“Proteggi il gregge e insieme al gregge i pastori
e fuggano i malanni, scacciati dalle mie stalle.
Se pascolai in scaro suolo, o sedetti sotto un albero sacro,
o una mia pecora ignara brucò erba da una tomba,
se entrai in un bosco proibito,
e furono dal mio sguardo messe in fuga le ninfe
o il dio capro a metà,
se la mia falce spogliò d’ombroso ramo una selva sacra,
le cui foglie offrii in un cestello a una pecora malata,
perdona la mia colpa,
e non mi noccia l’aver messo al riparo in un agreste tempio
il mio gregge mentre grandinava.
Né mi sia danno aver turbato una fonte:
perdonatemi o Ninfe,
se con gli unghiati piedi del gregge intorbidai le acque.
Tu, o dea, placa in nostro favore le fonti,
e i numi delle fonti, e gli dei sparsi per tutti i boschi.
Fa’ che possa non vedere le Driadi,
né Diana che si bagna,
né Fauno quando a mezzogiorno giace sdraiato nei campi.
Scaccia lontano le malattie,
godano buona salute gli uomini e le greggi,
e anch’essi i cani, provvida turba.
Fa’ che a sera non riconduca capi di bestiame
Meno numerosi che al mattino,
né gema riportando velli strappati al lupo.
Stia lontana l’iniqua fame,
e abbondino erbe e fronde,
e acque per lavarsi e per bere.
Ch’io possa mungere colmi uberi,
e denaro frutti il mio cacio,
e i radi vimini lascino colare il liquido siero;
sia sempre lascivo il capro,
e la capra si sgravi del feto di cui era pregna,
e siano molte le agnelle nel mio ovile;
e ne provenga una lana che non punga le fanciulle,
soffice e adatta a mani tenere quanto si voglia.
Accada quanto io prego,
e noi anno per anno
offriremo grandi focacce a Pale,
signora dei pastori”.
("I Fasti" libro IV, Zanichelli, Bologna 1942)
DEA DEI PASTORI E DELLA GUERRA
Pale o Pales è un'antica divinità della mitologia romana, protettrice della natura, degli allevatori e del bestiame. Il culto si perde nella notte dei tempi e la divinità, un tempo femminile fu trasformata in maschile, oppure in una coppia di Dei.
Nel 267 a.c. il console Marco Atilio Regolo consacrò un tempio proprio a Pale, per assicurarsi il successo nella battaglia coi Salentini.
Questo dimostra che un tempo Pales era anche Dea della guerra, Dea triplice come tutte le antiche Dee, che presiedevano alla nascita proteggendo le partorienti, donne o animali, alla crescita e quindi al nutrimento, degli uomini e degli animali, quindi dei campi e della pastorizia, e della morte e quindi della guerra.
La Santissima Trinità anticamente era questa, ereditata poi dalla religione cattolica in un "mistero" che prevede un Padre, un Figlio e uno Spirito Santo in cui manca totalmente il femminile.
Anche nella religione Romana la triade divenne maschile, rimaneggiata poi dal culto sabino di Numa Pompilio che ne fece un Dio e due Dee: Giove, Giunone e Minerva.
Nelle religioni arcaiche la Dea, sempre Vergine, partoriva un maschio da sola, maschio che cresceva, veniva ucciso, resuscitava e si accoppiava con lei regnando unitamente alla Dea.
Si pensa che il tempio e il culto di Pales fosse localizzato sul Palatino, ma essendo stato dedicato a una vittoria sul nemico, potrebbe essere stato collocato sulla strada della trionfale processione, sul Campo Marzio o sul colle Aventino.
Qualcuno fa derivare il termine Palatino da Pales, ma non se ne hanno le prove. Si pensa anche che la parola pallido (pallidus) derivi da lei, come immagine della antica Dea Bianca, la portatrice del chiarore lunare, nel suo aspetto notturno ed infero di Dea Luna.
DEA DEL LIMES
Si narra che l'Aventino fosse la sede della Dea Cerere e dell'organizzazione plebea, contrapposto al Palatino, che era la sede della Dea Pales, protettrice della pastorizia e di tutti i culti tradizionalmente patrizi.
Il che confermerebbe la derivazione di Palatino da Pales. In tempi più remoti e pastorali la ricchezza veniva calcolata dal numero degli animali, dagli armenti. Il che avrebbe determinato la prima nobiltà.
Quando Pales divenne un maschio, nel tempio di Vesta si celebrava l'accoppiamento sacro, o “hieros gamos” tra la Dea e il Dio Pales (o Pallas). Anche Varrone considerava la divinità un maschio. Pare che Pales corrispondesse a Priapo ed era raffigurato da un asino o un’immagine fallica. Pallas e Vesta uniti formavano la divinità Pabulum, che significa “cibo”, quindi gli Dei della terra che danno cibo agli uomini. (Briffault, The Mothers).
I NOMI
Venerata con gli epiteti di "montana", in quanto procacciatrice di pascoli abbondanti sulle alture, e "pastoria", come protettrice dei pastori in quanto protettrice di armenti e greggi. Infatti, insieme a Giunone, stornava infezioni e assalti di animali feroci dal bestiame grosso e minuto; secondo la testimonianza di Tibullo, i fedeli collocavano sotto gli alberi una sua vaga immagine scolpita nel legno.
GLI ATTRIBUTI
Il fuoco della fiaccola, l'acqua delle sorgenti montane, il pastorale (il bastone ricurvo ereditato poi dalla religione cattolica per i vescovi), talvolta lo scettro o le corna dell'ariete.
LE FESTE
Il 21 aprile era celebrata in suo onore la festa di purificazione delle greggi, i Palilia (o Parilia): compiuto il sacrificio rituale, si accendevano mucchi di paglia o di fieno disposti in file e vi si conducevano attraverso i capi d'allevamento, seguiti dai pastori stessi, che procedevano saltando; in seguito alla cerimonia si sovrappose quella per il Natale di Roma.
Ma anche durante le celebrazioni di Iunio Sospita i fedeli correvano per la città portando fiaccole accese e che, per togliere questo antico costume pagano, la Chiesa istituì la funzione di benedizione delle candele il 2 febbraio. Il fuoco insomma era un attributo primariamente femminile.
"Qui ogni anno purifico i miei pastori
e aspergo di latte, perché si plachi, la dea Pale.
Assistetemi, dei, non disprezzate i doni
che a voi vengono da un povero desco
in disadorne stoviglie d'argilla".
(Tibullo)
I Palilia o Parilia erano un'antichissima festa pastorale della religione romana che si celebrava il 21 aprile in onore del numen Pale, a volte descritto come semplice genio, a volte come divinità femminile.
Celebrata per purificare le greggi ed i pastori, la festa dei Palilia, insieme alla precedente dei Fordicidia (15 aprile) e la successiva dei Robigalia (25 aprile), faceva parte del trittico di cerimonie religiose agricole nate ancor prima della fondazione della città di Roma, avvenuta nel 753 a.c..
In età più recente, a partire dal 121 a.c. si iniziò a festeggiare nella stessa data anche il giorno
della fondazione di Roma (21 aprile 753 a.c.), ovvero la festività di Roma: Romae Natalis. Orazio nel suo Carmen Saeculare così canta il giorno della nascita di Roma:
"Febo e Diana dea delle foreste
onore dei cieli splendido, onorati
sempre e onorandi, oh esauditeci in questi
giorni solenni
in cui prescrisse il sibillino carme
che vergini e fanciulli scelti e puri
cantino un inno per gli Dei che i sette
colli hanno cari!
Sole divino, che apri e chiudi il giorno
con l'aureo carro sempre eguale e nuovo
sorgi, deh nulla mai veder tu possa
maggior di Roma!"
Cicerone:
"L. quidem Tarutius Firmanus, familiaris noster, in primis Chaldaeicis rationibus eruditus, urbis etiam nostrae natalem diem repetebat ab iis Pardibus, quibus eam a Romulo conditam accepimus, Romamque, in iugo cum esset Luna, natam esse dicebat, nec eius fata canere dubitabat."
"Sia come sia, il nostro buon amico Lucio Taruzio di Firmum, che è stato immerso nella tradizione caldea, ha fatto un calcolo, basato sul presupposto che il compleanno della nostra città, che la tradizione afferma fondata da Romolo, era la festa di Pales, e da tale calcolo Taruzio arriva addirittura ad affermare che Roma è nata quando la luna era nel segno della Bilancia e dice che sul suo destino non si poteva assolutamente dubitare."
Tradizionalmente Roma fu fondata il 21 aprile, durante le Parilia, festa di Pales. un Dio o una Dea, che ha dato il nome alla brillante stella del Toro, Aldebaran, e le Iadi, che sono stati chiamati Parilicium o Palilicium, perché si trovano nel cielo della sera di Roma durante il mese di aprile.
IL CULTO
La festa aveva due forme rituali leggermente dissimili, una urbana (che si svolgeva a Roma) ed una rurale. Ovidio ce ne dà ampia descrizione di entrambe, cominciando dal rituale della festa in Roma.
In città
Nel rito urbano si eseguiva una lustrazione sull'ara di Vesta colla partecipazione della vestale più anziana che vi bruciava profumi e poi vi mescolava cenere di vitello (sacrificato nelle precedenti Fordicidia), sangue di cavallo (il cavallo di destra della biga vincitrice della festa dell' equus October dell'anno precedente) e steli di fave.
Questo sangue veniva fatto bruciare sul fuoco della Reggia, e le ceneri della legna venivano conservate dalle vestali. Il vitello di cui si utilizzava la cenere, ugualmente affidata alle vestali, era il feto estratto dalla vacca pregna sacrificata il giorno dei Fordicidia (15 aprile). Quanto agli steli di fava, potevano essere un di più per aumentare le ceneri.
Ma si sarebbe potuto usare steli di grano, o orzo, o farro, o semplicemente aumentare la legna bruciata, se erano fave una ragione c'era. Non a caso le fave erano sacre a Cerere e pure ai pitagorici.
Il cavallo veniva consacrato a Marte, colui che aveva vinto e regnava, il piccolo vitello è colui che è nato ma deve ancora vedere la luce, la fava è il frutto che muore facendo da seme alla nuova pianta. Sembra l'avvicendamento della vita con nascita crescita e morte.
In campagna
Nella seconda versione, quella delle campagne, il pastore spruzzava d'acqua il gregge, scopava l'ovile e lo ornava di fronde. Poi si andava al tempio di Vesta e ci si procurava il suffimen, il composto organico, quindi lo si bruciava su un fuoco acceso appositamente per quel rito; si saltava tre volte questo fuoco e ci si aspergeva d'acqua mediante un ramoscello d'alloro.
Il salto sul fuoco e l'aspersione d'acqua costituivano un rito chiamato suffitio che si compiva anche per purificarsi dopo esser stati ad un funerale, come ci informa Festo.
Sempre con acqua e fuoco si purificava a sera il gregge e l'ovile. Si lavava e si spazzava nuovamente il pavimento. Si ornavano le pareti con fronde e la porta con festone di fiori. Si bruciava zolfo su un fuoco di legna resinosa, rami di ginepro e foglie d'alloro. Si offrivano a Pales focacce di miglio in un paniere di miglio, latte e cibi esclusivamente vegetali.
Le offerte alla Dea venivano distribuite tra i presenti che le consumavano ritualmente. Si pregava Pales con preghiera che veniva ripetuta quattro volte, guardando verso l'oriente. Nella preghiera si chiedeva perdono a Pale per un'infrazione del pastore o del suo gregge e se ne chiedeva l'intervento per placare le divinità. L'officiante infine beveva da una ciotola latte mescolato a mosto cotto e faceva un salto sul fuoco. Quindi si offrivano latte, miglio e pizze di miglio a Pale.
Come si vede il rito campagnolo era molto più complesso.
Le infrazioni da perdonare e le richieste:
- violare boschi sacri, alberi sacri;
- tagliare fronde di boschi sacri;
- far brucare le pecore sulle tombe;
- essersi rifugiato col gregge in templi per sfuggire il maltempo;
- intorbidare l'acqua di sorgente;
- aver visto esseri divini : satiri, ninfe o altri geni dei luoghi selvaggi anche ignoti obbligandoli a fuggire;
- poi si chiedeva protezione per pastori e greggi;
- si chiedeva abbondanza di pascoli e di acque, abbondanza di latte, abbondanza di parti e buona qualità delle lane.
I TEMPLI
C'era un importante santuario di Pales sul Montovolo, come Dea protettrice dei pastori e delle greggi. Pale, deriva da pallido, incolore, come il pallore della luna e come il ‘paleo’ secco dei prati che diventa pallido, senza colore, quando sopraggiunge la stagione fredda. La Dea Pale, venerata anche presso gli Etruschi, raffigurava la Luna.
Montovolo fu un importante centro cultuale pagano: il suo nome originario (mantenuto fino al XVIII secolo) era infatti Monte Palense in onore della Dea Pale.
Questa divinità rurale, infatti, era adorata da un nucleo di pastori etruschi insediati su Montovolo.
La lunetta del portale del Santuario porta la scritta A.D. MCCXI ROIP e questa dovrebbe essere la datazione, ma incisa molto a posteriori. Sulla lunetta infatti ci sono incise anche due colombe che si fronteggiano con al centro cinque fori per formare una "croce", ed in basso ai due lati sono incise due piante che sembrano gigli o giunchiglie.
Sappiamo quanto il cristianesimo si sia sovrapposto a qualsiasi tempio o santuario pagano, prendendone spesso i simboli e i significati e sostituendoli con propri.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Floro - Epitome de T. Livio Bellorum omnium annorum DCC - Libri duo - I -
- Publio Ovidio Nasone - Fasti - IV - 713 -
- Robert Turcan - The Gods of Ancient Rome - Routledge - 1998, 2001 -
- Marija Gimbutas - Le dee e gli dei dell'antica Europa. Miti e immagini del culto - Viterbo - Stampa Alternativa - 2016 -
- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- Robert Turcan - The Gods of Ancient Rome - Routledge - 1998, 2001 -
- Marija Gimbutas - Le dee e gli dei dell'antica Europa. Miti e immagini del culto - Viterbo - Stampa Alternativa - 2016 -
- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
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