LUCUS FERONIAE ( Lazio )

RICOSTRUZIONE 3D PORTICO DI LUCUS FERONIAE

L'AREA SACRA

Lucus Feroniae è un sito archeologico situato nel comune di Capena sulla via Tiberina nei pressi del limitrofo comune di Fiano Romano e del casello autostradale della strada statale A1 Roma-Milano. Un sito stupendo purtroppo poco conosciuto perchè poco divulgato.

Il Lucus Feroniae preromano era, non un tempio, ma una intera località sacra alla Dea Feronia. Come tutti i luoghi sacri. i loci, avevano di solito un bosco e una fonte, nonchè un tempio e una via sacra. Qui vi si svolgevano riti e processioni, con sacerdoti o sacerdotesse addetti appositamente a quel culto, che avevano il lro monastero non lontano dal luogo.

Il Lucus di Feronia sorgeva su una piattaforma di travertino e ha origini tanto antiche quanto antiche sono le origini del culto della Dea, una Grande Madre, Dea della natura e delle acque, del parto e della prolificità, della vita e della morte, nonchè della cura dei malati.

È un culto italico e se ne trovano corrispondenze anche nei santuari di Trebula Mutuesca, Terracina, Amiterno e un altro in Umbria, scoperto recentemente.

Il Santuario preromano, il Locus sacro della Dea delle belve, era famoso per le sue ricchezze, perchè i fedeli giungevano fin lì per chiedere delle grazie, e poichè spesso le ottenevano, ringraziavano la Dea lasciando gioielli e monete o exvoto al tempio. Un po' come è accaduto nelle chiese cattoliche, un tempo piene di exvoto e gioielli nei santuari miracolosi, solo che prudentemente gioielli e oggetti preziosi sono finiti nelle casse del Vaticano.

Naturalmente l'exvoto dell'epoca poteva essere in argento, in rame, in bronzo o in oro, esso stesso.
Così i templi accumulavano un a vera ricchezza che nessuno avrebbe osato toccare temendo la punizione degli Dei, ma Annibale, che credeva in altri Dei o che comunque osava sfidarli, nel 211 a.c., non solo saccheggiò il tempio facendone un grande bottino, ma lo distrusse dandolo alle fiamme.



COLONIA IULIA FELIX LUCUS FERONIAE

Naturalmente venne ricostruito ma nonostante la riedificazione del tempio il culto di Feronia decadde e il sito perse importanza fino a che Cesare che nel 59 a.c. stabilì di stanziare in zona i veterani del proprio esercito, fondando la "Colonia Iulia Felix Lucus Feroniae". Praticamente donò ai suo soldati un castrum in muratura, cioà una città, fondata col sistema della centuriazione e della fondazione sacra romana, insomma una piccola Roma.

Per l'assassinio di Cesare, alla sua morte la città era solo un progetto ma il suo successore e figlio adottivo Augusto, aveva una tale ammirazione per il prozio, che ne realizzò ogni bozza, e di progetti Cesare in un paio d'anni ne aveva fatti moltissimi, tutti portati a termine da Ottaviano Augusto.

Così il tempio venne riedificato e la città arricchita di monumenti, operazione proseguita anche dai successori di Augusto nel I e II secolo d.c.. L'imperatore Augusto, come si sa, aveva una passione per gli Dei antichi, compresi quelli non strettamente romani ma italici, come era Feronia.



LA DESCRIZIONE

Dall'antica via Tiberina si dipartiva la strada che congiungeva il Santuario con la città di Capena: la Via Capenate, dove si notano tracce di una porta d'ingresso, cioè i fori per i cardini e il catenaccio. Qui furono trovati i cippi miliari del III sec. d.c., la data del restauro più recente delle strade che dimostra come all'epoca il centro fosse ancora attivo.

SATIRELLO
Su questo bivio si affaccia un piccolo ambiente, sembra una latrina pubblica, il che fa ummaginare un po' il flusso dei pellegrini che non trovando ostelli o non potendoseli permettere, usufruivano della pubblica latrina evitando così di trasformare la zona antistante all'entrata in una latrina a cielo aperto.

Il Lucus Feronia era per gli antiche quel che noi può essere il santuario di Loureds o della Madonna di Pompei, che d'altronde sorgono entrambi su antichi santuari miracolosi.

Proseguendo la Via Tiberina, sulla destra vi sono resti di ambienti d'incontro e ristoro, le tabernae, dotate di uno strabiliante sistema di chiusura a saracinesca.

Come sempre quando c'è un santuario, si moltiplicano i punti di ristoro per i visitatori, e i locali si snodavano già prima della cittadina, probabilmente con vendite di souvenir o immagini e statuette della Dea.

Poi c'è il sito, bellissimo, senza riedificazioni successive, una cittadina romana all'aperto, molto vasta e poco frequentata semplicemente perchè nessuno la publicizza.

Il sito è interessante non solo per la bellezza dei resti, ma anche per poter guardare come era fatta una cittadina romana, col suo bel cardo e il suo decumano, insomma un castrum in muratura, la base delle città romane.

I resti visibili sono tutti di epoca romana imperiale, anche perchè gli italici costruivano con legno e fango, riservando le murature a edifici eccezionali, tipo i templi. I Romani invece costruivano in pareti di mattoni cotti riempite di cemento e pietrisco, rivestendo il tutto di marmi, e Augusto, come molti imperatori successivi, mostrava ovunque il potere di Roma diffondendo il marmo, soprattutto il travertino, e la sua effigie pubblicitaria. Le cittadine riedificate però erano bellissime, nulla a che vedere con le casupole antecedenti.

Al centro dell’abitato era la piazza del foro, con almeno due statue equestri e la base di un grande candelabro, cioè un portalucerne con varie conchette dove mettere l'olio o la cera e lo stoppino, sicuramente usato nelle cerimonie pubbliche.

Attorno alla piazza lastricata in travertino, quindi di un bianco abbagliante, erano i portici, la basilica, gli edifici amministrativi, la grande fontana pubblica dell’acqua Augusta, le terme, dove più tardi si insedierà la più antica chiesa cristiana, che naturalmente smontò e distrusse i templi per cancellare le tracce pagane.

Sul portico del foro si aprivano le botteghe, con le abitazioni sul retro e al piano superiore, come nell'uso romano, un uso intelligente che evitava il traffico dalle case alle botteghe, e in parte anche i possibili ladri.

Nel primo tratto di taberne, all'angolo con la strada che conduceva all'Anfiteatro, l'ultimo ambiente fu successivamente ristrutturato e trasformato in un edificio pubblico, una schola o forse la sede dei Duoviri.

Oltre le botteghe si trovava il complesso termale datato, dalle ceramiche rinvenute, all'età imperiale. Le ceramiche d'epoca, famose quelle aretine, ma anche del luogo, erano piuttosto costose, il che fa capire la ricchezza del luogo.

Il complesso termale fu probabilmente costruito quando la città si allargò perché le Vecchie Terme non erano più sufficienti, e per la sua costruzione vennero sacrificate due botteghe.

Dietro la basilica erano due templi, uno dedicato alla famiglia dell’imperatore Augusto, per la divinazione dell'imperatore cui era dovuto un culto, le cui statue sono ora esposte al museo locale.

Dietro il foro sulla destra è la strada di collegamento con Roma, l’antica via Campana e, dall’altro lato, parallela al foro, l'altro tempio, cioè l’area del grande santuario di Feronia con la piazza del mercato, i resti degli altari e del teatro per gli spettacoli sacri, e alcuni elementi ornamentali del tempio, il quale, alto ben 14 m, cioè quanto un palazzo di oltre 4 piani, era visibile da ogni parte della colonia romana, fin da fuori le mura.

L'ultimo dato epigrafico rinvenuto testimonia la frequentazione del santuario nel 266 d.c., abbandonato poi nel V sec. d.c., quando ormai il paganesimo fu messo al bando dalla nuova religione cristiana.

La località era già chiamata "Bambocci" per la notevole quantità di ex-voto anatomici che spuntavano dal terreno, il che conferma l'aspetto miracoloso del santuario. Gli scavi furono diretti dal prof. Bartoccini e misero in luce i resti di una vera e propria città. All'interno del museo annesso si possono mirare delle statue con testa e mani intercambiabili a seconda dell'imperatore del momento.



GLI SCAVI

Gli scavi comprendono il Foro romano rettangolare sul quale si affacciano una Basilica, un tempio di epoca repubblicana, un altro tempio non identificato e un viale pergolato pedonale, perchè nelle città romane si passeggiava all'ombra di porticati o pergolati, per il sole o la pioggia, un uso purtroppo non più seguito nelle città.

Sul Foro cui si affacciano delle tabernae che conservano dei bei mosaici in mosaico bianco e nero, con motivi geometrici. Si conserva ancora tutto l'impianto di riscaldamento che avveniva tramite il passaggio di aria calda sotto i pavimenti e lungo le pareti. Sull'ingresso di diverse tabernae, un ideogramma che ne esprimeva l'attività di vendita o artigianato, un antesignano del logos moderno.

Le tabernae sono soprattutto "termopolia", luoghi di ristoro e punti di mescita. In alcune si conservano i banchi originali in marmo, con grossi dolii per bevande e i cibi, con un piccolo tavolo separato in muratura e marmo, dove gli avventori consumavano le bevande e ambienti interni che si aprono su un cortile posteriore che generalmente ha un albero o piante e un pozzo al centro.

Insomma il bar all'aperto per godersi il fresco. Edifici simili si trovano anche a Ostia e a Pompei.

Al centro del Foro pare ci fosse una statua dell'imperatore. Tre colonne sono i resti del portico davanti all'entrata della Basilica, mentre delle scale immettono nel porticato che delimita a ovest la Piazza del Foro, rettangolare e pavimentata a lastre rettangolari di travertino, con numerose tracce delle basi e resti di colonne ancora in piedi.

Il lato porticato della piazza ha una gradinata alla cui base si conserva il canale di scolo delle acque, con incassi per pilastrini che sorreggevano spranghe o catene che nelle pubbliche feste facevano della piazza una zona pedonale. Poiché nel Foro si tenevano anche cerimonie in onore della Dea, le gradinate servivano anche come sedili per il pubblico che si portava da casa i cuscini oppure li affittava dagli ambulanti.

Sotto il portico, sul lato opposto alla gradinata, ci sono numerose basi onorarie di statue, in genere personaggi illustri che finanziavano le manifestazioni pubbliche o edificavano a proprie spese.

Ad esempio la stele della famiglia Apronia, di cui un componente aveva le cariche di Soprintendente all'edilizia pubblica e di questore alimentare, o quella di Lucio Ottavio che rifece a sue spese per due volte il Foro, nochè altre dedicate a Q. Vibio Paride, duoviro della città.

L'altro lato lungo era chiuso da un muro in opus reticulatum che sosteneva l'acquedotto cittadino. Addossata all'acquedotto una lunga vasca di raccoglimento delle acque, usata anche come fontana.

Questo muro divideva il Foro dall'Area Sacra arcaica, di cui rimane visibile solo un basamento piuttosto vasto in opera quadrata a blocchi di tufo.

Negli scavi sono anche affiorati un anfiteatro con capienza di circa 5000 persone, delle terme, con annessi frigidarium, tepidarium e calidarium.

Oltrepassate le Terme, si giunge in vista dell'Anfiteatro, di cui rimangono le strutture portanti.

E' quasi circolare, ma, pur essendo molto piccolo, presenta tutti gli aspetti di un anfiteatro, con porte molto ben conservate, con i "vomitoria" (uscite per il pubblico) e ambienti di servizio sottostanti le gradinate.
Si notano resti delle gradinate in muratura, effettuate scavando il terreno calcareo, ma l'anfiteatro doveva avere anche strutture mobili in legno.

Inoltre, non essendoci ipogei (sotterranei, con gabbie), era destinato soltanto ai giochi gladiatori e non ai combattimenti con le belve. La sua costruzione fu iniziata dal liberto M. Silius Aepaphroditus nell'epoca Giulio-Claudia, come ci dice l'iscrizione dedicatoria. Un ex schiavo che si era evidentemente arricchito.

Tornati al Bivio, prendendo la strada che conduceva all'antica Capena, si arriva a un altro impianto termale: sono le Antiche Terme principali, dove è stata trovata un'iscrizione molto interessante perché reca elencati tutti i "Castella Aquarum": i punti di raccolta e di sbocco dell'Acqua Augusta.

Di solito ciò è importante per stabilire i punti principali di una città e quindi i vari quartieri, ma in questo caso non è stato ancora possibile perché l'epigrafe e le sue indicazioni, ancora oggetto di studio, non sono ancora verificabili topograficamente.



L'AREA SACRA

Il lato meridionale è quello meno conservato dove recentemente sono venuti alla luce strutture repubblicane, con un orientamento diverso, a un livello inferiore da tutto il resto e di cui non si conosce ancora la funzione.

Sul lato Nord si trova l'area religiosa, delimitata da un alto basamento in blocchi di calcare, ai piedi del quale, sulla sinistra, si trova un ambiente, in parte ricavato nella roccia e in parte costruito, chiuso anticamente da una saracinesca, dove si trovava l'aerarium (il tesoro) della città.

Accanto alla porta dell'erario, un grosso avancorpo in opera cementizia, costruito successivamente, che originariamente era ricoperto con lastre di marmo grigio. Sicuramente sul podio si svolgevano le cerimonie in onore della Dea.

Ai suoi lati, a ridosso del basamento, si trovano ancora le due epigrafi con gli attributi della Dea Feronia, della Dea Salus e della Dea e Frugifera.

A queste antiche Dee della salute solo le sacerdotesse potevano sacrificare, ma quando il sacerdozio femminile venne abolito, con l'unica esclusione delle Vestali, potevano sacrificare solo le matrone. Agli uomini era proibito entrare nella cella della Dea.

La Dea Feronia era la protettrice degli schiavi liberati e di tutto ciò che da sottoterra esce alla luce del sole. Erano quindi sotto la sua protezione le acque sorgive e ogni tipo di fertilità, di piante, animali ed esseri umani. Aveva inoltre grandi proprietà guaritrici confermate anche dai numerosi ex-voto anatomici. 

Per questo la divinità, di origine locale, assunse anche attributi greci e romani, assimilando Dee analoghe, come la Dea guaritrice Salus, la Dea della mietitura e della morte Frugifera che aveva come emblema la falce dei mietitori, epiteto che poi passò a Cerere, nonchè la Dea Legifera, colei che stabilisce le leggi, poi unita alla Dea Frugifera, e anch'essa divenuto appellativo di Cerere; ma pure Proserpina, come regina dell'oltretomba, e la Dea Giunone, come Regina coeli.


Davanti c'è la copia della base marmorea circolare decorata con bucrani e festoni, che sosteneva un tripode. Era l'ara sacrificale. Sopra il basamento in calcare c'è ancora una pavimentazione a lastre squadrate di travertino che mostra evidenti segni di restauro, cioè i resti di una basilica dei primi anni della colonia, con navata centrale delimitata da colonne, di cui rimangono le basi, e con ambulacri laterali. L'entrata della basilica era delimitata da un portico, di cui rimangono tre colonne.

Sul fondo della basilica si trovano due costruzioni: un tempietto rettangolare con scalinata e altare circolare di cui resta la base, e un'aula absidata, ornata di marmi, di cui rimangono numerosi resti e con un pavimento in opus sectile, con una pregiata cornice in mosaico. Era probabilmente "L'Augusteo" in onore della famiglia imperiale; infatti all'interno si trovano le basi che sostenevano le statue onorarie. Proviene da qui il maggior numero di statue marmoree rinvenute al Lucus, tra cui la statua togata di Agrippa ed epigrafi dedicatorie. Le due costruzioni sono databili al I sec. d.c.



LA VILLA DEI VOLUSII

Appena fuori città, a 500 m. da Feronia, è emersa, come al solito per caso, durante i lavori di scavo dell'Autostrada del Sole, la villa dei Volusii Saturnini, una potente famiglia senatoria.

Il primo personaggio di cui si ha notizia è il pretore Quinto Volusio, personaggio noto a Cicerone, a cui si deve la prima edificazione della Villa nel 50 a.c., quindi prima che il Lucus Feronia diventasse colonia romana.

La villa fu ampliata dal figlio Lucio Volusio Saturnino, console nel 12 a.c., cui si dovettero le nuove decorazioni a mosaico e soprattutto l’ampliamento del settore signorile con la costruzione del gigantesco peristilio, al cui interno fu edificato un interessante lararium con le statue degli antenati. tra la media età augustea e la prima età tiberiana, dal 10 a.c. al 20 d.c..

Gli ultimi esponenti della famiglia dei Volusii sono due fratelli, consoli nell'87 e nel 92 d.c. La famiglia probabilmente declinò a causa delle persecuzioni antisenatorie di Domiziano.


Descrizione

La villa ha due fasi di costruzione: alla prima appartiene il nucleo centrale o parte signorile; nella seconda fase fu ristrutturata in parte la zona residenziale già esistente e fu creato un grande peristilio con intorno gli ambienti "servili".

All'inizio la villa ebbe l'aspetto di una lussuosa abitazione di campagna, in seguito prese l'aspetto di un vasto complesso rurale con numerosi schiavi che lavoravano la terra, unico esempio del genere arrivatoci così ben conservato.

La parte centrale della residenza padronale è composta da un grande peristilio rettangolare con 6 colonne sul lato lungo e 4 sul lato corto. Sono colonne tuscaniche di calcare, con un ambulacro (corridoio), elegantemente pavimentato con marmi colorati inseriti su un fondo nero.

Sul peristilio si aprono numerosi ambienti: un vasto tablinio (sala da pranzo) a triplice ingresso che ha un vano di passaggio a sud e una sala a nord; un oecus (sala di soggiorno), pavimentata in splendido opus sectile (con marmi intarsiati), nonchè un'esedra divisa in due parti. Sempre sul peristilio si aprono i cubicoli (stanze da letto) e le latrine.

Alcuni ambienti hanno bei mosaici policromi decorati a "cassettoni' e a "cancellata in prospettiva" rifiniti con uccelli, fiori e simboli vari; altri sono pavimentati con mosaici in bianco e nero.

Dietro ai vani del lato Nord-Est del peristilio, vi sono alcuni ambienti identificati come appartenenti ad un frantoio. Dunque da residenza di campagna la villa era una vera fattoria produttiva con una parte residenziale di gran lusso. Un passaggio univa la zona signorile con il peristilio del complesso servile (ergastulum).


Pavimenti in mosaico

Gli ambienti del lato meridionale del nucleo padronale, appartengono per la maggior parte al periodo repubblicano. Le costruzioni di prima fase sono eseguite in "opus incertum" e predomina la pavimentazione a mosaico policromo.

L'"opus reticulatum" invece, caratterizza le strutture della seconda fase e i mosaici sono in bianco e nero.

lì grande complesso "servile" si sviluppa a nord e a rst della villa signorile; vi si accedeva da una strada lastricata in basolato proveniente dalla campagna. Il vastissimo peristilio di questa zona aveva delle colonne su tre lati e mezzo.

Lungo i portici si aprono una ventina di stanze col pavimento a nuda roccia: quasi certamente si tratta delle cellette degli schiavi del latifondo, probabilmente alcune centinaia, il che dà l'idea dell'importanza della villa rurale e del suo latifondo. All'estremità orientale si trova una latrina con il pavimento in "opus spicatum" (mattoni di cotto messi a spina di pesce).


Il Larario


Al centro del lato più lungo e in asse con l'ingresso alla casa signorile, si trova il "larario" della casa, costituito da una grande sala. Sul pavimento vi è un mosaico molto bello, di forma circolare, a motivo radiante in bianco e nero, con al centro il simbolo policromo della vita.
Al centro della sala è situato l'altare di marmo con i simboli del sacerdozio della famiglia: l'albero sacro degli Arvali e il lituo dell'Augure.

Su di un lato vi è una tavola rotonda e una sella (sedia), copie degli originali ospitati nel museo del Lucus Feroniae, con bei piedi di leone, di stile neoattico. Su di un bancone, nel fondo della sala, venivano poste le statue degli avi e le iscrizioni in loro onore.

Ad ovest della villa, ad alcune decine di metri dalla zona signorile, è visibile una parte del basamento dell'antico "hortus" (giardino) con un "criptoportico", in parte tagliato dall'autostrada, rialzato notevolmente rispetto alla Valle del Tevere. Il nucleo della villa era a sua volta leggermente più in alto dell'" hortus".

In questo giardino, in epoca augustea, fu costruita una grande "esedra" con tre nicchie in cui vennero trovate tre sculture di marmo: un Eracle di stile scopadeo e le copie di due celebri ritratti: un Menandro e un Euripide.

In questo ambiente è evidente l'intenzione di ricreare l'atmosfera da "Gymnasium", dove all'esercizio fisico si univa quello intellettuale di passeggiare parlando di filosofia, come usava nell'aristocrazia romana della tarda repubblica e dell'inizio dell'impero.

Da tutto il complesso della villa si può dedurre il passaggio tra la produzione dell'olio, del vino e dell'allevamento di animali pregiati e lo sfruttamento intensivo di colture, per lo più di cereali, che richiedevano un gran numero di schiavi; la creazione cioè del grande latifondo che dette origine alle servitù coatte dei contadini del tardo impero e del Medioevo.

Tracce di occupazione del sito si hanno fino al IV sec. d.c.: testimone della frequentazione del luogo, e quindi di una continuità di vita fino al Medioevo, è la torre medioevale, la "Torre Casale", che si trova sul lato sud, attualmente sede del l'Antiquarium.

Il tipo di villa d’otium su cui è impostato l’impianto luco-feroniense è, come nel caso della villa di Orazio a Licenza, ancora quello tradizionale, consistente nella reduplicazione del modello della domus urbana, con terrazze e criptoportici a giardino.

Di lì a poco sarebbe invalso il nuovo modello a padiglioni e nuclei sparsi in un ambiente naturale, che avrebbe avuto la completa affermazione soprattutto in età neroniana.


BIBLIO

- Plinio il Vecchio - Naturalis historia - III -
- Strabone - Geografia - 5 -
- Vittorio Dini - Il potere delle antiche madri - Firenze - Pontecorboli - 1995 -
- D. Sabbatucci - La religione di Roma antica - Il Saggiatore - Milano - 1989 -
- Jorg Rupke - La religione dei Romani - Torino - Einaudi - 2004 -
 

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