RICOSTRUZIONE DELLA REGIA |
Nella seconda metà del VII secolo a.c. sulla piattaforma delle capanne vengono poste le fondazioni in tufo e l'alzato in mattoni crudi di un edificio aperto sulla futura via Sacra. Davanti alla piattaforma si trovava un recinto con un cippo-altare a forma di tronco di cono. Secondo la tradizione qui Numa Pompilio aveva un'abitazione propria o almeno un quartier generale.
Secondo la tradizione la dimora regale di Numa Pompilio era dunque al principio della Sacra Via, lasciata poi al Rex sacrorum e al pontefice massimo, Pontifex Maximus, che vi esercitavano la loro funzione sacrale.
Ma il rex era pure il supremo magistrato, eletto dai Patres, da cui il termine Patria, ovvero i Seniores, da cui il termine signore, da cui il termine inglese "ser", o il medievale "Sire", insomma i capifamiglia delle gentes originarie, per reggere e governare la città. Non esistono riferimenti riguardanti un principio ereditario nell'elezione dei primi quattro re latini, mentre per i successivi tre re etruschi fu stabilito un principio di discendenza matrilineare.
IN ETA' REPUBBLICANA
Si è dibattuto se nella Regia vivesse il Re o il Rex sacrorum (re delle cose sacre, che ereditò le funzioni religiose del Re durante la Repubblica), ma un passo di Festo informa che il Rex sacrorum vivesse sulla Velia. Non vi risiedeva nemmeno il Pontefice massimo, che risiedeva invece nella vicina Domus publica. Però il pontifex svolgeva la sua funzione nella Regia, che doveva essere pertanto un santuario dalle forme di un'abitazione.
Secondo alcuni studiosi nell'età repubblicana la Regia servì solo come ufficio amministrativo del Pontefice, qui si conservava l'archivio, con i commentari e le tavole, compilate annualmente dai Pontefici, contenenti la lista dei magistrati, i fatti più notevoli avvenuti in pace ed in guerra, i prodigi, il caro dei viveri, l'eclissi, le pubbliche calamità, le preghiere, i sacrifici, il calendario sacro, e le leggi su matrimoni, morte e testamenti.
Da queste tavole, o anche dai commentari, gli Annales (raccolta di eventi di pubblico interesse) ebbe origine il più antico libro di storia romana, che gli autori antichi
chiamarono gli Annales Maximi.
Nella Regia si riuniva invece il collegio dei pontefici e a volte i Fratres Arvales, e vi si conservarono i leggendari scudi sacri di Marte (gli ancilia). Secondo la leggenda uno scudo del Dio era piovuto nel Foro e i Romani, per impedirne il furto, ne fecero undici copie identiche, che venivano portate in processione dall'antichissima corporazione sacerdotale dei Salii (i saltatori); essi procedevano saltando ogni tre passi, il cosiddetto tripudium.
Qui erano anche infisse le lance consacrate a Marte, le hastae Martiae: si credeva che se queste avessero incominciato a vibrare, sarebbe accaduto qualcosa di terribile. Secondo la leggenda, le aste vibrarono la notte del 14 marzo del 44 a.c., quando Giulio Cesare, che ricopriva la carica di Pontefice Massimo, venne ucciso nel Senato.
Nella Regia aveva inoltre sede un santuario di Ops Consiva, Dea dei raccolti, luogo sacro in cui potevano accedere solamente il pontifex maximus e le Vestali. Vi era pure un altare per sacrifici dedicato a Giove, Giunone e Giano, forse quello originariamente posto nel cortile recintato.
RESTI DELLA REGIA |
RILIEVI ENTRO PARETI DECORATE
I sacraria di Marte e Ops contenuti nel fanum/regia che si trovava fra la Sacra via e il vicus Vestae hanno subito un importante restauro nel 36 a.c., che ha ornato l’esterno dell’edificio con un fregio di ghirlande e bucrani. Il vestibulum si apriva su un piccolo atrium tetrastylum, poco oltre dotato di un’ara e che aveva su un lato l’anticamera che immetteva nei sacraria dei due Dei, quello di Marte maggiore, con focolare rotondo e comunicante con una stanzetta, dove forse venivano conservate le hastae Martis, le lance immagini aniconiche del Dio.
I dodici scudi chiamati ancilia erano conservati probabilmente nel sacrarium di Marte, dotato di focolare. Nell’edificio sono stati rinvenuti frammenti di un fregio interno che rappresentava gli ancilia appesi a una pertica orizzontale portata da sacerdoti di Marte chiamati salii, come si vede in una gemma di Berlino del iii secolo a.c..
Ove si volesse tentare di ricostruire la decorazione del sacrarium Martis, il fregio andrebbe immaginato inserito nella parte alta di una parete decorata nel “II stile pompeiano”. Qualcosa di analogo può essere tentato anche per i pannelli che rappresentavano le origini di Roma e che decoravano la parete interna meridionale della basilica Paulli, sia nella versione del 55/34-14 a.c. che in quella posteriore al 14 a.c. Si può ipotizzare uno schema decorativo marmoreo sul genere dello “stile pompeiano IIb”, tratto dalla villa della Farnesina, con i fregi scultorei che decoravano gli intercolumni.
La ricostruzione da noi proposta prevede un totale di 21 pannelli, se si contano anche i tre ingressi. Sull’Esquilino era una domus ad atrio c.d. dell’Odissea, attribuibile ai Papirii e databile attorno alla metà del I secolo a.c. La casa, cui si accedeva dal vicus Patricius, era dotata di due grandi peristili. La parete sud-orientale del peristilio A era decorata da affreschi raffiguranti scene tratte dall’Odissea. Queste scene appartenevano al fregio di una parete di “II stile pompeiano” avanzato.
La Regia, distrutta da vari incendi sin da poco dopo la metà del VI secolo a.c, fino al 148 a.c., in cui venne ricostruita o restaurata, per poi venire riccamente restaurata nel 36 a.c. da Domizio Calvino, il vincitore della Spagna. Venne anche distrutta durante nel grande incendio di Roma del 64, ma poiché la sua pianta era considerata sacra, questi restauri non ne modificarono mai la disposizione. La sua importanza simbolica rimase tale per tutto il il periodo imperiale
Sulle sue pareti esterne fece scolpire la lista dei magistrati eponimi e dei trionfi da Romolo fino a Cesare. Queste iscrizioni in lettere di bronzo dorato, oltre ad ornare l'edificio, servivano alla compilazione dell'archivio. I frammenti di queste iscrizioni ora si trovano nel Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio, e portano il nome di Fasti Capitolini.
Sotto Commodo la Regia venne un'altra volta danneggiata dalle fiamme, ma fu subito ricostruita da Settimio Severo. L'edificio rimase in piedi, a quanto sembra, anche dopo la caduta dell'Impero occidentale, ma nel secolo ottavo era già in parte rovinato. Gli avanzi vennero scoperti nel 1546, in cui si rinvenne la maggior parte dei frammenti dei Fasti, ma non si seppe stabilire allora a quale costruzione appartenessero; soltanto le esplorazioni moderne (1886, 1889, 1901) hanno accertato l'edificio, il luogo ove sorgeva e la sua architettura.
"A sinistra della via Sacra si vede prima una piccola stanza con pavimento di marmo bianco e nero ove, incastrata in un muro medioevale, si rinvenne la metà di un architrave con l'iscrizione:
... ORES·PONTIFICVM·ET·FLAMINVM
La prima metà del medesimo architrave era già tornata alla luce nel 1546; con essa si supplisce l'iscrizione in questa maniera:
"in honorem domus Augustae kalatores pontificium et flaminum"
Si è proposta quindi la congettura, che quei subalterni dei sacerdoti avessero il loro uffizio accanto a questo angolo della Regia. I bei frammenti architettonici, i pezzi di trabeazioni, i capitelli di colonne e di pilastri, ora accatastati qui, provengono dall'edifizio restaurato da Calvino (36 a.c.).
Continuando la via, che è lievemente in salita, si trovano a destra le fondamenta della Regia repubblicana. Un locale che ha conservato il pavimento di lastroni di tufo, con in mezzo una sostruzione rotonda di tufo grigio (lo strato superiore è di moderno restauro), si è voluto, senza ragioni convincenti, riconoscere per il sacrario di Marte. Nè più probabile è un'altra congettura, che una cisterna sotterranea segni il posto del sacrarium Opis. Più oltre si vedono avanzi dell'edifizio imperiale Parete della Regia con i Fasti.
Della parete meridionale, che, nell'edifizio di Calvino, portava scolpite le liste dei consoli e dei trionfi, poco rimane sul luogo; numerosi invece sono i frammenti dell'epistilio che già coronava la parete, provenienti dal restauro di Settimio Severo. Gli avanzi di una parete che ancora stavano in piedi dimostrano, come i blocchi dei Fasti, che l'edifizio di Calvino era piccolo ma sontuoso, e formato da solidi massi marmorei.
Rimangono anche pezzi di un pavimento di marmo bianco, la soglia di una porta ed altri avanzi dello stesso materiale. Tutta la parte settentrionale della Regia, dirimpetto al tempio di Faustina, venne trasformata al principio del medio evo (sec. VII-VIII) in una nobile case privata, simile a quella situata nella Basilica Emilia; ne rimangono le colonne di cipollino con rozze basi di granito rosso, e le mura costruite in mattoni e frantumi di marmo. La Regia dell'età repubblicana si estendeva, come è probabile, assai più verso oriente; ad essa si attribuiscono alcuni avanzi di tufo e di travertino ritrovati tra la case delle Vestali e la Sacra Via."
LA DISPOSIZIONE
Gli interni erano divisi in tre camere più una camera centrale di ingresso e un cortile. La parte a sud ha una forma rettangolare allungata sull'asse est-ovest; al suo centro aveva un vano di accesso, dal quale si accedeva alla stanza orientale, forse al santuario di Opi, e alla stanza occidentale con un altare circolare, probabile santuario di Marte.
Questo quanto riportato anche se siamo più propensi a credere che fosse all'inverso, sia perchè la stanza orientala era di solito riservata alla divinità più importante, sia perchè l'ara circolare era solitamente riservata alle Dee.
A nord si apriva invece un ambiente trapezoidale con doppio porticato in legno che doveva essere un cortile scoperto, pavimentato in tufo, forse l'Atrium regium. Vi si aprivano alcuni pozzi tuttora visibili e vi si dovevano trovare i due allori ricordati dalla tradizione. Molti dei bellissimi frammenti marmorei sparsi nelle vicinanze risalgono alla ricostruzione della Regia del 36 a.c.
LA REGIA |
ANDREA CARANDINI
La reale esistenza della figura di Romolo visto come effettivo fondatore, primo legislatore e re-sacerdote, è stata invece rivalutata dall'archeologo Andrea Carandini, dato i risultati dei recentissimi scavi alle pendici del Palatino, che avrebbero portato al rinvenimento dell'area corrispondente alla vera Regia di Romolo, ove sono stati rinvenuti reperti fittili databili con certezza al secolo VIII a.c., confermando anche l'esattezza cronologica delle fonti storiografiche sulla fondazione di Roma.
Alla domus Regia si accedeva dalla summa Nova via, tramite un’ampia corte. La Sacra via scorreva in quel tempo sul retro della casa, situata ancora al fondo del fossato che correva tra Velia e Palatium, per cui poco serviva per accedere al lucus Vestae. Al centro della dimora era una grande sala (mq 40), dotata di ampia falda prominente del tetto o “protiro” sorretta da due grandi pali. Altri due pali reggevano la copertura straminea. Possiamo immaginare alle pareti i talismani legati alla sovranità: le hastae di Mars e l’ancile caduto dal cielo con le sue undici repliche; questa sala/sacrarium poteva contenere anche il praefericulum e la secespita di Ops, cioè il vassoio e il coltello sacrificali usati nel rito di questa dea.
Per il culto dei Lares nel lotto a occidente della domus Regia, probabilmente comunicante con essa, anche per le fasi che seguono. A poco dopo, tra il 730 e il 720 a.C., si datano i primi rifacimenti della domus Regia. La sala dispone ora di un “protiro” sorretto da tre grandi pali e contiene una tomba di infante, relativa alla vita di questa casa, che verrebbe a trovarsi sotto il bancone, ipotizzato anche per questa fase. Nella stanza a ovest della sala il recesso è stato ampliato e nel primo ambiente a est figura ora un focolare. Tra il 720 e il 700 a.C. la domus si ingrandisce e assume una forma a “L”. Nella stanza a est, dotata di focolare, viene allestito un recesso per accoglierlo.
(Andrea Carandini - La casa dei re-auguri)
REGIA DEL 750-730 A.C. |
GLI SCAVI
Sulla sommità del Palatino esisteva un villaggio protourbano già dall'inizio dell'età del ferro (tra IX e metà dell'VIII sec. a.c.), e questo è provato dal ritrovamento delle fondazioni di quattro capanne.
Le tracce lasciate da quella meglio conservata hanno permesso di ricostruirla: misurava m 4,90 x 3,60 con sette fori lungo il perimetro ed uno al centro; i fori corrispondevano ai pali che sostenevano l'alzato.
La porta era preceduta da un piccolo portico. Il tetto era di paglia e spiovente; le pareti erano di canne ricoperte d'argilla. Al centro della capanna c'era un focolare. Era un villaggio molto esteso, ampio ben 250 ettari, ma non era una entità statale, gerarchizzata e sottoposta a un potere unico.
LA DOMUS REGIA DI ROMA
ANDREA CARANDINI
LA CASA DEI RE-TIRANNI E POI DEL PONTEFICE MASSIMO
" Un tempo si conoscevano case con grande tablinum e grande atrium cruciforme solamente in Etruria tra il VI e il V secolo a.c., come quelle di Regae (Montalto di Castro) e di Marzabotto. Poi quattro case di questo tipo, in splendida opera quadrata di tufo e datate al 530 a.c. circa, sono state da noi scoperte lungo la Sacra via, tra il fanum/ templum di Giove Statore e il c.d. clivo Palatino B (Atlas, tavv. 62 e 63; qui fig. 7).
In seguito è stata individuata la casa gentilizia di Servio Tullio sull’Esquilino, con l’annesso culto alla Fortuna, grazie alla forma peculiare di un tablinum e di un atrium attestati nella Forma Urbis del tempo di Settimio Severo (Atlas, tav. 107), molto simili a quelli delle case arcaiche sulla Sacra via. Probabilmente analoga a questa dimora doveva essere quella gentilizia di Tarquinio il Superbo sul Fagutal, di cui però non conosciamo resti.
Avendo in mente questo particolare genere di atrium con tablinum, abbiamo ricostruito la domus Regia edificata sopra quella di Tarquinio Prisco e ingrandita verso sud, attribuibile a Servio Tullio e a Tarquinio il Superbo. Si tratta probabilmente della prima dimora dotata a Roma di un grande cavedio tuscanico (atrium) e di una sala-archivio (tablinum). Questa domus si trovava tra quella del re dei Sacrifici, la Sacra via, il clivo Palatino A, il vicus che passava sopra il nemus Vestae e lo stesso nemus con il sacellum attribuibile a Orbona, Dea dei genitori orbati dei figli.
La dimora ha conservato fortunatamente il suo impianto tra il secondo quarto del vi secolo a.c. e gli inizi della tarda Repubblica, quando è stata ricostruita secondo una planimetria diversa, aggiornata ai tempi, al punto di disporre di un peristylium con sottostante cryptoporticus, un corridoio voltato sotterraneo illuminato da alte feritoie. Se combiniamo le testimonianze diacroniche di questa casa, diventa possibile ricostruire, piuttosto fedelmente, quello che doveva essere l’aspetto planimetrico originario di questa seconda domus Regia, eretta su terreno regio e poi pubblico, posta immediatamente all’esterno del lucus Vestae.
La porticus sul retro della casa è l’unico elemento ricavato da fonte letteraria (Livio, 1.56.4). I due horti sono ricavati dalla differenza tra lo spazio della casa e quello maggiore del suo lotto. Le testimonianze plurime e diacroniche non si contraddicono, anzi tra di loro si confermano, seguendo un modello etrusco di architettura domestica, presto diffuso anche a Roma tramite i collegamenti con Tarquinia della dinastia di cui Servio Tullio era parte in quanto probabile bastardo di Tarquinio Prisco e sicuro suo successore.
La domus Regia di Servio aveva al suo fianco, a cavallo di una delle due forcelle del clivo Palatino A, la leggendaria porta Fenestella, da interpretare come rifacimento e riproposizione di una postierla delle mura romulee dell’viii e del vii secolo a.c.. Le mura palatine di questa epoca sono attestate sia materialmente che da un ben noto papiro. Secondo la leggenda, dalla finestrella che dava il nome alla porta Fenestella penetrava nella dimora di Servio volando la Dea Fortuna (Privata), la quale poi scendeva nel tablinum – stanza in cui generalmente si trovava il lectus Genialis – per amoreggiare con il re suo protetto, a cui aveva donato una straordinaria e irregolare sovranità, aiutata dalla regina Tanaquil; è probabilmente nel tablinum che va identificato l’altisonante thalamos Fortunae (Plutarco, Questioni romane, 36).
Oltre a Vesta, ai Lari e a Giove Statore, anche Fortuna ora proteggeva le mura palatine, dal valore ormai meramente simbolico, visto che nel frattempo le difese della città erano state spostate per inglobare tutto l’abitato e il centro politico e sacrale. La porta Fenestella è stata poi demolita e ricostruita da Tarquinio il Superbo, insieme a un tratto di murus Romuli, questa volta come una riproposizione della porta Mugonia originaria, che era stata distrutta e seppellita sotto le case aristocratiche affacciate sulla Sacra via.
Questa urbanizzazione era stata resa possibile dallo spostamento del pomerium, dell’agger e delle relative fasce della inviolabilità o della sanctitas conseguenti all’inaugurazione dell’intera città voluta da Servio Tullio ed era stata attuata, intorno al 530 a.c., probabilmente da Tarquinio il Superbo. L’antichissimo fanum con templum di Giove Statore veniva ora a trovarsi davanti al fianco orientale della domus Regia degli ultimi due re.
Che questa dimora di Roma (mq 985) – maggiore delle quattro case aristocratiche di poco successive e vicine (mq 486-742) – sia stata la residenza ufficiale degli ultimi tyranni e sia diventata in seguito, abolita la monarchia, la domus Publica dei pontefici massimi che dai re avevano ereditato la patria potestas sulle vestali, è dimostrato da un dettaglio importantissimo e cioè dal fatto che questa domus disponeva di uno stretto passaggio che collegava il suo tablinum con il nemus e il lucus Vestae e che sboccava dietro al sacellum attribuibile a Orbona.
Nessuna casa esterna al lucus Vestae avrebbe potuto essere al lucus direttamente collegata, a meno che non si fosse trattato della residenza di un re o di un sommo sacerdote divenuto con la libera res publica l’autorità suprema del collegio sacerdotale. Nel vestibulum della casa di Tarquinio il Superbo poteva essere, magari fino dal tempo di Servio Tullio, una statua della Fortuna Equestris – seconda manifestazione di questa Dea in questa reggia – statua reinterpretata nella prima Repubblica come una eroina di civismo, identificata ora con Clelia e ora con Valeria.
Nella seconda metà del ii secolo a.c. la domus Publica è stata ricostruita avvalendosi dell’opera cementizia e occupando il medesimo lotto, sempre a fianco della porta Mugonia con breve tratto del murus Romuli, entrambi in quest’epoca ricostruiti. Un grande tablinum affiancato da altre due sale, nelle quali possiamo immaginare conservati gli Annales di Roma, si affacciava su un atrium fiancheggiato da cubicula.
Dall’atrium si passava, seguendo la moda del tempo, in un peristylium, dotato di una sala e di varie stanzette, comunicante infine con un atriolo dotato di vasca o compluvium in travertino. Sotto il peristylium era una cryptoporticus, dalla quale si poteva, ancora una volta, penetrare, tramite la riproposizione di uno stretto passaggio, nel nemus e nel lucus Vestae. Insomma, tra Servio Tullio e Lepido, il pontefice che ha preceduto Augusto, sovrani tirannici e pontefici massimi hanno disposto di un collegamento diretto che permetteva loro di ispezionare in qualsiasi momento le sacerdotesse di Vesta.
Lo stretto passaggio, riproposto per quasi 550 anni, è un indizio straordinariamente importante per comprendere la natura degli edifici che si sono succeduti in questo lotto posto nel cuore di Roma antica. Ma non tutti gli studiosi danno ai dettagli l’importanza che meritano, secondo il metodo di Sherlock Holmes e quello di una seria archeologia sul campo. "
IL CAMBIAMENTO DI POTERE
Intorno alla metà dell'VIII secolo a.c. ci fu un cambiamento: dove prima c'era una grande capanna ovale vennero costruite due capanne, una delle quali formata da due stanze e contemporaneamente vennero innalzate le mura. Le due capanne si possono forse interpretare come un tempio ed una reggia.
La costruzione delle mura fortificate, del tempio e la reggia dovevano avere nell'ordinamento un capo, un re forse, che ha imposto il suo potere, trasformando il villaggio protourbano in uno stato, organizzato e gerarchizzato. Un re che i romani chiamavano Romolo.
Come si vede, dati archeologici e fonti scritte coincidono: le scoperte confermano la fondazione di Roma descritta da Livio, Dionisio di Alicarnasso e Plutarco. Naturalmente coesistono storia e leggenda, insomma gli storici romani hanno rivestito con il mito un fatto realmente accaduto, cioè la creazione di una città fortificata ad opera di un re, sul Palatino, dove prima c'era un villaggio di capanne.
Narra la leggenda che Romolo tracciasse sul colle Palatino un solco quadrato e costruisse intorno al perimetro una piccola fortificazione. Sul lato nord-ovest del Palatino si dice sorgesse il mitico Tugurium Romoli, la dimora del primo re Romolo tanto nominata dagli storici antichi, da Cristo da Diocle di Pepareto a Fabio Pittore, sino a Tito Livio.
RICOSTRUZIONE DELLA REGIA IN EPOCA SUCCESSIVA |
LA REGGIA DI ROMOLO
Il professor Carandini l'ha trovata finalmente la casa di Romolo, nel corso di una campagna di scavi al Foro Romano che passerà alla storia dell'archeologia. E' la Reggia dei Re di Roma, una casa sontuosa e monumentale di 345 mq, 105 coperti e 240 di cortile.
La notizia della scoperta l'ha data proprio lui, il professore che da 20 anni, con i suoi studenti dell'Università La Sapienza, conduce ricerche sul Palatino per ricostruire le origini di Roma. La Reggia si trovava accanto al santuario di Vesta, fuori dalla Mura Palatine.
Grosse buche di pali, fosse di fondazione, piccoli elevati di mura in argilla: sono gli elementi che Andrea Carandini ha trovato proprio dentro il Santuario di Vesta, tra le mura dell'età di Romolo, che aveva scoperto già nel 1987 nel Foro romano.
Dalla ricostruzione della sala centrale della Domus dei primi re di Roma, si desume inoltre che l'ambiente era dotato di un bancone lungo le pareti per sedersi a banchetto e assistere a cerimonie e riti. L'entrata, maestosa per il tempo, era sostenuta da due grandi colonne di legno. Si trattava di una regalità più modesta rispetto a quella dei sovrani orientali.
"Sono i resti" ha detto Carandini "di un grande palazzo della metà dell'VIII secolo a. c., che potrebbe essere la casa dei primi re di Roma: un grande edificio, realizzato però ancora con tecnica capannicola, con i tetti in materiale vegetale, ma con una grande corte e un salone per i banchetti."
Ma è stato scoperto un altro ambiente, che deve essere ancora ulteriormente scavato, davanti al tempio di Vesta, dove sono state trovate altre fondazioni, tracce di focolari e piani di cottura, e magazzini per i cereali. Secondo Carandini sarebbe la capanna dove ardeva il fuoco sacro delle sacerdotesse, la Casa delle Vestali.
E veniamo, così, alla questione della datazione della fondazione di Roma. Queste due scoperte secondo Carandini "confermano quanto era già emerso nell'87, con la scoperta delle muro di Romolo sul Palatino e ci danno indicazioni sul fatto che la tradizione della fondazione di Roma, alla metà dell'ottavo secolo, corrisponda al vero."
Ai due "pezzi rari", Reggia di Romolo e Casa delle Vestali, se ne è aggiunto ora anche un altro: durante gli scavi infatti è venuta fuori a circa 8 m dal livello del mare una pavimentazione del Foro romano anteriore di un secolo a quella fino ad oggi conosciuta che è del VII sec. a. c. Dunque, spiega il professore, tutto converge nel datare le origini di Roma alla metà dell'VIII secolo a. c.:
"Tutto ciò pone sia il Palatino che il Foro, compreso il Palazzo del Re, la Casa delle Vestali e il tempio di Vesta, che sono coevi, in un unico sistema e in unico progetto. Ormai questa datazione diventa incontrovertibile. Questo palazzo è durato almeno fino al 64 d.c, che vuol dire quasi 8 secoli. Dopo i re è divenuto la dimora del Re sacrorum, il capo spirituale, e ha resistito anche in età Repubblicana fino al Primo impero"
CASA DELLE VESTALI NEL 750 A.C. |
I re vivevano, dunque, proprio dove ora c’è il tempio di Romulo, lungo la Via Sacra, che un tempo era solo un ruscello e scorreva alle pendici del Palatino, verso la Velia. L’altra scoperta è coerente con la topografia ipotizzata finora ed è venuta alla luce solo qualche giorno fa. "Scavando più ad ovest" rivela sempre Carandini "abbiamo trovato una grande capanna ovale, lunga circa 12 m, con due focolari agli apici e uno al centro,i piani di cottura e i ripostigli per i cereali. Era la casa delle vestali, le sacerdotesse che, come è noto, dovevano sorvegliare il fuoco e non farlo mai spegnere."
E c’è infine la pavimentazione, a 8 m sul livello del mare, fatta di ghiaia e ciottoli, anteriore di circa un secolo a quella che finora veniva considerato l’unico pavimento del Foro, risalente al VII secolo a.c. "Ci consente di leggere in chiave unitaria la formazione di Roma. Fa convergere quello che fin qui abbiamo raccolto sulle origini e la tradizione sulla stessa data: la metà dell’VIII sec. a.c. E pone sia il Palatino che il Foro, compreso il palazzo del Re, la casa delle vestali, e il santuario di Vesta, che sono coeve, in un unico sistema e in un unico progetto. Ormai questa datazione diventa incontrovertibile."
Una tesi e una riconsiderazione della “fondazione romulea”, quella di Carandini, che smentirebbe una volta per tutte Mommsen e la storiografia tedesca dell’800, propensa a liquidare come “leggendario” tutto quello che è anteriore al IV/V secolo a.c.
Per il sovrintendente comunale ai Beni culturali, Eugenio La Rocca le ipotesi di Carandini poggiano su basi solide. "Mi sembra che quanto sta emergendo dagli scavi di Carandini, che può ritenersi il massimo esperto in questo campo, sia una lettura archeologica molto coerente. Chi ha predisposto la leggenda lo ha fatto con la consapevolezza che dietro vi era un fondamento storico. Questo non vuol dire che la vicenda di Romolo e Remo sia necessariamente andata così. Ma solo che la memoria così come ci è stata tramandata dalla maggioranza degli scrittori latini è molto più di un’ipotesi."
Insomma Romolo è esistito, così come i Re di Roma, e Roma fu fondata nel 753 a.c., e questa è storia.
LA REGGIA DI SERVIO TULLIO |
LA REGIA DI SERVIO TULLIO
Un tempo si conoscevano case con grande tablinum e grande atrium cruciforme solamente in Etruria tra il VI e il V secolo a.c., come quelle di Regae (Montalto di Castro) e di Marzabotto. Poi quattro case di questo tipo, in splendida opera quadrata di tufo e datate al 530 a.c. circa, sono state da noi scoperte lungo la Sacra via, tra il fanum/ templum di Giove Statore e il c.d. clivo Palatino B (Atlas, tavv. 62 e 63; qui fig. 7).
In seguito è stata individuata la casa gentilizia di Servio Tullio sull’Esquilino, con l’annesso culto alla Fortuna, grazie alla forma peculiare di un tablinum e di un atrium attestati nella Forma Urbis del tempo di Settimio Severo (Atlas, tav. 107), molto simili a quelli delle case arcaiche sulla Sacra via. Probabilmente analoga a questa dimora doveva essere quella gentilizia di Tarquinio il Superbo sul Fagutal, di cui però non conosciamo resti.
Avendo in mente questo particolare genere di atrium con tablinum, abbiamo ricostruito la domus Regia edificata sopra quella di Tarquinio Prisco e ingrandita verso sud, attribuibile a Servio Tullio e a Tarquinio il Superbo. Si tratta probabilmente della prima dimora dotata a Roma di un grande cavedio tuscanico (atrium) e di una sala-archivio (tablinum). Questa domus si trovava tra quella del re dei Sacrifici, la Sacra via, il clivo Palatino A, il vicus che passava sopra il nemus Vestae e lo stesso nemus con il sacellum attribuibile a Orbona, Dea dei genitori orbati dei figli.
La dimora ha conservato fortunatamente il suo impianto tra il secondo quarto del vi secolo a.c. e gli inizi della tarda Repubblica, quando è stata ricostruita secondo una planimetria diversa, aggiornata ai tempi, al punto di disporre di un peristylium con sottostante cryptoporticus, un corridoio voltato sotterraneo illuminato da alte feritoie. Se combiniamo le testimonianze diacroniche di questa casa, diventa possibile ricostruire, piuttosto fedelmente, quello che doveva essere l’aspetto planimetrico originario di questa seconda domus Regia, eretta su terreno regio e poi pubblico, posta immediatamente all’esterno del lucus Vestae.
La porticus sul retro della casa è l’unico elemento ricavato da fonte letteraria (Livio, 1.56.4). I due horti sono ricavati dalla differenza tra lo spazio della casa e quello maggiore del suo lotto. Le testimonianze plurime e diacroniche non si contraddicono, anzi tra di loro si confermano, seguendo un modello etrusco di architettura domestica, presto diffuso anche a Roma tramite i collegamenti con Tarquinia della dinastia di cui Servio Tullio era parte in quanto probabile bastardo di Tarquinio Prisco e sicuro suo successore.
La domus Regia di Servio aveva al suo fianco, a cavallo di una delle due forcelle del clivo Palatino A, la leggendaria porta Fenestella, da interpretare come rifacimento e riproposizione di una postierla delle mura romulee dell’VIII e del VII secolo a.c.. Le mura palatine di questa epoca sono attestate sia materialmente che da un ben noto papiro.
LA DEA FORTUNA
Secondo la leggenda, dalla finestrella che dava il nome alla porta Fenestella penetrava nella dimora di Servio volando la Dea Fortuna (Privata), la quale poi scendeva nel tablinum – stanza in cui generalmente si trovava il lectus Genialis – per amoreggiare con il re suo protetto, a cui aveva donato una straordinaria e irregolare sovranità, aiutata dalla regina Tanaquil; è probabilmente nel tablinum che va identificato l’altisonante thalamos Fortunae (Plutarco, Questioni romane, 36).
Oltre a Vesta, ai Lari e a Giove Statore, anche Fortuna ora proteggeva le mura palatine, dal valore ormai meramente simbolico, visto che nel frattempo le difese della città erano state spostate per inglobare tutto l’abitato e il centro politico e sacrale. La porta Fenestella è stata poi demolita e ricostruita da Tarquinio il Superbo, insieme a un tratto di murus Romuli, questa volta come una riproposizione della porta Mugonia originaria, che era stata distrutta e seppellita sotto le case aristocratiche affacciate sulla Sacra via.
Questa urbanizzazione era stata resa possibile dallo spostamento del pomerium, dell’agger e delle relative fasce della inviolabilità o della sanctitas conseguenti all’inaugurazione dell’intera città voluta da Servio Tullio ed era stata attuata, intorno al 530 a.c., probabilmente da Tarquinio il Superbo. L’antichissimo fanum con templum di Giove Statore veniva ora a trovarsi davanti al fianco orientale della domus Regia degli ultimi due re.
Che questa dimora di Roma (mq 985) – maggiore delle quattro case aristocratiche di poco successive e vicine (mq 486-742) – sia stata la residenza ufficiale degli ultimi tyranni e sia diventata in seguito, abolita la monarchia, la domus Publica dei pontefici massimi che dai re avevano ereditato la patria potestas sulle vestali, è dimostrato da un dettaglio importantissimo e cioè dal fatto che questa domus disponeva di uno stretto passaggio che collegava il suo tablinum con il nemus e il lucus Vestae e che sboccava dietro al sacellum attribuibile a Orbona.
Nessuna casa esterna al lucus Vestae avrebbe potuto essere al lucus direttamente collegata, a meno che non si fosse trattato della residenza di un re o di un sommo sacerdote divenuto con la libera res publica l’autorità suprema del collegio sacerdotale. Nel vestibulum della casa di Tarquinio il Superbo poteva essere, magari fino dal tempo di Servio Tullio, una statua della Fortuna Equestris – seconda manifestazione di questa Dea in questa reggia – statua reinterpretata nella prima Repubblica come una eroina di civismo, identificata ora con Clelia e ora con Valeria.
Nella seconda metà del II secolo a.c. la domus Publica è stata ricostruita avvalendosi dell’opera cementizia e occupando il medesimo lotto, sempre a fianco della porta Mugonia con breve tratto del murus Romuli, entrambi in quest’epoca ricostruiti. Un grande tablinum affiancato da altre due sale, nelle quali possiamo immaginare conservati gli Annales di Roma, si affacciava su un atrium fiancheggiato da cubicula.
Dall’atrium si passava, seguendo la moda del tempo, in un peristylium, dotato di una sala e di varie stanzette, comunicante infine con un atriolo dotato di vasca o compluvium in travertino. Sotto il peristylium era una cryptoporticus, dalla quale si poteva, ancora una volta, penetrare, tramite la riproposizione di uno stretto passaggio, nel nemus e nel lucus Vestae. Insomma, tra Servio Tullio e Lepido, il pontefice che ha preceduto Augusto, sovrani tirannici e pontefici massimi hanno disposto di un collegamento diretto che permetteva loro di ispezionare in qualsiasi momento le sacerdotesse di Vesta.
Lo stretto passaggio, riproposto per quasi 550 anni, è un indizio straordinariamente importante per comprendere la natura degli edifici che si sono succeduti in questo lotto posto nel cuore di Roma antica. Ma non tutti gli studiosi danno ai dettagli l’importanza che meritano, secondo il metodo di Sherlock Holmes e quello di una seria archeologia sul campo.
Il desiderio di accrescere la proprietà – cupido iungendi – non riguardava solamente le tenute in campagna ma anche i lotti abitativi in città. A est del fanum/templum con aedes di Giove Statore aveva inizio il tratto meno rilevante della Sacra via che portava alle Carinae, altro quartiere elegante oltre a quelli della Velia e del Palatino. Era un tratto meno rilevante perché a monte del clivo Palatino la via era affiancata esclusivamente da case private (Carandini 2016).
Sul versante palatino del percorso erano case arcaiche durate dal 530 a.c. alla fine del iii secolo a.c., per cui in questo tempo si camminava ancora in una città dall’aspetto tardo-arcaico, con quanto ciò poteva comportare a livello di archivi per tabulae, d’iscrizioni, di scaffali per imagines maiorum e di trofei di guerra; ciò vale anche per la domus Publica, che conteneva gli annales Maximi, la memoria ufficiale di Roma.
Dopo, le case in opera quadrata del tempo di Tarquinio il Superbo sono state sostituite da altre, le prime a disporre di fondazioni in opera cementizia. Tra queste, le due più a oriente si aprivano, come le antecedenti, non sulla Sacra via bensì sul clivo Palatino B, allora una strada di secondaria importanza.
La dimora all’angolo tra le due strade era appartenuta a M. Emilio Scauro, console e trionfatore su popoli gallici tra Veneto e Friuli nel 115 a.c., un uomo di poca fortuna, poi arricchitosi tanto da comprare per 700.000 sesterzi lo schiavo grammatico greco Dafni; nel 109 a.c., quando era censore, aveva fatto costruire un tratto della via Aemilia che aveva collegato il Tirreno al Po.
Subito accanto a questa casa era quella di Gneo Ottavio, homo novus che aveva raggiunto il consolato nel 165 a.c. Nel 162 a.c. la casa era passata al figlio omonimo, console nel 128 a.c., e infine al nipote L. Ottavio, console nel 75 a.c., morto nel 74 a.c. Il figlio di Scauro, dallo stesso nome, aveva ereditato la casa paterna nell’88 a.c. e a essa aveva aggiunto nel 74 a.c. la casa di L. Ottavio, raddoppiando così la proprietà.
Demolite entrambe le dimore, nel 58 a.c. Scauro figlio costruisce sopra di esse una grande e unitaria magione. Proprio in quell’anno, da edile, aveva eretto anche un teatro provvisorio, poco dopo smontato, per ornare la scena del quale erano state trasportate a Roma 360 colonne: di marmo al piano terreno, di vetro a quello intermedio e di legno dorato a quello superiore (Plinio il Vecchio, Storia Naturale, 36.24).
Quattro di esse, di marmo Luculleo (“Africano” dell’isola di Teos) e altissime (38 piedi, m 11,23), avevano decorato la porta centrale o valva Regia della scena del teatro provvisorio. Smontato questo teatro – il primo teatro stabile di Roma sarà quello di Pompeo, del 55 a.c. – le quattro enormi colonne sono diventate i sostegni dell’atrio tetrastilo (sostenuto da quattro colonne) della sua magione, il maggiore di Roma.
Tra l’82 e il 58 Scauro figlio aveva acquisito una terza casa, per farne un annesso di servizio. Era stata dell’oratore L. Licinio Crasso, che intorno al 100 a.c. aveva disposto per la prima volta di un atrium sostenuto da sei colonne di marmo straniero proveniente dal monte Imetto nell’Attica (alte 12 piedi, m 3,5); aveva anche un triclinium con letti di bronzo, coppe argentee opera del cesellatore greco Mentore del IV secolo a.c. e infine un hortus ombreggiato da sei bagolari.
La casa era stata valutata una enormità, 6 milioni di sesterzi, metà dei quali erano il valore di quei bagolari: ombra amena e rarissima nel cuore di Roma. Nel 52 Scauro va in esilio accusato de ambitu, cioè di corruzione elettorale. L’atrium ipertrofico di Scauro aveva presupposto un ampio basamento dotato di strutture in grado di reggere le quattro straordinarie colonne. Questo basamento, archeologicamente noto, conteneva un ergastulum o alloggio per gli schiavi dotato di 62 cellette (mq 2,85 ciascuna), ciascuna con due basi in muratura per sostenere le tavole del letto.
Un ambiente di questo quartiere servile, lungo, stretto e dotato di un bancone, era il Lararium delle sei decine o decuriae di schiavi. Nei sotterranei della casa era anche un balneum o bagno, assai bene attrezzato. Varie rampe di servizio portavano a tre diversi piani della dimora: quello ipogeo, quello nobile dell’atrio e quello rialzato che si trovava sul retro. Alcuni hanno attribuito le cellette sotto l’atrium di Scauro a un lupanar, cioè a un bordello.
Eppure conosciamo altri due casi a Roma con cellae sotto l’atrium e se la prostituzione è il mestiere più antico del mondo, l’alloggio degli schiavi – guardie del corpo, servitori, contabili e scrivani – era a Roma una necessità imprescindibile. Ad esempio, la casa attribuita a Gneo Domizio Calvino disponeva di 16 cellae servili: numero ragionevole, che dà la misura della megalomania finita male di Scauro. La dimostrazione che si tratta di stanze per schiavi e non per prostitute si ha nella sostruzione della casa di Augusto, che è un enorme quartiere per liberti e schiavi.
Della casa di Scauro conosciamo l’indirizzo approssimativo, visto che a Roma non esistevano numeri civici: “in quella parte del Palatino che si trova quando scendi per la Sacra via e prendi la prima strada a sinistra”, cioè il clivo Palatino B (Asconio, In difesa di Emilio Scauro, commentario, 23). Grazie all’indirizzo rivelato da una fonte letteraria e all’eccezionalità della dimora rivelata dagli scavi – unica casa nel quartiere in grado di sostenere colonne tanto alte – l’identificazione del monumento con la dimora di Scauro può ritenersi sicura.
Sommerso dai debiti, Scauro aveva venduto nel 53 a.c. la sontuosa magione a Clodio per 14 milioni e 800 mila sesterzi (quasi 5 milioni per ciascuno dei tre lotti), ma quest’ultimo e la terribile moglie Fulvia non si sono goduti la casa, perché nel 52 a.c. Clodio viene ucciso dagli uomini del suo avversario Milone ed è nell’enorme atrio della dimora che viene esposto il corpo dell’aristocraticissimo che si voleva plebeo.
La casa di Clodio sul Palatino – prima reggia tardo-repubblicana di Roma (mq 7823), di poco inferiore a quella di Ottaviano (mq 8442) – aveva inglobato la casa di Cicerone e la porticus Catuli – luogo di culto alla Fortuna huiusce diei –, poi toltegli e restituite all’oratore e all’uso pubblico; grave smacco per il nobile demagogo, che allora si era buttato ad acquistare la casa di Scauro, di poco più piccola, ma con l’atrio più grande di Roma, il che lo compensava di quanto aveva perduto: una vera reggia!
Il nucleo originario della casa palatina di Clodio verrà nuovamente abitato da Fulvia tra il 52 e il 49 con il marito G. Scribonio Curione, poi per tre anni da lei sola vedova di Scribonio; tra il 46 e il 40 a.c. lo abita ancora con l’ultimo marito Marco Antonio (d’ora in poi Antonio), il quale per un anno aveva avuto come vicino il nemico Cicerone, fatto da lui eliminare nel 43. Tra il 40 e il 31 la casa viene abitata da Antonio e dalla nuova moglie Ottavia, sorella di Ottaviano.
Morto Antonio la casa è passata a Ottaviano. Qualche tempo prima del 17 a.c., la casa grandiosa di Scauro e poi di Clodio è stata ristrutturata intorno a un atrio finalmente ridotto, ora aperto sulla Sacra via. Aveva perduto le quattro enormi colonne del grandissimo atrio per volere di Augusto, che le aveva sottratte a quella casa perché andassero a decorare nuovamente una valva Regia scenica, questa volta del teatro di Marcello.
In età giulio-claudia la casa è stata abitata dal volterrano G. Cecina Largo, console nel 42 d.c.. Il quartiere palatino in cui era stata la casa di Scauro, interamente da noi indagato, dice molto sulla vita politica e sociale di Roma alla fine della Repubblica.
Con queste case negli occhi e con le lettere di Cicerone in mente si capisce il mondo a cui Augusto ha posto fine, concentrando il potere su di sé e governando l’Impero dalla sua casa, concepita come un microcosmo del centro politico e sacrale di Roma. Infatti la cupido iungendi raggiungerà un culmine con le due mandate di numerosi espropri resisi necessari per erigere la casa di Ottaviano e poi per quella ancora più ampia di Augusto.
Nato in una casa all’angolo nord-est del Palatino, Ottaviano era andato ad abitare, dopo un interludio sulle Carinae, sopra le scalae Anulariae, quelle che portavano alla porta Romanula. Eppure questa era solamente la seconda tappa del suo avvicinamento alla meta agognata. Non poteva apparire troppo evidentemente come un novello Romulus: un re ucciso dai propri consiglieri, come suo padre adottivo, il divo Cesare, pugnalato da alcuni senatori.
Aveva accettato tuttavia di chiamarsi Augustus, che vuol dire l’inaugurato, cioè il benedetto da Giove, proprio come Romolo che si era auto-inaugurato re di Roma. Nel 42 a.c. Ottaviano ha raggiunto finalmente la meta, acquistando la casa di Q. Ortensio Ortalo, che Svetonio (Vita di Augusto, 72) al tempo di Adriano giudicherà modesta.
La casa aveva due vantaggi strepitosi. Si ergeva sopra la parete tufacea del Cermalus entro la quale erano le grotte del Lupercal, quella della fonte e quella che accoglieva la scultura della lupa con i gemelli, davanti alla quale era l’ara di Faunus Lupus/Hircus (Lupercus).
Era il luogo dove Remo e Romolo erano stati nutriti dai loro totemici antenati, il picchio e la lupa. Il Lupercal era stato poi restaurato da Ottaviano che lo aveva trasformato in un sontuoso ninfeo. Inoltre la casa aveva l’entrata davanti al recinto o sacellum dove erano una riproposizione della casa/aedes Romuli e la fossa con una versione più tarda dell’altare dove Roma era stata fondata e dove era stato acceso il primo fuoco regio della città.
La collocazione, apparentemente eccentrica perché esterna ai dodici lotti più famosi del Palatino, era invece al centro gravitazionale della prima Roma, tra Lupercal e Casa Romuli con fossa e ara della fondazione di Roma, diventando così anche il centro di gravità del principato di Augusto.
Si trattava di una casa di medie dimensioni, probabilmente con atrium da immaginare a ovest e che precedeva il peristylium, in parte conservato e dotato di due altari relativi a un culto domestico. Sul lato nord, con vista sull’Aventino erano un triclinium con banconi in muratura per i letti e una exedra antistante, con ai lati due salette e due biblioteche. Altre stanze erano ai lati e dietro. Sul lato est del peristylium era un oecus affiancato da due cubicula e un piccolo nymphaeum con mosaico raffigurante remi.
Sul lato sud erano forse tre sale e in basso, su un lato, le stanze per i servi. Qui il tufo del monte precipitava nella bassura della vallis Murcia e del circus Maximus. Ottaviano ha ingrandito la dimora di Ortensio e l’ha ridecorata; eppure rimane un resto della decorazione più antica. Ha esteso il peristylium, ora sicuramente a due ordini, ornati da metope e da un fregio in terracotta. Il maggior complesso di sale rivolto all’Aventino esclusi i cubicula di lato, il peristylium e l’oecus fra i due cubicula trasformato in tetrastylus – cioè in sala retta da quattro colonne – sono stati pavimentati con tarsie marmoree.
Al di sopra di uno dei cubicula su lato est è stata allestita un’ulteriore camera da letto, più che uno studiolo, mentre l’altro cubiculum è stato trasformato nella rampa che portava a nuovi tablinum e atrium. Era questa la parte privata della casa, ampliata e riallestita per prima. Ma il progetto della dimora era assai più ambizioso, al punto che Ottaviano in seguito se ne è pentito, obliterando il sogno megalomane che per qualche tempo lo aveva incantato.
Questo sogno, in parte realizzato, aveva implicato l’acquisto di case vicine per edificare una vera e propria reggia ellenistica, dotata di due peristylia, il secondo fulcro di un quartiere a carattere pubblico, come nei complessi di Demetriade, Vergina e Pella (si veda Carandini, Bruno 2008, fig. 78). Al centro di tutto il complesso era probabilmente un enorme atrium di mq 600, mentre quello di Scauro, che era stato un tempo il maggiore di Roma, aveva raggiunto i mq 456. Questo atrium, ora il massimo, era dotato verosimilmente di grande tablinum, al quale si perveniva tramite la rampa che aveva inizio dal peristylium privato della casa.
Una galleria collegava al piano terreno i due peristylia. Sopra di essa era una ambulatio, lunga m 88,68 (cioè 300 piedi corrispondenti a mezzo stadio), quella che era stata di Clodio era stata di m 82,22, che aveva davanti un hortus pensilis, la cui terra copriva le suspensurae di una intercapedine volta a isolarla dagli ambienti sottostanti, come poi si vedrà nella domus Tiberiana. Nel secondo peristylium, anch’esso aperto sull’Aventino, si affacciavano solamente saloni, notevolmente più grandi e fastosi delle sale che si aprivano sul peristylium privato, per cui formavano un vasto complesso cerimoniale di carattere pubblico.
Sul lato ovest era un oecus Cyzicenus, fatto di una sala principale comunicante con due triclinia; ne vedremo altri esempi nella domus Gai e nella domus Proculi. Sul lato nord era un grande triclinium dotato di sale laterali. Sul lato est era un oecus Corinthius, colonnato su tre lati, accanto al quale si accedeva a una seconda rampa. A ridosso della parete tufacea erano, anche da questa parte della casa, ambienti per i servi. Purtroppo neppure in coincidenza del bi-millenario di Ottaviano il secondo peristylium è stato completamente scavato e restaurato, come da tempo avrebbe meritato.
D’un tratto accade qualcosa che definire bizzarro è poco e che ricorda l’arbitrio dei despoti. Tutta questa seconda parte della casa a carattere pubblico, atrium al centro e secondo peristylium, è stata costruita ma non decorata, per cui mai è stata usata, se non nei sogni del troppo ambizioso committente. Di colpo l’intera dimora, compresa la parte privata, invece terminata e vissuta, è stata seppellita sotto un nuovo complesso edilizio oppure è stata riusata come cantina. Cosa era accaduto? Una notte del 37 a.c. un fulmine aveva colpito la casa e Ottaviano aveva interpretato quel segno come il desiderio di Apollo di abitare con lui in quello stesso luogo.
In realtà Ottaviano, reso d’un tratto lungimirante, cioè prefigurando la prossima conquista di un potere immenso e indiviso, si era pentito della troppo magniloquente dimora in costruzione. equivaleva a vivere in una reggia come un re, ambizione che a Roma non era sostenibile., per cui aveva concepito un progetto molto più adatto al futuro prefigurato che puntualmente si sarebbe verificato. Il progetto era assai più modesto riguardo all’abitare, ma molto più grandioso riguardo all’abitare insieme ad Apollo. Si trattava dell’enorme palazzo e santuario dal quale Augusto, protetto da Apollo, avrebbe governato l’Impero per quattro decenni.
Solo in seguito il progetto è stato completato aggiungendo la porticus inferiore della silva Apollinis, dotata di un’ara – della Roma Quadrata? – e di una balconata o maenianum da cui si osservavano le gare del Circo. Le due porticus, su due livelli, formavano insieme un quadrato: quello della Roma Quadrata, che coincideva con l’area Apollinis. Il princeps con i Lares e i Penates, il pontifex maximus con Vesta e l’Atena del Palladium e Apollo con Latona e Diana nella aedes formavano un triplice complesso in cui Augusto era il condomino di varie divinità all’interno di un unico e scenografico santuario a terrazze degradanti, sul genere di quelli del Lazio.
L’aedes Apollinis al centro era l’equivalente del Capitolium, mentre i compluvia delle due abitazioni, con i culti simmetrici del Lares/Penates e di Vesta col Palladium, rappresentavano l’equivalente del lucus Vestae, per cui l’intero centro sacrale di Roma, tra Campidoglio e Foro, e lo stesso Palatino romuleo erano riproposti nel microcosmo urbano del palazzo-santuario di Augusto sul Cermalus. Della parte pubblica della casa quasi nulla sappiamo, oltre al culto di Vesta, perché è stata modificata da Claudio e perché si è partiti da essa per innestare nella domus Augusti l’enorme domus Augustiana.
Così la domus Publica di Augusto è stata distrutta e quel che resta è sovrastato da sontuose rovine. Invece della parte privata della casa sappiamo moltissimo, anche se nessuno se ne è accorto. A nord della casa dell’oratore Q. Ortensio Ortalo, affacciate sul clivo Palatino A, erano tre case. Della casa più a sud, separata dalle altre da due strade, ignoriamo il proprietario.
Si entrava da est in un atrium dotato di tablinum e di due sale più strette ai suoi lati, forse triclinia; su un lato era un corridoio di servizio. Sul retro tre stanze, corrispondenti a quelle aperte sull’atrium, forse una exedra centrale e due cubicula, si aprivano su una piccola corte/hortus, dotato di vasca che disponeva di anfore per alloggiare murene; su di essa si aprivano altre sei stanze, forse di servizio.
La casa più a nord, di cui nulla sappiamo, era certamente di Q. Cecilio Metello Celere, console nel 60 a.c. e marito della terribile Clodia, sorella di Clodio il demagogo, nota come Medea Palatina (Cicerone, In difesa di Celio, 18), dalla quale era stato avvelenato nel 59 a.c. Mentre nella sua stanza agonizzava, assistito da Cicerone, batteva con la mano sulla parete che la sua casa aveva in comune con quella di Catulo, per invocare l’aiuto dell’amico. Se i muri potessero parlare!
In posizione intermedia era dunque la casa di Q. Lutazio Catulo, console nel 102 a.c., che l’anno seguente aveva vinto con Mario Cimbri e Teutoni e che aveva eretto alla Fortuna Huiusce Diei la vicina porticus Catuli. Era un poeta e un appassionato delle memorie romulee, fulcro di un circolo letterario a cui partecipava il costosissimo schiavo e grammatico Dafni ch'egli aveva comprato da M. Emilio Scauro, finito suicida nell’87 a.c.. Allora la casa passata a suo figlio, console nel 78 a.c., il ricostruttore del tempio di Giove Capitolino e l’edificatore del c.d. Tabularium, morto nel 61 o nel 60 a.c..
Di questa casa è conservata la parte interrata, dalla quale si ricava per intero la pianta del piano nobile: un vestibulum, dotato di ingresso al seminterrato, immetteva in un atrium tetrastylum con tablinum e sale ai fianchi, forse triclinia, a cui nel seminterrato corrispondeva un atrium testudinatum con altrettante sale. Dietro l’atrium era un atriolum con vestibulum e cubicula ai lati, trasformato poi in peristylium. Al di sotto nel seminterrato erano tredici cellae (ciascuna di mq 7) destinate ai servi. A meridione della casa erano, su due piani, un lungo corridoio e nove stanze, tra le quali, al seminterrato, un triclinium e una cucina o culina.
La casa privata di Augusto ha riutilizzato le due strade, interrate, e le due case più vicine, a partire dall'atrium ridecorato della Catulina domus, dove il liberto ed erudito M. Verrio Flacco, assunto come precettore, farà scuola ai nipoti del princeps Gaio e Lucio Cesari (Svetonio, Vita dei grammatici, 17.2).
Il peristylium è stato allora trasformato in stanze di servizio, una delle quali immetteva nel corridoio sotterraneo che portava alla domus Publica di Augusto pontefice massimo. Vengono riutilizzati e ristrutturati i sette ambienti laterali e uno dei vici seppelliti diventa un corridoio; sopra la casa dell’allevatore di murene e sopra il vicus successivo viene edificato un nuovo peristylium.
Su due lati di questo davano ambienti di servizio, tra cui una culina dotata di bancone; altri ambienti si trovavano al piano superiore, dove dopo il 25 a.c. possono aver vissuto Giulia e Agrippa, genitori dei giovani Cesari. Sul terzo lato, il principale, era una sala lunga e stretta che comunicava sul retro con una exedra. Sopra a questi ultimi due ambienti è ricostruibile lo studio/ laboratorio di Augusto, alto e isolato, chiamato Syracusae (Svetonio, Vita di Augusto, 72.2).
L’exedra e le due coppie di cubicula che aveva ai lati si affacciavano su uno spazio aperto, una corte, che insisteva su una parte della casa che era stata dell’oratore Ortensio e poi di Ottaviano: è il compluvium dei Lares e dei Penates (Svetonio, Vita di Augusto, 92.2), accolti in una aedicula, ben conservata, il cui altare era probabilmente l’ara del Belvedere.
Uno dei suddetti cubicula poteva accogliere la scala, attestata in un rilievo a soggetto dionisiaco di cui conosciamo repliche al Museo Nazionale di Napoli, al Louvre di Parigi e al British Museum di Londra la quale portava allo studio/ laboratorio chiamato Syracusae, la cui immagine esterna è attestata sui citati rilievi.
Il cubiculum accanto alla scaletta, l’unico raggiungibile direttamente dall’atrium, era probabilmente quello nel quale Augusto aveva dormito per oltre quarant’anni (Svetonio, Vita di Augusto, 72.1). Questa stanza distava assai poco (m 27) dalla casa Romuli e dalla fossa/ara della fondazione di Roma. Settecentotrenta anni di distanza fra il re fondatore e il principe rifondatore, ridotti a pochi passi. Riepilogando, la casa privata di Augusto ha occupato due case (di Catulo e dell’allevatore di murene), due strade interrate e parte di un’altra casa (già dell’oratore Ortensio e poi di Ottaviano).
L’atrium, che era stato di Catulo e poi di Augusto, sarà infine di Livia Giulia Augusta, come si legge in una fistula iscritta (cil, xv 7276b), sacerdotessa del culto del divo Augusto, di cui Claudio, figlio del fratello di Tiberio, era flamine. L’atrium sarà utilizzato anche come sede dei sodales Augustales, i sacerdoti del divo Augusto, dal momento che la loro sede di Ercolano era una replica perfetta dell’atrium di Livia.
BIBLIO
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- Andrea Carandini - Angoli di Roma. Guida inconsueta alla città antica - Roma-Bari - Laterza - 2016 -
- Filippo Coarelli - Il Foro Romano. Periodo Arcaico - Roma - 1983 -
- Filippo Coarelli - Il foro boario: dalle origini alla fine della repubblica - Roma 1988 - ed Quasar --
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