Mircea Eliade:
"Chi, fra i Greci, poteva vantarsi di conoscere i nomi di tutte le ninfe? Erano le divinità di tutte le acque correnti, di tutte le sorgenti, di tutte le fonti. Non le ha prodotte l'immaginazione ellenica: erano al loro posto, nelle acque, fin dal principio del mondo; dai greci ricevettero forse la forma umana e il nome. Sono state create allo scorrere vivo dell'acqua, dalla sua magia, dalla forza che ne emanava, dal mormorio delle acque. I Greci, al più, le hanno staccate dall'elemento con cui si confondevano. Una volta staccate, personificate, investite di tutti i prestigi acquatici, hanno acquisito una leggenda.
Le ninfe sono per solito madri degli eroi locali; divinità secondarie di certi luoghi, gli uomini le conoscono bene e offrono loro culto e sacrifici. Le più celebri sono le sorelle di Teti, le Nereidi, o le Oceanidi, come le chiamava Esiodo. Le altre ninfe sono in maggioranza divinità delle fonti.
Ma abitano anche le caverne piene di umidità. La " grotta delle ninfe" era diventata un luogo comune nella letteratura ellenistica. Le ninfe, appena personificate, intervengono nella vita umana. Sono divinità della nascita e allevano i bambini, insegnano loro a diventare eroi.
Quasi tutti gli eroi greci sono stati allevati o dalle ninfe o dai centauri, cioè da esseri sovrumani, che partecipano alle forze della natura e le dominano. L'iniziazione eroica non è mai " familiare"; in generale non è neppure " civica ", non avviene entro la città, ma nella foresta e nella macchia.
Per questo, insieme alla venerazione per le ninfe, troviamo anche la paura delle ninfe. Spesso le ninfe rubano i bambini; qualche volta li uccidono per gelosia. Le ninfe sono poi pericolose a mezzo il giorno, al colmo del caldo, turbano lo spirito di chi le vede. Chi le scorge è in preda a un entusiasmo ninfoleptico; cosi Tiresia, che vede Pallade e Chariclo, o Atteone che sorprende Artemis con le sue ninfe.
Per questo si raccomandava di non accostarsi, sul mezzogiorno, alle fontane, alle sorgenti, ai corsi d'acqua o all'ombra di certi alberi. Una superstizione più tarda parla della follia vaticinante che colpisce chi scorge una forma uscire dalle acque: speciem quondam e fonte, id est effigiem Nymphae. In tutte queste credenze persiste la virtù profetica delle acque, ma soprattutto il sentimento ambivalente di paura e di attrazione verso le acque."
LE NINFE IN GRECIA
Le Ninfe non ebbero un culto organizzato, tanto che veniva loro tributato all'aperto un'aspersione di latte, di miele, di vino e a volte dei fiori, tuttavia furono onorate molto a lungo, anche durante il Cristianesimo. Sulla testa portavano un diadema chiamato "ninfale". Erano sempre belle, innocentemente nude o ricoperte da leggeri veli, con ghirlande di fiori o fiori tra i capelli, danzavano, correvano, si nascondevano o amoreggiavano talvolta con satiri o uomini.
Gli antichi suddividevano le Ninfe in diverse classi:
- NAIADI - Ninfe di acque dolci, delle acque sorgive, dei fiumi, dei laghi, delle fonti e delle cascate. In genere dotate di poteri benefici. Rapirono e tennero presso di sé Ila, il giovane amato da Eracle. Fanciulle dall'aspetto bellissimo, spesso figlie di Zeus o discendenti di Oceano o figlie di divinità fluviali, o figlie di Nereo e Doride, sono immortali. Nei testi antichi, le Naiadi spesso erano usate per dare lustro alle famiglie più importanti. Presiedevano a tutte le acque dolci della terra con facoltà guaritrici e profetiche; erano:
- POTAMEIDI: Naiadi benefattrici che rendevano fertile la natura. Proteggevano i fidanzati che vanno a bagnarsi nelle loro sorgenti, ispirano gli esseri umani, alcune sono anche guaritrici da mali. Immortali.
- PEGEE: (denominate anche Crenee o Creniadi), Naiadi delle fonti. Immortali.
- LIMNIADI: Naiadi delle acque stagnanti, immortali.
- DRIADI - Ninfe immortali custodi dei boschi. Venivano rappresentate con la parte inferiore del corpo arabescato come un tronco d'albero. La parte superiore evidenziava una certa bellezza e solarità.
- ALSEIDI - Ninfe dei boschi e delle foreste, talvolta terrorizzavano i viandanti che attraversavano le selve. Alcune invece con filtri magici composti prevalentemente dalle foglie di alcune piante guarire le ferite dei forestieri donando loro protezione e passione.
- AMADRIADI - sono le Ninfe abitatrici delle querce, le quali vivono e muoiono con gli alberi che le ospitano sotto la loro corteccia. Le Amadriadi sarebbero otto, figlie «di Nereo e di Dori, secondo alcuni, di Amadriade e d'Ossilo, suo fratello, secondo altri. Queste diedero il loro nome al noce, al palmizio, al corniolo, al faggio, al pioppo, all'olmo, alla vile e al fico. Le Amadriadi o Driadi erano specialmente congiunte alle quercie. Furono rappresentate in vaga forma di giovinette, parte nude e parte vestite, in atto di scendere dagli alberi, e saltarvi intorno cantando al mormorio delle fronde agitate dal venticello.
- MELIADI - Ninfe dei frassini, vivevano quanto il frassino che le ospitava. Proteggevano i bimbi che abbandonati sotto gli alberi, ma anche divinità della battaglia sanguinosa, perché con il legno del frassino si costruiscono giavellotti.
- APEMELIDI - Ninfe protettrici dei meli e degli ovini, mortali.
- OREADI - Ninfe che vivevano sulle montagne e nelle colline. Le Oreadi differivano tra loro a seconda del luogo dove vivevano: le IDAE abitavano il monte Ida, le PELIADI sul monte Pelio, le NISIADI sul monte Nisia, le DICTEE sul monte cretese Dictaeus etc. Queste ninfe erano associate in genere ad Artemide, divinità che cacciava preferibilmente tra le montagne. Una di esse fu la ninfa Eco.
- NAPEE - Ninfe delle valli che presiedevano alle campagne, ai boschetti ed ai prati. Del tutto simili alle Naiadi. Amavano la solitudine, ma a volte avevano relazioni d'amore con qualche umano, da cui esigevano assoluta fedeltà. Spesso inseguite dai Satiri con cui convivevano.
- ALONIADI - ninfe delle valli profonde, dei burroni e dei precipizi.
- AGROSTINE - Ninfe dei campi che potevano o meno proteggere, mortali.
- CURE - Ninfe nutrici dei neonati.
- NEREIDI - Le cinquanta figlie del Dio Nereo, Ninfe marine del Mediterraneo, immortali. La più celebre delle Nereidi fu Tetide, madre di Achille. Offese da Cassiopea, le Nereidi furono vendicate da Poseidone che pretese il sacrificio di Andromeda. Ecco i loro nomi secondo Apollodoro che ne conta 45: Cimotoe, Speio, Glauconome, Nausitoe, Alie, Erato, Sao, Anfitrite, Eunice, Teti, Eulimene, Agave, Eudore, Doto, Ferusa, Galatea, Actea, Pontomedusa, Ippotoe, Lisianassa, Cimo, Eione, Alimede, Plessaure, Eucrante, Proto, Calipso, Panope, Cranto, Neomeris, Ipponoe, Ianira, Polínome, Autonoe, Melite, Dione, Nesea, Dero, Evagore, Psamate, Eumolpe, Ione, Dinamene, Ceto e Limnoria.
- OCEANINE - Ninfe dell'Oceano e di Teti, immortali. Niso, Ninfa figlia di Oceano, con le sorelle (le Iadi) si prese di cura di Dioniso quando era bambino. Il Dio, per ricompensarle, prima le fece ringiovanire da Medea e successivamente le pose in cielo nella costellazione delle Iadi. Erano tremila le più famose sono: Acaste, Anfiro, Asia, Admeto, Calliroe, Clitia, Criside, Calipso, Cherchide, Climene, Dione, Dori, Elettra, Eudora, Europa, Eurinome, Galaxaura, Ianira, Iante, Ippo, Idia, Meti, Melobosi, Menesto, Ociroe, Plexaura, Polidora, Pito, Primno, Perside, Petrea, Rodeia, Stige, Telesto, Toe, Tiche, Urania, Zeuxo e Xante.
- ELEADI - Ninfe timide, con parti del corpo squamose. Abitavano principalmente lungo le paludi e corsi d'acqua, sulle piante, con i pesci di fiume e gli uccelli. Raramente si mostravano agli uomini, qualche volta lo facevano per porgere aiuto. Oppure vivevano in villaggi nascosti e inaccessibili, nel mezzo delle paludi su isole artificiali, protette da mostri acquatici. Non conoscevano differenza tra i sessi ed erano avide di gioielli ed oggetti lucidi, in particolare di oro.
- CRENIADI - ninfe delle fontane, immortali.
- AVERNALI e LAMPADI - Ninfe dell'Averno, immortali.
- ESPERIDI - Ninfe erano anche le tre esperidi, Egle, Aretusa e Ipertusa, figlie del titano Atlante o di Espero, la stella della sera. Aiutate da un drago, custodivano un albero dalle mele d'oro, che la dea Era aveva ricevuto in dono da Gea, la madre Terra.
Secondo Esiodo, le ninfe non avevano il dono dell’immortalità e per questo non avevano accesso all’Olimpo, ma molti altri autori distinguono le ninfe tra mortali e immortali.
Secondo i Greci le ninfe erano giovani, indipendenti, libere e vergini (il termine nùmphe, indica la giovane non maritata), ed erano portatrici di doni: Kourotròphoi.
Il culto delle ninfe era molto antico e praticato in tutto il mondo greco: si trattava di una venerazione molto sentita ma molto semplice, praticata per mezzo di altari rudimentali o improvvisati.
Omero:
"In capo al porto un ulivo dalla lunga chioma,
vicino a lui l’antro amabile, tenebroso,
sacro alle Ninfe che Naiadi si chiamano.
Dentro sono crateri ed anfore
di pietra, dove le api serbano il miele.
Lì alti telai di pietra, sui quali le Ninfe
tessono stoffe color porpora, meravigliose a vedersi;
lì ancora acque che sempre scorrono.
Due sono le porte, l’una che scende verso Borea
è per gli uomini, l’altra verso Noto ha più divino;
per di là non entrano gli uomini,
ché è la via degli immortali."
Omero descrive un luogo nei pressi del porto di Itaca sacro alle ninfe; versi omerici da cui lo scrittore neoplatonico Porfirio (III sec d.c.) trasse il suo De antro Nympharum, per dimostrare che il significato nascosto è connesso al percorso delle anime, rappresentate da Ninfe e Naiadi.
La mitologia greca è piena di Ninfe che rieccheggiano l'antico culto della Dea Natura, la Grande Madre che dò la vita, la nutre e la toglie: nascita crescenza e morte.
Ma con l'avvento del patriarcato le ninfe diventano oggetto degli stupri degli Dei, non solo Giove, ma Apollo, Plutone, Poseidone, Marte, Mercurio, Pan, e perfino gli Dei dei venti passavano il tempo a stuprare ninfe, per poi trasformarle in pianta, albero, fiume, fonte ecc., ridando loro la vera connotazione.
Dafne era la Ninfa dell'alloro e fu trasformata in alloro, Aretusa era la Ninfa della fonte e fu trasformata in fonte e così via.
Così il culto restò in modo indiretto, per cui decadde quello ufficiale, non più seguito da sacerdotesse e sacerdoti, anche perchè pure il sacerdozio femminile decadde quasi totalmente, ma restò nella popolazione, che ancora vedeva il mondo animato da ninfe, geni e satiri, poi perseguitati dalla chiesa come demoniaci.
LE NINFE ITALICHE
«Nymphae, Laurentes Nymphae, genus amnibus unde est,
tuque, o Thybri tuo genitor cum flumine sancto,
accipite Aenean et tandem arcete periclis.
quo te cumque lacus miserantem incommoda nostra
fonte tenent, quocumque solo pulcherrimus exis,
semper honore meo, semper celebrabere donis
corniger Hesperidum fluvius regnator aquarum.
adsis o tantum et propius tua numina firmes.»
(Virgilio Eneide 8.71)
Interessarono tutto il territorio, molto vivo nelle campagne e nei pagus, dove in ogni acqua e in ogni parte della natura, specie nei boschi, si onorava una ninfa. C'era sempre un'invocazione o una preghiera per loro, chiedendo perdono se si abbatteva un albero, chiedendo il permesso di traversare un bosco, o l'aiuto per raccogliere funghi, erbe o bacche.
Le ninfe continuarono ad essere onorate per tutto il medioevo, sopravvivendo pure al decadimento degli Dei, per cui la Chiesa le demonizzò, spesso chiamandole streghe o demoni.
Detronizzarle fu più difficile, perchè mentre gli Dei avevano immagini e templi che potevano essere abbattuti, le ninfe avevano are sparse nei boschi, o altari improvvisati con rami d'albero, o semplicemente una pozza d'acqua.
Anche i riti erano semplici, bastava bruciare un'erba odorosa, o poggiare sugli altari o sui massi offerte di vino e cibo, o gettare nell'acqua coroncine di fiori.
I luoghi più sacri erano le sorgenti, le radure dei boschi, i massi di roccia, le caverne naturali, le cascatelle dei fiumi, gli stagni, gli alberi, i crepacci, o una curiosa disposizione di rocce, o una zona satura di funghi, o piante acquatiche, o piante medicamentose. Nel traversare un bosco, nel raccogliere erbe curative o mangerecce selvatiche, nell'attingere acque a una fonte o nel bagnarsi in un fiume, ciascuno si rivolgeva alla ninfa del luogo e le faceva una preghiera e un'offerta.
A.Pope:
"Al sacro fonte in guardia
Ninfa dell'antro io sono,
e di quest'acque limpide
placida dormo al suono.
Il sonno mio non rompere,
va lento per la cava,
e ti disseta tacito,
o tacito ti lava"
Tratto sembra dall'antica epigrafe romana che Lucio Mauro riferisce iscritta sulla fonte dell'Acqua Vergine:
"Huius Ninpha loci, sacra custodia fontis
dormio, dum blandae sentio murmur acquae:
parce meum quisquis tangis cava marmora somnum
rumpere, sive bibas, sive lavere, tace."
In Sicilia è famoso il mito di Aretusa, una vergine ninfa di Siracusa al seguito di Artemide, di cui si invaghì il giovane Alfeo. Aretusa fuggiva da lui, finché stanca chiese aiuto alla Dea che per tutta risposta la trasformò in una fonte sul lido di Ortigia. Questo fa capire che Aretusa era in origine la ninfa della fonte.
La ninfa e sirena Partenope aveva delle feste in suo onore ed a lei era legata la fondazione di Napoli, di cui ancora prende da lei il nome del suo golfo. La ninfa è peraltro raffiguarata in molte monete dell'epoca.
Le Sirene, antiche ninfe del mare trasformate in esseri malefici, erano in realtà supplicate dai naviganti di cui a volte aiutavano la salvezza, oppure la morte per annegamento.
Infine prevalse la visione negativa, espressione dell'ammaliamento del lato femminino, bello ma ingannevole e pericoloso.
Nel Lazio la città morta di Ninfa è celebre per le descrizioni del Gregorovius che la definì la Pompei medievale. Plinio ricorda che sul laghetto dalle acque cristalline si vedevano alcune isolette galleggianti che roteavano al suono di strumenti musicali.
Le prime testimonianze di insediamenti a Ninfa risalgono all'epoca romana, quando sulle rive del lago sorgeva un tempio dedicato alle Ninfe, sacre agli abitanti del luogo. Le avversità climatiche, ma soprattutto il trasferimento di proprietà alla chiesa ne provocò la cancellazione di ogni traccia pagana, sovrastando il luogo, tra il Xlll e il XIV sec., con ben dieci chiese e quattro monasteri.
Le anguane, dette anche in altre zone del Friuli agane, sono esseri mitici nati con i piedi al rovescio che di volta in volta sono identificabili come streghe, fate, sirene o ninfe che abitano nelle immediate vicinanze dell'acqua.
- L’ epigrafe santeliana ( a Sant'Elia) più controversa e che, più di tutte, ha dato adito ad un lungo ed articolato dibattito, fu rinvenuta nel 1865, circa 300 metri a monte del Santuario di Casalucense, durante i lavori di sbanco per i lavori in corso di ristrutturazione ed ampliamento della chiesa stessa e di costruzione del pozzo che gli è accanto, nel rimuovere "degli ingombri, che la tenevano occulta". Essa è ben incorniciata ed incisa a caratteri cubitali su una roccia e, data anche un’ incrinatura che l’attraversa per intera, così vi si legge:
"Luogo sacro alle Ninfe eterne, al tempo dell’ imperatore Tiberio Claudio (TI CL), Precilio Ligario Magoniano indusse (o mandò) l’ acqua attraverso il padre (e cioè "attraverso il podere del padre") Precilio Zotico"...
LE NINFE ROMANE
A Roma, mediate delle popolazioni italiche le Ninfe greche vennero assimilate a divinità legate alle fonti ed alle sorgenti: le Nymphae erano subordinate a Cerere. L’acqua delle sorgenti era connessa all’aspetto lustrale, di purificazione: ne dà conferma il poeta Ovidio nei suoi Fasti:
“Così si deve placare la dea, e tu rivolto ad oriente dì quattro volte le preghiere e lavati le mani nella viva onda”
“Chi ne beve diventa pazzo, voi che volete conservare la mente sana allontanatevi da qui, chi ne beve impazzisce”.
Il 13 ottobre, durante la festa annuale delle Fontinalia, venivano gettate corone di fiori presso le fonti e le sorgemti; ma la festa più importante delle acque venne poi connessa a Nettuno, la cui celebrazione si effettuava il 23 luglio.
Il re di Roma, Numa Pompilio, di origine sabina, che, come narra Tito Livio, aveva creato le istituzioni e gli ordini sacerdotali dell'Urbe, aveva la ninfa Egeria come sposa.
I due si incontravano in un bosco bagnato da una sorgente d’acqua perenne che aveva origine da una grotta. Il re vi si recava in segreto e consacrò quella selva alle Camene.
Era la ninfa ispiratrice, come lo furono le Muse presso i Greci.
LE CAMENE
Divinità arcaiche delle sorgenti, cioè ninfe, erano quattro: Egeria, Carmenta, Antevorta e Postvorta. A loro venivano attribuite facoltà profetiche e ispiratrici. Furono anzitutto divinità protettrici del focolare arcaico, simbolicamente assimilato alla città: sicché la prima di loro, Egeria, fu secondo la leggenda l'ispiratrice del secondo re di Roma, Numa Pompilio, di stirpe sabina e promotore della concordia fra le prime tribù romane.
Egeria, da ager (la terra da coltivare) e agger (il terrapieno di difesa) doveva essere una divinità femminile arcaica e potente, nata dai culti della terra, che ispira al re della nuova città saggezza, concordia e pacificazione. Siamo tra il VII e il VI secolo a.c..
Antevorta (che guarda avanti) e Postvorta (che guarda indietro) erano legate al parto, invocate perché il feto si presentasse nella giusta posizione (con la testa in avanti), e fosse salvato se si presentava al contrario.
Dee della vita e della morte, connettevano la natura arcaica e protettrice delle donne della divinità a quella oracolare e dell'oltretomba.
Carmenta (Carmentis) poi - dalle qualità oracolari, e da cui si faceva derivare il termine "carmen", (canto, racconto epico, poesia), esse divennero la personificazione romana delle Muse, come mostra Livio Andronico nell'invocazione alle Camene della tradotta Odissea:
Virum mihi, Camena, insece versutum, e cioè: L'uomo versatile narrami, Camena (ma siamo già nel III secolo a.c.).
Alle Camene già Numa Pompilio aveva consacrato il bosco presso la fonte di Egeria, fuori Porta Capena. Qui si celebravano in gennaio, con offerte di latte e acqua, le feste Carmentalia, durante le quali le Vestali, antico ordine sacerdotale femminile, venivano ad attingere l'acqua per i loro riti. Nel II secolo a.c. il loro sacello, colpito da un fulmine, fu trasportato all'interno del tempio di Ercole delle Muse (Aedes Herculis Musarum), stabilendo un'equivalenza tra Muse e Camene.
Fons Camenae
(Lanciani) Perciò che spetta al sito del fonte delle Camene, da Giovenale, dal suo scoliaste, da Simmaco, dai cataloghi si ha :
a) che il boschetto, il delubro, il fonte delle Camene, nemus fons sacer delubra^ stavano non molto lungi dalla Porta Capena;
b) dalla via appia, onde i rumori di questa vi giungevano facilmente;
e) che dalla porta capena si discendeva per raggiungere quel sacro gruppo ;
d) che il gruppo stava in una con valle, denominata di Egeria;
e) che la spelonca-ninfeo era artificiale, essendosene rivestito il vivo sasso con incrostature di marmi ecc.;
f) che stava dalla parte sinistra dell' appia;
g) che dava il nome ad un vico della regione.
Questo complesso di indicazioni ci costringe a ricercare il sito del fonte delle Camene nella valle perpendicolare all'Appia che è attraversata dalle vie della Mola di s. Sisto e della Ferratella, ed in parte dalla Marrana mariana.
Interessarono tutto il territorio, molto vivo nelle campagne e nei pagus, dove in ogni acqua e in ogni parte della natura, specie nei boschi, si onorava una ninfa. C'era sempre un'invocazione o una preghiera per loro, chiedendo perdono se si abbatteva un albero, chiedendo il permesso di traversare un bosco, o l'aiuto per raccogliere funghi, erbe o bacche.
Le ninfe continuarono ad essere onorate per tutto il medioevo, sopravvivendo pure al decadimento degli Dei, per cui la Chiesa le demonizzò, spesso chiamandole streghe o demoni.
Detronizzarle fu più difficile, perchè mentre gli Dei avevano immagini e templi che potevano essere abbattuti, le ninfe avevano are sparse nei boschi, o altari improvvisati con rami d'albero, o semplicemente una pozza d'acqua.
Anche i riti erano semplici, bastava bruciare un'erba odorosa, o poggiare sugli altari o sui massi offerte di vino e cibo, o gettare nell'acqua coroncine di fiori.
I luoghi più sacri erano le sorgenti, le radure dei boschi, i massi di roccia, le caverne naturali, le cascatelle dei fiumi, gli stagni, gli alberi, i crepacci, o una curiosa disposizione di rocce, o una zona satura di funghi, o piante acquatiche, o piante medicamentose. Nel traversare un bosco, nel raccogliere erbe curative o mangerecce selvatiche, nell'attingere acque a una fonte o nel bagnarsi in un fiume, ciascuno si rivolgeva alla ninfa del luogo e le faceva una preghiera e un'offerta.
A.Pope:
"Al sacro fonte in guardia
Ninfa dell'antro io sono,
e di quest'acque limpide
placida dormo al suono.
Il sonno mio non rompere,
va lento per la cava,
e ti disseta tacito,
o tacito ti lava"
Tratto sembra dall'antica epigrafe romana che Lucio Mauro riferisce iscritta sulla fonte dell'Acqua Vergine:
"Huius Ninpha loci, sacra custodia fontis
dormio, dum blandae sentio murmur acquae:
parce meum quisquis tangis cava marmora somnum
rumpere, sive bibas, sive lavere, tace."
In Sicilia è famoso il mito di Aretusa, una vergine ninfa di Siracusa al seguito di Artemide, di cui si invaghì il giovane Alfeo. Aretusa fuggiva da lui, finché stanca chiese aiuto alla Dea che per tutta risposta la trasformò in una fonte sul lido di Ortigia. Questo fa capire che Aretusa era in origine la ninfa della fonte.
La ninfa e sirena Partenope aveva delle feste in suo onore ed a lei era legata la fondazione di Napoli, di cui ancora prende da lei il nome del suo golfo. La ninfa è peraltro raffiguarata in molte monete dell'epoca.
Le Sirene, antiche ninfe del mare trasformate in esseri malefici, erano in realtà supplicate dai naviganti di cui a volte aiutavano la salvezza, oppure la morte per annegamento.
Infine prevalse la visione negativa, espressione dell'ammaliamento del lato femminino, bello ma ingannevole e pericoloso.
Le prime testimonianze di insediamenti a Ninfa risalgono all'epoca romana, quando sulle rive del lago sorgeva un tempio dedicato alle Ninfe, sacre agli abitanti del luogo. Le avversità climatiche, ma soprattutto il trasferimento di proprietà alla chiesa ne provocò la cancellazione di ogni traccia pagana, sovrastando il luogo, tra il Xlll e il XIV sec., con ben dieci chiese e quattro monasteri.
Le anguane, dette anche in altre zone del Friuli agane, sono esseri mitici nati con i piedi al rovescio che di volta in volta sono identificabili come streghe, fate, sirene o ninfe che abitano nelle immediate vicinanze dell'acqua.
- L’ epigrafe santeliana ( a Sant'Elia) più controversa e che, più di tutte, ha dato adito ad un lungo ed articolato dibattito, fu rinvenuta nel 1865, circa 300 metri a monte del Santuario di Casalucense, durante i lavori di sbanco per i lavori in corso di ristrutturazione ed ampliamento della chiesa stessa e di costruzione del pozzo che gli è accanto, nel rimuovere "degli ingombri, che la tenevano occulta". Essa è ben incorniciata ed incisa a caratteri cubitali su una roccia e, data anche un’ incrinatura che l’attraversa per intera, così vi si legge:
NVMPHIS AETER
NIS SA CRVM
TI CL PRA ECLIGAR
MAGONIANVSPER
PRAECILIVMZOTICVM
PATREM AQVA INDVXIT
Tradotta, all’ epoca, sommariamente ed in maniera al dir poco stravagante dal sacerdote capuano Gabriele Iannelli e dall’ arciprete di S. Elia, Marco Lanni e dagli stessi inviata in copia al Mommsen, che la inventariò nel suo X libro del "Corpus" con il codice CIL X 5163, l’ iscrizione, pur con l’ errore grammaticale originale di AQUA al posto di AQUAM, è così traducibile letteralmente :"Luogo sacro alle Ninfe eterne, al tempo dell’ imperatore Tiberio Claudio (TI CL), Precilio Ligario Magoniano indusse (o mandò) l’ acqua attraverso il padre (e cioè "attraverso il podere del padre") Precilio Zotico"...
“Così si deve placare la dea, e tu rivolto ad oriente dì quattro volte le preghiere e lavati le mani nella viva onda”
“Chi ne beve diventa pazzo, voi che volete conservare la mente sana allontanatevi da qui, chi ne beve impazzisce”.
Il 13 ottobre, durante la festa annuale delle Fontinalia, venivano gettate corone di fiori presso le fonti e le sorgemti; ma la festa più importante delle acque venne poi connessa a Nettuno, la cui celebrazione si effettuava il 23 luglio.
Il re di Roma, Numa Pompilio, di origine sabina, che, come narra Tito Livio, aveva creato le istituzioni e gli ordini sacerdotali dell'Urbe, aveva la ninfa Egeria come sposa.
I due si incontravano in un bosco bagnato da una sorgente d’acqua perenne che aveva origine da una grotta. Il re vi si recava in segreto e consacrò quella selva alle Camene.
Era la ninfa ispiratrice, come lo furono le Muse presso i Greci.
LE CAMENE
Divinità arcaiche delle sorgenti, cioè ninfe, erano quattro: Egeria, Carmenta, Antevorta e Postvorta. A loro venivano attribuite facoltà profetiche e ispiratrici. Furono anzitutto divinità protettrici del focolare arcaico, simbolicamente assimilato alla città: sicché la prima di loro, Egeria, fu secondo la leggenda l'ispiratrice del secondo re di Roma, Numa Pompilio, di stirpe sabina e promotore della concordia fra le prime tribù romane.
Egeria, da ager (la terra da coltivare) e agger (il terrapieno di difesa) doveva essere una divinità femminile arcaica e potente, nata dai culti della terra, che ispira al re della nuova città saggezza, concordia e pacificazione. Siamo tra il VII e il VI secolo a.c..
Antevorta (che guarda avanti) e Postvorta (che guarda indietro) erano legate al parto, invocate perché il feto si presentasse nella giusta posizione (con la testa in avanti), e fosse salvato se si presentava al contrario.
Dee della vita e della morte, connettevano la natura arcaica e protettrice delle donne della divinità a quella oracolare e dell'oltretomba.
Carmenta (Carmentis) poi - dalle qualità oracolari, e da cui si faceva derivare il termine "carmen", (canto, racconto epico, poesia), esse divennero la personificazione romana delle Muse, come mostra Livio Andronico nell'invocazione alle Camene della tradotta Odissea:
Virum mihi, Camena, insece versutum, e cioè: L'uomo versatile narrami, Camena (ma siamo già nel III secolo a.c.).
Alle Camene già Numa Pompilio aveva consacrato il bosco presso la fonte di Egeria, fuori Porta Capena. Qui si celebravano in gennaio, con offerte di latte e acqua, le feste Carmentalia, durante le quali le Vestali, antico ordine sacerdotale femminile, venivano ad attingere l'acqua per i loro riti. Nel II secolo a.c. il loro sacello, colpito da un fulmine, fu trasportato all'interno del tempio di Ercole delle Muse (Aedes Herculis Musarum), stabilendo un'equivalenza tra Muse e Camene.
Fons Camenae
(Lanciani) Perciò che spetta al sito del fonte delle Camene, da Giovenale, dal suo scoliaste, da Simmaco, dai cataloghi si ha :
a) che il boschetto, il delubro, il fonte delle Camene, nemus fons sacer delubra^ stavano non molto lungi dalla Porta Capena;
b) dalla via appia, onde i rumori di questa vi giungevano facilmente;
e) che dalla porta capena si discendeva per raggiungere quel sacro gruppo ;
d) che il gruppo stava in una con valle, denominata di Egeria;
e) che la spelonca-ninfeo era artificiale, essendosene rivestito il vivo sasso con incrostature di marmi ecc.;
f) che stava dalla parte sinistra dell' appia;
g) che dava il nome ad un vico della regione.
Questo complesso di indicazioni ci costringe a ricercare il sito del fonte delle Camene nella valle perpendicolare all'Appia che è attraversata dalle vie della Mola di s. Sisto e della Ferratella, ed in parte dalla Marrana mariana.
In questa valle abbiamo un abbondantissimo capo d'acqua presso la villa Ponseca, raccolto nel bacino di un ninfeo artificiale antico: abbiamo memoria di inondazioni e di pantani prodotti dal libero scorrere delle vene, dopo la rovina del loro emissario: abbiamo infine la testimonianza della tradizione medioevale che ha dato origine allo stabilimento di un nuovo ninfeo onde consentire al popolo il facile uso di queste acque salutari. Tutto ciò scioglie il problema topografico in modo netto e preciso.
Il Cassio accenna vagamente alla sorgente prossima alla villa Ponseca. Il Brocchi con maggiore precisione torna sull'argomento scrivendo : « Cotesta fonte del Celio o di cui ragiona il Cassio è forse quella che appare nella vigna Bettini contigua alla villa Fonseca, ove è raccolta nella vasca di un antico ninfeo fatto a foggia di grotta con sei nicchi nelle muraglie incrostate di pietruzze di vari colori disposte a musaico.
Superiormente al ninfeo ed a poca distanza da esso havvi un pozzo di acqua perenne, il quale sembra che si sprofondi al livello della bocca dell'indicata sorgente. Ma altre scaturigini ha il Celio in quei contorni, essendomi stato narrato che nel 1815, scavandosi nella vigna Eustachi il terreno, proruppe una grossa vena che allagò in breve tratto quel suolo ». La vena attuale porta un palmo d'acqua.
Lara
Anche lei ninfa di sorgente, commise l’imprudenza di rivelare a Giunone, moglie di Giove, l’amore che questi provava per Giuturna, un’altra ninfa: il re degli Dei, per punirla della sua lingua troppo lunga, la fece diventare muta; in seguito Lara ebbe con Mercurio due gemelli, due degli Dei chiamati Lari, che avevano il compito di proteggere la casa, la famiglia e i campi.
Ninfe Furrine
Quando nel 176 Marco Aurelio fece innalzare nel Campo Marzio la famosa colonna, un certo Gaionas ne fece erigere una simile, più piccola, con una lunga iscrizione che inneggiava al lucus Furrinae, il luogo sacro al culto di Furrina, dove l’infelice tribuno Caio Sempronio Gracco fu massacrato coi suoi.
L'epigrafe inoltre informa della presenza nel luogo di alcune sorgenti che, da tempo immemorabile, erano considerate sacre e dedicate alla Dea Furrina, e più tardi al culto delle Ninfe.
IL TEMPIO
Al centro del portico Minucio a Campo Marzio sorgeva il Tempio delle Ninfe, i cui resti sono visibili oggi nella odierna via delle Botteghe Oscure, venuto alla luce nel cuore archeologico della città nel 1938, durante le demolizioni per l’allargamento appunto di Via delle Botteghe Oscure.
Due delle colonne vennero rialzate però solo nel 1954. La denominazione del tempio è certa essendosi trovate su di esso diverse testimonianze delle antiche fonti: nei Fasti degli Arvali, in Marco Tullio Cicerone, Pro Caelio, e Pro Milone.
Il Cassio accenna vagamente alla sorgente prossima alla villa Ponseca. Il Brocchi con maggiore precisione torna sull'argomento scrivendo : « Cotesta fonte del Celio o di cui ragiona il Cassio è forse quella che appare nella vigna Bettini contigua alla villa Fonseca, ove è raccolta nella vasca di un antico ninfeo fatto a foggia di grotta con sei nicchi nelle muraglie incrostate di pietruzze di vari colori disposte a musaico.
Superiormente al ninfeo ed a poca distanza da esso havvi un pozzo di acqua perenne, il quale sembra che si sprofondi al livello della bocca dell'indicata sorgente. Ma altre scaturigini ha il Celio in quei contorni, essendomi stato narrato che nel 1815, scavandosi nella vigna Eustachi il terreno, proruppe una grossa vena che allagò in breve tratto quel suolo ». La vena attuale porta un palmo d'acqua.
Lara
Anche lei ninfa di sorgente, commise l’imprudenza di rivelare a Giunone, moglie di Giove, l’amore che questi provava per Giuturna, un’altra ninfa: il re degli Dei, per punirla della sua lingua troppo lunga, la fece diventare muta; in seguito Lara ebbe con Mercurio due gemelli, due degli Dei chiamati Lari, che avevano il compito di proteggere la casa, la famiglia e i campi.
Ninfe Furrine
Quando nel 176 Marco Aurelio fece innalzare nel Campo Marzio la famosa colonna, un certo Gaionas ne fece erigere una simile, più piccola, con una lunga iscrizione che inneggiava al lucus Furrinae, il luogo sacro al culto di Furrina, dove l’infelice tribuno Caio Sempronio Gracco fu massacrato coi suoi.
L'epigrafe inoltre informa della presenza nel luogo di alcune sorgenti che, da tempo immemorabile, erano considerate sacre e dedicate alla Dea Furrina, e più tardi al culto delle Ninfe.
IL TEMPIO
Al centro del portico Minucio a Campo Marzio sorgeva il Tempio delle Ninfe, i cui resti sono visibili oggi nella odierna via delle Botteghe Oscure, venuto alla luce nel cuore archeologico della città nel 1938, durante le demolizioni per l’allargamento appunto di Via delle Botteghe Oscure.
TEMPIO DELLE NINFE - ROMA |
I resti permettono di individuare diverse fasi dell'edificio: il nucleo di opera cementizia all'interno del podio risale al II secolo a.c., le basi delle colonne e le modanature del podio attualmente visibili risalgono alla metà del I sec. a.c. e alcuni elementi architettonici in marmo, tuttora conservati nell'area, tra cui un fregio-architrave con strumenti sacrificali, sono dell'epoca di Domiziano, testimonianza forse di un restauro a seguito dell'incendio dell'anno 80.
Il Tempio, di cui si conservano parte del podio e due colonne con capitelli corinzi, aveva in origine un portico con otto colonne sulla fronte e due colonnati di 6 colonne ciascuno sui lati lunghi. Il muro della cella in laterizi, visibile insieme al basamento della statua di culto nelle cantine del palazzo su Via Celsa, appartiene ad un restauro dell’epoca di Domiziano.
La denominazione del tempio è certa essendosi trovate su di esso diverse testimonianze delle antiche fonti: nei Fasti degli Arvali, in Marco Tullio Cicerone, Pro Caelio, e Pro Milone.
Il tempio venne costruito nella fine III sec. secondo alcuni e nella seconda metà del II secolo a.c., per altri, un grande tempio periptero dedicato alle Ninfe, in cui dovevano essere custodite le liste degli aventi diritto alle distribuzioni gratuite di grano. L'edificio subì due gravi incendi, nel 57-56 a.c. e nell’80 d.c., seguiti da altrettanti restauri.
A seguito del secondo incendio, che coinvolse gran parte del Campo Marzio meridionale, venne ridisegnato l’impianto urbano della zona, con la costruzione della Porticus Minucia frumentaria, un grande quadriportico che racchiudeva l’antico tempio e che era destinato a ospitare le distribuzioni gratuite di frumento.
Il grande monumento pubblico continuò a svolgere la sua funzione per tutta l’età imperiale romana.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Larson, Jennifer Lynn - Greek Nymphs: Myth, Cult, Lore - New York - Oxford University Press - 2001 -
- Nonno di Panopoli - Dionisiache - XV -
- Claudia Dal Pan - Le anguane, magia, appartenenza e identità nell'Oltrechiusa Ladina - Borca di Cadore - Istituto ladin de la Dolomites - 2011 -
- Cicerone - De natura deorum - I -
- Livio - Periochae - ab Urbe condita libri - V -
- Sant'Agostino d'Ippona - De Civitate Dei - VI -
- Publio Ovidio Nasone - Le metamorfosi - I -Il Tempio, di cui si conservano parte del podio e due colonne con capitelli corinzi, aveva in origine un portico con otto colonne sulla fronte e due colonnati di 6 colonne ciascuno sui lati lunghi. Il muro della cella in laterizi, visibile insieme al basamento della statua di culto nelle cantine del palazzo su Via Celsa, appartiene ad un restauro dell’epoca di Domiziano.
TEMPIO DELLE NINFE |
Il tempio venne costruito nella fine III sec. secondo alcuni e nella seconda metà del II secolo a.c., per altri, un grande tempio periptero dedicato alle Ninfe, in cui dovevano essere custodite le liste degli aventi diritto alle distribuzioni gratuite di grano. L'edificio subì due gravi incendi, nel 57-56 a.c. e nell’80 d.c., seguiti da altrettanti restauri.
A seguito del secondo incendio, che coinvolse gran parte del Campo Marzio meridionale, venne ridisegnato l’impianto urbano della zona, con la costruzione della Porticus Minucia frumentaria, un grande quadriportico che racchiudeva l’antico tempio e che era destinato a ospitare le distribuzioni gratuite di frumento.
Il grande monumento pubblico continuò a svolgere la sua funzione per tutta l’età imperiale romana.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Larson, Jennifer Lynn - Greek Nymphs: Myth, Cult, Lore - New York - Oxford University Press - 2001 -
- Nonno di Panopoli - Dionisiache - XV -
- Claudia Dal Pan - Le anguane, magia, appartenenza e identità nell'Oltrechiusa Ladina - Borca di Cadore - Istituto ladin de la Dolomites - 2011 -
- Cicerone - De natura deorum - I -
- Livio - Periochae - ab Urbe condita libri - V -
- Sant'Agostino d'Ippona - De Civitate Dei - VI -
bravissimi è un culto bellissimo e poetico. Ben fatto complimenti.
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