AGER CAMPANUS
Capua possedeva in origine un territorio vastissimo: l'ager Campanus che si estendeva, a nord, fino alle pendici del monte Massico e includeva anche l'Ager Falernus, che rimase proprietà della città almeno fino al 338 a.c. quando, entrata a far parte della confederazione romana, dovette cedere quel territorio a Roma.
Tra i provvedimenti punitivi contro Capua, presi da Roma nel 211 a.c. durante la II Guerra Punicaper l'alleanza della città con Annibale, il più grave fu l'espropriazione dell'intero ager Campanus, la cui estensione doveva essere di 200.000 iugeri, e che fu dichiarato ager publicus.
Poiché però nel 173 a.c. molta terra era tornata in mano ai privati, Roma effettuò la centuriazione del territorio che venne diviso in appezzamenti di 20 actus x 20 (m. 715 x 715) con strade incrociantesi ad angolo retto.
Poichè nel 130 parte della piana Campana era ancora occupata da abusivi e il senato non riusciva a porvi rimedio, una commissione composta da Gaio Gracco, Appio Claudio e Licinio Grasso tresviri agris iudicandis adsignandis, identificò e e delimitò i terreni pubblici.
Indagini recentissime condotte nel territorio della moderna Capua hanno messo in luce i resti di almeno due fattorie risalenti, nelle prime fasi costruttive, al II secolo a.c. e un tratto di asse viario orientato nord-sud, lungo m 300 e largo 4.
Il territorio Capuano è a nord di Caserta, ai margini nord-orientali della vasta e fertile pianura bagnata dal Volturno, a ridosso dei monti dell'Appennino meridionale, e Capua Vetere sorgeva a pochi Km dalla città odierna, sull'area dell'attuale S. Maria Capua Vetere.
Comunque per entrare nella odierna Capua si deve ancora far uso dell'antico ponte romano sul Volturno.
LA STORIA
La nascita di Capua antica, che forse in origine si chiamava Velthurna, avvenne nella seconda metà del IX sec. a.c., come testimoniano i corredi funerari dalle necropoli villanoviane.
La scoperta di vari villaggi di tipo Villanoviano, e la loro successiva fusione in abitato, è la base dello sviluppo della futura Capua, la sua urbanistica fu ampliata nei secoli successivi dagli Osci e dagli Etruschi.
Secondo alcuni la fondazione di Capua fu anteriore a quella di Roma nel 753 a.c., mentre Catone nelle Origines la faceva nascere più tardi, nel 471 a.c., mentre Velleio Patercolo la ritenne fondata nell'800 a.c. In ogni caso Capua esisteva già da secoli e subì, nel corso del V secolo a.c. circa, una profonda ristrutturazione che le diede un nuovo assetto urbano.
Oltre che alle preesistenti popolazioni locali, nell'occupazione della Campania gli Etruschi si affiancavano ai Greci, i quali si erano già stanziati sull'isola di Ischia e in seguito a Cuma, intorno alla metà dell'VIII sec. a.c.
In epoca orientalizzante, nel VII-VI sec. a.c., quando Capua era la più importante città della dodecapoli etrusca, fiorì anche sul piano culturale ed economico, anche per i contatti con il mondo greco.
La convivenza con i Greci si protrarrà sino al VI sec, quando, nel 504 a.c., Greci e Latini alleatisi fra loro sconfissero gli Etruschi nella battaglia di Ariccia, e nel 474 a.c., una nuova vittoria dei Greci nella battaglia navale allargo di Cuma sanciva una definitiva incrinatura nei collegamenti fra l'Etruria campana e l'Etruria propria, sia via terra che via mare.
Gli Etruschi approdarono a Capua nel 598 a.c., dominando il territorio circostante fino al 424 a.c., Strabone ricorda che essi, estendendo il loro dominio anche in Campania sino all'Agro Picentino, nel Salernitano, vi fondarono ben dodici città, replicando il modello della dodecapoli dell'Etruria. Erano: Nola, Nocera, Ercolano, Pompei, Sorrento, Marcina, Velcha, Velsu, Irnthi, Uri, Hyria e Capua, e anche quest'ultima di notevole importanza.
L'occupazione di Capua da parte delle popolazioni sannitiche nel 423 a.c., come ricorda anche lo storico Tito Livio, segnò il definitivo tramonto dell'egemonia etrusca in Campania.
Nel IV secolo a.c., quando era probabilmente la più grande città d'Italia, la città venne assediata dai Sanniti, per cui inviò un'ambasceria a Roma chiedendone la protezione, ma il Senato romano, che aveva in precedenza stipulato un trattato di non belligeranza con i Sanniti, fu costretto a respingere la proposta.
Gli ambasciatori della città campana, mossi dalla disperazione perchè conoscevano la ferocia e la distruttività dei Sanniti, decisero allora di consegnare l'intera città, i suoi abitanti, i campi, gli averi e ogni loro cosa, nelle mani di Roma. Era la cosiddetta DEDITIO, per cui diventava territorio romano e come tale doveva essere difesa a tutti i costi.
Infatti Roma si sentì obbligata ad intervenire in sua difesa, dando inizio alla prima guerra sannita, nel 343 a.c.. Nel 338 poi le concesse la civitas sine suffragio, ovvero la cittadinanza senza l'esercizio del diritto di voto.
Annibale
Durante la seconda guerra punica Capua divenne uno dei principali obiettivi di Annibale: nel 216 a.c., dopo la battaglia di Canne, l'esercito cartaginese occupò la città e la fece diventare avamposto dell'Italia meridionale, alla ricerca anche di alleati contro Roma, nella speranza di conquistarla.
Capua, assieme a città come Atella, Calatia ed altre, passò dalla parte dei Cartaginesi, e Annibale ed il suo esercito vi passarono l'inverno, i cosiddetti "ozi di Capua" che secondo molti storici, indebolirono i soldati e sarebbero stati una delle cause della futura sconfitta cartaginese.
Classe dirigente e popolazione capuana appoggiarono la campagna di Annibale, pur di non sottostare a Roma, ma non fu una buona mossa.
Nel 212 a.c. infatti Capua subì due lunghi assedi da parte dei Romani, tanto che Annibale, nel tentativo di distrarre i Romani, si spinse con il proprio esercito fino a sotto le mura di Roma, nella zona di porta Collina.
Ma l'assedio non fu tolto e dopo la partenza di Annibale, nel 211 a.c., la città fu definitivamente conquistata dai Romani e molti senatori Campani, cioè di Capua, si tolsero la vita con il veleno piuttosto che cadere prigionieri nelle mani del nemico. Altri, nonostante il parere contrario del Senato Romano, furono fatti uccidere da Gneo Fulvio a Cales e a Teanum.
La città pagò il tradimento a Roma, che la privò di cittadinanza, magistratura, senato e classe dirigente, il suo territorio fu confiscato divenendo ager publicus, un grosso deposito merci da cui il termine "il granaio di Roma". La città fu sottoposta all'autorità di un prefetto romano.
Capua fu un famoso centro culturale e di quel periodo si conservano ancora tesori di grandissimo valore storico e archeologico. Il suo sviluppo artistico fiorì dal 61 a.c. quando la colonia romana cominciò a riprendersi dai danni provocati dal precedente lungo assedio, riacquistando ricchezza come centro culturale e per la produzione di unguenti (il cui mercato, detto "Seplasia", era famosissimo), vasi di bronzo e terrecotte.
In epoca romana sorgeva nelle sue vicinanze la Scuola dei Gladiatori della città di Capua, celebre per la ribellione di Spartaco.
La deduzione nel 59 a.c. di una colonia di veterani di Cesare, che secondo le leggi agrarie (LEX AGRARIA) distribuì a 20000 coloni l'ager Campanus, l'esteso territorio che la città possedeva dalle pendici del monte Massico giungeva a comprendere l'ager Falernus, stabilì la sua appartenenza ai possedimenti di Roma.
Questo le dette un lungo periodo di splendore e ricchezza che durò fino all'avvento del cristianesimo, quando gli uomini cominciarono a pensare che Dio stabiliva tutto e che pregando ed espiando ci si sarebbe salvati dai nemici, anzichè prendere le armi per la patria.
Dopo la caduta dell'impero romano Capua fu devastata dai Visigoti e dai Vandali, poi
distrutta e saccheggiata definitivamente dai Saraceni nell'841 d.c., dopo quasi 18 secoli di storia, per cui la popolazione si trasferì a Casilinum fondando la Capua moderna.
DESCRIZIONE
Con una storia di oltre 18 secoli Capua è stata città osca, etrusca, sannita e romana, divenendo, nel periodo di massimo splendore, una delle città più grandi del mondo.
Nel I secolo a.c. infatti Cicerone, durante la sua orazione De lege agraria (Contra Rullum), la definì Altera Roma, ovvero "la seconda Roma", paragonandola a Cartagine e Corinto. Infatti anche sotto il dominio romano, la città aveva una notevole importanza e fama anche al di fuori d'Italia, tanto che Ausonio la elencò fra le prime dieci città dell'Impero.
Contrariamente a quanto ritenuto dagli archeologi del secolo scorso, la Capua antica, a seguito dei rinvenimenti nel corso di questi ultimi decenni, ha dimostrato di essere molto più estesa come abitato urbano, mettendo in discussione il perimetro delle mura stabilito dai vecchi studiosi e confermando la descrizione in parte fatta da Giacomo Rucca nella fine dell'Ottocento.
La sua posizione geografica eraparticolarmente favorita, riparata dal monte Tifata, dolce colle dell'appennino meridionale, a poca distanza da una grande ansa del fiume Volturno, aveva un territorio particolarmente fertile tanto che i Romani la consideravano "FELIX": ferace, estendendone poi il concetto dalla natura all'intera Campania.
GALLERIA SOTTERRANEA DELL'ANFITEATRO |
Uno dei settori più importanti di Capua antica comprendeva il quartiere in cui sorse, in età medievale, la torre angioina detta di S. Erasmo o di S. Elmo.
Infatti nei documenti d’epoca la zona era identificata con la denominazione di Quartiere delle Torre.
La tradizione vuole che sui resti di un antico tempio sia stata innalzata la torre angioina e che nei pressi sia stata eretta la chiesta Sancti Erasmi in Capitoliio segnalata da F. M. Pratilli. erudito del Settecento.
ANFITEATRO
Nel centro di Santa Maria Capua Vetere, a nord di Corso Aldo Moro che copre l'antico tracciato della via Appia, si può ammirare l'imponente anfiteatro campano, secondo per grandezza solo al Colosseo.
Si ritiene costruito da una colonia conquistata da Augusto dopo la battaglia di Azio, intorno al I secolo a.c., ma secondo altri fu edificato tra il I e il II secolo d.c. sulle rovine di un anfiteatro precedente. Fu comunque restaurato da Adriano nel 119 d.c., che vi fece aggiungere statue e colonne; l'imperatore Antonino Pio lo inaugurò nel 155 d.c..
Dopo la caduta dell'Impero Romano, l'anfiteatro fu distrutto dai Vandali di Genserico e, durante la guerra di successione del Ducato di Benevento dell'841, dai Saraceni. Servì come fortezza per i principi longobardi di Capua.
A partire dalla fine del IX secolo, fu ampiamente depredato dagli stessi capuani successivamente al trasferimento della Civitas Capuana dal sito d'epoca romana (Capua antica) a Casilinum, l'attuale Capua, in particolare per la creazione del Castello di età longobarda.
L'edificio sorse a nord-ovest della città, sovrapponendosi in parte ad un precedente anfiteatro e in parte ad un'area destinata a necropoli, di cui restano alcuni ricchi corredi, databili tra il VII e il V sec. a.c., esposti nel Museo Archeologico dell'Antica Capua.
Attualmente si trova all'interno della superficie comunale di Santa Maria Capua Vetere, di fronte Piazza I Ottobre.
La cavea ellittica, leggermente spostata verso nord-est rispetto alla precedente, è di 167 m x 137, e poggia su massicce fondamenta in opera cementizia che raggiungono la profondità di 8 m.
Dei quattro ordini dorici della facciata, realizzata in blocchi di calcare, i primi tre sono aperti e ornati da semi colonne tuscaniche addossate ai pilastri tra gli archi, mentre il quarto, a parete chiusa, era ornato da paraste e mensole.
Tutti gli archi avevano poi nelle chiavi di volta dei protomi di Satiri, maschere teatrali e busti di Giove, Volturno, Mercurio, Apollo, Minerva e Pan, alcuni dei quali reimpiegati nella facciata del palazzo municipale di Capua in Piazza dei Giudici. Molte delle sue pietre furono utilizzate dai capuani in epoca normanna per erigere il Castello delle Pietre a Capua.
Durante gli scavi del settembre 1726, di fronte la porta meridionale dell'anfiteatro venne rinvenuta una epigrafe mutila, integrata dall'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi, recante la seguente iscrizione:
"La Colonia Giulia Felice Augusta Capua fece, il divo Adriano Augusto restaurò e curò vi si aggiungessero le statue e le colonne, l'imperatore Cesare T. Elio Adriano Augusto Pio dedicò."
L'epigrafe, originariamente posta all'ingresso dell'anfiteatro, fu esposta sotto l'arco della Chiesa di Sant'Eligio a Capua, mentre oggi è conservata presso il Museo campano di Capua.
CASTELLUM ACQUAE
L’idraulica romana è molto antica, dato che le prime opere furono compiute a Roma tra il VII e il VI sec. a.c., insieme alla bonifica delle aree paludose del Foro e del Velabro, con la regimentazione delle acque della Valle Murcia e la Cloaca, sotto la monarchia dei Tarquinii. Ma successivamente i romani costruirono acquedotti per tutto l'impero, italico e oltre, come segno di propaganda si dice, ma noi vorremmo oggi che i politici si facessero propaganda facendo opere pubbliche utili, magari talvolta pagandole di tasca propria come facevano all'epoca.
Anche Capua fu fornita pertanto dì un acquedotto per la distribuzione locale, di età augustea, che, provenendo dal Tifata, giungeva al castellum aquae che sorgeva all’incirca in corrispondenza della flessione dell’Appia a oriente della città, certamente presso la porta est. Del castellum aquae sopravvivono soltanto alcuni resti di muri in opera reticolata, che consentono di identificarne la struttura e la pianta.
ARCO DI ADRIANO
L'arco di Adriano, detto anche Arco Felice e Arco di Capua, delimita il confine ideale tra la città di Santa Maria Capua Vetere e l'attuale Capua.
Tre pilastri e un arco laterale è tutto ciò che resta di questo accesso alla città romana, innalzato in laterizio con rivestimento marmoreo.
Esso è ubicato alla fine di corso Aldo Moro, nei pressi dell'Anfiteatro.
Sembra infatti che l'imperatore Adriano avesse una particolare predilezione per Capua, luogo in cui amava riposarsi durante i suoi viaggi e godersi il clima, la campagna e le bellezze naturali e che i capuani per riconoscenza gli abbiano dedicato il maestoso arco.
Secondo alcuni studiosi, invece, l'arco di Adriano sarebbe stato eretto nel VI secolo d.c., sotto l'impero di Traiano che volle il prolungamento delle via Appia.
Ma c'è un altro arco trionfale sempre dedicato ad Adriano, o almeno così si crede, stavolta posto nel cuore della città, accecante nel bianco del suo candido travertino.
DOMUS VIA DEGLI ORTI
All’inizio anni Settanta nel corso di lavori per la costruzione di una scuola vennero alla luce i resti di una grande villa romana, vicino all’attuale corso A. Moro, che ricalca il tracciato dell'Appia Antica, che formava il decumanus maximus della città. L'edificio doveva appartenere a un personaggio importante della nobiltà capuana, data la sua ricchezza.
Nel corso dello scavo e stata individuata una zona termale, affacciata su un giardino porticato, abbellito da una fontana e un ninfeo.
Lungo il lato ovest del giardino e un corridoio pavimentato a tessere di marmo bianco, si affacciano tre grandi ambienti disposti simmetricamente: al centro una stanza absidata con finestra sul giardino e ai lati due vani rettangolari.
Tutti e tre gli ambienti dovevano essere pavimentati con lastre di marmo bianco, mentre sulle pareti almeno lo zoccolo era rivestito di marmi colorati: non è possibile sapere se la parte superiore dei muri fosse anch’essa decorata con marmo o fosse affrescata. L’aula absidata costituiva forse il tepidairium della zona termale, mentre l’ambiente più a sud era il calidarium: il pavimento e le pareti di questa stanza erano riscaldate tramite tubuli in laterizio che corrono all’interno del muro, da aria calda fatta filtrare sotto il pavimento, sostenuto da pilastrini (suspensurae).
MITREO
Nel 1922, nel corso dei lavori per lo scavo di un pozzo, nel rione di S. Erasmo di S. Maria Capua Vetere venne alla luce per caso un’ampia struttura sotterranea, con le pareti e la volta dipinte. Era un sacello dedicato al culto di Mitra, databile alla fine del II secolo d.c., uno dei maggiori esempi dei rari santuari mitraici a decorazione pittorica.
La pianta del mitreo è quella usuale, con un ampio criptoportico come vestibolo, a cui in passato si accedeva per il lato breve mentre l’ingresso moderno e stato ricavato in una delle pareti lunghe, e con una sala rettangolare, voltata per rappresentare una grotta.
Ciò che colpisce particolarmente però è il grande affresco sulla parete di fondo sopra l’altare, con Mitra che uccide il toro davanti all’ingresso di una grotta, che si staglia sul fondo chiaro del cielo.
Ciò che colpisce particolarmente però è il grande affresco sulla parete di fondo sopra l’altare, con Mitra che uccide il toro davanti all’ingresso di una grotta, che si staglia sul fondo chiaro del cielo.
Circondato da alcuni personaggi, Mitra, con mantello e berretto frigio, punta il ginocchio sinistro sulla groppa dell’animale, con la gamba destra tesa all’indietro che poggia per terra, mentre con la mano sinistra afferra il muso dell’animale per immobilizzarlo e con il pugnale nella destra lo colpisce alla gola. Il toro bianco è ritratto in una smorfia di dolore e con le zampe piegate.
DOMUS VIA BONAPARTE
I resti di questa abitazione di età romana si trovano al di sotto dell’attuale livello stradale, sotto il porticato di un moderno palazzo. Fu costruendo l'edificio che, verso la fine degli anni Sessanta, vennero scoperti i resti di una domus.
Situata nella zona meridionale della città antica, non lontano dalla cerchia delle mura, è stata conservata a vista solo la parte più significativa.
Se ne può ammirare un porticato con pavimento in mattonelle di cotto e colonne in muratura rivestite di stucco, che circondava una vasca di notevoli dimensioni, di m 5 x 9.51, molto articolata nella struttura architettonica.
Al suo interno, separati da un muretto con grande nicchia semicircolare su un lato breve e tre più piccole su quello opposto, si conservano due bacini minori, mentre al centro domina una grande fontana troncopiramidale.
Dalla sua sommità doveva zampillare un getto d'acqua, che scendeva lungo le scalette su ogni lato per finire nelle vasche laterali, probabilmente intercomunicanti tra loro mediante allacci, alcuni dei quali ancora visibili.
L’originano rivestimento della vasca, in lastre di marmo rinvenute in frammenti, è stato parzialmente ricomposto ed integrato con pezzi moderni, mentre è ancora visibile, per quanto molto deteriorato, il mosaico che ornava le Facce della bella fontana.
BOTTEGA DEL TINTORE
Un importante rinvenimento del 1955 in occasione di un intervento edilizio, ha scoperto una domus repubblicana con tanto di nome del proprietario.
I resti conservati della casa si limitano a due ambienti a volta, affiancati e comunicanti tra loro, posti sul lato nord del corso Aldo Moro; questo, com'è noto, ricalca l'antico tracciato dell'Appia, che costituiva il decumanus maximus della città antica.
Oltre che affacciarsi sull'arteria principale, la casa faceva parte di uno delle insule centrali dell'abitato, a soli 100 m, in direziono est, dal Criptoportico che formava il margine nord del maggior foro di Capua.
Gli ambienti, in blocchi di tufo squadrati uniti con malta ed opera incerta, erano ipogei e sicuramente sopravvissuti per questo, mentre i livelli soprastanti dell'abitazione sono andati perduti.
Comunque vi si accede, come in antico, per una ripida scala a doppia rampa coperta da una volta a botte e con le pareti coperte di intonaco bianco.
Sembra che uno di questi ipogei fosse una fullonica, cioà una tintoria, per i resti della vasche e attezzi rinvenuti.
CRIPTOPORTICO
Al di sotto dell’ex Casa Circondariale affacciata su Corso Aldo Moro e su Via Galatina sono parzialmente conservate le strutture di un grande criptoportico, danneggiato e ricoperto nel 1707 quando vennero edificate le scuderie del reggimento di cavalleria e nel 1820 per la costruzione del carcere.
La struttura, la più grandiosa di questo tipo in Campania. è a tre bracci, di cui quello centrale è lungo m 96.80, mentre quelli laterali m 79,60. Ogni braccio è a navata unica, larga m 7,10 con copertura voltata: l’altezza originaria era di 10 m, anche se attualmente è ridotta a 7 m per il rialzamento dei pavimenti. Gli ingressi erano collocati all’estremità del lato interno e scale a due rampe portavano al piano superiore.
Il corridoio era illuminato da ben 80 finestre collocate nella parte interna, mentre 30 nicchie sicuramente con statue, ornavano il muro esterno. Sulle pareti agli inizi del Novecento si potevano ancora scorgere avanzi di decorazione dipinta, oggi totalmente scomparsa, con scene figurate sulle pareti, come la rappresentazione di Europa sul toro, e una volta con riquadri policromi.
Il criptoportico, che non sappiamo ricollegare con certezza a nessun edificio preciso, era collocato sul lato breve della piazza del toro, sulla quale si affacciavano anche il teatro e gli edifici sacri, pertanto potrebbe essere solamente un luogo di passaggio, per evitare sole e pioggia, che ospitava, come d'uso, qualche ufficio ai piani superiori.
COMPLESSO VIA TORRE
Questo tipo di tecnica muraria prevedeva il rivestimento di un muro con blocchetti di tufo (tufelli) a forma di piramide a base quadrata che venivano inseriti nel paramento del muro accostandoli per linee oblique in modo da dare l’impressione di un reticolo, una tecnica di età repubblicana.
A nord dell’ambiente voltato si trovava una vasca, ricoperta in signino (cocciopesto con l’inserzione di tessere di mosaico con motivi decorativi), in modo da renderla impermeabile. Il signino è databile alla fine del II-inizio I secolo a.c.
Sono poi stati rinvenuti i resti di un ambiente ipogeo, probabilmente un criptoportico, a pianta pressoché quadrata, anch’esso con paramento in opera reticolata, cui si accedeva tramite una scala realizzata in un angolo del vano.
Da questo ambiente ipogeo. provengono due statue. una, acefela, rappresenta una figura di fanciullo, mentre della seconda rimane solamente un frammento di una spalla che regge un cratere. e' improbabile che si trattasse di un fabrica, perchè posta al centro della città, generalmente gli impianti produttivi sorgevano all’esterno o alla periferia delle città, in luoghi dove fosse facile approvvigionarsi di materia prima e di acqua. Potrebbe essere un luogo di culto ma non ci sono prove.
CONOCCHIA
Il sepolcro monumentale di Conocchia, cosiddetto per l’aspetto delle forme architettoniche. si trova nel comune di Curti, sul lato destro dell’Appia venendo da S. Maria Capua Vetere, a poca distanza dal centro urbano e dall’altro monumento funerario delle Carceri Vecchie.
Conosciuta e apprezzata fin dal XVI sec., dato che i primi rilievi compaiono nel Codice napoletano di Pirro Ligorio, la Conocchia fu spesso riprodotta in disegni ed incisioni sette-ottocentesche.
Intorno al 1790 se ne interessò di Ferdinando IV di Borbone che, sperando ottenesse un po' del successo di Pompei, la fece restaurare.
Intorno al 1790 se ne interessò di Ferdinando IV di Borbone che, sperando ottenesse un po' del successo di Pompei, la fece restaurare.
Purtroppo dal confronto con le riproduzioni precedenti si notano nel restauro alcune alterazioni degli elementi architettonici: non antica è ad esempio la copertura a cupola che ne ha sostituito una piramidale, e molti particolari decorativi sono andati perduti. Tuttavia le linee fondamentali del monumento sono quelle.
E' costituito da tre livelli sovrapposti per un'altezza complessiva di circa 3 m.
Il più basso, che contiene la camera sepolcrale, ha una semplice struttura a dado e sostiene un altro corpo quadrangolare con spigoli arrotondati che formano quattro colonne, con lati a pareti concave, entro cui sono ricavate in ciascuna una nicchia centrale con copertura a timpano.
Il più basso, che contiene la camera sepolcrale, ha una semplice struttura a dado e sostiene un altro corpo quadrangolare con spigoli arrotondati che formano quattro colonne, con lati a pareti concave, entro cui sono ricavate in ciascuna una nicchia centrale con copertura a timpano.
SACELLO
In una traversa di Via De Gasperi fu rinvenuto all’ inizio degli anni Ottanta un complesso di età romana con un ambiente ipogeo a pianta rettangolare absidato; le pareti sono interamente intonacate in bianco e ripartite in quattro nicchie da paraste che sorreggevano una volta, oggi in gran parte crollata.
Nel vano si accede mediante due scale simmetriche, una di fronte all’altra, con scalini rivestiti in laterizio, poste lungo i lati nord e sud dell’ambiente, presso la parete orientale.
Le due nicchie in corrispondenza delle gradinate di accesso sono affrescate con scene di carattere religioso; sulla parete della nicchia settentrionale su uno sfondo di rocce, si riconoscono tre personaggi che avanzano verso una statua al centro della composizione.
Sulla parete opposta sono raffigurati sempre tre personaggi che reggono un vassoio con offerte.
La parete est è affrescata col serpente Agatodemone che striscia verso un’ara su cui sono poggiate delle offerte. Sulle paraste che sorreggono la volta sono dipinti alberelli stilizzati.
Sulla base della tecnica edilizia utilizzata e dell’analisi delle pitture, di stile semplice e popolare, l’ambiente si può datare al I-II secolo d.c. In epoca successiva, attorno al V-VI secolo d.c. furono asportati i rivestimenti di marmo della piscina e il complesso cadde in abbandono.
TEMPIO MATER MATUTA
Alla fase sannitica risalgono due santuari extraurbani molto celebri, quello di Diana Tifatina, alle pendici del Monte Tifata e quello, di cui si ignora il nome, rinvenuto nel Fondo Patturelli, da cui derivano opere scultoree e fittili, tra cui le numerose Dee dette "Madri capuane".
Quest'ultimo. a est dell'antico abitato, è stato rinvenuto nel fondo Patturelli, un ricco santuario della metà del IV secolo a.c., che ha ridato alla luce un centinaio di statue di matres in tufo.
Il santuario proseguì il suo compito anche in epoca romana, dove era dea ugualmente onorata e rispettata.
CATABULUM
E' uno dei più notevoli esempi di architettura paleocristiana della regione, posta nella zona più settentrionale dell’antica Capua. Solo di recente si è potuto identificare come il battistero della basilica costantiniana che doveva essere posta nella immediate adiacenze.
L’interpretazione tradizionale vedeva nella struttura il Catabulum, cioè, con interpretazione erronea del termine (in realtà la sede del cursus publicus) un vivarium, il luogo dove venivano custodite le fiere per gli spettacoli del vicino Anfiteatro campano.
L’identificazione era suffragata da una cloaca che dall’anfiteatro sembrava rivolgersi verso l’edificio e costituiva un tempo una delle attrattive maggiori per i viaggiatori che visitavano le rovine dell’antica Capua.
A partire dal 1890 invece il monumento venne identificato come sala di un edificio termale, sulla base anche della revisione dei ritrovamenti effettuati in occasione degli scavi condotti all’epoca del re Carlo III di Borbone.
Era stata infatti messa in luce una vasca, la vasca battesimale del battistero, identificata invece come piscina, ricca di marini di vario colore, sicuramente riutilizzati dalla distruzione di altro sito pagano.
CARCERI VECCHIE
Poco fuori Santa Maria Capua Vetere, procedendo lungo l’Appia in direzione di Caserta, sul lato sinistro della strada si incontrano le cosiddette Carceri Vecchie, un edificio a destinazione funeraria cosi definito per la credenza popolare che lo riteneva un carcere per i gladiatori.
In base alla tipologia architettonica e alla tecnica muraria si può datare all’età sillana, mentre le decorazioni dell’interno rimandano all’età augustea. Il monumento funerario è costituito da un grande tamburo cilindrico esterno, che racchiude un tumulo tramite diaframmi radiali, e, inscritto al centro, un corpo circolare minore. Il tamburo esterno, in opus reticulaumi e scandito da doppie file di mattoni, è articolato da semicolonne poggianti su plinto, rivestite di stucco e scanalate, di ordine tuscanico, tra cui si aprono alternate nicchie rettangolari e semicircolari, con coperture a semicalotta rivestite in stucco e decorate a conchiglia.
La pavimentazione esterna è realizzata in cocciopesto. In alto, al di sopra dell’architrave, il tamburo è completato da una Fascia continua scandita da piccoli semipilastri. Sulla sommità, al di là del riempimento di terreno, un corpo centrale circolare, costituito da otto colonne sosteneva probabilmente una copertura a cuspide, perduta, posta in corrispondenza della camera sepolcrale. Questa era raggiungibile attraverso un corridoio, oggi purtroppo chiuso da una chiesetta moderna.
FORNACE ETRUSCA - CAVA ROMANA
Nell’area a nord-est dell’abitato dell’antica Capua, al confine tra i comuni di S. Maria Capua Vetere e S. Prisco presso il collettore noto come Alveo Marotta agli inizi degli anni Ottanta, nella costruzione di una nuova rete fognante, furono rimessi in luce alcuni livelli dell’abitato arcaico. Particolarmente interessante il rinvenimento di una fornace arcaica, attiva tra fine VI e inizi V sec. a.c. e molto probabilmente utilizzata, come dimostrano gli scarti di lavorazione rinvenuti nei paraggi, per la cottura di tegole piane.
Sicuramente fu adoperata anche in epoca romana, poi parzialmente danneggiata dopo la deduzione della colonia cesariana nel 59 a.c. ed il conseguente sviluppo edilizio, per essere sfruttata sfruttata come cava di pozzolana.
Ha pianta quadrangolare di m. 3.80 x 3.20: la camera di combustione ha un muro assiale che sorregge tre traverse di mattoni crudi rivestiti di fango e collegate tra loro in orizzontale da alcuni elementi cilindrici. Probabilmente connessi all’attività della Fornace sono tre canali profondi m 1.80 e larghi circa 60-70 cm, di cui due sono posti in direzione nord-sud ed il terzo est-ove-st, che al momento dello scavo erano riempiti di terra e materiali ceramici, tra i quali anche gli scarti della fornace stessa e buccheri. Ceramiche a bande e da cucina di produzione locale e frammenti di importazione greca hanno permesso una precisa datazione delle strutture. La fornace capuana costituisce uno degli esempi più antichi del tipo e si accosta ad alcune altre fornaci di epoca arcaica ed ellenistica rinvenute a Lavinio. Locri, Orvieto e Cerveteri.
SANTUARIO DIANA TIFATINA
Il santuario dedicato a Diana Tifatina, uno dei più celebri del mondo romano, sorgeva a 3 miglia e mezzo a nord est di Capua, alle pendici del monte Tifata, zona ricca di boschi e sorgenti naturali.
Diana era Dea boschiva, della caccia e delle erbe selvatiche, per cui le fonti a lei collegate erano curative, un po' come una Lourdes moderna.
Il santuario era legato al mito di fondazione di Capua, all'eroe troiano Capys e alla cerva che lo aveva allattato, lì onorata come ninfa al seguito della Dea.
Il santuario godette di grande fama soprattutto in età romana e Silla, dopo la vittoria su Norbano alle pendici del Tifata nell'83 a. c., rese grazie alla Dea che lo aveva protetto assegnando a Diana Tifatina diverse terre e fonti.
L'elenco delle donazioni e la pianta dei terreni di proprietà del santuario erano incisi su una tavola di bronzo collocata all'interno della cella del tempio.
L'accatastamento delle proprietà, redatto sotto Augusto, fu confermato da Vespasiano.
Il rifacimento del tempio si colloca nella serie delle grandi trasformazioni dei santuari tardo-repubblicani del Lazio e della Campania ed il sistema di terrazze che si affacciava verso la pianura, riconosciuto negli scavi davanti al sagrato della chiesa, dava effetti scenografici di gusto ellenistico che influenzò la cultura dell'epoca.
Coll'avvento del cristianesimo il tempio subì le solite devastazioni.
Li dove un tempo era il Tempio di Diana Tifatina, venne eretta la ora presente basilica di S. Michele Arcangelo dai Longobardi a cavallo del VI, VII secolo.
TEMPIO CRISTIANO SU TEMPIO PAGANO
Cristianizzata sin dal I secolo d.c. (il primo vescovo si ritiene sia stato San Prisco, compagno di San Pietro), aveva nella cattedrale di Santa Maria Maggiore il principale centro di aggregazione urbana.
La chiesa sorse nel 432 riutilizzando ben 51 colonne e capitelli probabilmente del tempio pagano su cui edificata, nonchè spoliazioni di altri templi.
Si notano le colonne di differenti marmi e di basi diseguali, purtroppo non si sono mai fatti scavi sotto la chiesa.
S. MARIA DI CAPUA VETERE
Cavandosi un pozzo nella Caserma Perrella, presso il muro di cinta, dietro la scuderia, alla profondità di circa m. 0,80 si rinvenne un torso di statua marmorea muliebre, panneggiata inferiormente. La parte superstite è alta m. 1,00; e stando ai rapporti giunti al Ministero, il lavoro è eseguito con buona arte.
EPIGRAFE DI LAVORI PUBBLICI
Lazio et Campania / Regio I Luogo: Capua
Muro costruito da Servio Fulvio, console, 135 a.c. su pietra trovata a S. Angelo in una parete (probabilmente dedicatoria):
- Ser (vius) Fulvius Q (uinti) f (Ilius) Flacco co (n) s (ul) Muru (m) locavit /
- Ser (vius) Fulvius Q (uinti) f (Ilius) Flacco co (n) s (ul) Muru (m) locavit /
de manubies
- Servio Fulvio Flacco , console, figlio di Quinto, pose il muro col bottino di guerra.
BIBLIO
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri -
- S. Casiello, A. M. Di Stefano - Santa Maria Capua Vetere - Napoli - 1980 -
- Werner Johannowsky - Capua antica - foto di Marialba Russo - Napoli - Banco di Napoli - 1989 -
- M. Miele - Capua Vetere - Curti -1999 -
- A. Perconte Licatese - Capua Antica - Santa Maria Capua Vetere - 2001 -
- N. Teti - Frammenti storici della Capua antica, oggi S. Maria Capua Vetere - S. Maria Capua Vetere - 1902 -
Bravi
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