La Dea Nike, la Vittoria, è citata già in Esiodo:
Stige, figlia di Oceano, generò, unita a Pallante,
Rivalità e Vittoria dalle belle caviglie,
dentro il palazzo di lui, e Potere e Forza generò,
illustri suoi figli, lontano dai quali
di Zeus non c’è casa né sede,
né c’è via per cui ad essi il Dio non comandi,
ma sempre presso Zeus che tuona profondo
hanno la loro dimora.
La Teogonia narra che Stige rispose per prima alla chiamata di Zeus per lottare contro i Titani; per questo Rivalità, Vittoria, Potere e Forza risiedevano sempre presso Zeus. Secondo l’inno omerico ad Ares, invece, Ares era “padre di Nike gloriosa”.
Per gli orfici, Nike era “dal dolce suono”, un epiteto che in Esiodo aveva riservato alle Muse e le dedicarono un inno. Nike è la vittoria e il trionfo, ma non li procura, bensì li sancisce, ponendo la corona d'alloro sulla testa del vincitore, chiunque egli sia. Divinità allegorica, chiamata Niche dai Greci,
e che vien detta figlia di Stige e della Terra.
Gli Ateniesi la rappresentavano senza ali, affinchè non se ne volasse via: portava la celata e aveva nella mano destra una melagrana.
La Vittoria comune era però per lo più fornita d'ali, e in forma di bella vergine, in atto di volare per aria e porgeva con la destra una corona di lauro, oppure di olivo bianco; con un ramo di palma nella sinistra.
- l'aquila, perchè vince di valore tutti gli altri uccelli, da che venne forse che, fra tutte le altre insegne che i Romiani portavano in guerra, nello stendardo l'aquila fu la principale e la più frequente.
- Il bue ucciso, principalmente presso i Romani, era segno di vittoria, perchè sacrificavano il bue dopo aver ottenuto la vittoria con la strage dei nemici, e quando senza combattere e senza sparger sangue avessero fatto qualche conquista, allora immolavano la pecora.
- La civetta, simbolo degli Ateniesi, il cui volo divenne proverbiale, poiché, quando volevano significare la disfatta dei nemici e aver acquistata la vittoria, solevano dire: la civetta ha volato.
- Il gallo, secondo gli auguri, perchè quest'uccello quando è vinto, suol tacere, mentre canta se vincitore. Perciò gli Ateniesi dopo aver vinto i nemici sacrificavano un gallo, mentre i Romani, sacrificavano solitamente un bue, quando fossero stati vittoriosi senza vittime.
- Olivo, con cui gli antichi usavano spesso coronare i vincitori, come, per esempio, lo erano quelli dei giuochi Olimpici.
la corona di alloro
Nella mitologia greco-romana l'alloro era una pianta sacra e simboleggiava la sapienza e la gloria.
Una corona di alloro cingeva la fronte dei vincitori nei giochi Pitici o Delfici e costituiva il massimo onore per un poeta che diveniva un poeta laureato.
Da qui l'accezione figurativa di simbolo della vittoria, della fama, del trionfo e dell'onore.
Inoltre era un albero sacro poiché considerato l'albero del Dio Apollo, che tuttavia la sottrasse alla Dea Dafne, poi declassata a ninfa e tramutata in albero.
Il che fa pensare che la Nike fosse la riedizione di una Dea più antica, soppiantata dal culto iperboreo di Apollo.
Ma in Grecia questo è sicuro, perchè faceva parte degli antichi Dei Titani poi sconfitti dal pantheon di Giove. Era infatti una Titanide.
Comunque la corona offerta da Nike ai vincitori era di alloro intrecciata a rami di ulivo, da sempre simbolo della Dea Minerva.
VITTORIA ROMANA
I Romani introdussero il culto alla Dea Victoria molto tardi e per influssi ellenistici, e le prerogative della Dea appartenevano a Iuppiter Victor, Giove vincitore.
La Dea personificava la vittoria in battaglia ed era associata a Bellona. Identificata con la greca Nike, era raffigurata come una giovane donna alata. A Roma aveva un tempio sul Palatino.
A Roma fu spesso rappresentata mentre tocca con le mani un globo terrestre o conferisce all’imperatore l’alloro del trionfo, rappresentazione del potere imperiale.
Ma fu Silla, dopo la vittoria nella Battaglia di Porta Collina, che la introdusse a Roma come Victoria Sullana, e istituì giochi speciali in suo onore, come fece poi Giulio Cesare con la Victoria Caesaris, e altrettanto Ottaviano con la Victoria Augusta.
Nella curia del Senato romano, a partire dall'anno 29 a.c. in onore della disfatta di Antonio, c'era un altare con la statua tutta d'oro della Vittoria strappata ai Tarantini. La statua ritraeva un donna alata che portava una palma ed una corona di lauro.
Nel 382 d.c., l'imperatore cristiano Graziano decise di fare togliere l'altare della Vittoria, edificato per celebrare la vittoria di Augusto ad Azio, che stava nella Curia del Senato.
Questo fatto suscitò scalpore e oppose in aspra polemica il pagano senatore Quinto Aurelio Simmaco contro il vescovo Ambrogio di Milano. La Nike divenne per i romani la difesa del paganesimo contro l'intransigenza del cristianesimo che non concedeva libertà di culto.
Quinto Aurelio Simmaco con la sua relatio in Senato tentò di convincere l’’imperatore almeno dell’utilità pubblica di quel simbolo, ma inutilmente perchè la statua venne fusa e quindi distrutta per sempre.
Le vittorie alate sono alla base dell'iconografia cristiana degli angeli e la palma dei santi fu anch'essa tratta dalla Nike.
Essendo connessa a Iuppiter Victor, probabilmente la sua festa veniva celebrata nello stesso giorno, il 15 aprile.
Le ali spiegate, la veste svolazzante, con o senza mantello, la corona d'alloro sul braccio alzato o la palma in mano. Di solito era nell'atto di spiccare il volo, poggiando solo sulla punta di un piede.
TEMPLI
Il Tempio sul Palatino
La tradizione voleva fosse stato costruito da Evandro, ma era stato, in realtà, costruito o riedificato sui resti del precedente tempio da Lucio Postumio Megello con le multe che aveva comminato mentre era Edile, e dedicato il 1° agosto 294 a.c., anno in cui fu console.
Recenti scavi hanno individuato, a est del tempio della Magna Mater, sul Palatino, le fondazioni e i resti del podio del tempio, dove era stata conservata la pietra Nera.
Marco Porcio Catone nel 193 a.c. vi fece aggiungere un ambiente dedicato alla Victoria Virgo.
Sacello di San Silvestro
Nel sito di Villa San Silvestro di Cascia, presso Rieti, sono stati rinvenuti i resti di un santuario con una terracotta architettonica che decorava il sacello della Dea Victoria.
Nel Medioevo
Nel XII sec. ancora perdurava il suo culto:
In un erbario inglese del XII secolo conservato al British Museum e citato da Robert Graves, compare un'invocazione alla Dea Madre Terra, manifestazione neolitica della Dea Gravida Paleolitica:
"Terra, Dea divina, Madre Natura,
che generi ogni cosa e sempre fai riapparire
il sole di cui hai fatto dono alle genti;
guardiana del cielo, del mare
e di tutti gli Dèi e le potenze;
per il tuo influsso tutta la natura
si acquieta e sprofonda nel sonno.
E di nuovo quando ti aggrada
tu mandi innanzi la lieta luce del giorno
e doni nutrimento alla vita
con la tua eterna promessa;
e quando lo spirito dell'uomo
trapassa è a te che ritorna.
A buon diritto invero tu sei detta
Grande Madre degli Dèi;
Vittoria è il tuo nome divino.
Tu sei possente, Regina degli Dèi!
O Dea io ti adoro come divina,
io invoco il tuo nome,
degnati di concedermi ciò che ti chiedo,
in modo ch'io possa in cambio
colmare di grazie la Tua divinità,
con la fede che ti è dovuta.."
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Fears - The Theology of Victory at Rome: Approaches and Problem - in ANRW II.17.2 - 1981 -
- Maria Paola Pasini - La vittoria della Vittoria alata - in Brescia 1945 - San Zeno Naviglio - Grafo Edizioni - 2015 -
Claudiano, descrive la vittoria vestita di trofei, con la palma, e le ali agli omeri, le quali mostrano gli incerti successi della guerra, passando sovente la vittoria or dall'una, or dall'altra parte; e per essere l'esito della guerra incerto, fu chiamata la Vittoria Dea comune, come se essa si trovasse nel mezzo, e si avvicinasse a chi meglio sapesse attirarla a sè.
Come animali la Vittoria aveva:
- l'aquila, perchè vince di valore tutti gli altri uccelli, da che venne forse che, fra tutte le altre insegne che i Romiani portavano in guerra, nello stendardo l'aquila fu la principale e la più frequente.
- Il bue ucciso, principalmente presso i Romani, era segno di vittoria, perchè sacrificavano il bue dopo aver ottenuto la vittoria con la strage dei nemici, e quando senza combattere e senza sparger sangue avessero fatto qualche conquista, allora immolavano la pecora.
- La civetta, simbolo degli Ateniesi, il cui volo divenne proverbiale, poiché, quando volevano significare la disfatta dei nemici e aver acquistata la vittoria, solevano dire: la civetta ha volato.
- Il gallo, secondo gli auguri, perchè quest'uccello quando è vinto, suol tacere, mentre canta se vincitore. Perciò gli Ateniesi dopo aver vinto i nemici sacrificavano un gallo, mentre i Romani, sacrificavano solitamente un bue, quando fossero stati vittoriosi senza vittime.
- Olivo, con cui gli antichi usavano spesso coronare i vincitori, come, per esempio, lo erano quelli dei giuochi Olimpici.
- Palma, ritenuta dagli antichi come emblema della vittoria, per la sua grande elasticità e forza di resistenza, senza spezzarsi, che possiede il suo legno. Nelle opere d'arte, quando vicino a qualsiasi oggetto si vede un ramo di palma, o sia in mano a una figura, è segno che l'oggetto è stato dato come premio a qualche vincitore, e che la persona così rappresentata essa stessa è il campione della vittoria.
Diversi:
Diversi:
- Ali, per essere la marcia della vittoria rapida.
- Cariatide. In Lacedemonia esisteva una loggia, chiamata Persica, dove in luogo di colonne figuravano delle cariatidi in abito persiano, e ciò in memoria della vittoria ottenuta contro i Persiani nella guerra di Platea.
- Biga, con cui sono coronati gli archi trionfali.
- Cariatide. In Lacedemonia esisteva una loggia, chiamata Persica, dove in luogo di colonne figuravano delle cariatidi in abito persiano, e ciò in memoria della vittoria ottenuta contro i Persiani nella guerra di Platea.
- Biga, con cui sono coronati gli archi trionfali.
ICONOGRAFIA
L'iconografia la rappresenta sempre alata, con le ali sulle spalle o ai piedi, anche se Pausania ne cita statue senza ali. In età arcaica è avvolta in una lunga veste agitata dal vento, con il ginocchio flesso nella corsa, come la Nike di Delo, purtroppo mutila, di Archemos di Chio, del VI sec. a.c..
Sembra che in origine questa statua avesse quattro ali alle spalle, due più grandi e due più piccole e altre due alle caviglie, arrotondate verso l’alto alla maniera fenicia, oggi ce nè un esemplare visibile al Museo Nazionale di Atene.
In età classica diventò compagna di Athena, con cui, soprattutto ad Atene, fu identificata, infatti nei rilievi del tempio dell’Acropoli la Nike parla con Athena e sulla stessa Acropoli è edificato, fra il 430 e il 421 a.c. un tempietto ad Athena Nike.
La statua dell'Athena Partenos, seduta sul trono e incoronata, teneva sulla palma della mano la Nike alata con tanto di alloro in mano.
Ogni vincitore, Dio o eroe, ne aveva raffigurata una accanto in genere mentre gli consegnava una corona d’alloro o un ramo di palma.
La Dea in genere pareva portata dal vento con la veste aderente alla parte anteriore del corpo e fluttuante alle spalle.
Dopo le guerre persiane, il culto di Nike crebbe, ma non le fu tributato un culto individuale fino all’ellenismo, cioè fino all’epoca della morte di Alessandro Magno e della nascita dei regni ellenistici.
In questo contesto si colloca la celebre Nike di Samotracia, rinvenuta nel 1863 nell’isola di Samotracia, oggi al museo del Louvre.
L’iconografia di questa Nike riprende quella della Nike di Paionos, dove la Dea è poggiata sulla gamba destra, sulla prua di una nave, nell’atto di posarsi o di prendere il volo, con la gamba sinistra arretrata e le ali aperte.
L'iconografia la rappresenta sempre alata, con le ali sulle spalle o ai piedi, anche se Pausania ne cita statue senza ali. In età arcaica è avvolta in una lunga veste agitata dal vento, con il ginocchio flesso nella corsa, come la Nike di Delo, purtroppo mutila, di Archemos di Chio, del VI sec. a.c..
Sembra che in origine questa statua avesse quattro ali alle spalle, due più grandi e due più piccole e altre due alle caviglie, arrotondate verso l’alto alla maniera fenicia, oggi ce nè un esemplare visibile al Museo Nazionale di Atene.
In età classica diventò compagna di Athena, con cui, soprattutto ad Atene, fu identificata, infatti nei rilievi del tempio dell’Acropoli la Nike parla con Athena e sulla stessa Acropoli è edificato, fra il 430 e il 421 a.c. un tempietto ad Athena Nike.
La statua dell'Athena Partenos, seduta sul trono e incoronata, teneva sulla palma della mano la Nike alata con tanto di alloro in mano.
Ogni vincitore, Dio o eroe, ne aveva raffigurata una accanto in genere mentre gli consegnava una corona d’alloro o un ramo di palma.
La Dea in genere pareva portata dal vento con la veste aderente alla parte anteriore del corpo e fluttuante alle spalle.
Dopo le guerre persiane, il culto di Nike crebbe, ma non le fu tributato un culto individuale fino all’ellenismo, cioè fino all’epoca della morte di Alessandro Magno e della nascita dei regni ellenistici.
In questo contesto si colloca la celebre Nike di Samotracia, rinvenuta nel 1863 nell’isola di Samotracia, oggi al museo del Louvre.
L’iconografia di questa Nike riprende quella della Nike di Paionos, dove la Dea è poggiata sulla gamba destra, sulla prua di una nave, nell’atto di posarsi o di prendere il volo, con la gamba sinistra arretrata e le ali aperte.
la corona di alloro
Nella mitologia greco-romana l'alloro era una pianta sacra e simboleggiava la sapienza e la gloria.
Una corona di alloro cingeva la fronte dei vincitori nei giochi Pitici o Delfici e costituiva il massimo onore per un poeta che diveniva un poeta laureato.
Da qui l'accezione figurativa di simbolo della vittoria, della fama, del trionfo e dell'onore.
Inoltre era un albero sacro poiché considerato l'albero del Dio Apollo, che tuttavia la sottrasse alla Dea Dafne, poi declassata a ninfa e tramutata in albero.
Il che fa pensare che la Nike fosse la riedizione di una Dea più antica, soppiantata dal culto iperboreo di Apollo.
Ma in Grecia questo è sicuro, perchè faceva parte degli antichi Dei Titani poi sconfitti dal pantheon di Giove. Era infatti una Titanide.
Comunque la corona offerta da Nike ai vincitori era di alloro intrecciata a rami di ulivo, da sempre simbolo della Dea Minerva.
VITTORIA ROMANA
I Romani introdussero il culto alla Dea Victoria molto tardi e per influssi ellenistici, e le prerogative della Dea appartenevano a Iuppiter Victor, Giove vincitore.
VITTORIA ALATA DI BRESCIA 250 A.C. (Museo di Santa Giulia - Brescia) |
A Roma fu spesso rappresentata mentre tocca con le mani un globo terrestre o conferisce all’imperatore l’alloro del trionfo, rappresentazione del potere imperiale.
Ma fu Silla, dopo la vittoria nella Battaglia di Porta Collina, che la introdusse a Roma come Victoria Sullana, e istituì giochi speciali in suo onore, come fece poi Giulio Cesare con la Victoria Caesaris, e altrettanto Ottaviano con la Victoria Augusta.
Nella curia del Senato romano, a partire dall'anno 29 a.c. in onore della disfatta di Antonio, c'era un altare con la statua tutta d'oro della Vittoria strappata ai Tarantini. La statua ritraeva un donna alata che portava una palma ed una corona di lauro.
Nel 382 d.c., l'imperatore cristiano Graziano decise di fare togliere l'altare della Vittoria, edificato per celebrare la vittoria di Augusto ad Azio, che stava nella Curia del Senato.
Questo fatto suscitò scalpore e oppose in aspra polemica il pagano senatore Quinto Aurelio Simmaco contro il vescovo Ambrogio di Milano. La Nike divenne per i romani la difesa del paganesimo contro l'intransigenza del cristianesimo che non concedeva libertà di culto.
Quinto Aurelio Simmaco con la sua relatio in Senato tentò di convincere l’’imperatore almeno dell’utilità pubblica di quel simbolo, ma inutilmente perchè la statua venne fusa e quindi distrutta per sempre.
DEA VITTORIA A POMPEI |
LE FESTE
Essendo connessa a Iuppiter Victor, probabilmente la sua festa veniva celebrata nello stesso giorno, il 15 aprile.
Le ali spiegate, la veste svolazzante, con o senza mantello, la corona d'alloro sul braccio alzato o la palma in mano. Di solito era nell'atto di spiccare il volo, poggiando solo sulla punta di un piede.
TEMPLI
La tradizione voleva fosse stato costruito da Evandro, ma era stato, in realtà, costruito o riedificato sui resti del precedente tempio da Lucio Postumio Megello con le multe che aveva comminato mentre era Edile, e dedicato il 1° agosto 294 a.c., anno in cui fu console.
Recenti scavi hanno individuato, a est del tempio della Magna Mater, sul Palatino, le fondazioni e i resti del podio del tempio, dove era stata conservata la pietra Nera.
Marco Porcio Catone nel 193 a.c. vi fece aggiungere un ambiente dedicato alla Victoria Virgo.
Sacello di San Silvestro
Nel sito di Villa San Silvestro di Cascia, presso Rieti, sono stati rinvenuti i resti di un santuario con una terracotta architettonica che decorava il sacello della Dea Victoria.
Nel Medioevo
Nel XII sec. ancora perdurava il suo culto:
In un erbario inglese del XII secolo conservato al British Museum e citato da Robert Graves, compare un'invocazione alla Dea Madre Terra, manifestazione neolitica della Dea Gravida Paleolitica:
"Terra, Dea divina, Madre Natura,
che generi ogni cosa e sempre fai riapparire
il sole di cui hai fatto dono alle genti;
guardiana del cielo, del mare
e di tutti gli Dèi e le potenze;
per il tuo influsso tutta la natura
si acquieta e sprofonda nel sonno.
E di nuovo quando ti aggrada
tu mandi innanzi la lieta luce del giorno
e doni nutrimento alla vita
con la tua eterna promessa;
e quando lo spirito dell'uomo
trapassa è a te che ritorna.
A buon diritto invero tu sei detta
Grande Madre degli Dèi;
Vittoria è il tuo nome divino.
Tu sei possente, Regina degli Dèi!
O Dea io ti adoro come divina,
io invoco il tuo nome,
degnati di concedermi ciò che ti chiedo,
in modo ch'io possa in cambio
colmare di grazie la Tua divinità,
con la fede che ti è dovuta.."
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Fears - The Theology of Victory at Rome: Approaches and Problem - in ANRW II.17.2 - 1981 -
- Maria Paola Pasini - La vittoria della Vittoria alata - in Brescia 1945 - San Zeno Naviglio - Grafo Edizioni - 2015 -
- Lorenzo Bonoldi - Nachleben e vittorie postume della Venus Victrix di Brescia - La Rivista di Engramma - La tradizione classica nella memoria occidentale - n. 41 - Venezia, Associaz. Cultur. Engramma - 2005 -
- Carlo Prandi - Mito in Dizionario delle religioni - a cura di Giovanni Filoramo - Torino - Einaudi - 1993 -
7 comment:
Ecco da dove il cristianesimo ha preso gli angeli..
Esatto!
Incredibile come l'arte segni la storia e l'evoluzione del pensiero umano...
Buonasera, la statua della prima immagine, all'inizio dell'articolo, di chi è opera e dove si trova? Grazie
nn capisco :)
Fantastico!!!!!!🤩
La prima immagine é soggetta a copyright?
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