SIRACUSAE - SIRACUSA ( Sicilia )


« Avete spesso sentito dire che Siracusa è la più grande città greca, e la più bella di tutte. Signori giudici, è proprio come dicono. »
(Marco Tullio Cicerone, In Verrem, II,4,117)

« La più grande delle città, soggiorno caro all'indomabile Ares. »
(Pindaro)

Siracusa ricca di monumenti e storia, è una delle più belle città del mediterraneo, dichiarata per i suoi resti archeologici patrimonio mondiale dell'Unesco.

Nella 29ª riunione annuale del Comitato del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO, del 10-18 luglio 2005, è stato aggiunto il 40° sito italiano (5° siciliano), così denominato: Siracusa e la Necropoli Rupestre di Pantalica.

I criteri dell'inserimento:

- Criterio I: I siti ed i monumenti di Siracusa/Pantalica formano un "Insieme", che costituisce una raccolta unica quale straordinaria testimonianza delle culture del mediterraneo attraverso i secoli e nello stesso spazio.

- Criterio II: "L'insieme" Siracusa/Pantalica offre, attraverso la sua straordinaria diversità culturale, una eccezionale testimonianza dello sviluppo della civilizzazione di oltre 3 millenni.

- Criterio III: Il gruppo di monumenti e siti archeologici situati a Siracusa (tra il centro di Ortigia e i vestigi localizzati in tutta la zona urbana) sono il più grande esempio dell'eccezionale creazione architettonica che raggruppa diversi aspetti culturali (Greco, Romano, Barocco).

- Criterio IV: L'antica Siracusa era collegata direttamente ad eventi, idee e lavori letterari di  eccezionale importanza universale.

Come una grande terrazza sul mare, si affaccia sulla sottostante costa rocciosa e sabbiosa del bellissimo mare. La città vecchia, situata nell'isolotto di Ortigia, ha visto succederci in oltre 3000 anni le maggiori civiltà del Mediterraneo.

Il nome Siracusa deriverebbe dalla lingua sicula Syraco, palude, per le paludi nell'attuale zona dei Pantanelli, da cui la parola greca Syracoùssai. Si hanno infatti tracce di abitazioni nei pressi della città sin dal IV millennio a.c., con villaggi preistorici che già avevano allacciato rapporti commerciali con i Micenei.



ORTIGIA

« Di Alfeo ultima dimora,
Ortigia, gloriose radici della potenza di Siracusa,
Culla allora di Artemide,
Da te, o sorella di Delos, si innalzi il canto
Addolcendo a prezzo alto.... »

(Pindaro, Odi, 518- 438 a.c.) 

Davanti a Siracusa c'è un porto, e nel porto un'isola su cui giace un'antica città. Il suo nome è Ortigia, nome che deriva dal greco ortyx, quaglia, che designa la parte antica dell'attuale Siracusa. Ma Ortigia era anche il nome di uno dei figli di Archia, ed era anche un titolo di Artemide derivato, come narra Ovidio nelle Metamorfosi, dall'antico nome dell'isola di Delo o dall'isola siracusana.

Ortigia ha infatti un legame di nome, con l'isola greca del mare Egeo, Delos (Delo). L'isola greca fa parte della Lista dei patrimoni dell'umanità Unesco, come Ortigia e Siracusa, ed entrambe anticamente si chiamavano "Ortigia" che in greco significa "Quaglia". Poi l'Ortigia greca mutò il suo nome in "Delos", da "deloo" cioè "isola luminosa", poiché su quell'isola nacquero Apollo, Dio del Sole e sua sorella Artemide, Dea della luna.

Pindaro ed altri poeti hanno poi narrato di questo legame tra le due Ortigia, definendo l'isola siracusana "degna sorella di Delos" e dedicale dei versi:
« ... è sorella di Delo, perché Delo una delle Cicladi, dove nacque Diana, chiamavasi ancora Ortigia, essendo come l'Ortigia di Sicilia abbondante di quaglie dette Ortighes dai Greci; per questa denominazione le due Isole sono sorelle. »
(Le odi di Pindaro, Volume 3 pag. 23)

« Alle muse dirai di ricordarsi di Siracusa e Ortigia »
(Pindaro 518-428 a.c.)

ORTIGIA

Ortigia è in realtà un'isola che costituisce la parte più antica della città di Siracusa, e fu, soprattutto inizialmente, il centro politico e religioso della città. Infatti vi venne edificata la via sacra (sotto l'asse urbano della via Dione e del secondo tratto della via Roma), una via che costeggiava i grandi templi, come l'Artemision e l'Athenaion (attuale Duomo di Siracusa).

Ateneo (II sec. d.c.)
« accingendosi a salpare dalla città, i naviganti si recavano presso un altare collocato a un capo dell'isola di Ortigia, vicino al santuario Geo Olimpia, e da qui prelevavano una coppa; giunti al largo, quando lo scudo posto sulla somminità del tempio di Atena non era più visibile - vale a dire quando Ortigia, della quale il tempio occupa il punto più alto, spariva dall'orizzonte - la coppa, ricolma di fiori, aromi, grani di incenso e favi di cera, veniva lanciata in mare. »

Nella prima fase Ortigia accolse l'agorà, ove erano gli edifici pubblici e i templi, mentre Acradina, nato come sobborgo, era un quartiere di abitazione. L'isola era già stata nell'VIII sec., unita alla terraferma mediante una colmata di terra; in seguito collegata con vari ponti.

I templi greci erano sempre rivolti a oriente, osservando infatti l'antica linea urbana di Ortigia, si nota come gli edifici sacri fossero stati posti in luce, ne è un esempio il Tempio di Atena, che aveva funzione di "faro" per tutti i naviganti che si avvicinavano verso Siracusa dal lato del mare di Ortigia.

Sopra il tetto del tempio era posta una grande statua di Athena con uno scudo dorato, visibile da molto lontano, che fungeva da faro ai naviganti.

Al centro di Ortigia si trova oggi il Duomo, costruito inglobando il greco tempio di Athena, da cui proviene una lastra fittile della Gorgone che tiene in braccio Pegaso conservata nel locale Museo Archeologico.

Virgilio - Eneide:
"Giace della Sicania al golfo avanti
un'isoletta che a Plemmirio ondoso
è posta incontro, e dagli antichi è detta
per nome Ortigia. A quest'isola è fama,
che per vie sotto il mare il greco Alfeo
vien, da Doride intatto, infin d'Arcadia
per bocca d'Aretusa a mescolarsi
con l'onde di Sicilia
"



LA FONDAZIONE

La fondazione di Siracusa risale al 734-733 a.c. quando un gruppo di Corinzi, tra cui il poeta Eumelo di Corinto, guidati dal nobile greco Archia, approdarono vicino al fiume Anapo nell’isola di Ortigia. Il luogo, al centro del Mediterraneo e quindi degli scambi commerciali, era prezioso per il doppio porto e per l'abbondanza di acque e di foreste.

Fondarono così la colonia Syrakousai che crebbe fino a diventare una vera città, così ampia che numerosi storici definirono metropoli, ed alcuni la definirono persino Primo Impero d'Occidente.
L'insediamento greco-corinzio cacciò così la popolazione autoctona dei Siculi verso l’entroterra, scatenando una serie di guerre vinte da Siracusa, che estese il suo dominio su territori sempre maggiori. Risalgono a questo periodo i templi più arcaici della Sicilia, come quelli di Zeus e di Apollo, e le necropoli arcaiche.

In effetti all'epoca i corintii avevano un'attivissima industria dei profumi e con l'abbondanza di ottima argilla figulina, svilupparono la ceramica per contenere profumi, unguenti ed olî odorosi, che esportarono abbondantemente in Etruria e a Roma.

E' il periodo in cui sorge la Magna Grecia nel sud Italia, un periodo di grandiosa produzione architettonica, come a Siracusa i Templi dedicati ad Apollo, a Zeus, ad Athena (successivamente trasformato nell'odierno Duomo di Siracusa). Vennero importate le divinità greche, le ninfe e i miti degli eroi.

Nasce il mito per cui Aretusa, figlia di Nereo e di Doride, è concupita dal Dio Alfeo, figlio del Dio Oceano, che l'ha vista nuda mentre prendeva il bagno. La ninfa però non gradisce le attenzioni e scappa sull'isola di Ortigia, a Siracusa, dove la Dea Artemide, non si sa perchè, la tramutò in una fonte.

Zeus, commosso dal dolore di Alfeo ma non da quello della ninfa, lo mutò in fiume permettendogli così, dal Peloponneso, in Grecia, di percorrere tutto il Mar Ionio per unirsi all'amata fonte.
Nell'isola di Ortigia c'è ancora la Fonte Aretusa, uno specchio di acqua che sfocia nel Porto Grande di Siracusa.



LA STORIA

Siracusa traversò lunghi periodi di Tirannide alternati a brevi momenti di democrazia; la sua fama richiamò in città uomini di cultura e la fece diventare culla d'arte e di scienze; Platone (428-348), che qui voleva formare la sua "Repubblica dei Fiolosofi", Pindaro (518-438), che le dedicò versi di poesia, Eschilo (525-456), che presentò al Teatro Greco di Siracusa, per la prima volta la sua opera I persiani.

L'ANTICA SIRACUSA

Siracusa viene citata nei romanzi dell'epoca; nel Romanzo di Alessandro, il libro che parla dei racconti leggendari sulla vita di Alessandro il Grande, viene descritta come "Possente" nella "Fiorente e Bella" Sicilia; Plutarco ne narrò le vicende quando le legioni romane le posero l'assedio.

Siracusa si ritrovò a combattere contro la Syntèleia, una lega di popolazioni autoctone della Sicilia (siculi, sicani, elimi) capeggiata da Ducezio, il quale unì le città sicule che non volevano sottostare alla Grecia, divenne re e dichiarò guerra a Siracusa, il centro della tirannide siciliana. Ducezio fu sconfitto, ma per il grande coraggio dimostrato invece di essere ucciso verrà dai siracusani condotto in esilio a Corinto.
Siracusa combatté più volte con Cartagine, la più potente città fenicia, con essa fece trattati di pace e poi nuovamente battaglie. Durante la guerra del Peloponneso combattè Atene, e si alleò con Sparta, ottenendo così una vittoria decisiva.



LA GUERRA CONTRO ROMA

Durante il regno di Gerone II, Roma e Siracusa avevano firmato un trattato di pace, che durò per lungo tempo, ma i guai arrivarono alla sua morte, col giovane Geronimo che ruppe la pace con i Romani portandoli in guerra, per allearsi con i Cartaginesi.
Geronimo morì in una cospirazione per mano di Dinomene e gli succedette Adranodoro che poco dopo lasciò ai fratelli Ippocrate ed Epicide il compito di difendere la città.

Intanto il Senato romano, sotto il pericolo cartaginese, doveva assicurarsi di debellare quel nemico, per cui votò la guerra contro Siracusa. L'incarico di conquistare la città fu affidato al console Marcello che, capo di milizie di terra e di mare, assediò la città nel 212 a.c.

Durante l'assedio Ippocrate cercò rinforzi cartaginesi presso Eraclea Minoa ottenendo alcune vittorie contro i romani, Epicide invece rimase a Siracusa organizzando una strenua difesa.

Siracusa possedeva infatti ben 27 km di mura costruite da Dionigi I di Siracusa, che le garantivano una completa difesa per mare e per terra.

Pllutarco - Vite Parallele:
"I Siracusani, quando videro i Romani investire la città dai due fronti, di terra e di mare, rimasero storditi e ammutolirono di timore. Pensarono che nulla avrebbe potuto contrastare l'impeto di un attacco in forze di tali proporzioni."

Infine giunsero i Romani che la conquistarono dopo un lungo assedio e dopo estenuanti lotte che portarono all'uccisione dell'inventore matematico siracusano, Archimede (287-212) per un malauguratissimo errore.

Dopo la conquista romana, avvenuta per mano del generale Marco Claudio Marcello nel 212 a.c., durante la II Guerra Punica. Dopo un assedio di due anni l'esercito romano conquistò la città. Plutarco ci descrive Marcello come amante della lingua e della cultura greca e riferisce il suo dispiacere nel lasciare che i propri soldati saccheggino Siracusa.

Plutarco: Marco Claudio Marcello piange sulla sorte di Siracusa:
« Mentre guardava la bella città sotto di lui, pianse a lungo e nonostante la gioia e il compiacimento per la vittoria fu preso da compassione vedendo le ricchezze accumulate in un'epoca lunga e felice, dissiparsi così, nello spazio di un’ora… »
In effetti Marcello risparmiò le vite di gran parte degli abitanti ordinando ai suoi soldati di non ucciderli.


Nonostante ciò, Archimede morì erroneamente per mano di un soldato. Marcello deplorò l'assassinio: "distolse lo sguardo dall'uccisore di Archimede come da un sacrilego", e il soldato venne ucciso per squartamento. Marcello portò i tesori d'arte a Roma tra cui il famoso planetario di Archimede di cui si persero le tracce.

Un ingranaggio probabilmente identificabile come appartenuto al planetario di Archimede è stato rinvenuto nel luglio del 2006 a Olbia. Il planetario, tramandato ai discendenti di Marcello, potrebbe essere andato perso nel sottosuolo di Olbia prima del naufragio della nave che trasportava Marco Claudio Marcello in Numidia.

Siracusa non riuscì più a riprendere la potenza di un tempo; Roma invece conquistò l'intera Sicilia. La città venne nominata Capitale della Provincia Siciliana, fu sede dei Pretori romani inviati ad amministrare la Sicilia.
Stette in città per un anno il generale romano Publio Cornelio Scipione (285-183), detto Scipione l'Africano, il quale da Siracusa preparò l'esercito romano che poi sconfisse il cartaginese Annibale nella II Guerra Punica.
Sappiamo che in quel periodo il pretore Gaio Licinio Verre rubò le opere d'arte siracusane in nome del potere che Roma gli aveva dato. Marco Tullio Cicerone, sdegnato del fatto, venne mandato in Sicilia dal senato romano per testimoniare contro i furti di Verre.
Durante la sua permanenza a Siracusa scoprì la tomba d'Archimede, nascosta tra i cespugli, dimenticata dai siracusani che, con il passare dei secoli e la precaria situazione socio-politica nella quale vivevano, avevano persino dimenticato il posto in cui giaceva il loro più illustre figlio. Cicerone si risentì anche con la popolazione locale.
L'epoca romana ridimensionò la città, ma tuttavia vennero costruite altre opere di notevole importanza come l'Anfiteatro romano, tra i più grandi d'Italia, usato per le lotte dei gladiatori e gli spettacoli circensi, e le battaglie navali (naumachia); il Ginnasio romano e l'intricata rete di catacombe (la più importante ed estesa dopo quella di Roma), e molti altri monumenti.



ARCHIMEDE

A difesa della città, vi era un valoroso esercito ben equipaggiato nonché l'ingegno di Archimede che perfezionò la difesa con mezzi rinnovati come la balista, la catapulta e lo scorpione. utilizzò, si dice, anche la manus ferrea e gli specchi ustori, di sua invenzione, ma su questi ultimi ci sono molti dubbi, perché le fonti che lo riportano sono tarde e per la fattibilità di specchi parabolici e orientati per far prender fuoco al legno o alla stoffa a così grande distanza.

Polibio - Le Storie:
"I Romani, allestiti questi mezzi, pensavano di dare l'assalto alle torri, ma Archimede, avendo preparato macchine per lanciare dardi a ogni distanza, mirando agli assalitori con le baliste e con catapulte che colpivano più lontano e sicuro, ferì molti soldati e diffuse grave scompiglio e disordine in tutto l' esercito; quando poi le macchine lanciavano troppo lontano, ricorreva ad altre meno potenti che colpissero alla distanza richiesta.
Quando i Romani furono entro il tiro dei dardi, Archimede architettò un'altra macchina contro i soldati imbarcati sulle navi: dalla parte interna del muro fece aprire frequenti ferritoie dell'altezza di un uomo, larghe circa un palmo dalla parte esterna: presso di queste fece disporre arceri e scorpioncini e colpendoli attraverso le ferritoie metteva fuori combattimento i soldati navali.
Quando essi tentavano di sollevare le sambuche, ricorreva a macchine che aveva fatto preparare lungo il muro e che, di solito invisibili, al momento del bisogno si legavano minacciose al di sopra del muro e sporgevano per gran tratto con le corna fuori dai merli: queste potevano sollevare pietre del peso di dieci talenti e anche blocchi di piombo. Quando le sambuche si avvicinavano, facevano girare con una corda nella direzione richiesta l'estremità della macchina e mediante una molla scagliavano una pietra: ne seguiva che non soltanto la sambuca veniva infranta ma pure la nave che la trasportava e i marinai correvano estremo pericolo."


I Romani intanto eseguivano assalti per mare con le quinquiremi e per terra con gli eserciti e l'uso delle sambuche, ma inutilmente, perchè Siracusa resisteva. Marcello allora decise di mantenere il semplice assedio e di prendere la città per fame.

L'assedio si protrasse per ben 18 mesi, un tempo molto lungo, e i siracusani, ormai allo stremo, cominciarono a dividersi in due fazioni, pro e contro Roma. Infine fu organizzato il tradimento. Nel 212 a.c. dopo una festa in onore di Diana, in piena notte furono aperti i cancelli della zona nord della città, consentendo alle truppe romane di entrare nell'Epipoli e nei quartieri di Tyche e Neapolis, devastando e saccheggiando la città.

Ma Ortigia resisteva ancora, ben protetta da altre mura. Epicide richiamò in soccorso il fratello, che col sostegno di Imilcone inflisse ai Romani una sconfitta. Subito dopo Ippocrate morirà presso le rive del fiume Anapo a causa di una pestilenza, mentre Epicide vedendosi rifiutato il soccorso di Bomilcare si rifugiò ad Agrigento facendo poi perdere le sue tracce.



SIRACUSA GRECA


IL PARCO DELLA NEAPOLIS

Il termine Neapolis deriva da Nea-polis, ovvero nuova città, poiché in tempi greci Siracusa si estese a tal punto da definirsi Pentapoli ovvero, il luogo dalle cinque città; la Neapolis, era una di queste.
Il parco,  corrispondente all'antica città-quartiere siceliota di Neapolis, racchiude la maggior parte dei monumenti siracusani e venne istituito con i fondi economici della Cassa per il mezzogiorno tra il 1952 e il 1955. Presero parte ai numerosi scavi archeologici, che riportarono alla luce reperti preziosi, i due noti archeologi Paolo Orsi e Luigi Bernabò Brea.

Il parco venne istituito per racchiudere in un unico sito protetto tutti i monumenti aretusei che si trovavano in quella zona, evitando che potessero un giorno trovarsi in pericolo a causa della costruzione edilizia. 

Infatti nel giro di tre decenni numerose nuove abitazioni vennero costruite su necropoli, terme, templi, strade antiche. Molti monumenti dell'antica città vennero sommersi dalla nuova edilizia. Ciò non avvenne invece per i monumenti all'interno del Parco della Neapolis che, essendo recitanti, vennero salvaguardati dall'espansione della città.

Oltre i due teatri vi sono:

L'Orecchio di Dionisio;
La Latomia del Paradiso;
la Piscina Romana,
La Grotta del Ninfeo,
La Grotta dei Cordari e diversi altri siti.
Latomie

Il Parco archeologico della Neapolis è un'area naturale piena di reperti archeologici appartenenti a diverse epoche della storia siracusana. Per la quantità e la qualità dei suoi monumenti è considerata una delle zone archeologiche  più vaste del Mediterraneo.

Il parco è posto sul colle montuoso detto colle Temenite, che divide il parco in due. A sud si trovano i primi monumenti della Neapolis, mentre verso nord ci sono le latomie, scavate nella roccia del colle. Sopra la sua cima, detta terrazzo, si trovano altre vestigia.

Questo colle è menzionato da Tucidide, che nel descrivere la guerra che Atene mosse a Siracusa, narra di dove si accamparono i soldati ateniesi:
« Or le indicazioni di Tucidide concorrono tutte a mostrare l'identità della rupe con quella che sovrasta il paesaggio che oggi addimandasi la portella del Fusco. E perché possa venire più chiaro quanto si è per noi asserito, riferiremo ciò che scrive il medesimo storico al proposito di Gilippo, che salito per l'Eurialo alle Epipoli, si avvicinò alle fortificazioni nemiche dietro le quali tenevasi Nicia; del che avvedutosi Gilippo, si condusse sopra un colle detto Temenite, ove si accampò. Risulta dunque dall'anzidetto, che la rupe, la quale formava parte essenziale della cinta innalzata da Nicia a fronte delle mura del sobborgo, esser doveva situata fra questo ed il colle. »
(Domenico Lo Faso Pietrasanta, Le antichità della Sicilia esposte ed illustrate... , 1840)

Il parco si trova nei pressi del fiume Anapo, ma anche al suo interno vi doveva affluire dell'acqua poiché gli storici raccontano di fonti, soprattutto nell'Ottocento, una delle quali portava lo stesso nome del colle:
« Il tratto meridionale poi fra le mura di Neapoli e la sinistra sponda dell'Anapo chiamasi il Prato Siracusano, ed ivi sgorgavano verso l'Epipoli la fonte Temenite, oggi fonte dei Canali, e verso Neapoli il saluberrimo fonte Milicchio, oggi Pismotta: I campi alla destra dell'Anapo erano innaffiati dalla fonte Archimedia, presentemente detta Cefalino, dal fonte Cianna, oggi detta la Pisma, che prende corso di fiume, e si congiunge poi all'Anapo. »
(Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione..., 1854)

Questa descrizione si riferisce al territorio che circonda il parco. Sul terrazzo del colle Temenite sgorga dell'acqua proveniente dall'acquedotto detto del Ninfeo. Anche 'Acquedotto Galemi venne a confluire all'interno del parco, poiché fu precedentemente collegato, tramite un ponte oggi non più esistente, alla piccola cascata che sgorga dalla grotta del Ninfeo che pare abbia un collegamento anche con l'acqua proveniente dall'acquedotto Galermi.



ACQUEDOTTO DI GALERMI

L'acquedotto fu costruito da Gelone nel 480 a.c. utilizzando i Cartaginesi vinti nella battaglia di Imera. La sua costruzione fu piuttosto difficile, sia per la pendenza costante che per superare burroni e avvallamenti. L'escavazione avvenne ammorbidendo la roccia col fuoco e creando pozzetti di ispezione con scale ricavate dalla roccia. I pozzi servivano non solo come via di accesso, ma come via per lo scarico del materiale di risulta e, una volta in servizio, consentiva l'individuazione di tappi o crolli tramite la fuoriuscita delle acque.

LE MURA

LE MURA

« Intanto considerando, che nella guerra ateniese Siracusa era stata cinta con buone fortificazioni dall'un mare all'altro, gli venne paura di potersi trovare nel pericolo in addietro toccatogli, e vedersi in tutto esclusa l'uscita alla campagna. 

E poiché comprendeva, che la situazione nell'Epipoli era opportunissima per far fronte a Siracusa, chiamati a sé architetti, secondo il giudizio loro pensò di fortificare l'Epipoli dove era il muro presso l'Exapilon; perciocchè codesto luogo volto a settentrione e scosceso tutto, e all'esterno per l'asperità inaccessibile, volendo adunque al più presto fare quel lavoro, da ogni parte della campagna radunò gran turba, da cui scelse 60.000 dei più capaci cittadini, e li distribuì opportunamente secondo l'opera che ognuno doveva prestare. 

Quindi mise un architetto per ogni stadio di terreno, che aveva sì da fortificare, e un capomastro per ogni plettro, e ad ognuno di questi assegnò tolti dalla plebe 200 operai. Oltre questi v'era un gran numero di uomini, che dovevano tagliare le pietre; e 6000 paia di buoi destinò per i trasporti in opportune stazioni. 

Tanta moltitudine di operai metteva meraviglia in chi li considerava, mentre d'altronde ognuno si faceva sollecito di eseguire il lavoro commessogli. Dionigi poi, perché da tutti vi si procedesse di buon animo, promesso aveva agli architetti, e ai capimastri, e agli operai notabili premi; ed egli con gli amici suoi andava ogni giorno a vedere i lavori, scorrendo dappertutto, e confortando, mutando gli stanchi; ed anzi dimessa la maestà del comando, e figurando come semplice privato, in ogni più grave opera si prestava capo, e maestro, e sosteneva con tutti gli altri le fatiche, e le scomodità. 

Il che faceva, che a gara ognuno s'adoperasse, cosicché alcuni dopo avere affaticato tutto il giorno, continuavano ancora in molta parte della notte: tanta era la smania della moltitudine di vedere compiuta l'opera. 

E ciò fece, che contro quanto si era sperato, o creduto, nello spazio di venti giorni il muro fosse compiuto, la cui lunghezza estendeva sia a 30 stadi, e l'altezza era a tal proporzione, che per la solidità sua poteva resistere a qualunque forza, che il volesse combattere, perciò vi si erano interposte assai vicine le une alle altre altissime torri, e si era costruito con sassi larghi ed alti quattro piedi, con bell'artifizio collegati insieme. »

(Diodoro Siculo, XIV)

PERCORSO DELLE MURA
Le mura dionigiane o mura di Dionisio, sono una cinta muraria fatta costruire dal tiranno Dionisio I di Siracusa tra il 402 e il 397 a.c. per fortificare il pianoro dell'Epipoli (l'Epipolai menzionato da Strabone), l'estremo quartiere della pentapolis ancora privo di fortificazioni, permettendo in questo modo di salvaguardare la città anche in caso di assedio.

Furono le mura più poderose del mondo greco, le mura iniziavano in Ortigia e terminavano sul monte più alto di Siracusa, l'Epipoli, nei pressi del Castello Eurialo, altra poderosa edificazione militare. Esse servirono alla città per difendersi dagli attacchi di Cartagine, di Atene e di Roma.

Le mura cingevano completamente l'antica città di Siracusa per un perimetro di ben 34 km (180 stadi come riferisce Strabone) giungendo sul punto più alto in corrispondenza del Castello Eurialo. Alla base il loro spessore era variabile tra i 3,3 m e i 5,35 m, e alte diversi metri. 14 erano il numero di torri conosciute di cui la più grande misurava 8,5 x 8,5 m. Per la sua costruzione furono impiegati 70.000 schiavi e 6.000 buoi divisi in squadre di 200, con un ritmo di riempimento di 300 tonnellate al giorno di blocchi.

Sull'altopiano dell'Epipoli sfruttavano le naturali pendenze del territorio, poi costeggiavano il mare da nord sin a Ortigia, mentre da sud arrivavano verso il porto grande virando nei presso del Cimitero Comunale. Le mura sono costruite con rocce calcaree estratte dalle cave di pietra che abbondano in zona. Attualmente la cinta muraria è solo parzialmente visibile. Non ci sono notizie di epoca romana su nuove edificazioni difensive in città, probabilmente si usarono ancora le mura greche.


Mura serviane e siracusane

Le Mura di Roma che portano il nome di Mura Serviane, costruite e restaurate intorno al IV, III sec. a.c., sono state in parte edificate con l'ausilio di maestranze siracusane; infatti in quei tempi Roma e Siracusa erano alleate, e sembra che i romani si siano serviti di manodopera proveniente dalla città aretusea, che aveva già dato prova di efficacia con la realizzazione delle mura dionigiane ai tempi delle grandi battaglie del V e IV secolo. Tale tesi trova riscontro nei reperti che gli archeologi hanno ritrovato sui blocchi di quelle mura: dei marchi posti su ogni pietra, contraddistinti da caratteri alfabetici greci.

CASTELLO DI EURIALO


CASTELLO EURIALO

« …Nel castello Eurialo si trovano largamente applicati i principi dell’arte difensiva di tutti i tempi.
Le opere avanzate, costituite da tre fossati, disposti trasversalmente alla dorsale, ed il duplice recinto del corpo principale, dimostrano che il concetto della resistenza successiva o scalare, del quale si fece un’applicazione eccessiva dagli ingegneri militari del secolo XVII, era ben noto nell’antichità. ...

In quelle disposizioni che la tecnica costruttoria, assai progredita degli architetti militari greci riescì a rendere perfettamente corrispondenti allo scopo, mercé il copioso sviluppo delle comunicazioni sotterranee, si rivela al più alto grado il concetto della difesa attiva.

Il principio della massa inerte e della difesa passiva, il quale, rappresentato dalle gigantesche muraglie, potrebbe credersi la caratteristica dell’architettura militare dell’antichità, cede il posto, nella fortezza siracusana, alla mobilità, alla elasticità ed alla attività della resistenza… »

(Generale Enrico Rocchi - esperto e studioso di fortificazioni militari)

EURIALO

Il Castello Eurialo (dal greco " eurvelos", chiodo dalla larga base), è la più grande e completa opera militare che sia rimasta del periodo greco, munito di larghi fossati, torri d'avvistamento, un ponte levatoio e trincee sotterranee, che rendevano la città di Siracusa inespugnabile.

Esso è considerato il massimo esempio di arte difensiva greca. Sorge a Belvedere, una frazione di Siracusa sita a circa 7 km a nord della città in un luogo collinare, edificato da Dionisio I, venne ristrutturato e utilizzato fino all'Impero bizantino.
Il castello faceva da cerniera tra le due ali di mura dionigiane. Misura ben 15.000 m², il suo interno era preceduto da tre fossati, in età di ristrutturazioni furono costruite 5 torri, alte 15 metri ciascuna.

Plutarco afferma che il tiranno Ierone II si servì dei consigli tecnici di Archimede per l'installazione di sofisticati sistemi difensivi, che sono effettivamente gli esempi più pregiati della cultura tardo-ellenistica.



LE PORTE

Le mura avevano diverse porte di accesso, di cui solo alcune ancora visibili. Una porta ben conservata sta nei pressi del castello Eurialo sul versante nord detta Trypilon, è la seconda sul versante sud ove attualmente c'è il viale Epipoli che taglia le mura.

Nella zona di Scala Greca è presente la Porta Scea, mentre l'Exapilon pur non essendo più leggibile dovrebbe corrispondere all'asse viario di Siracusa nord in direzione Targia.

Una porta urbica è anche presente in Ortigia (nell'attuale scavo di via XX settembre) e consentiva l'accesso tra la Neapolis e la fortezza di Ortigia.


SCALA GRECA

E' un passaggio di epoca greca con la traccia di una porta di accesso alla pentapolis, posta all'estremo nord di Siracusa, da cui scendeva alla piana di Targia (dove esiste una necropoli). Il passaggio si presenta con due solchi paralleli e orme degli zoccoli dei cavalli incisi nella roccia per il transito continuo. Guardando dall'alto o dalla stessa piana si ha la sensazione di vedere una scala.


PORTA SCEA

La porta si trova a pochi m dall’ingresso nord di Siracusa, sull'l’asse viario di Scala Greca, dove probabilmente era collocata la porta Exapilon. Ambedue le porte dovevano collegarsi ad una via che portava a Catania. sono ben visibili anche i solchi di un’antica strada greca nella parte bassa rispetto alla balza della Targia.

La porta Scea risulta essere ben visibile ancora oggi. Il varco è profondamente scavato nella roccia e permette il superamento del dislivello della balza facendo una curva, che probabilmente limitava l’utilizzo di arieti di sfondamento. Lungo l’accesso sono visibili i solchi profondi delle ruote di carro e al centro dei piccoli fori utilizzati per consentire ai buoi o ai cavalli di non scivolare.

LATOMIE

LE LATOMIE

“ Con questo greco nome si appellarono ivi le tagliate di pietra, cioè i luoghi delle sue colline, onde le pietre necessarie alle fabbriche si trassero, e che servirono poi di prigioni. Vasta e magnifica opera (scriveva così Cicerone, dopo d'averle visitate), di più re e tiranni, per meravigliosa altezza, ed a forza d'innumerevoli braccia cavata nel sasso, di cui nulla può farsi né immaginar di più chiuso, di più riposto, di più custodito. ”
(Alessio Narbone. Istoria della letteratura siciliana, Volume 3, 1854)

Le latomie sono delle enormi cave di pietra dalle quali gli uomini estraevano la roccia per poi intagliarla e fabbricare edifici e monumenti; quelle di Siracusa sono tra le più note, perchè si utilizzava molto la bianca roccia calcarea, con cui si costruivano templi e mura. 

Le Latomie, caratteristiche di Ortigia e Siracusa, erano cave di pietra, per lo più a cielo aperto, all’interno della città antica, che segnarono la guerra fra Atene e Siracusa, in cui divennero mortali prigioni per i resti dello sconfitto esercito greco. Come narra Tucidite, 7000 prigionieri di guerra furono rinchiusi nelle grandi Latomie e fatti morire orribilmente di stenti.

Dionigi fece costruire con le pietre delle Latomie una grande fortezza, sbarrante l'accesso all'isola e con il fronte volto verso Acradina. Vi realizzò anche un grande palazzo come propria residenza, lo stesso che, ricostruito da Ierone II, servì poi da residenza ai pretori romani che l'ingrandirono e abbellirono.

Cicerone descrisse le Latomie con grande ammirazione:
"Tutti voi avete sentito parlare, e la maggior parte conosce direttamente, le Latomie di Siracusa. Opera grandiosa, magnifica, dei re e dei tiranni, scavata interamente nella roccia ad opera di molti operai, fino a una straordinaria profondità. Non esiste né si può immaginare nulla di cosi chiuso da ogni parte e sicuro contro ogni tentativo di evasione: se si richiede un luogo pubblico di carcerazione, si ordina di condurre i prigionieri in queste Latomie anche dalle altre città della Sicilia."

Qualcuno ha supposto che le Latomie, esistenti non solo a Siracusa ma pure nel Lazio, vedi le Latomie di Salone, fossero antichi luoghi sacri sotterranei di civiltà molto arcaiche.

Pausania del resto narra che nelle Latomie siracusane fu posta la statua di Ligdamide, vincitore ad Olimpia (648-645 a.c.) nel pancrazio (un misto tra corsa, lotta e pugilato). Ora si sa che le olimpiadi erano sacre, che ragione ci poteve essere a porre una statua così importante dentro una cava? Nessuno l'avrebbe vista nè omaggiata. Eppure i vincitori venivano mantenuti dallo stato per un quinquennio, ricevendo l'alloro nonchè soldi e regali ovunque.


LATOMIA DEI CAPPUCCINI

Famosa la Latomia dei Cappuccini; in quanto curata oggi dai frati cappuccini residenti nel convento soprastante la latomia. Al suo interno, in età greca, vennero imprigionati i soldati ateniesi, dopo che vennero sconfitti a Siracusa, durante la guerra del Peloponneso.


LATOMIA DEL PARADISO

LATOMIA DEL PARADISO

E' la più grande della Neapolis e quella posta più ad occidente, vicino l'Ara di Ierone II.

Il suo percorso è solo parzialmente visitabile, poiché alcuni punti sono sbarrati. In alcuni suoi tratti raggiunge la profondità di 45 m e qui si estraevano i blocchi di pietra più grandi..

Al suo interno si aprono delle grandi cavità chiamate Orecchio di Dionisio, Grotta dei Cordari e Grotta del Salnitro.


ORECCHIO DI DIONISO

ORECCHIO DI DIONISO
L'Orecchio di Dionisio (o di Dionigi) è una grotta artificiale scavata nell'antica cava di pietra calcarea "latomia del Paradiso", non lungi dal Teatro Greco.

Fuori, all'imboccatura del cunicolo, doveva essere una scala che conduceva al di sopra della rupe, dove si trovavano le costruzioni che completavano gli alloggi della prigione, di cui la grotta era la segreta.

La grotta è alta circa 23 m e larga dai 5 agli 11 m, con una profondità di 65 m, ma con andamento sinusoide. Secondo la tradizione il tiranno Dionisio fece scavare la grotta dove rinchiudeva i prigionieri, e da una cavità superiore ascoltava i loro discorsi.

Grazie alla sua forma, l'Orecchio di Dionisio amplificherebbe i suoni. (Ma non è la forma, qualsiasi grotta amplifica i suoni, e pure una stanza vuota lo fa)

Secondo Eliano (170-235), Dionisio avrebbe rinchiuso il poeta Filosseno (436-380 a.c.), colpevole di non aver apprezzato le sue opere letterarie, in questo luogo o nella vicina "Grotta dei cordari". Eliano afferma che il poeta era stato rinchiuso: "nella grotta più bella delle Latomie, dove aveva composto il suo capolavoro, il Ciclope: grotta che in seguito aveva preso il suo nome."



LATOMIA DELL'INTAGLIATELLA

Questa latomia è collegata a quella del Paradiso tramite una breve galleria. Essa deriva da secoli di erosione e acque meteoriche che ne hanno levigato le pareti dandole la forma attuale. Il suo segno più riconoscibile e caratteristico è un'alta e lunga roccia posta all'interno del suo perimetro.


LATOMIA DI SANTA VENERA

La latomia di Santa Venera è quella posta più a oriente di tutto il parco. Nota per il suo giardino sub-tropicale coltivato fin dall'epoca settecentesca; in alcune delle sue pareti sono visibili le edicole votive, a testimonianza che in questa latomia si praticava il culto degli Eroi.



GROTTA DEI CORDARI

E' una grotta artificiale che prende il nome dai fabbricanti di corde artigianali che vi lavorarono. 
In questa grotta si narra venissero rinchiusi i prigionieri del tiranno Dionisio I. 

Il poeta Filosseno di Citera, che contraddisse il tiranno pungendolo sulla sua scarsa vena poetica, venne rinchiuso diverse volte nella latomia del Paradiso, dove compose la sua più nota opera intitolata Ciclope. 

Esiste però un dubbio se si trattasse dell'Orecchio di Dionisio o della Grotta dei Cordari, poiché secondo le testimonianze di Claudio Eliano, Filosseno venne rinchiuso «nella grotta più bella delle Latomie» ma entrambe queste grotte sono belle.


GROTTA DEL SALNITRO

Verso est c'è la grotta del Salnitro la cui imboccatura è in parte coperta da un gigantesco masso crollato dalla volta, sul quale sono visibili, in forma quasi di gradinate, i piani di stacco dei blocchi calcarei.

GROTTA DEL NINFEO

GROTTA DEL NINFEO

La grotta si trova vicino alla parte più elevata del piccolo rilievo montuoso, su una terrazza rettangolare che costeggia il teatro greco. Si apre al centro della parete rocciosa dove un tempo si trovava un porticato chiuso fatto ad  "L".

Al suo ingresso erano poste le statue dedicate alle Muse, per questo si pensa fosse l'antica sede del Mouseion (il santurario delle muse), sede della Corporazione degli artisti, dove gli attori si riunivano prima di scendere nel teatro.

Tre di queste statue, datate II sec. a.c., sono pervenute ai nostri giorni ed esposte al Museo archeologico regionale Paolo Orsi. La grotta presenta un soffitto a volta e al suo interno si trova una vasca di forma rettangolare nella quale si raccoglie l’acqua che scorre a cascata da una cavità posta nel fondo della parere rocciosa. Accanto alla parete d'ingresso si notano delle edicole votive che servivano per la pratica del culto degli eroi (Pìnakes). L'acqua che fuoriesce sgorga dall'acquedotto Galermi.

TEMPIO DI ATHENA

I TEMPLI GRECI


ARTEMISION  (TEMPIO DI ARTEMIDE)

L'Artemision o Tempio di Artemide o Tempio Jonico, si trova presso la Via Minerva, laterale e congiunta a Piazza del Duomo di Siracusa, nel punto più alto dell'isola di Ortigia. Fu un raro esempio di stile ionico in Italia.

In Via Minerva, accanto al Duomo e presso il Palazzo del Senato si trovano i resti dell'Artemision. 

Altro è emerso dai sotterranei del palazzo, rivelando i resti di un primitivo tempio in stile ionico, con basamento di 59 X 25 m, un tempio come si vede molto esteso ed importante.

Sono superstiti anche i frammenti di un enorme capitello e la parte inferiore di una colonna rivestita, fino a una certa altezza, da una fascia non scanalata, nella quale dovevano esserci dei bassorilievi, appunto come taluni grandi templi dell'Asia Minore. Nella foto qui sotto, sul lato destro, si scorgono i resti dell'Artemision che fanno da sedile ai passanti.

BASE ARTEMISION
Si ritiene che il tempio al periodo dei Gamoroi, i discendenti dei primi coloni greci di Corinto giunti a Siracusa, che governavano la città in quanto proprietari terrieri. 

Vennero poi cacciati dai Kyllyrioi, discendenti dei Siculi, popolo nativo di Siracusa, che rappresentavano la classe popolare.

Il tempio è un raro esempio in Occidente di un primitivo tempio in stile ionico che rammenta le architetture di alcuni grandi templi dell'Asia Minore.

Secondo il grande archeologo Luigi Bernabò Brea, il tempio non fu mai portato a termine a causa della cacciata dei Gamoroi da Siracusa intorno al 500 a.c., e per la sconfitta di Siracusa da Ippocrate di Gela. Gelone, giunto al potere, abbandonò il progetto del tempio ionico preferendo avviare i lavori per la costruzione del Tempio dorico di Athena.

L'Artemision era dedicato alla Dea Artemide, protettrice greca di Siracusa, alla quale è legato il mito di Aretusa, la ninfa trasformata in fonte di acqua dolce che ancora oggi è il simbolo della città.

L'ATHENAION


ATHENAION  (TEMPIO DI ATENA)


Il tempio di Atena fu un edificio di ordine dorico eretto nel V sec. a.c. dal tiranno Gelone in seguito alla vittoria contro i Cartaginesi nella battaglia di Imera (480 a.c.). Tale fu la sua fama ed il suo prestigio, che a lui si rivolsero gli ambasciatori Spartani ed Ateniesi per richiedere aiuto nell'imminente invasione della Grecia da Re Serse. 

« Ateniesi, replicò Gelone, voi non di capitani ma di soldati difettate. Or via, poiché siete così ostinati, tornate in Grecia e dite ch'essa delle quattro stagioni dell'anno toglie la primavera. »
(Discorso di Gelone rivolto agli ambasciatori di Atene)

Il tempio sorgeva su un altro più arcaico dell'VIII sec. a.c. ma in stile ionico, con un altare portato alla luce negli scavi dell'inizio del XX sec., e su un altro ancora della metà del VI sec. a.c. di stile dorico.

Infatti durante gli scavi del 1912 e 1917. Si recuperarono elementi architettonici, terrecotte e una parte dell'altare, databili verso il VI sec. a.c..

L'Athenaion venne fatto edificare, secondo gli storici, dalla dinastia tirannica dei Dinomenidi provenienti da Gela e poiché il primo tiranno di Siracusa fu Gelone, ad egli è attribuita la costruzione del tempio nel V sec. a.c..

LE COLONNE DORICHE DEL DUOMO
Gelone, il primo tiranno di Siracusa, e vi eresse un tempio dorico, imponente, il più importante della polis, e fu dedicato ad Atena.
Esaminando le analogie con il tempio della Vittoria di Imera, gli archeologi sono convinti che sia collegabile alla vittoria della Battaglia di Imera nel 480 a.c.

Il tempio era stato dedicato ad Atena, la Dea della saggezza e della guerra. Alcuni viaggiatori storici del 1800 scrissero nel tempio il proprio parere sulla dedica alla Dea:

« Che questo tempio fosse proprio consacrato a Pallade, la sapiente figlia dell'Olimpio, è dubbio: la sua vicinanza alla fontana Aretusa lo farebbe piuttosto credere dedicato a Diana protettrice delle chiare, fresche e dolci acque, di quella celebre fonte, cantata dai poeti dell'antichità assai più di quello che dal cantore di Laura non fossero le sorgenti di Sorga, in Valchiusa. La tradizione però, poggiandosi in gran parte sulle attestazioni di Cicerone, che fu anche Pretore in Siracusa, nelle Verrine, lega questo tempio alla Dea del sapere. »

D'altro canto sia Platone che Ateneo di Naucrati confermano l'attribuzione ed Athena. Cicerone poi ci ha narrato di come questo tempio fosse stato rispettato dal conquistatore di Siracusa, il generale e console Marco Claudio Marcello, e invece fosse poi stato oltremodo depredato dal pretore Verre:

« C'è un tempio di Minerva sull'isola, di cui ho già parlato, e che Marcello non ha toccato, lo ha lasciato pieno di tutti i suoi tesori e ornamenti, ma che così è stato svuotato e "attaccato" da Verre, che sembra essere stato nelle mani non di un nemico - i nemici, anche in guerra, rispettano i riti della religione e i costumi del paese, ma (nelle mani) di un qualche pirata barbaro. 
C'era la battaglia della cavalleria del Re Agathocle, perfettamente dipinto in una serie di figure, e con queste figure erano ornate le mura interne del tempio. Niente era più nobile di quei dipinti; Non c'era niente a Sicuracusa che valeva vedere di più. Queste figure Marcello, che con ogni sua vittoria prendeva tutto, non le toccò, impedito dalla sacralità; 
Questo (Verre), dopo la lunga pace e la lealtà dei Siracusani, li ha accolti come sacri e sotto la protezione della religione, portando via queste figure che sono rimaste inviolate per tanto tempo e che sono sfuggite a tante guerre, lasciando nude e deformate le mura. »
(Cicerone)
PIANTA DEL TEMPIO
Il sito mantenne la sua funzione di zona sacra principale per tutto il periodo greco-siceliota e successivamente per quello romano, in quanto lo stesso Cicerone durante il suo soggiorno nella città aretusea affermò:
« lo posso asserire con coscienza netta ... che porte più splendide e più squisitamente lavorate d'oro e d'argento, non sono mai esistite in alcun tempio. »

Nel 394 d.c., i templi pagani vennero chiusi e «dovranno trascorrere altri due secoli prima che le aedes complures d’Ortigia, di cui parla Cicerone, siano convertite in santuari cristiani». (Agnello S. L., Il duomo di Siracusa e i suoi restauri)
L’Athenaion fu trasformato in tempio cristiano e il vescovo Zosimo nel VII d.c. consacrò la nuova basilica alla natività di Maria.
Prima della conversione l’edificio, nel corso dei secoli, come scrive Paolo Orsi, fu lasciato in un « periodo di abbandono a cui fu condannato il tempio dal IV al VII sec. d. c., quando cioè non fu più tempio pagano, né chiesa cristiana, ma rimase nello stato di abbandono completo, senza che alcuno ne curasse la manutenzione». (Orsi P., Esplorazioni dentro e intorno al tempio di Athena in Siracusa). 

PIANTA DELL'ATHENAION
Il tempio periptero di Athena fu dunque trasformato così in una struttura basilicale. Vennero chiusi gli intercolumni del tempio, sul lato nord e sud con una spessa cinta muraria, che fu eretta dalla peristasi alla trabeazione ed interrotta da strette finestre strombate e leggermente plasmate nella cornice. 

Rimasero le grandi colonne doriche, eccezionali per l'altezza e soprattutto per essere state create in un unico pezzo, senza tagli. Figuriamoci la difficoltà nel trasporto dalla cava al tempio. Qui accadde la stessa cosa che successe a Roma alle colonne del tempio di Antonino e Faustina, anch'esse costituite da un fusto unico.

Vi si leggono ancora i solchi lasciati dalle funi d'acciaio che imbracarono la sommità delle colonne per tirarle a terra disgregandole. Ma la stabilità delle colonne era tale che i cristiani si rassegnarono a lasciare intatte le colonne più antiche. La stessa cosa deve essere avvenuto nel duomo: buttare giù le colonne significava far cadere il tetto e rovinare il bel pavimento marmoreo romano, per cui lasciarono intatte le gigantesche colonne buttando giù il resto.



DESCRIZIONE

L'Athenaion era un tempio con sei colonne in facciata e 14 colonne sui lati lunghi, rispondente alle proporzioni canoniche greche. Il fronte presentava la contrazione degli intercolumni terminali, come soluzione canonica del conflitto angolare, cioè veniva avvicinata la colonna d'angolo a quella adiacente riducendo lo spazio tra due colonne.

SOVRAPPOSIZIONE ARCHITETTONICA DEL DUOMO
Le misure complessive erano di 22 x 55 m. Il peristilio circondava una cella con pronao (vestibolo colonnato) ed opistodomo ( spazio posto dietro la cella che poteva contenere le suppellettili per il rito e i sacrifici e pure le ricche offerte agli Dei, per cui era chiuso con cancellate metalliche ). Vi potevano accedere solo i sacerdoti), entrambi con due colonne in antis.

Il tempio fu riutilizzato come Duomo di Siracusa e ne restano visibili, sul fianco sinistro del duomo, alcune colonne e lo stilobate sul quale esse poggiavano, in calcare locale, mentre altri resti (tegole in marmo e gocciolatoi a forma di testa di leone) sono conservati nel Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi. All'interno invece sono visibili 9 colonne del lato destro del periptero caratterizzate da una entasi piuttosto accentuata (rigonfiamento del fusto della colonna a circa un terzo della sua altezza) e le due antistanti la cella.


Lo scudo di rame dorato

Lo storico del XVI sec. Tommaso Fazello così descrive lo scudo di rame dorato posto in cima al tempio siracusano:
« Eravi ancora un altro tempio consacrato a Minerva, ed era ornatissimo e bellissimo, in cima del quale era posto lo scudo di Minerva gettato di rame dorato, il quale era tanto grande ch'egli era veduto da' naviganti che erano in alto mare. coloro che partivano dal porto di Siracusa, come gli erano tanto discosto che non potevano veder più quello scudo, essi pigliavano un bicchiere o una tazza di terra, la quale toglievano a posta dall'altare degli dei, ch'era fuor delle mura, presso al tempio d'Olimpio, ed empiendola di mele, d'incenso e d'altre spezierie e di fiori, la gettavano in mare in onor di nettuno e di Minerva. Ed avendo fatto questo sacrificio, secondo la superstizione, se n'andavano allegri a lor viaggio. »

Da Cicerone, che elenca gli ornamenti depredati da Verre, sappiamo che aveva decorazioni in avorio, borchie d'oro sulla porta e una serie di tavole dipinte che raffiguravano un combattimento di cavalleria tra Agatocle e i Cartaginesi e 27 ritratti dei tiranni della città.

APOLLONION O TEMPIO DI APOLLO

APOLLONION

Di notevole importanza sono i resti del Tempio di Apollo, che è il più antico tempio dorico della Sicilia. Costruito in epoca greca, VI sec. a.c., con 42 colonne monolitiche, trasportate probabilmente via mare, dovette sembrare eccezionale agli stessi costruttori, vista l'insolita presenza sull'ultimo gradino del lato Est di un'iscrizione dedicata ad Apollo in cui il committente l'architetto, celebra l'impresa con un'enfasi che ne rivela la difficoltà.

Fu importante anche perchè fu il primo corrispondente al modello che si andava affermando in tutto il mondo ellenico di tempio periptero con colonne di pietra, che sostituiva il tempio ligneo.

RICOSTRUZIONE
Il nuovo tipo di tempio aveva fronte esastilo ed un colonnato continuo lungo il perimetro che circonda il pronao (spazio davanti la cella), e la cella divisa in tre navate con due colonnati interni più snelli, che dovevano sostenere un tetto di legno di cui nulla sappiamo. Sul retro della cella si trovava un vano chiuso (adyton) tipico dei templi sicelioti.

Subì diverse trasformazioni: fu chiesa bizantina, di cui si conserva la scalinata frontale e tracce di una porta mediana, e poi divenne moschea islamica. Poi vi si sovrappose la chiesa normanna del Salvatore successivamente inglobata in una cinquecentesca caserma spagnola e in edifici privati, rimanendo comunque visibili alcuni elementi architettonici. 

La avveniristica costruzione fu un modello per l'affermarsi del tempio dorico periptero in Sicilia, con un modello che univa aspetti legati a modelli greci con altri peculiari della Magna Grecia come la presenza dell'adyton, probabile sede dell'immagine sacra e del tesoro del tempio.

Terracotte di elementi architettonici sono conservate al Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa, tra cui frammenti del sima, e di acroteri ed alcune tegole di copertura, probabilmente tra le prime prodotte in Sicilia.

Le tante sovrapposizioni che si susseguirono sul tempio danneggiarono gravemente l'edificio che fu riscoperto intorno al 1860 all'interno della caserma e venne riportato interamente alla luce grazie agli scavi effettuati da Paolo Orsi negli anni tra il 1938 e il 1942.



TEMPIO DI ZEUS

Von Riedesel (1767):
Sulla sponda del fiume Anapo, che sfocia nel porto grande, si trovano due grandi colonne e tre cadute. Le cinque colonne sono di ordine dorico e sono i resti del famoso tempio di Zeus Olimpico nel quale gli ateniesi si rifugiarono dopo la sconfitta umiliante ricevuta dai siracusani

Il Tempio di Zeus; costruito nei primi decenni del VI sec. a.c., è il secondo tempio più antico di Siracusa, e viene comunemente chiamato dai siracusani il tempio "re' du culonne", per la presenza di sole due colonne superstiti.

TEMPIO DI ZEUS
Jean Hoüel (1778): “…I proprietari del campo dove sono le rovine del tempio di Giove, hanno distrutto completamente sia le colonne sia i capitelli che giacevano rovesciati per terra: li hanno frantumati e prelevati per costruire capanne e per arare più facilmente il terreno. Hanno preferito il piccolo beneficio di poche manciate di spighe, alla conservazione di queste rovine antiche per le quali non hanno rispetto. ”

Dopo quello di Apollo in Ortigia, è il tempio più antico di Siracusa, chiamato dai siracusani il tempio "re' du culonne", per le sole due colonne superstiti. Le due colonne attuali all'angolo sud est e sul lato sud, hanno ispirato i viaggiatori e gli artisti del Settecento e del primo Ottocento, ma fino al tardo Settecento rimanevano erette otto colonne monolitiche. Dal tempio si ha la veduta completa del Porto grande, delle Saline, di Ortigia e del Plemmirio, facendo da riferimento ai naviganti che entravano o uscivano dal porto di Siracusa.
Si sa che i suoi sacerdoti erano di massimo rango in città, e che nel tempio erano custodite le liste censitarie dei cittadini, oltre naturalmente al tesoro del tempio. Presso il tempio si accamparono gli Ateniesi, i Cartaginesi e infine i Romani nelle loro guerre di conquista contro Siracusa. Il tempio infatti fu depredato più volte in epoche diverse..

Nei pressi del tempio sorgeva un piccolo abitato suburbano chiamato Polichneun, per la vicinanza del porto grande e dalla via Elorina, nonchè da fonti sacre come quella di Ciane. Ma soprattutto per la prossimità del tempio dove accorrevano i pellegrini acquistando souvenir, e spendendo soldi nelle botteghe e nelle locande.

Insomma era un posto turistico favorito sia dal porto che permetteva di raggiungere il tempio via mare, sia per la via Elorina, che permetteva di raggiungerlo via terra.
Dagli scavi condotti sul tempio, si è evidenziata la cella con pronao e adyton, con duplice colonnato di 6 colonne sulla fronte e con rivestimento decorativo in terracotta simile a quelli dell'Apollonion.

Nell'età di Dionigi vi venne posta una grandiosa statua criselefantina (rivestita in oro e avorio) di Zeus, che il Tiranno rivestì di un manto prezioso. Al tempio conduceva una ierà odòs, cioè una Via Sacra, che attraversava tutte le più importanti aree sacre cittadine e le stesse paludi Lisimelie.

Nell'area circostante le paludi sono stati rinvenute delle rovine archeologiche appartenenti ad un quartiere esterno della Pentapoli greca che andava a formare l'antica Siracusa nonchè necropoli e resti di fortificazioni.

Nel 491 a.c, Ippocrate di Gela, dopo la vittoria all' Eloro sui Siracusani, si accampò presso il tempio,e scoprì ili sacerdote e altri in atto di depredare gli ex voto, e jl mantello della statua di culto, in parte d'oro. Egli rimandò indietro i predatori, e si astenne dal toccare i tesori del santuario (Diodoro, X 28, 1). Anche gli Ateniesi, quando nel 414 si accamparono intorno al tempio, non toccarono il tesoro del Dio (Pausania, X 28, 6)   
Ma non fu così per gli eserciti cartaginesi nel 391 e nel 309 a.c, e forse anche i Romani nel 214 (Livio, XXIV 33, 3). Del resto, lo stesso Dionigi aveva privato il dio del mantello. d'oro offerto da Gelone con il "denaro ricavato dalla preda cartaginese della battaglia di Himera, con l'ironico pretesto che il Dio sarebbe stato assai più protetto dal freddo e dal caldo con un mantello di lana (Cicerone, De natura deorum, III 83). .Anche Verre rubò nel tempio un simulacro di Zeus Urios (Cicerone, Verrine', II 4, 128).
L'edificio sorgeva all'interno di un sobborgo chiamato Polichne (Tucidide, VII 4), che era probabilmente privo di mura. In esso venivano conservate le liste dei cittadini di Siracusa, che vennero intercettate dagli Ateniesi mentre i Siracusani tentavano di portarle in salvo nella città su una nave (Plutarco, Vita di Micia, 14). L'importanza del santuario come centro politico è dimostrata anche dal. fatto che l'anfìpolia di Zeus Olimpio, creata da Timoleonte, era anche la magistratura eponima della città (Diodoro, XVI 70, 6).

II tempio, scavato a più riprese (1893, 1902, 1953) e stato restaurato di recente, ma ne resta molto poco e cioè la krepidoma (base a gradoni), e tutto l'incasso della roccia in cui era inserita la fondazione, con due colonne del lato sud ancora in piedi. L'edificio era molto allungato (20,50x,60. m) e presentava una. peristasi di. 6 colonne per 17, probabilmente tutte monolitiche, come quelle del 'tempio di Apollo, alte, circa .8m, con un diametro inferiore di 1,84. 
 
L'intercolumnio frontale era di 4,08 m, quello laterale di 3,75. La cella era preceduta da un pronao, e seguita da un àdyton senza opistodomo: pianta molto simile dell'Apollonion, anche nelle terrecotte architettoniche. Sembra risalga ai primi decenni del VI sec. a.c.. Lo scavo del 1953 ha rivelato la presenza, accanto al tempio, di due profondi fossati, opere di difesa che, in base alla ceramica scoperta, possono essere attribuite a uno degli assedi cartaginesi o a quello romano.



TEMPIO DI APOLLO TEMENITE

APOLLO TEMENITE
Accanto al teatro sono state recentemente scoperte le fondazioni di un tempio di età greca arcaica, dotato di altare e di scala di accesso sulla fronte meridionale.

Il suo orientamento in senso nord-sud, anomalo per un tempio greco, nasce dalla necessità di adeguarsi all’orientamento generale del teatro.

Ed ecco allora la foto del Teatro greco visto da nord, con in primo piano le fondazioni del tempio greco arcaico eretto sulla terrazza sovrastante

Infatti l’asse nord-sud del tempio coincide perfettamente con quello su cui è impostata tutta la struttura della cavea e dell’orchestra.
Non dimentichiamo che qui, sul bordo della terrazza rocciosa, esisteva già una profonda cavea naturale su cui strutturare la cavea del teatro.

Come ad Atene, a Delfi, a Delo e a Epidauro il teatro era in diretta relazione con un grande santuario, così anche a Siracusa esso era in rapporto con il Santuario di Apollo Temenite, tante volte ricordato dalle fonti letterarie, sulla cui ubicazione si hanno finalmente prove certe.

ARA DI IERONE


ARA DI IERONE

Da annoverare tra i monumenti dedicati alle divinità anche l'Ara di Ierone II; del III sec. a.c., il più grande altare votivo greco conosciuto.

Callimaco (305-240 a.c.): Inno a Zeus:
"Debitamente dell’eteree rote
Fu conceduto a te lo scettro eburno;
Di vecchia opinion son false note,

Che sorteggiando i figli di Saturno
Partirono gl’imperi; e fia chi pogna
L’inferno a par del bel tempio diurno?

Di cose uguali sorteggiar bisogna
(Troppo è dal Cielo alle contrade morte)
Nè mentir ciò, che ha faccia di menzogna.
"

Diodoro, ricordando gli edifìci più importanti allora costruiti a Siracusa, cita due monumenti dovuti a Ierone II: l'Olympieion presso l'agorà e l'altare presso il teatro, che era lungo uno stadio e alto e largo in proporzione. E' facile riconoscervi l'Ara di Ierone II nel lunghissimo basamento, del quale rimane quasi solo la parte intagliata nella roccia, ancora visibile poco a sud-est del teatro.

Si tratta di un monumento in parte scolpito nella roccia e in parte costruito. Purtroppo la parte edificata fu demolita dagli Spagnoli nel XVI sec. per quella mania cattolica di demonizzare ogni traccia del passato pagano, m soprattutto per  la costruzione delle fortificazioni della città.

Esso era lungo 198,40 m, misura che corrisponde approssimativamente alla lunghezza di uno stadio olimpico (192 m), confermando così l'affermazione di Diodoro e probabilmente era dedicato a Zeus Eleutherios (di Eleusi, liberatore), per la cacciata del tiranno Trasibulo di Siracusa. La larghezza doveva essere grosso modo quella della testata nord (22,60 m), che costituiva, con testata sud, i due ingressi alla piattaforma superiore.

L'immenso basamento roccioso lungo circa m 198 m e largo m 22, che per circa la sua metà settentrionale insiste su un'enorme cavità sotterranea forse di formazione naturale, usata in passato per l'estrazione della roccia, prima della costruzione dell'ara.

Alle estremità frontali del monumento vi erano due rampe simmetriche e contrapposte di accesso alla piattaforma centrale dell'ara, ove avveniva il sacrificio delle vittime. Le rampe erano precedute da un ingresso: quello di nord era fiancheggiato da due telamoni dei quali si conservano i piedi.

Secondo alcuni studiosi  potrebbe appartenervi anche la statua di un satiro, con funzione di telamone, trovata nei pressi e conservata al museo di Siracusa. Secondo altri però esso apparterrebbe al teatro, tantopiù che lì vi è come cariatide una menade.

Come si vede dalla pianta, il grande spiazzale a ovest dell'altare era circondato su tre lati da un portico allungato, con 14 colonne sui lati brevi e da 64 sul lato lungo. Al centro del lato lungo vi era un propileo. In mezzo alla piazza era una grande vasca, con al centro un basamento, probabilmente con la statua di Zeus Eleutherios.

Si sa dalle fonti che dopo l'espulsione nel 466 dell'ultimo dei Dinomenidi, Trasibulo, fu dedicata una statua colossale a Zeus Eleutherios, in onore del quale veniva celebrata la festa delle Eleutheria, con il sacrifìcio di 450 tori (Diodoro, XI 72, 2). L'ecatombe (hecatòmbe) del sacrifìcio spiegherebbero le enormi dimensioni dell'Ara, la più grande conosciuta.

Un'ecatombe di 450 tori sembra comunque esagerata perchè non solo avrebbe sfamato tutta la popolazione ma avrebbero dovuto chiamarne altra. Di solito il "magnifico sacrificio" (hecatòmbe) includeva 100 buoi ed era il massimo concepibile, perchè con una festa all'anno già si rischiava di impoverire gli armenti. Peraltro non poteva trattarsi di tori perchè sarebbe stato un problema trascinarli al sacrificio.

Un canale di drenaggio costruito in blocchi si distacca dalla vasca, attraversando il portico. Si sono notate diverse cavità sulla superfìcie del piazzale che evidentemente ospitavano alberi, pertanto c'era un giardino. Il portico, che sostituisce una più antica strada incassata nella roccia nella quale erano ricavate numerose nicchie votive per le offerte dei fedeli, fu aggiunto all'altare in un secondo tempo, probabilmente da Augusto. 

I SEPOLCRI


VIA DEI SEPOLCRI

È un'antica e splendida via lunga 150 m che conduce alla cima del Colle Temenite. E' tagliata nella roccia e su entrambi i lati si notano le antiche edicole votive che vi furono scavate lungo tutto il tragitto. In terra giacciono le pietre squadrate di varie dimensioni che ornavano le edicole.con recinti vari.

Siracusa praticava il culto degli Eroi che erano considerati  "Semidei". Successivamente, quando si parlava di "Eroe" si intendeva un "defunto" particolarmente distinto in vita e pertanto da morto veniva "eroicizzato", venerandolo come si veneravano gli eroi mortali.

La Via è in salita e curva prima verso ovest e poi verso nord, terminando nel punto più alto del Colle siracusano. Qui sono stati individuati i resti del Santuario di Apollo Temenite (termine greco "Temenos" che significa "Recinto sacro") che dà il suo nome all'intero Colle.



NECROPOLI GROTTICELLE

E' il nome di un'ampia area cimiteriale greca e romana nei pressi del Parco archeologico. Le tombe di età greca in questa zona sono solo una parte della vasta necropoli che si estendeva su tutto il pianoro, presso le latomie. Tale necropoli restò in uso da un'età tardo-arcaica fino ad età ellenistica.
Tra le tombe si è erroneamente pensato che ci fosse la Tomba di Archimede, individuata con una tomba in realtà di epoca romana. Lo scavo della zona in piano, sempre nei pressi di tale area, ha restituito un breve tratto di fondo stradale e strutture murarie di età tardo-antica, appartenenti forse ad un edificio sacro impostato su un precedente impianto edilizio.


TOMBA DI ARCHIMEDE

Nella Necropoli grotticelle restano poche tombe a fossa, di epoca greca,  ma le tombe a camera, di epoca romana, sono numerose.
TOMBA DI ARCHIMEDE
Al limite orientale del parco, tra alcune tombe a camera ricavate nella roccia e di età imperiale, ve ne è una con la parte anteriore decorata da semicolonne doriche a rilievo, sormontate da un frontone a timpano.

Per tradizione sarebbe la Tomba di Archimede. 
Ma si tratta in realtà di un colombario romano, con due ordini di nicchie per riporvi le urne cinerarie. Questa non può essere la tomba di Archimede, in quanto del I sec. a.c. o d.c., quindi di epoca assai successiva alla sua morte.
La vera tomba dello scienziato Siracusano, scoperta da Cicerone, doveva avere una colonna nella quale vi era raffigurata una sfera con un cilindro circoscritto.



NECROPOLI DI CASSIBILE

La Necropoli di Cassibile comprende circa 2.000 tombe, mentre del centro abitato rimangono solo le fondazioni di un tempietto dorico, prostilo, che continuava in età greca il culto delle divinità polìadi della città preistorica.

Nella ceramica domina la decorazione dipinta piumata, le forme vascolari sono in massima parte evidente evoluzione di quelle che erano caratteristiche della facies di Pantalica Nord. La maggior parte degli oggetti di bronzo che si trovano nelle necropoli siciliane o nei ripostigli dell`età di Cassibile, appartiene a tipi che hanno una larga diffusione nel Mediterraneo, dalla Palestina a Cipro, a Creta, alla Penisola Iberica e fino alla costa atlantica e all`Inghilterra meridionale. 



SIRACUSA ROMANA

Per questa importante vittoria il console Marcello entrò vittorioso a Roma col suo carico di ori e beni preziosi strappati alla città, guadagnandosi il trionfo.

Siracusa perse la sua indipendenza e le redini del Mediterraneo passarono nelle mani di Roma che ora doveva confrontarsi con Cartagine, e non aveva soldi per prodigarsi, come suo costume, per le città conquistate. Le città siciliane affrontarono un duro periodo di decadenza, diventando foederatae, liberae atque immunes, decumanae e città il cui territorio apparteneva al popolo romano.

Gravi sono le angherie e il malgoverno dei pretori romani: scompare la piccola proprietà, cominciano a costituirsi i grandi latifondi. Siracusa rimane capitale della Provincia romana di Sicilia ed è sede del pretore; viene attaccata durante la prima guerra servile che contribuisce ad aggravare le condizioni di decadenza della città.

Cicerone denunciò il malgoverno e le gravi depredazioni che Siracusa dovette subire da parte di C. Verre, propretore della Sicilia dal 73 al 71 a.c. La città vive un periodo difficile anche durante la guerra fra i triumviri, finché non va al trono Ottaviano che invia una colonia augustea nel 21 a.c., che riporta l'ordine, la ricostruzione e la pace, che durerà fino alle invasioni dei Vandali nel V sec. d.c.



ANFITEATRO ROMANO

L'anfiteatro venne riportato alla luce nel 1839 dall'architetto, archeologo e letterato Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco (1783 – 1863). È in gran parte scavato nella roccia e per la costruzione della parte nord orientale si è sfruttato il pendio della balza rocciosa la medesima nella quale, a breve distanza, erano state ricavate la cavea del teatro greco e le grandi latomie dette del Paradiso, di S. Venera e dell'Intagliatella. Quasi nulla resta invece della parte superiore, quella costruita.

L'architetto francese Jean-Pierre Houël così lo descrisse:
« L'anfiteatro, la cui pianta è qui presentata, è paragonabile per grandezza a tutti gli anfiteatri noti in Italia e in Francia.... Poiché in questo Paese e nel secolo delle belle arti, l'Architettura aveva sempre caratteri nobili e maestosi, non si rischia di sbagliare immaginandolo come uno dei monumenti più straordinari che siano stati mai costruiti. 

Per meglio convincere il lettore lo invito a paragonare la dimensione di questa pianta da A fino a B con il primo piano delle gradinate del teatro nel capitolo successivo; si accorgerà quanto il teatro s'ingrandirà a vista d'occhio sommando due piani superiori di gradini e, fatto questo paragone, potrà immaginare la bellezza e la grandezza dell'anfiteatro. 

La galleria D faceva tutto il giro e presentava nei passaggi o vomitori EE, bretelle di comunicazione per andare all'arena. Si chiudeva nelle zone segnate FF. C'erano intorno a questo edificio delle stanze G alle quali si accedeva dalla medesima galleria circolare. 
Le stanze servivano da negozi per vendere oggetti di diverso genere, necessari alle rappresentazioni. Non dubito che, indipendentemente da tutti i giochi rappresentati negli anfiteatri, dovevano esserci anche giochi nautici e lotte sull'acqua come a Roma. »
(J. Hoüel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari (1782 - 1787))

L'Anfiteatro, di epoca romana, è tra i più grandi d'Italia. Edificato alla fine del I sec. a.c., anche se non vi sono documenti certi che ne affermano la data di origine, ma lo prova l'evidenza della sua struttura. Infatti l'anfiteatro è una delle realizzazioni edilizie più rappresentative della prima età imperiale romana.

Esso si trova immerso nella zona archeologica che comprende il Teatro greco e l'ara di Ierone II. Il suo orientamento diverge da quello degli edifici della Neapolis e del teatro seguendo quello dell'impianto urbanistico di età tardoclassica e noto dalla strada scoperta nell'area del santuario demetriaco di piazza della Vittoria in Acradina.

ANFITEATRO ROMANO

L'anfiteatro romano, di dimensioni monumentali, m 140 x 119, è orientato obliquamente rispetto al teatro, che rispetta l'orientamento della Neapolis, allineandosi invece all'impianto di Acradina, in senso nord-ovest/sud-est, probabilmente condizionato da vie più antiche, provenienti da sud, dove si trovava l'ingresso principale.

Forse iniziato sotto il regno di Nerone, assunse la forma attuale solo nel sec. III-IV d.c., ed è il più grande anfiteatro della Sicilia, ed uno dei più maggiori d'Italia, di poco inferiore all'Arena di Verona, utilizzato per i combattimenti di gladiatori e di animali, mentre nel vicino teatro si svolgevano gli spettacoli teatrali.

Il giornalista Gustavo Chiesi invece lo descriveva così ai primi del novecento:
« Il maggiore monumento che della Siracusa romana sia rimasto. Siccome nella enumerazione che Cicerone fa degli splendori di Siracusa, di questo edifizio non è fatto cenno; e siccome degli scrittori romani non ne parla che Tacito in Nerone, così è d'uopo indurre che l'Anfiteatro siracusano sia stato eretto durante l' impero d'Augusto, quando questi tentò con provvide disposizioni e con nuove colonie di innalzare le sorti della Sicilia, cui le vessazioni, le spogliazioni dei proconsoli avevano gettata in miserrime condizioni. 

Questo Anfiteatro doveva essere magnifico, per l'ampiezza delle linee e la ricchezza dei marmi che l'adornavano. Misurava nell'asse maggiore 70 metri, nel minore 40; aveva una grande balaustrata in marmo, gli avanzi della quale veggonsi ancora frantumati nel mezzo dell'arena. Questo grandioso ellissi, scavato per la maggior parte nella roccia della collina di Acradina prospettante il mare, rivaleggia colle maggiori costruzioni del genere lasciateci dall'era romana, all'infuori del Colosseo.»

L'anfiteatro era in gran parte scavato nella roccia, se si esclude il lato sud. La parte alta, di cui non resta praticamente nulla, era invece costruita. Oggi ne resta solo la parte scavata, mentre tutto quello costruito in blocchi di pietra è stato smantellato dagli spagnoli nel XVI sec., per costruire le fortificazioni dell'isola di Ortigia. I secoli e le intemperie hanno inciso la roccia, che oggi mostra venature diagonali alle file di sedili. Proprio per questa scadente qualità della pietra in origine l'anfiteatro era stato rivestito in blocchi di pietra.

Un complesso sistema di gradinate permetteva di accedere ai vari ordini di posti. Due grandi corridoi, con rami laterali, davano accesso all'arena, di m 69,80 x 31,60, al cui centro c'era un ampio sotterraneo di m 15,50 x 8,70, profondo m 2,50.

Il sotterraneo all'epoca era coperto da una pavimentazione di legno la cui si accedeva da un corridoio sotterraneo a sud, utilizzato per i macchinari degli spettacoli, come in tutti gli anfiteatri minori, non dotati, come il Colosseo, di sotterranei più ampi e articolati.

L'arena era dotata, al centro, di un ampio vano rettangolare, originariamente coperto, collegato attraverso un passaggio sotterraneo con l'estremità meridionale del monumento, sull'asse del corridoio di ingresso. Intorno all'arena la cavea è distinta da un alto podio, dietro il quale corre un corridoio coperto a volta (crypta), su cui poggiava la prima serie di gradini, destinata agli spettatori di riguardo, coi nomi iscritti sulla balaustra marmorea del parapetto; insomma posti assegnati, di cui alcuni del III -IV sec. sono ancora conservati. Il corridoio aveva varchi per l'accesso all'arena dei gladiatori e delle belve.

Seguiva, dopo un corridoio, l'ima cavea, la sola in parte conservata, mentre della media cavea e summa cavea restano solo le fondazioni. L'anello superiore si concludeva con un portico, alcune colonne del quale sono conservate ai piedi del podio.

Verso l'ingresso meridionale convergeva l'asse viario che divideva l'Acradina dalla Neapolis, e che si concludeva poco prima dell'anfiteatro, con un arco onorario di età augustea, del quale restano i basamenti. Dal piazzale antistante una scalinata portava all'ingresso sud, mentre a nord si conservano i resti di una grande fontana, contemporanea all'anfiteatro. L'approvvigionamento idrico era garantito da una grande cisterna a tre navate su pilastri, ancora conservata sotto la vicina chiesa di S. Nicolo.

La cronologia dell'edifìcio è stata discussa, ma sicuramente fu realizzato subito dopo l'inserimento della colonia augustea, negli ultimi decenni del I sec. a.c., visto la tecnica edilizia con opera reticolata, archi a conci allungati, e per un frammento della grande iscrizione dedicatoria, dai bei caratteri augustei, che menziona uno dei magistrati realizzatori dell'edifìcio, un Betilieno probabilmente originario di Alatri.

Valerio Massimo ricorda uno spettacolo gladiatorio avvenuto nell'anfiteatro, e un senatoconsulto emanato sotto Nerone, nel 58 d.c., autorizzava i Siracusani a superare il numero di gladiatori normalmente permesso. Il che conferma l'importanza dell'edificio.

Dall'anfiteatro inoltre provengono quattro frammenti in calcare pertinenti ad una grande iscrizione monumentale che secondo Gentili doveva, verosimilmente, coronare l'ingresso maggiore a sud. Secondo Lugli risalirebbe all'età augustea o, secondo Golvin, al periodo giulio-claudio (metà del I sec. d.c.).

IL TEATRO


TEATRO


« Malgrado lo stato di abbandono, resta tuttora uno dei più bei posti del mondo ed offre lo spettacolo più grandioso e più pittoresco che ci sia. » (Vivant Denon, Voyage en Sicile)

Il Teatro Greco di Siracusa, è il monumento più famoso di Siracusa, ed è il più grande teatro non solo della Magna Grecia ma della stessa Grecia. Venne edificato in epoca antichissima, V sec. a.c., ed è immerso in un parco insieme ad altri insigni monumenti come l'anfiteatro, l'orecchio di Dionisio e le grotte dei cordari.

Costruito sulle pendici sul lato sud del colle Temenite e rifatto nel III sec. a.c. e ancora ritrasformato in epoca romana, il teatro siracusano ospitò gli spettacoli di autori famosi sia greci che locali. Al tempo della polis, veniva usato anche come sede delle riunioni tra Popolo e Tiranni.

In epoca greca vi vennero rappresentate grandi tragedie e commedie. Eschilo (525-456) vi presentò per la prima volta I Persiani (lamento dei Persiani per la disfatta di Salamina) e le Etnee dedicandole a Gerone I.

La cavea aveva un diametro di 138,60 m, uno dei più grandi del mondo greco, ed era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori dalle scalinate. Molte delle sue importanti parti architettoniche furono distrutte ed esportate dagli spagnoli nel 1500.


Il teatro arcaico

L'esistenza di un teatro a Siracusa viene menzionata già alla fine del V secolo a.c. dal mimografo Sofrone  che cita il nome dell’architetto, Damocopos, detto Myrilla per aver fatto spargere unguenti (“myroi”) all’inaugurazione. Non si sa però se si tratti di questo teatro.

Comunque un antico teatro a Siracusa accolse l'attività teatrale del commediografo Epicarmo (524 - 435), dei contemporanei Formide e Deinoloco e probabilmente Eschilo che rappresentò (forse nel 456 a.c.) "Le Etnee", una tragedia non pervenuta, scritta per celebrare la rifondazione di Catania con il nome di Aitna o di un centro con nome Aitna dove rifugiarono gli esuli catanesi per la distruzione della greco calcidica Katane ad opera di Ierone I (476 a.c.).

Anche I Persiani, opera a noi pervenuta, già rappresentata ad Atene nel 472 a.c. dovrebbe essere stata rappresentata a Siracusa. Alla fine del secolo V o agli inizi del IV a.c. vi furono rappresentate probabilmente le opere di Dionisio I e vari tragediografi ospitati alla sua corte, tra cui Antifonte.

Prove dell'esistenza del teatro ce ne sono comunque tante: Diodoro Siculo riferisce l'arrivo a Siracusa di Dionisio nel 406 a.c. nel momento in cui il popolo usciva dal teatro; Plutarco racconta invece dell’irruzione di un toro infuriato nel teatro durante un’assemblea cittadina (355 a.c.), e dell’arrivo in carro di Timoleonte, il liberatore delle città sicule dalla tirannide, nel 336 a.c., mentre il popolo vi era riunito, testimoniando l'importanza dell'edificio nella vita pubblica.

Alcuni studiosi sostengono che all'epoca il teatro greco non fosse a semicerchio, come diventerà alla fine del IV secolo a.c. e nel corso del III a.c., ma avesse gradinate rettilinee, disposte a trapezio.


Il teatro ellenistico

Sembra che il teatro sia stato sottoposto a un intervento di ristrutturazione nel III sec. a.c. dopo il 238 e prima della morte di Ierone II il 215 a.c., che lo portò ad assumere la forma attuale. L'architettura del teatro tenne conto della forma naturale del colle Temenite, della sua acustica e della visione panoramica, sempre importanti nei teatri greci. Il panorama del mare azzurro, del porto e dell’isola di Ortigia erano quanto di meglio si potesse sperare.

La cavea aveva un diametro di 138,60 metri, uno dei più grandi del mondo greco, in origine con 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia e divisi in 9 settori ("cunei") da scalinate. A metà altezza correva una precinzione (il corridoio circolare che separava ciascun ordine di gradini) che la divideva in due settori.
Sulla recinzione sono incisi in corrispondenza dei cunei nomi di divinità (Zeus Olimpio, Eracle) e di membri della famiglia reale (Ierone II, sua moglie Filistide, la nuora Nereide, e il figlio Gelone II). Le file superiori dei gradini, oggi scomparse,  poggiavano sopra un terrapieno sostenuto da muri di contenimento. Sull’asse centrale della gradinata c'è l'incavo nella roccia di una tribuna, destinata a personaggi importanti.

L'orchestra era in origine delimitata da un ampio euripo (canale scoperto), con una fascia precedente l'inizio dei gradini destinata al pubblico.

La scena è interamente scomparsa lasciando solo dei tagli nella roccia di difficile interpretazione. C'era anche un passaggio scavato sotto l'orchestra (probabilmente dell'epoca di Ierone II), accessibile con una scaletta dal palcoscenico che finiva in un piccolo ambiente, forse le "scale carontee", che permettevano improvvise scomparse o apparizioni degli attori. C'era poi la fossa per il sipario che nel teatro antico si trovava scavata in terra perchè da lì si tirava verso l'alto.

Una menade cariatide rinvenuta nei paraggi, attualmente conservata nel Museo, doveva far pate della decorazione del Teatro, come pure un satiro rinvenuto nei pressi..

Al di sopra del teatro, si trova una terrazza, scavata nella roccia, accessibile da una gradinata centrale e da una strada incassata, nota come "via dei Sepolcri". in origine la terrazza ospitava un grande portico ad L. Al centro della parete di fondo c'era grotta-ninfeo scavata nella roccia, fiancheggiata da nicchie destinate a statue e statuette incorniciate in modanature di ordine dorico intagliate nella parete di cui restano solo parti di un fregio.

All'interno il vano (9,35 x 6,35 m, alt. 4,75 m) era dotato di una vasca rivestita in cocciopesto, in cui sgorgava l’acqua dell’antico acquedotto greco detto "del ninfeo", per immettersi poi nel sistema idraulico del teatro. Trattasi del Mouseion, il santuario delle Muse, sede della corporazione degli attori. Secondo l'anonima "Vita di Euripide" Dionigi I avrebbe dedicato nel santuario oggetti appartenuti al tragediografo Euripide, acquistati in Grecia a caro prezzo.


Il teatro in epoca romana

In età augustea la cavea venne modificata in forma semicircolare, come nei teatri romani, anziché a ferro di cavallo come nei teatri greci, poi vennero realizzati i corridoi all'aperto che permettevano al coro di raggiungere l'orchestra per l'esibizione (parodoi).

La stessa scena divenne monumentale con nicchia rettangolare al centro e due nicchie a pianta semicircolare sui lati, nelle quali si aprivano le porte sceniche. Fu inoltre scavata una nuova fossa per il sipario, con la sua camera di manovra. Nell'orchestra venne interrato l'antico euripo (canale), sostituito da un nuovo canale, molto più stretto e a ridosso dei gradini della cavea, portando il diametro da 16 m a 21,40 m.

In epoca tardo-imperiale il teatro subì nuove modifiche per adattare l'orchestra a giochi acquatici e fu probabilmente arretrata la scena. Non vennero invece eseguiti lavori per adattamento ai ludi gladiatori o venatori,  per cui si era soliti eliminare i primi gradini della cavea per realizzare un podio a protezione degli spettatori. Ma questi spettacoli sicuramente si tenevano  nell'anfiteatro.

Un'iscrizione oggi perduta menzionava un Nerazio Palmato come autore di un rifacimento della scena: se si tratta dello stesso personaggio che restaurò a Roma la Curia dopo il sacco di Alarico, gli ultimi spettacoli nel teatro potrebbero datarsi agli inizi del V sec. d.c.


LA DEMOLIZIONE

Rimasto in abbandono per secoli, subì a partire dal 1526 una progressiva spoliazione ad opera degli Spagnoli di Carlo V, che sfruttarono i blocchi di pietra già tagliati per costruire le nuove fortificazioni attorno Ortigia.

Scomparvero pertanto l’edificio scenico e la parte superiore delle gradinate. Dopo la II metà del '500, il marchese di Sortino, Pietro Gaetani, riattivò a proprie spese l’antico acquedotto che portava l’acqua sulla sommità del teatro, con l’insediamento di diversi mulini sulla cavea. Ne resta ancora la cosiddetta “casetta dei mugnai” che si erge sulla sommità della cavea.

Sul finire del Settecento riprese l'interesse per il teatro che venne menzionato e riprodotto dagli eruditi dell’epoca (Arezzo, Fazello, Mirabella, Bonanni) e da famosi viaggiatori (d’Orville, von Riedesel, Saint-Non, Houel, Denon ecc.). Nel secolo successivo si ebbero vere e proprie campagne di scavo, grazie all’interesse del Landolina e del Cavallari che si occuparono di liberare il monumento dalla terra che vi si era accumulata. Successivamente le indagini archeologiche proseguirono ad opera di P. Orsi e di altri archeologi, fino a quelle del 1988 ad opera di Voza.

A partire dal 1914 l’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA) inaugurò nell’antico teatro le annuali rappresentazioni di opere greche (la prima fu la tragedia Agamennone di Eschilo. Dal 2010 il Teatro è uno dei monumenti del Servizio Parco Archeologico di Siracusa e delle aree archeologiche dei Comuni limitrofi, organo periferico della Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana.



GINNASIO ROMANO

GINNASIO
Il Ginnasio Romano è un dei teatri di Siracusa, situato nei pressi del Porto Grande, vicino al Foro Siracusano, nel quartiere Acradina che un tempo era l'Agorà della città. Qui sorge lungo la Via Elorina e comprende al suo fianco un quadriportico e un piccolo tempio.

Acradina o Akradina è il nome di un quartiere della Siracusa antica il cui nome significava "Terra dei peri selvatici" e si trovava a nord di Ortigia sino alla costa est, separato da Tiche dalle mura dette di Gelone (nei pressi della via Mazzanti). Oltre alle mura difensive che costeggiavano il mare, in Acradina erano presenti le latomie dei cappuccini utilizzare come cave di pietra.

La cavea del teatro del Ginnasio è del diametro di 18,90 m, di cui oggi rimangono visibili solo i primi gradini del teatro, formato da una piccola cavea e da una scena, e parti del muro del quadriportico, conservato solo nella parte Nord ed Est.

L'orchestra è sempre piena d'acqua in quanto si trova sotto il livello del mare. Il palcoscenico aderiva alla fronte del tempio, che sorgeva al centro del quadriportico.

Le caratteristiche dell'edificio di piccola portata, che non poteva accogliere molti spettatori, ma che era nel contempo ricco e accurato, con un portico, un quadriportico e un tempio, fanno pensare ad un santuario dei culti orientali. 

Inoltre è stata rinvenuta una serie di statue di cittadini romani di elevato ceto sociale e una iscrizione dedicata a Serapide, il che rafforza l'importanza del piccolo teatro. Lo stesso Cicerone, nelle Verrine (II,2,160), parla di un santuario dedicato a Serapide, a Siracusa.

Purtroppo tutta l'area è attualmente invasa dalle acque, poiché la sua posizione è oggi al di sotto del livello del mare, cresciuto a causa del bradisismo.



ARCO DI AUGUSTO

Nella parte meridionale dell'Anfiteatro romano, situata all'interno del Parco archeologico della Neapolis, sorgeva un grande arco architettonico largo 10 metri, profondo 6 metri, alto complessivamente circa 13 metri. Oggi rimangono visibili le fondamenta di questa struttura che doveva essere di notevole impatto visivo e di importante uso logistico poiché fungeva da ingresso posto nell'area monumentale romana di epoca augustea.

All'anfiteatro giungeva l'asse viario che dal quartiere di Acradina raggiungeva la Neapolis attraverso un arco trionfale di epoca augustea, di cui restano solo le fondazioni e i primi filari dei piloni.

Tra l'arco e l'anfiteatro vi era una fontana monumentale, alimentata da una grande cisterna, sinora non identificata, mentre la grande cisterna tuttora conservata sotto la vicina chiesa di San Nicola alimentava l'anfiteatro stesso.

Gli scavi archeologici condotti negli anni '50 nei pressi dell'Anfiteatro romano di Siracusa hanno riportato alla luce i resti dei due piloni di un arco a un fornice, con le fronti orientate in senso est-ovest, certamente realizzato poco dopo la deduzione della colonia del 21 a.c.

L'arco, largo 10 m, e profondo 6, alto complessivamente circa 13 m, era costruito in opera a sacco e rivestimento in opera quadrata di blocchi di calcare bianco, lavorati esternamente a bugnato rustico.
Su di un basso zoccolo furono individuati, per entrambi i piloni, tre filari dell'elevato, più quattro blocchi del quarto filare nel pilone sud. Il monumento era rivolto a est, probabilmente con colonne o lesene angolari. La fronte ovest, più semplice, forse non aveva decorazioni.

Sembra non vi fosse figurazione. Tuttavia Coarelli riferisce ipoteticamente all'arco un piccolo frammento di un rilievo marmoreo rinvenuto alla fine del secolo scorso nei pressi dell'anfiteatro, nel quale compare la parte inferiore di quattro personaggi togati in movimento verso sinistra (forse scena di una cerimonia sacrificale).

L'arco subì parziali modifiche tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.c. e ancora alla fine del VII secolo d.c. con l'innalzamento del piano del fornice e la costruzione di una scalinata sulla facciata orientale. Il monumento divideva probabilmente il quartiere dell'Akradina da quello della Neapolis, a breve distanza, verso est, dall'ingresso meridionale all'anfiteatro. Forse costituiva un ingresso monumentale all'accesso da sud all'anfiteatro.



PISCINA ROMANA

La piscina romana sorge nella stessa zona archeologica che ospita il Teatro Greco, l'Anfiteatro Romano e la Latomia del Paradiso. E' un vasto un ambiente rettangolare che si estende in lunghezza da nord verso sud per circa 20 m. e in larghezza per circa 7 m, a 5 m. di profondità dal piano della campagna circostante.

Essendo collocata una zona di latomie, le pareti principali sono state ricavate dalla roccia mentre quelle minori sono formate da grossi conci a secco, senza malta cementizia. Il locale è suddiviso in 3 navate da una doppia fila di pilastri su cui poggiano gli architravi a piattaforma sormontati da volte a botte.

L'età più antica dello scavo sembra essere quella della Latomia. Infatti il taglio delle pareti è stato condotto con i medesimi procedimenti e le medesime tecniche. Non mancano le edicolette e gli incassi che tappezzano le pareti con lo stesso andamento vario ed irregolare con cui si ritrovano nella Latomia ed in alcune pareti rocciose dell'antica via che conduceva alla vicina cava dove poi fu tagliato l'Anfiteatro.

I pilastri, che poggiano su basi quadrangolari, sono formati da grossi blocchi legati da malta cementizia.

Il termine piscina deriva dalla probabile funzione cui l'ambiente era destinato, un mastodontico serbatoio d'acqua per le naumachie che si svolgevano nell'Anfiteatro. Probabilmente riceveva l'acqua da una sorgente, che sgorgava a circa metà dell'attuale Viale Scala Greca, tramite una condotta lunga oltre 1 km. Infatti vi sono due aperture nelle pareti, di cui una a diretto contatto con un acquedotto retrostante che terminava nell'Anfiteatro.

Durante la dominazione normanna fu edificata proprio sopra la cisterna una chiesetta dedicata a S. Nicolo in cui si vedono resti di colonne, pilastri e architravi romani nel cortile della chiesa.



GINNASIO ROMANO

Oggi questo sito viene visitato da pochissime persone, complice la vegetazione che spesso cresce incolta e selvaggia. Vi si notano i resti di un grande porticato quadrangolare che chiudeva tutto il monumento, poi, al centro i resti architettonici di un tempietto di epoca romana ed i deliziosi resti semisommersi di un piccolo teatro di forma semicircolare.

Quest’area archeologica conosciuta come il ginnasio romano ma che altri studiosi vedono piuttosto come un piccolo teatro o come un’area sacra, viene visitato poco o niente dai siracusani e solo occasionalmente da pochi e coraggiosi turisti perloppiù stranieri.

Questo edifìcio, il più importante di Acradina che sia ancora conservato, è stato infatti erroneamente identificato con un ginnasio. Gli scavi, mai completati, furono realizzati tra il 1864 e il 1865.
Si entra nel monumento dall'angolo sud, che dava accesso a un quadriportico di circa 60 m x 50, notevolmente sopraelevato rispetto al piano del cortile, di 1,80 m, e vi si accedeva tramite una scala. Esso è conservato in altezza solo sui lati nord ed est: l'ingresso principale doveva aprirsi su quest'ultimo lato, come è dimostrato dalla scoperta, a una certa distanza, di un frontone di marmo.

All'esterno del portico nord, tra questo e un grande muro di blocchi parallelo, correva una strada, larga 8,74 m, certamente un asse importante, forse la via Elorina. Le colonne calcaree di questo tratto del portico erano doriche, sicuramente di una fase più antica rispetto al resto dell'edifìcio.
Questo consiste essenzialmente di un piccolo tempio quadrato, di 17,5 m x17,5 su podio di tipo italico, al quale si accedeva da due scalette laterali, una delle quali è conservata, ed entro il quale è ricavato un ambiente coperto a volta, con un pozzo. Si conservano molti elementi architettonici dell'alzato, probabilmente di ordine corinzio. La tecnica e lo stile di questi elementi architettonici permettono di attribuire l'edifìcio alla metà del I sec. d.c.



NECROPOLI ROMANA

Nella Latomia di S. Venera, la parte superficiale del banco roccioso accoglie una necropoli romana, la Necropoli Grotticelli. Il colombario più elevato, caratterizzato da colonne e da timpano rupestri viene comunemente, ma impropriamente, indicato come Tomba di Archimede.

Cicerone raccontò di avere scoperto la tomba di Archimede grazie ad una sfera inscritta in un cilindro, che vi sarebbe stata scolpita per volontà stessa dello scienziato:

"Io questore scoprii la tomba di Archimede, sconosciuta ai Siracusani, cinta con una siepe da ogni lato e vestita da rovi e spineti, sebbene negassero completamente che esistesse. Tenevo, infatti, alcuni piccoli senari, che avevo sentito essere scritti nel suo sepolcro, i quali dichiaravano che alla sommità del sepolcro era posta una sfera con un cilindro. Io, poi, osservando con gl'occhi tutte le cose - c'è, infatti, alle porte Agrigentine una grande abbondanza di sepolcri - volsi l'attenzione ad una colonnetta non molto sporgente in fuori da dei cespugli, sulla quale c'era sopra la figura di una sfera e di un cilindro.

E allora dissi subito ai Siracusani - c'erano ora dei principi con me - che io ero testimone di quella stessa cosa che stavo cercando. Mandati dentro con falci, molti ripulirono e aprirono il luogo. Per il quale, dopo che era stato aperto l'accesso, arrivammo alla base posta di fronte. Appariva un epigramma sulle parti posteriori corrose, di brevi righe, quasi dimezzato. Così la nobilissima cittadinanza della Grecia, una volta veramente molto dotta, avrebbe ignorato il monumento del suo unico cittadino acutissimo, se non lo fosse venuto a sapere da un uomo di Arpino."

Accanto al teatro sono poi state rinvenute diverse tombe romane, scavate nella terra e rivestite in pietra calcarea e marmi, con sculture, fregi e modanature varie.


BIBLIO

- F. Coarelli, M. Torelli - Sicilia - Guide Archeologiche Laterza - Bari - 2000 -
- Claire L. Lyons, Michael Bennett, Clemente Marconi (a cura di) - Sicily: Art and Invention between Greece and Rome - Getty Publications - 2013 -
- Santi Correnti - Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Sicilia - Newton Compton - 2000 -
- Gaetano De Sanctis  - Ricerche sulla storiografia siceliota - Palermo - 1958 -
- Tesori dell'Ortigia - a cura di E. Mocchetti - Supplemento a Bell'Italia (agosto-settembre) - Milano - Giorgio Mondadori - 1994 -
- Siracusa: identità e storia: 1861-1915 di Istituto di studi siracusani - editore A. Lombardi - 1998 -




2 comments:

  1. Fa piacere che abbiate dedicato tanto spazio a Siracusa, passo ad alcune puntualizzazioni sulla sensibilità dei Romani di Claudio Marcello rispetto alla civiltà greca.
    I Romani che entrarono a Siracusa erano culturalmente ben lontani dai Romani che scriveranno a partire dal I secolo a.c.
    La fonte più vicina e considerata più attendibile sull'assedio di Siracusa, è Polibio (è probabile che avesse parlato con testimoni oculari dei fatti) che non fa alcun riferimento al rammarico di Marcello per l'uccisione di Archimede: i Romani entrarono e uccisero e saccheggiarono indiscriminatamente; non erano inoltre in grado di capire (questo non è noto nemmeno oggi a dire il vero) che Archimede non era un genio isolato che precorreva i tempi ma uno dei massimi scienziati, insieme a gente come Eratostene suo coevo o ai precedenti Euclide ed Erofilo di Calcedonia, del primo Ellenismo. Gli abbellimenti della storia riportati successivamente da Plutarco (Greco che però vive in epoca imperiale) e Cicerone (anche lui scrive oltre un secolo dopo) rispondono più probabilmente all'esigenza di mostrare che anche i Romani di Marcello fossero rispettosi di uomini di cultura come Archimede. Il presunto ritrovamento della tomba a opera di Cicerone è riferito da... Cicerone e suona molto controverso: Cicerone si fa dire dai Siracusani che la tomba di Archimede si trova nel cimitero di... Siracusa e che la lapide mostra una sfera iscritta in un cilindro... davvero i Siracusani avrebbero avuto bisogno di Cicerone per ritrovare quella tomba? In ultimo: la continuità tra cultura greca e romana vale in una certa misura per storiografia, poesia e arte ma non ve ne fu sul piano scientifico e filosofico; quando il Mediterraneo diventò un lago romano nella seconda metà del II sec. a.c., lo sviluppo della scienza subì una brusca battuta d'arresto, il 98% delle opere scritte andò perduto, probabilmente perché non capite e non ricopiate. Pensatori come Platone e Aristotele, che forse in epoca ellenistica erano stati superati, furono "riesumati" perché ancora comprensibili da una civiltà prescientifica come quella romana.
    Quello che ho scritto può essere molto meglio approfondito leggendo l'opera di Lucio Russo.
    Cordiali Saluti e grazie per il vostro lavoro

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  2. Ottimo articolo, come gli altri su questo sito. Veramente ben approfondito. Per me che sono straniero è molto educativo.

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