TERRACINA ( Lazio )

TEMPIO DI GIOVE ANXUR

LA FONDAZIONE

Secondo una tradizione riportata da Dionigi di Alicarnasso un gruppo di esuli Spartani, fuggiti dalla loro patria, approdarono sulle coste del Tirreno, dove fondarono un villaggio.

Mantennero usanze e costumi originari, come l'uso di far cenare gli ospiti non su una tavola imbandita ma sulla terra nuda, da ciò il nome della città Terra - cena, trasformatosi nel tempo in Terracina.

Ma la storia non ha alcun documento, tanto più che il nome Anxur è nome volsco, mentre la parola latina è coenatio che poco ha a che vedere con cena, e non sta scritto da nessuna parte che gli Spartani cenessero per terra.

"Aneu xuru" (o anxur), per altri significherebbe senza rasoio, che del rasoio non ha ancora bisogno, ovvero Giove fanciullo adorato nel famoso tempio terracinese.

In realtà Giove fanciullo nelle antiche iconografie è allattato dalla antica Dea Iuno (Giunone) che lo tiene sulle ginocchia come la Madonna tiene il Bambinello, assisa su un trono.

E' il bambino, figlio della Grande Madre, che nasce in solstizio d'inverno, muore e risorge in primavera, infatti nel museo Barracco di Roma c'è un busto di Giove Anxur adulto con le corna dell'ariete, insomma è risorto.

Nel racconto di Omero invece Anxur è legato al Circeo, alla maga Circe ed a Ulisse, il che riporterebbe ai Troiani, ma forse già nel VI sec. a.c. Terracina, dapprima centro Ausonio, era legata a Roma, infatti venne menzionata nel primo trattato tra Roma e Cartagine, riportato da Polibio.

Alla fine dello stesso secolo fu però occupata dai Volsci, che le diedero il nome di Anxur, come riporta Plinio. Riconquistata dai Romani nel 406 a.c., fu trasformata nel 329 a.c. in colonia romana, con il nome di "Colonia Anxurna".

Secondo altri il nome sarebbe collegato al vocabolo etrusco Tarchna, dal quale deriva anche il nome dei re di Roma Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo. Il che sembra più convincente come suono, anche se mancano le fonti.



LA CITTA' ROMANA

Alcuni tratti delle mura, a parte le poligonali più arcaiche, sono romane, dopo la conquista della città nel 406 a.c., i Romani ne fecero una “colonia marittima”, nel 329 a.c., cingendola di mura.

Alcuni anni dopo, nel 312 a.c., la città venne attraversata dalla Via Appia che, unendo Roma con Capua, costituiva una importante via militare e commerciale di rapido collegamento soprattutto per la creazione del porto. L’abitato divenne così monumentale con varie domus signorili.

Dopo la ristrutturazione, alla fine del II sec. a.c., dell’area sacra dell’acropoli, si ebbe una trasformazione urbanistica in età sillana, nel I sec. a.c., quando vari monumenti in “opus incertum”, tra cui il teatro, vennero realizzati insieme alla ricostruzione del santuario di Giove Anxur.

Un'ulteriore trasformazione nella prima età imperiale, inizi II e fine I sec. a.c., portò all’edificazione del nuovo foro da parte del magistrato locale A. Aemilius.

Insieme alla piazza, circondata da portici, furono costruiti edifici religiosi e civili di grande imponenza. E' stato infatti invenuto un peristilio con mosaici del II-III secolo d.c. nei pressi del “Capitolium”. Anche la pianura venne urbanizzata, fra il III e il I sec. a.c., lungo la “Via ad Portum”, la strada dall'area agricola della pianura che giungeva al porto di Terracina.

Nella Terracina bassa si ebbe un notevole sviluppo fra il I sec. a.c. e il I sec. d.c. con un secondo foro, il “Foro Severiano”, con l’anfiteatro, di cui rimangono scarsi resti nelle case di Via Martucci, le terme e diversi edifici privati. Traiano poi fece ampliare il porto, di cui ancora oggi si conservano le strutture.

LA VIA ROMANA
Sempre sotto Traiano fu eseguito il taglio del Pisco Montano, un enorme sperone calcareo separato dal Monte Sant'Angelo che sovrasta l'Appia facilitando l'accesso al porto.

Un ultimo significativo intervento si ebbe nei primi decenni del V secolo quando, in occasione delle invasioni barbariche, l’antica cinta volsco-romana fu sostituita da una nuova fortificazione comprendente anche una porzione della città bassa.

Con la riedificazione delle mura urbane, tuttavia, la parte bassa della città doveva essere già in gran parte abbandonata, perchè la nuova cinta muraria racchiuse solo una piccola porzione dell’area, ed esclusivamente per proteggere un tratto dell’Appia. Orazio definì Terracina come "posta su rocce che biancheggiano da lontano", in effetti con gigantesco e bianco tempio di Anxur l'effetto doveva essere sopprendente.




I MONUMENTI


L'ANTICA ACROPOLI

Il centro storico di Terracina sorge su due modeste alture prospicienti il mare: quella più bassa fu sede dell’abitato originario, mentre su quella più in alto venne insediata l’acropoli. Di stampo greco arcaico, come tutte le acropoli, Terracina è fornita di mura poligonali, le famose mura pelasgiche, che secondo alcuni furono gli antichi abitatori della Grecia, prima dell'invasione dorica.



MURA PELASGICHE O POLIGONALI

Le mura pelasgiche invesero molte zone del Mediterraneo, ne troviamo almeno una trentina nel suolo italico, ma anche a Tirinto, a Micene e ad Argo. Definirle romane significa non conoscere la mentalità dei Romani.

Le mura megalitiche sono un mistero, perchè complicate da tagliare e da installare, mentre i Romani, estremamente organizzati e razionali, lavoravano in oppera quadrata e di piccole dimensioni, facili da trasportare e da installare. In realtà della civiltà pelasgica, oggi retrodatata al 1500 circa a.c. non sappiamo nulla, perchè per riunire la gente necessaria a tali megalitici lavori non sono sufficienti le tribù, ma un popolocon una gererchia politica o e religiosa, cosa che non risulta all'apoca. Di certo nessun popolo italico conosciuto era in grado di costruire le megalitiche mura.



TEMPIO DI GIOVE ANXUR

Il monte Sant'Angelo, o monte Giove, per i Romani mons Neptunius, è l'ultima propaggine dei Monti Ausoni, che s'affaccia sul Mar Tirreno, chiudendo a sud la pianura pontina. Sulle sue pendici meridionali era sorto il centro ausonio di Tarracina, poi volsco con il nome di Anxur. Nel 329 a.c. la città divenne colonia romana e nel 312 a.c. il monte fu aggirato alle spalle dal tracciato della nuova via Appia.

A quest'epoca risalgono i primi terrazzamenti in opera poligonale, per l'erezione di un primo santuario, probabilmente legato al culto oracolare.

Alla seconda metà del II secolo a.c. si deve un rifacimento con una serie di ambienti addossati alla roccia a monte, detti il "piccolo tempio".

In epoca sillana, inizi I sec. a.c., ci fu una monumentale ricostruzione, sia della cinta muraria e campo militare per il controllo del passaggio della via Appia, sia del tempio, edificato su un terrazzamento in opera incerta, con portico retrostante.

L'identificazione della divinità del tempio con Iuppiter Anxurus è oggi messa in dubbio dal ritrovamento di iscrizioni con dedica alla Dea Venere, probabilmente di età sillana. Il santuario più antico, dedicato al culto della Dea Feronia, forse introdotto dai Volsci nel V sec. a.c., è ricordato dalle fonti antiche.

Il tempio alla Dea Feronia, costruito sulla terrazza del "piccolo tempio" del II sec. a.c., dominava la città e la pianura, mentre la terrazza, trasformata poi in tempio, doveva essere riservata all'oracolo.
La cinta muraria costruita a nord del santuario come sbarramento della via Appia, servì forse a contrastare Silla che marciava verso Roma (83 a.c.) durante la guerra con Mario. Fu probabilmente lo stesso Silla a ristrutturare il santuario, aggiungendovi il tempio dedicato a Venere, cui era molto devoto.

Il santuario, giunto fino a noi nel rifacimento di epoca sillana, comprende una terrazza superiore ("campo trincerato") con uso prevalentemente militare, e una terrazza inferiore, col grande tempio e il santuario oracolare.

Verso ovest una terza terrazza ("piccolo tempio") aveva una serie di camere a volta, con affreschi coperti o distrutti dal subentrato convento di San Michele Arcangelo.

La zona militare, con cinta di mura e nove torri circolari proteggeva il santuario. Era costituito da un portico su tre lati di un piazzale aperto a sud, con un camminamento di ronda e una serie di cisterne collegate. All'angolo sud-ovest del piazzale si trova un piccolo tempio in antis, con cella preceduta da due colonne tra i prolungamenti del muro della cella.

Sulla grande sostruzione inferiore sorgeva il grande tempio (18,70 x 32,58 m), con orientamento diverso dalla terrazza, cioè a sud. L'edificio sorgeva su un alto podio, con una scalinata frontale di dodici scalini, che ospitava al centro l'altare. Il pronao, profondo quasi quanto la cella, aveva sei colonne corinzie in calcare sulla fronte e quattro sui lati.


TEMPIO DI GIOVE ANXUR

La cella, a pianta quasi quadrata (14,10 x 13,60 m), aveva all'esterno sei semicolonne sui fianchi e sei sul retro, in muratura stuccata, addossate alle pareti. All'interno era un mosaico in tessere bianche bordato da una fascia nera, e sul fondo stava il podio per la divinità.

Alle spalle del tempio la terrazza, ricavata in parte nella roccia, era chiusa a nord da un portico rivolto a sud, addossato alla roccia e sopraelevato con tre gradini con un colonnato, forse corinzio. L'interno doveva essere dipinto e costituiva luogo di sosta per i pellegrini.

Sul fianco occidentale del tempio si trovava il santuario oracolare: una roccia naturale isolata, con cavità all'interno collegate tra loro, che permettevano di far arrivare il soffio di aria all'esterno.

La roccia fu rivestita da un basamento quadrangolare in opera incerta, che sosteneva un'edicola con quattro colonnine in laterizio con capitelli ionici in travertino.

Ai piedi della roccia era stata scavata una fossa, in cui si rinvennero offerte votive in piombo. Ricordiamo che già gli Etruschi usavano arredi di piombo per usi rituali, perchè di basso costo e inadatti ad altri usi per la cedevolezza del metallo.

Il santuario oracolare, che doveva richiamare un'infinità di pellegrini paganti, era chiuso da un muro e accessibile solo dall'estremità del portico.

Di solito gli oracoli risalgono ad epoche arcaiche, dove gli oracolanti, in genere donne, vivevano segregati dalla società civile per seguire l'ispirazione degli Dei.

Dalla terrazza sul lato est una scala permette di raggiungere i tre ambienti coperti a volta al livello inferiore, che accedono alla facciata del basamento della terrazza, con dodici arcate che danno accesso ad altrettanti ambienti coperti da volte a botte e collegati da alti passaggi arcuati.

Sul fondo alternativamente porte e finestre davano verso un lungo corridoio largo circa 3,50 m anch'esso coperto a volta e rivestito da intonaco.
Alle spalle del corridoio una grotta naturale, probabilmente collegata al santuario oracolare. Nella parte più alta della terrazza, verso ovest, un muro di sostruzione in opera poligonale del santuario più antico, con due terrazzamenti a livelli diversi.

IL PICCOLO TEMPIO

II PICCOLO TEMPIO

La via conduce a un terrazzamento con nove ambienti in opera incerta e voltati, con arcate allungate e avancorpi più sporgenti. Gli ambienti comunicano tra loro con passaggi arcuati e si aprono all'esterno con ampie arcate. Conservano tracce di affreschi in I stile pompeiano, con stucchi e dipinti imitanti il marmo, del II sec. a.c..

Alle spalle di questi ambienti si apre un corridoio a volta, in parte crollato. Alle spalle si aprono tre cisterne, e nella parte superiore della terrazza resta traccia di un ambiente con pavimento in mosaico bianco e nero.

Chi ha avuto la ventura di visitarlo lo troverà indimenticabile, per la sua terrazza a picco sul mare su cui sporge come uno sperone gigantesco, che pare sospeso tra cielo e terra. Non c'è da stupirsi che il luogo era sacro, perchè qui la natura, tra il mare sconfinato sotto e i verdi monti attorno appare come una dimora degli Dei.

IL TEATRO

IL TEATRO

Il teatro romano di Terracina è uno dei pochi rimasti dell'antico mondo romano, al centro delle città, occupando infatti il versante settentrionale dell’antico Foro Emiliano. La sua costruzione avvenne sotto Lucio Cornelio Silla, intorno al 70-60 a.c., in seguito rinnovato e abbellito sotto Augusto (27 a.c.-14 d.c.) con profusione di marmi pregiati. La sua unicità deriva anche dal fatto che sorgeva vicino all'antica Regina viarum, cioè la Via Appia Antica, pertanto accessibile a molti vicus e città vicine.

Del grandioso teatro e relativo portico dietro la scena, decorato da sculture, opere d’arte e iscrizioni, sono stati riportati in luce ampi settori: 

- il versante orientale della cavea con le gradinate in blocchi di calcare degli ordini inferiore e medio; 
- parte del piano dell’orchestra, rivestito di marmi colorati; 
- l’edifico della scena, con i muri di sostegno del palcoscenico ed elementi architettonici dei due ordini del prospetto; 
- i due ambulacri di accesso; 
- resti del quadriportico tra il teatro e la piazza forense, con pavimentazione a lastre marmoree e numerosi elementi del colonnato. reperti (statue, ritratti, affreschi, materiali architettonici, epigrafi) tuttora in corso di studio, facenti parte dell’assetto strutturale e dell’apparato decorativo di un impianto teatrale tra i più antichi e meglio conservati del Lazio.

CAVEA E ACCESSO LATERALE

Ecco le sedute della cavea, dove prendevano posto gli spettatori, e una delle uscite laterali attraverso le quali si accedeva all’orchestra, lo spazio centrale riservato al coro. Sembra che il teatro potesse contenere circa 4000 persone.

Il tribunal era il corridoio mediante il quale si accedeva all’orchestra e alla cavea, con le strutture sottostanti del pulpitum e del palcoscenico, che per la prima volta assume una maggiore profondità, atta a rendere possibile l’utilizzo di un sipario e di conseguenza una netta separazione dalla cavea. C'era poi l’ambulatio che era l’accesso dall’esterno alla struttura del teatro, attraverso il quale ci si immetteva nel corridoio che dava sull’orchestra e sulla cavea. 


La scena (scaena), costruzione a pianta allungata, disposta perpendicolarmente all’asse della cavea, era situata ad un livello più alto dell’orchestra, con la quale comunicava mediante scale. Il pulpitum (palcoscenico) ne costituisce un elemento. Le gradinate semicircolari della cavea poggiano ora su archi e volte in muratura, e sono collegate alla scena con loggiati laterali. 

Questo permette all’edificio del teatro una collocazione autonoma e più flessibile e di dotarsi di una facciata esterna ornata e monumentale. La facciata della scena viene innalzata a numerosi piani e decorata. Sono visibili i resti delle colonne che sostenevano il proscenio. L’edificio retrostante è la palazzina che una volta demolita consente la ripresa dei lavori al cantiere sia del Comune che alla Soprintendenza ai Beni monumentali.

RESTI DEL FORO EMILIANO

FORO EMILIANO

Tra la fine del I sec. a.c. e gli inizi del I sec. d.c. si ebbe la ricostruzione del "Foro Emiliano", che fu pavimentato da un magistrato locale della famiglia degli Aemilii e dotato di portici e di nuovi edifici civili e religiosi.

La sua pavimentazione è ancora quella antica, eseguita per iniziativa e a spese di un Aulo Emilio figlio di Aulo, come testimonia l'iscrizione:

A(ulus) Aemilianus A(uli) E(ilius) Strav[t ..]
incisa in grandi lettere di bronzo, oggi mancanti, alte 30 cm e inseriti su lastroni rettangolari di pietra grigio chiara.

Purtroppo il foro ha sofferto per le costruzioni abusive e i bombardamenti dell'ultima guerra per cui si è operato e si opera con gli scavi per riportarlo quanto è possibile allo stato originario. La ricostruzione qui a fianco permette di illustrarne la grandiosità e la monumentalità, degna di una grande Urbe Romana.

A nord la distruzione del palazzo del municipio ha riportato alla luce circa 25 m del lastricato romano della Via Appia, decumano della città.

A sud la rimozione di vari edifici ha ritrovato la cunetta marginale di scolo delle acque, un breve ripiano, tre gradoni per l'altezza di 95 cm, poi ancora un ripiano, limitato da un muretto alto 60 cm, e un secondo più ampio ripiano in corrispondenza del sommo della volta delle gallerie di sostruzione del foro.

Pertanto il foro misurava m 83,46 x 33,32. La Via Appia, larga m. 4,12, dal lato del foro è difesa da paracarri e dal lato verso monte ha un marciapiede in lastroni di pietra che coprono la fogna romana per la raccolta delle acque di pioggia e delle acque luride.

Delle tre gallerie del foro le due più esterne sono intercomunicanti e divise da un muro sostenuto da pilastri. Il taglio di Pisco Montano rappresenta una delle più notevoli opere di ingegneria eseguite per facilitare il passaggio della via Appia. A Terracina la via Appia raggiungeva per la prima volta il mare, come osservò giustamente Strabone.

TAGLIO DEL PISCO MONTANO


TAGLIO DEL PISCO MONTANO

All'epoca di Traiano si deve il grandioso taglio del Pisco Montano per un altezza di 128 piedi romani (37,88 m), che permise il nuovo tracciato della via Appia, e la ricostruzione del porto.

Il taglio della rupe di Pisco Montano fu un’opera imponente: oltre 13.000 mc. di roccia furono asportati. Per un’altezza 128 piedi (= m. 38) e per una lunghezza di 1000 piedi (= m. 296). Ad Anxur l'Appia era costretta a percorrere uno stretto passaggio sulla costa, condizionato dalle mareggiate, a causa di un alta rupe, il Pisco Montano.

TAGLIO DI TERRACINA  - ACQUAFORTE DEL 1819
Traiano fece tagliare il fianco della rupe, alta circa 38 metri. Lo spazio così ottenuto permise di deviare la sede stradale e consentire un più agevole transito.

Tanto lavoro per evitare la salita a Piazza Palatina e per accorciare il percorso della Via Appia di appena un miglio. Sembra assurdo ma invece aveva precise ragioni.

I romani vincevano sui nemici per la loro perfetta organizzazione che gli permetteva di essere molto più veloci dei loro avversari.

Il trasferimento delle truppe e i loro rifornimenti di cibo, di armi, di animali e di meccanismi difensivi o di assalto, dipendevano dal tempo che impiegavano ad attraversare i territori.

Per essere vittoriosi dovevano arrivare prima, col tempo di innalzare un accampamento e preparare l'armamento. Poter precedere i loro avversari era già mezza vittoria: un miglio guadagnato era la possibilità di avere almeno il tempo di scegliere il terreno e potersi schierare in assetto di battaglia.

Esso conserva i cartelli incisi con l’indicazione, in cifre romane, dell’altezza progressivamente raggiunta. Agli inizi del V secolo, l'ultimo intervento cittadino riguarda l'erezione di una nuova cinta di mura che racchiuse anche parte della città bassa.



LA DECADENZA

Dopo l'epoca romana il santuario fu distrutto e incendiato e i resti furono noti in epoca medioevale con il nome di "Palazzo di Teodorico". Nell'alto Medioevo nella zona del cosiddetto "piccolo tempio" si insediò un monastero dedicato a San Michele Arcangelo, cambiando il nome del colle nonchè snaturando la bellezza del grandioso reperto storico.

Un corridoio interno di sostruzione fu trasformato in chiesa, con affreschi del IX secolo che coprirono quelli antichi.

Altre strutture medioevali (resti di una torre quadrata e di mura di recinzione e tracce di frequentazione del XIII secolo) testimoniano la continuazione dell'uso militare della sommità del colle.

L'area venne definitivamente abbandonata alla fine del XVI secolo, con lo spopolamento della città di Terracina.
Al 1894 risalgono i primi scavi, condotti dallo studioso locale Pio Capponi, seguiti da altri scavi di Luigi Borsari nel 1896.



INCREDIBILE RITROVAMENTO A TERRACINA

È emersa per caso durante i saggi per la costruzione di serbatoi per un distributore di benzina la Diana di Terracina: risale probabilmente al I o al II secolo a.c. ed è vestita di un corto chitone, di un mantello arrotolato intorno ai fianchi e della faretra per le frecce, come prescrive l’iconografia classica della dea cacciatrice. Duemila anni portati ottimamente, nonostante la testa staccata dal tronco e gli arti parzialmente mutilati.

La scultura faceva parte del calidarium di un vasto complesso termale, di cui durante gli stessi scavi sono state ritrovate due sale lastricate di marmi provenienti da ogni parte dell’Impero, una grande vasca, pavimenti e iscrizioni di età imperiale, tutto in eccellente stato di conservazione. Nel 2000 ricerche condotte su un’area attigua avevano dato alla luce un ambiente destinato ai bagni d’acqua fredda, appartenente alle stesse terme, e la statua di una divinità giovanile identificabile con Giove Anxur.

 Le scoperte confermano il valore archeologico dell’area di Terracina, già nota per la presenza del tempio di Giove e del Foro Emiliano. Identificata da alcuni con la sede della maga Circe o con il paese dei Lestrigoni descritti nell’Odissea, la cittadina della costa laziale dovette la sua fortuna alla costruzione della via Appia (312 a.c.), che ne determinò l’espansione oltre il nucleo originario situato in posizione sopraelevata.

Sorpresi dalla ricchezza dei ritrovamenti, archeologi e istituzioni sono decisi a proseguire nelle ricerche, per arrivare a definire le dimensioni e la struttura non solo delle terme, ma anche del quartiere romano di Terracina Bassa, decentrato rispetto a ogni area esplorata in precedenza.


BIBLIO

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- N. Cassieri - Terracina: ricerche nell'area del teatro romano - Studi in onore di Arturo Bianchini - Atti del 3º Convegno di studi storici sul territorio della provincia - Formia - 1998 -
- M. Barbera - I crepundia di Terracina: analisi e interpretazione di un dono - Bollettino di Archeologia - 1991 -
- V. Grossi - La Porta Romana di Terracina. Origine e trasformazione dell'ultima porta urbica della città storica - Comune di Terracina - 2009 -

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