lucina - che presiede ai parti.
- Venus Luxfero - la stella portatrice di luce.
- Venus Machinatrix - inventrice di piaceri amorosi.
- Venus Melania - la nera (Sacri Misteri).
- Venus Melinea - dai dolci piaceri.
- Venus Meretrix - prostituta o cortigiana.
- Venus Momenfite - per il culto a Momenfi in Egitto.
- Venus Nicefora - vittoriosa, tempio in Argo.
- Venus Orsa - l'adolescenza rappresentata da Venere-Orsa, perchè l'orsa, ritirandosi nella tana, non esce se non costretta dalla fame; allusione alla vita ritirata che fanno le ragazze. Gli Ateniesi chiamavano orse le fanciulle, quando all'avvicinarsi delle nozze, per amore della pudicizia, si consacravano a Diana.
- Venus Pandemia - che regna su tutti.
- Venus Pastofora - portatrice di talami.
- Venus Pornè - prostituta.
- Venus Pyrenea - per un tempio sui Pirenei (Strab.)
- Venus Pontia - che presiede il mare.
- Venus Prasside - che agisce.
- Venus Praxis - che agisce (Sacri Misteri).
- Venus Scotia - la tenebrosa (Sacri Misteri).
- Venus Sicania - per un tempio a Sica vicino Cartagine.
- Venus Simnachia - del buon soccorso.
- Venus Susuratrix - che svelava segreti.
- Venus Sohenide - dalla pomata odorosa che usavano le prostitute.
- Venus Tanaide - adorata presso il fiume Tanai.
- Venus Trezania - per un tempio nella città di Trezene.
- Venus Trofeiofora - trionfante.
- Venus Urania - figlia di Urano..
- Venus Verticordia - che volge i cuori al matrimonio.
- Venus Victris - Vincitrice. Deità dei Romani, rappresentata sotto forma di donna bellissima con veste lunga, e con uno specchio nella memo sinistra. Una medaglia di Faustina Augusta, la quale con la mano sinistra tiene uno scudo poggiato a terra, che ha due figurine scolpite nel mezzo, e con la destra porge una vittoria, porta l'inscrizione: VENUS VICTRIX.
- Venus Zerynthia - per un santuario a Zerinto.
"Lucifero illumina il vespro."
FESTE
Templum Veneris
Festa celebrata a Roma il 19 agosto in onore di Venus. Si ricordava la dedicatio del tempio.
Templum Veneris Ericinae apud Portam Collinam
Festa celebrata il 23 aprile in onore di Venus Ericina, Venere del Mons Eryx in Sicilia.
Il tempio, sito nei pressi della Porta Collina, era stato offerto dal consul L. Porcius Licinius nel 184 a.c. durante la guerra con i Liguri ed era stato dedicato dallo stesso Licinius nella sua qualità di duumvir nel 181 a.c.
Templum Veneris Genetricis
Festa celebrata il 26 settembre in onore di Venus Genetrix, Venere Madre. Si ricordava la dedicatio del tempio.
Il tempio era stato deciso da Iulius Caesar in occasione della battaglia di Pharsalus. Venne costruito nel Forum Iulium ed inaugurato nel 46 a.c. Genetrix si riferisce alla divina origine della famiglia Iulia.
Templum Veneris Victricis
Festa celebrata il 12 agosto in onore di Venus Victrix, Venere Vittoriosa. Si ricordava la dedicatio del tempio
Venus Verticordia
Festa celebrata il primo aprile in onore della Dea Venus Verticordia, Venere che ispira i cuori. Alle calende di Aprile Venere Verticordia veniva celebrata con serti e fiori. Veneralia erano chiamati i rituali che si svolgevano in suo onore.
Come narra Ovidio nei Fasti, la Dea ispira al matrimonio “…diede la loro origine agli alberi e ai seminati, riunì insieme gli animi rozzi degli uomini e insegnò loro ad unirsi, ciascuno con la sua congeniale compagna” (cfr. Fasti, IV, 96-98).
Infatti il poeta invita tutte le donne, vergini, spose e meretrici, ad onorare Venere Verticordia perchè grazie all’intervento della Dea i cuori delle donne romane si volgessero verso il matrimonio. Dal che si deduce, anche se nessuno lo cita, che le donne romane non ardevano all'idea nè di sposarsi nè di fare figli.
Vedevano nel matrimonio la fine dei giochi, dei corteggiamenti e della libertà, e nei figli c'era il pericolo del parto, piuttosto frequente all'epoca, perchè sembra che una donna su dieci morisse di parto.
"Madri e nuore latine, e anche voi
che non portate benda né lunga veste,
venerate ugualmente la dea…
la dea è tutta da detergere…
offritele rose novelle e altri fiori.
Ella vuole che anche voi
vi laviate sotto un verde mirto…”
(Fasti, IV).
Qui Ovidio allude al bagno rituale che si teneva durante la festa del primo Aprile con lavacri della statua della Dea, nonché la tradizione del bagno collettivo, cui potevano prendere parte tutte le donne all’ombra di un mirto, considerato sacro Venere.
Dopodichè le donne bevevano il cocetum, bevanda a base di latte, papavero pestato e miele raccolto dai favi, che per le sue caratteristiche oppiacee le trasportava nel sonno e nell’oblio. Ma per dirla tutta addormentarsi non è il massimo della festa, il fatto è che anticamente le donne bevevano il cocetum per porsi in contatto con la Dea ed averne responsi o consigli.
Venus Ericina
Il 23 aprile ed il 25 ottobre si festeggiava Venus Ericina con una processione verso il moderno incrocio tra Via Sicilia e Via Lucania, fuori dell'antica cinta di mura, dove era localizzato il tempio di Venere Erycina, i cui resti erano visibili ancora nel '500. I Romani acquisivano gli Dei dei popoli vinti, ma i loro templi dovevano sorgere fuori delle mura dell'Urbe. La statua della Dea era giunta a Roma nel 201 a.c. dalla Sicilia, dove era veneratissima nel tempio di Erice sulla vetta del monte S.Giuliano.
Le sue sacerdotesse, le hierodulae, esercitavano la prostituzione sacra in onore della Dea, diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo. In quelle festivita tutte le meretrici di Roma si recavano in pellegrinaggio al tempio di Via Sicilia e, come riferisce Ovidio, con generose offerte pregavano Venere Erycina, protettrice delle donne pubbliche dell'Urbe, di vegliare sulle loro capacità professionali.
Le colonne marmoree di quel tempio sono state riutilizzate nella costruzione di una cappella nella Chiesa di S.Pietro in Montorio al Gianicolo (sig!). L'immagine della Dea, rinvenuta nella zona del tempio con altre sculture, come il trono Ludovisi, dovrebbe essere quella conservata al Museo Altemps di Roma.
L'Aphrodite Erikine era venerata in Sicilia in cima al monte Erice, presso Trapani. Forse di origine fenicia, fu detta anche Eneade, per la leggenda troiana delle origini di Roma. Ad Erice si diceva che Enea avesse fatto erigere l'heroon del pare Anchise, sposo di Venere.
Nel santuario di Erice si praticava la prostituzione sacra e si celebravano due solenni feste dette anagògya e katagògya che segnavano, rispettivamente, la partenza della Dea e delle sue colombe per la Libia ed il suo ritorno, nove giorni dopo, quando una colomba rossa precedeva le altre.
Quando i Romani conquistarono Erice, la Dea fu celebrata come Dea della bellezza e fu portata a Roma come una Dea patria. In Sicilia, come da decreto del Senato, la Dea ricevette un tributo annuo dalle diciassette città più fedeli dell'isola ed una guarnigione permanente di due centurie.
Nel 215 Fabio Massimo innalzò in onore di Venere un tempio entro il Pomerio. Nel 184 il console Porcio Licinio votò un secondo tempio alla Dea fuori del Pomerio, nei pressi di Porta Collina.
Anagogie
Feste che si facevano in Sicilia per invocare il ritorno della Dea.
Vinalia
che si divideva in Vinalia priora e Vinalia Rustica. Il vino era considerato un medicamento, nei Meditrinalia (11 ottobre) gustando il vino si recitava: "Novum vetus vinum bibo: novo veteri morbo medeor" cioè "Bevo vino nuovo e vecchio, curo la vecchia e nuova malattia":
Vinalia Priora
Venere era festeggiata insieme a Giove il 24 aprile, festa in cui si degustava il vino novello. Il vino era di Venere e pertanto Venenum, che cura se bevuto con moderazione e pericoloso se si esagera, come una medicina. Nei riti più arcaici il vino sostituiva il sangue o almeno ne era l'equivalente. Il vino nuovo veniva libato ma in parte sparso sull'altare per gli Dei. Priora in quanto era il primo vino.
Vinalia Rustica
Si festeggiavano Giove e Venere nel 19 di agosto per propiziare la nuova vendemmia bevendo vino vecchio e più alcolico che aiutava ad affrontare la fatica. il vino era considerato Venereo perchè come l'amore e il sesso, poneva in uno stato di ebbrezza e faceva dimenticare il doloree la fatica.
TEMPLI
Tempio di Venere Genitrice
Era posto all'interno del Foro di Cesare a Roma, inaugurato nel 46 a.c., sul fondo nord-occidentale del foro.
Promesso in voto da Giulio Cesare alla Dea durante la battaglia di Farsalo, fu detta Genitrix per la mitica discendenza del dittatore da lei, attraverso Iulo, progenitore della gens Giulia, da Enea, figlio della Dea.
Il tempio venne danneggiato dall'incendio scoppiato sul Campidoglio nell'80 e ricostruito sulle medesime fondazioni sotto Traiano, in seguito all'abbattimento della sella montuosa tra Campidoglio e Quirinale per l'erezione del Foro di Traiano, sella al cui pendio si addossava il tempio.
Venne nuovamente dedicato, come riportano i Fasti Ostiensi il 12 maggio del 113, nello stesso giorno dell'inaugurazione della Colonna di Traiano.
Danneggiato dall'incendio avvenuto sotto l'imperatore Carino nel 283, sotto Diocleziano fu rinforzato inglobando le colonne della facciata in un muro in laterizio e collegandolo con archi in laterizio rivestito di marmo alla Basilica Argentaria.
Se ne conserva solo il podio, al quale si accedeva da due scalinate laterali, e parte dell'abside in fondo alla cella, inglobata nelle strutture traianee. Aveva otto colonne sulla fronte e nove sui fianchi, privo di colonne sul retro.
Dell'edificio ricostruito da Traiano, con pianta identica alla precedente, si conservano numerosi resti della ricca decorazione marmorea.
Sono state rialzate sul podio tre delle colonne di ordine corinzio del lato sud-occidentale del tempio, con la relativa trabeazione (cornice con mensole, fregio con decorazione a girali e architrave decorato inferiormente da lacunari con amorini in mezzo a girali d'acanto), rinvenute in posizione di caduta negli scavi degli anni '30. Alcuni dei resti sono esposti nel Museo dei Fori Imperiali.
Sul muro esterno della cella, rivestito da lastre in marmo che imitavano un'opera quadrata, le colonne esterne si rispecchiavano in un ordine di lesene. Tra di esse, su due registri sovrapposti, pannelli con amorini vari. Pannelli simili ed altri con decorazioni vegetali e piccoli animali, ornavano l'interno della cella.
Le pareti erano decorate da due ordini di colonne innalzate su un basamento, che inquadravano nicchie con frontoncini; sul primo ordine un fregio con amorini recanti gli attributi di varie divinità.
Sul fondo l'abside era stata ricostruita e maggiormente distaccata dalla cella vera e propria: alla parte absidale appartenevano le basi decorate reimpiegate nell'ingresso del Battistero lateranense.
Nell'abside si trovava la statua di Venere Genitrice, opera dello scultore neoattico Arcesilao. All'interno del tempio numerose oper d'arte, conosciute in parte dalle fonti:
- statua di Venere
- statua di Cesare,
- statua in bronzo dorato di Cleopatra,
- due quadri di Timomaco di Bisanzio (Medea e Aiace, che Cesare pagò ottanta talenti),
- sei collezioni di gemme intagliate,
- una corazza decorata con perle proveniente dalla Britannia.
Tempio di Venere e Roma:
APPROFONDIMENTO
Tempio di Venere a Pompei
Venne incisa su un muro a Pompei questa invocazione:
“Salute a te, o...nostra. Ininterrottamente ti prego, o mia signora; per Venere Fisica t’imploro di non respingermi. (Firma) Ricordati di me”.
Posto su un terrazzamento sul mare tra Porta Marina e la Basilica, appena fuori l’estremità sud-ovest della città, fu costruito demolendo edifici preesistenti; solo quelle lungo il pendio meridionale vennero mantenute e continuarono ad essere abitate dai sacerdoti del tempio.
Restano pochissime tracce dei portici e del tempio per i saccheggiamenti dopo l’eruzione del 79 d.c., data la totale assenza del materiale marmoreo.
Il tempio è orientato secondo l’asse Nord-Sud ed è diviso tramite un muro dalla Via Marina a cui dà le spalle. Il podio ha 29.15 m. in lunghezza e 15.05 in larghezza.
Il nucleo interno in cemento e lava si conserva fino al livello del pavimento, diviso da un muro in basalto.
Del pavimento si conservano solo tracce. Probabilmente dopo il terremoto del 62 d.c., per non chiuderlo e impedire ai sacerdoti di esercitare il culto venne costruita un’edicola provvisoria di cui rimangono ancora oggi le tracce.
Del tempio precedente al restauro, interamente in marmo, restano piccoli residui di architrave, colonne e frontone. Ai lati del tempio sorgevano i portici.
Per entrare al santuario si doveva accedere dall’angolo nord-est e anche il lato orientale presentava un piccolo ingresso. Tutte le pareti del tempio erano circondate da file di colonne: due sul lato orientale e occidentale, una su quello settentrionale.
Nei pressi del tempio le tracce di un altare in travertino, di due piedistalli (basi d’appoggio per una statua equestre e per una figura in piedi) e una scala con passaggio sotterraneo alle abitazioni sul pendio.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Francis Redding Walton - Afrodite - Dizionario di antichità classiche - Oxford Classical Dictionary - 1970 - Cinisello Balsamo - Milano - San Paolo - 1995 -
- Gerd Scherm - Brigitte Tast Astarte und Venus - Eine foto-lyrische Annäherung - 1996 -- Ovidio - Remedia Amoris -
- Enrico Acquaro, Antonino Filippi, Stefano Medas - La devozione dei naviganti: il culto di Afrodite ericina nel Mediterraneo - Lumières Internationales - Lugano - 2010 -
- William Hansen - Foam-Born Aphrodite and the Mythology of Transformation - in American Journal of Philology - 121 - 2000 -
- Enrico Acquaro, Antonino Filippi, Stefano Medas - La devozione dei naviganti: il culto di Afrodite ericina nel Mediterraneo - Lumières Internationales - Lugano - 2010 -
- William Hansen - Foam-Born Aphrodite and the Mythology of Transformation - in American Journal of Philology - 121 - 2000 -
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