Tacito:
"In quei giorni Lepido chiese al Senato di restaurare e adornare a proprie spese la Basilica di Paolus, il maggior monumento della gens degli Aemilii. Era ancora in uso a quei tempi la pratica della munificenza pubblica da parte dei cittadini privati. Seguendo tale esempio Lepido fece rivivere lo splendore degli avi, sebbene la sua fortuna fosse modesta."
La Basilica Emilia è l'unica rimasta delle basiliche repubblicane: Sempronia, Porcia ed Opimia di cui non resta quasi traccia. La Basilica Iulia, immediatamente successiva, è infatti di era imperiale, anche se in realtà Cesare non fu mai imperatore. L’edificio doveva essere decorato con un fregio raffigurante le origini di Roma. I resti della basilica più antica in opera quadrata di tufo di Grotta Oscura sono ancora visibili sul lato ovest.
Le basiliche, diffuse in Italia a partire dalla II guerra punica e di chiara ispirazione ellenica, corrispondevano un po' alla Borsa e al Tribunale odierni insieme, senza alcuna connotazione religiosa.
Il termine verrà poi importato dal cattolicesimo per indicare gli edifici di culto più grandi e importanti, senza alcuna aderenza all'uso romano.
Che nelle basiliche, come è stato da taluni descritto, si riunissero congregazioni religiose è completamente falso e aldilà del concetto religioso romano.
I Romani svolgevano i loro riti all'aperto, sull'ara sottostante al tempio, e le celle erano piccole e adibite solo elle immagini sacre, agli arredi e agli utensili dei sacerdoti.
Le riunioni dei fedeli avvenivano solo in caso di Sacri Misteri, ma sempre in luoghi privati, mai pubblici, perchè sarebbero stati visti come un'invasione di campo, visto che nelle basiliche c'era di tutto , compreso vocio e viavai continuo di gente.
La basilica veniva usata soprattutto in inverno, per le attività connesse al Foro, ai tribunali e alle operazioni economiche che in estate avvenivano all’aperto. I Romani amavano stare all'aperto nella stagione calda, anche perchè in estate usufruivano dei portici, di cui erano munite tutte le piazze principali, che riparavano dal sole e permettevano la ventilazione.
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Insomma i Romani preferivano la vita all'aperto, ed entravano nelle basiliche solo se necessario quando faceva molto freddo.
La Basilica Emilia fu innalzata nel 179 a.c., a un piano unico, ad opera di Fulvio Flavio Nobiliare, si che all’inizio fu chiamata basilica Flavia, ed anche da Marco Emilio Lepido, entrambi censori. Il fatto però che fosse pagata del tutto o soprattutto da Emilio Lepido fece si che il senato decidesse di dare a Marco l'onore dell'intestazione,
onore non indifferente per la pubblicità necessaria in caso di elezione politica. Venne edificata al posto di una più antica del III secolo a.c. e dal nome dei suoi ordinanti venne chiamata basilica Fulvia o Emilia e Fulvia.
ROBERTO LANCIANI
« Dovremo fissare questa basilica al lato destro del tempio di Antonino e Faustina, ove la mette Lucio Fauno, e indubitatamente il Nardini; checché si dica il Marliani (lib. II, cap. 9) il quale vorrebbe ritrovarvi il tempio di Castore e Polluce: ma conviene col Fauno, che giorni prima del sacco di Roma nel 152 7, vi si sono vedute cavare gran colonne con tavole marmoree ed altre simili opere antiche ».
( Fea, Framm. di Fasti, p. XV. )
Il nome attuale deriva dalla gens Emilia, che si occupò dei numerosi restauri di cui necessitava e che continuarono dal 78 a.c. al 22 d.c. sotto Tiberio.
L’ultimo restauro avvenne dopo un incendio, identificato attraverso delle monete parzialmente fuse rinvenute all’interno, con quello del 410 d.c. seguito al sacco di Alarico.
Il tipo di costruzione deriva probabilmente dagli edifici ipostili ellenistici, mentre il nome “basilica” deriva probabilmente dalla grecizzazione del latino atrium Regium, l’edificio arcaico che occupava precedentemente la zona.
Il materiale usato furono tufo, pietra vulcanica locale e travertino di Tivoli. All'inizio del I sec. a.c., da un piano unico su cui si svolgeva, venne articolata su due piani.
Dopo i vari restauri dovuti ai membri della gens Aemilia, nel 78, 54 e 34, ve ne fu uno grandioso, dispendioso e sostanziale nel 14 a.c., sotto Augusto, rifatto in marmo pregiato lunense. Il pavimento della navata centrale era in preziosi marmi policromi, e le due navate laterali in marmo bianco.
I due ordini interni avevano colonne in marmo africano, quelle inferiori con capitelli ionici e le superiori con capitelli corinzi.
Sulle pareti interne ricoperte di marmi, vi erano ampi rilievi in marmo pentelico mentre all'esterno l'attico era coperto da bassorilievi e, al centro delle lastre applicate sul parapetto, c'erano immagini degli esponenti sia della gens
Augusta che della gens Aemilia, affiancate da monumentali colonne.
Così l’edificio era preceduto a sud da una facciata a due ordini sovrapposti di sedici arcate su pilastri con semicolonne, sostituito in seguito all’incendio del 410 con un colonnato molto più fitto.
Tre di queste colonne granitiche sono state in seguito poste sul lato est, assieme ad una grande iscrizione dedicata a Lucio Cesare e ai frammenti di un’altra, per il fratello Gaio. Ambedue queste iscrizioni dovevano appartenere ad un monumento (porticus) dedicato ai due futuri eredi di Augusto, probabilmente collegato all’arco Partico dell’imperatore.
Dietro il portico si aprivano ambienti con struttura quadrata in tufo, le tabernae novae, legate poi alle tabernae argentariae d’origine imperiale, destinate ai banchieri, dietro cui si innalzava la basilica. sembra però che le tabernae fossero anche usate come punti di vendita e di ristoro.
Ciò coincide molto con lo stile di vita dei Romani, uno stile comodo e gaudente, per cui dove si riuniva la folla si acquartieravano negozi per cibo e bevande, o spuntini, ma anche di vestiti, soprammobili, gioielli, nastri, ornamenti, cappelli, sandali, ombrellini, profumi e belletti, insomma tutto ciò che dava il gusto della passeggiata al monumentale centro cittadino.
L’ingresso all’area più estesa e importante della basilica, una sala di m 90 x 29, si apriva all'esterno con tre grandi arcate, mentre all'interno era composta da quattro navate, suddivise da tre ordini di colonne in marmo africano, tutte pertinenti al restauro augusteo.
La navata centrale era molto più larga delle altre e su un livello superiore per una migliore illuminazione.
Originariamente, il bellissimo fregio marmoreo di età augustea, era posto sull’architrave della navata principale, oggi spostato nella Basilica Iulia sul lato di nord est, ma si tratta di un calco, perchè il fregio originale è conservato nell’Antiquarium.
Si tratta di un pregevolissimo bassorilievo a continuum, una serie di scene con personaggi legati alle mitiche origini di Roma, affinchè i Romani non dimenticassero mai chi furono, alimentando così l'orgoglio e l'amor di patria.
Tra i rilievi la fuga di Enea da Troia, la scena del Lupercale con la lupa che allatta i gemelli, l'accorato addio al pastore da parte di Romolo, la fondazione e l’innalzamento delle mura dell'Urbe, il Ratto delle Sabine e la punizione di Tarpea per il suo tradimento.
Altri fregi rievocavano le imprese della gens Aemilia, sempre per la gloria della gens e per celebrazione pubblicitaria. Questi pannelli, ricomposti mirabilmente pezzo a pezzo, sono ora conservati e visibili al pubblico nella Basilica Iulia.
Questo fregio della volta dimostra con quanta perfezione e ricercatezza si ornasse la basilica e gli edifici pubblici del tempo, nonchè quanta gente specializzata venisse chiamata ad abbellire la città eterna, prima greci, poi grazie alle numerose botteghe piene di apprendisti, anche romani.
Ogni cassettone aveva un fiore, anzi fiori diversi, con rifiniture, foglie, petali e scanalature ogni volta diversi ed anche inediti, che venivano poi copiati da altri.
Alla ricostruzione augustea dopo l'incendio che lo devastò e ne rese necessaria la ricostruzione nel 14 a.c. Augusto a Roma e non solo, pose il marmo al posto del legno, e ricoprì di marmo ogni mattone.
Prova ne sia che il pavimento sottostante alla pavimentazione ricchissima e augustea, di marmi policromi in pregiata opus sectile, cioè a intarsi marmorei di vari colori, mostra chiari segni dell'ncendio che ha spaccato e annerito le lastre del plancito.
La decorazione più ricca era riservata ai pannelli della navata centrale, meno curata sulle navate laterali. Particolare molto interessante è che, poichè i pannelli erano posti a circa tre m dal suolo, si tenne conto della prospettiva di chi guardava da terra, affinchè non vedesse figure eccessivamente larghe sotto e rastremate sopra.
Ad ovest, al di sotto di una tettoia e a livello inferiore, sono invece visibili i frammenti della vecchia basilica in mattoni quadrati di tufo di Grotta Oscura.
Il nome attuale deriva dalla gens Emilia, che si occupò dei numerosi restauri di cui necessitava e che continuarono dal 78 a.c. al 22 d.c. sotto Tiberio.
L’ultimo restauro avvenne dopo un incendio, identificato attraverso delle monete parzialmente fuse rinvenute all’interno, con quello del 410 d.c. seguito al sacco di Alarico.
Il tipo di costruzione deriva probabilmente dagli edifici ipostili ellenistici, mentre il nome “basilica” deriva probabilmente dalla grecizzazione del latino atrium Regium, l’edificio arcaico che occupava precedentemente la zona.
Il materiale usato furono tufo, pietra vulcanica locale e travertino di Tivoli. All'inizio del I sec. a.c., da un piano unico su cui si svolgeva, venne articolata su due piani.
Dopo i vari restauri dovuti ai membri della gens Aemilia, nel 78, 54 e 34, ve ne fu uno grandioso, dispendioso e sostanziale nel 14 a.c., sotto Augusto, rifatto in marmo pregiato lunense. Il pavimento della navata centrale era in preziosi marmi policromi, e le due navate laterali in marmo bianco.
I due ordini interni avevano colonne in marmo africano, quelle inferiori con capitelli ionici e le superiori con capitelli corinzi.
Sulle pareti interne ricoperte di marmi, vi erano ampi rilievi in marmo pentelico mentre all'esterno l'attico era coperto da bassorilievi e, al centro delle lastre applicate sul parapetto, c'erano immagini degli esponenti sia della gens
Augusta che della gens Aemilia, affiancate da monumentali colonne.
Così l’edificio era preceduto a sud da una facciata a due ordini sovrapposti di sedici arcate su pilastri con semicolonne, sostituito in seguito all’incendio del 410 con un colonnato molto più fitto.
Tre di queste colonne granitiche sono state in seguito poste sul lato est, assieme ad una grande iscrizione dedicata a Lucio Cesare e ai frammenti di un’altra, per il fratello Gaio. Ambedue queste iscrizioni dovevano appartenere ad un monumento (porticus) dedicato ai due futuri eredi di Augusto, probabilmente collegato all’arco Partico dell’imperatore.
Dietro il portico si aprivano ambienti con struttura quadrata in tufo, le tabernae novae, legate poi alle tabernae argentariae d’origine imperiale, destinate ai banchieri, dietro cui si innalzava la basilica. sembra però che le tabernae fossero anche usate come punti di vendita e di ristoro.
Ciò coincide molto con lo stile di vita dei Romani, uno stile comodo e gaudente, per cui dove si riuniva la folla si acquartieravano negozi per cibo e bevande, o spuntini, ma anche di vestiti, soprammobili, gioielli, nastri, ornamenti, cappelli, sandali, ombrellini, profumi e belletti, insomma tutto ciò che dava il gusto della passeggiata al monumentale centro cittadino.
L’ingresso all’area più estesa e importante della basilica, una sala di m 90 x 29, si apriva all'esterno con tre grandi arcate, mentre all'interno era composta da quattro navate, suddivise da tre ordini di colonne in marmo africano, tutte pertinenti al restauro augusteo.
La navata centrale era molto più larga delle altre e su un livello superiore per una migliore illuminazione.
Originariamente, il bellissimo fregio marmoreo di età augustea, era posto sull’architrave della navata principale, oggi spostato nella Basilica Iulia sul lato di nord est, ma si tratta di un calco, perchè il fregio originale è conservato nell’Antiquarium.
Si tratta di un pregevolissimo bassorilievo a continuum, una serie di scene con personaggi legati alle mitiche origini di Roma, affinchè i Romani non dimenticassero mai chi furono, alimentando così l'orgoglio e l'amor di patria.
ALCUNI RESTI ODIERNI |
Altri fregi rievocavano le imprese della gens Aemilia, sempre per la gloria della gens e per celebrazione pubblicitaria. Questi pannelli, ricomposti mirabilmente pezzo a pezzo, sono ora conservati e visibili al pubblico nella Basilica Iulia.
Questo fregio della volta dimostra con quanta perfezione e ricercatezza si ornasse la basilica e gli edifici pubblici del tempo, nonchè quanta gente specializzata venisse chiamata ad abbellire la città eterna, prima greci, poi grazie alle numerose botteghe piene di apprendisti, anche romani.
Ogni cassettone aveva un fiore, anzi fiori diversi, con rifiniture, foglie, petali e scanalature ogni volta diversi ed anche inediti, che venivano poi copiati da altri.
Alla ricostruzione augustea dopo l'incendio che lo devastò e ne rese necessaria la ricostruzione nel 14 a.c. Augusto a Roma e non solo, pose il marmo al posto del legno, e ricoprì di marmo ogni mattone.
Prova ne sia che il pavimento sottostante alla pavimentazione ricchissima e augustea, di marmi policromi in pregiata opus sectile, cioè a intarsi marmorei di vari colori, mostra chiari segni dell'ncendio che ha spaccato e annerito le lastre del plancito.
La decorazione più ricca era riservata ai pannelli della navata centrale, meno curata sulle navate laterali. Particolare molto interessante è che, poichè i pannelli erano posti a circa tre m dal suolo, si tenne conto della prospettiva di chi guardava da terra, affinchè non vedesse figure eccessivamente larghe sotto e rastremate sopra.
Ad ovest, al di sotto di una tettoia e a livello inferiore, sono invece visibili i frammenti della vecchia basilica in mattoni quadrati di tufo di Grotta Oscura.
Sotto l’imperatore Carino subì un incendio e nel 283 venne restaurata.
Probabilmente durante il sacco di Roma nel 410 ad opera del vandalo Alarico la basilica fu distrutta da uno spaventoso incendio nel quale le monete dei banchi dei cambiavalute che dovevano aver sede nell’edificio furono fuse sul pavimento di marmo e sono tutt’ora visibili.
Probabilmente durante il sacco di Roma nel 410 ad opera del vandalo Alarico la basilica fu distrutta da uno spaventoso incendio nel quale le monete dei banchi dei cambiavalute che dovevano aver sede nell’edificio furono fuse sul pavimento di marmo e sono tutt’ora visibili.
Una parte del portico augusteo era ancora intatto nel cinquecento e il suo ordine dorico fu imitato nella chiesa di San Biagio a Montepulciano da Antonio Sangallo il Vecchio. Gli ultimi resti furono distrutti per la costruzione del palazzo Torlonia che sorgeva in via della Conciliazione.
La Basilica degli Emili fu scavata negli anni trenta del novecento e fu in parte rimontata sfruttando i resti delle colonne tardo–imperiali ritrovate.
"Quello che è mancato è un dibattito pubblico su questo modo di procedere che consentisse anche ai non coinvolti dal progetto di esprimere un’opinione. Di restauro non invasivo e colonne da rialzare al Foro si parla da decenni.
Nel 2011 l’architetto Sandro Maccallini, con un gruppo di professioni di alto livello, dal professor Mario Docci, a Giovanni Calabresi, Pio Baldi e Claudio Strinati - al quale ha intensamente collaborato fino alla sua scomparsa anche Paolo Marconi - ha inutilmente promosso un progetto per rialzare una decina di colonne di marmo africano nella basilica Emilia, rivolgendosi sia al Ministero, sia al Campidoglio."
Il progetto sulla Basilica Emilia mai decollato - 2015
Nel 2011 l’architetto Sandro Maccallini, con un gruppo di professioni di alto livello, dal professor Mario Docci, a Giovanni Calabresi, Pio Baldi e Claudio Strinati - al quale ha intensamente collaborato fino alla sua scomparsa anche Paolo Marconi - ha inutilmente promosso un progetto per rialzare una decina di colonne di marmo africano nella basilica Emilia, rivolgendosi sia al Ministero, sia al Campidoglio."
Noi italiani all'estero tiriamo su i monumenti romani altrui e tutti corrono a vederlo, ma in patria lasciamo tutte rovine, fregandocene delle origini dei monumenti e del turismo che richiamerebbero. Il turismo dà soldi per vivere ma anche per mantenere i suddetti monumenti ed evitare che cadano a pezzi, come non di rado succede.
BIBLIO
- Livio - Ab Urbe condita libri - XXXIX -
- Flaminio Vacca - Memorie di varie antichità trovate in diversi luoghi della città di Roma - 1594 -
- Filippo Coarelli - Storia dell'arte romana. Le origini di Roma - Milano - ed. Jaca Book -
- Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari - I tempi dell'arte - volume 1 - Bompiani - Milano - 1999 -
- Rodolfo Lanciani - Ancient Rome in the Lights of Recent Discoveries - Boston - New York - Houghton - Mifflin and Co. - 1888 - L'antica Roma - Roma - Newton e Compton - 2005 -
BIBLIO
- Livio - Ab Urbe condita libri - XXXIX -
- Flaminio Vacca - Memorie di varie antichità trovate in diversi luoghi della città di Roma - 1594 -
- Filippo Coarelli - Storia dell'arte romana. Le origini di Roma - Milano - ed. Jaca Book -
- Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari - I tempi dell'arte - volume 1 - Bompiani - Milano - 1999 -
- Rodolfo Lanciani - Ancient Rome in the Lights of Recent Discoveries - Boston - New York - Houghton - Mifflin and Co. - 1888 - L'antica Roma - Roma - Newton e Compton - 2005 -
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