LE ORIGINI
Roma distava poco dal mare dal mare e perdipiù era lambita dall Tevere, navigabile per tutto l'anno, da ciò traeva i vantaggi del commercio marittimo e meno rischi dal mare. Per attaccare la città dal mare i nemici dovevano infatti risalire il fiume sbarcando nel porto molto ben custodito.
Comunque i Romani sapevano combattere bene via terra e il loro assetto preciso e calibrato era per spazi ampi e strategie militari con fanteria e cavalleria. Sia gli Etruschi che i Cartaginesi e pure i Greci impararono acombattere via mare molto prima dei Romani.
Infatti la Marina militare romana, Classis, pur nascendo durante la prima guerra punica, cominciò ad operare in modo permanente nel mar Mediterraneo e sui principali fiumi dell'Impero romano solo da Augusto in poi, fino a tutto il V sec. d.c.
QUANDO I ROMANI NON SAPEVANO NAVIGARE
I naufragi della flotta romana nella I guerra punica furono determinanti per lo svolgimento della guerra, visto che per ben tre volte in soli sei anni la flotta romana dovette subire la perdita di centinaia di navi e migliaia di uomini a causa delle condizioni meteorologiche e della scarsa conoscenze nelle tecniche di navigazione.
Roma, bravissima a combattere via terra, aveva sconfitto Cartagine nella battaglia di Adys e conquistato Tunisi tanto che i Cartaginesi chiesero la pace al console Marco Atilio Regolo, che purtroppo non concesse la pace e, mentre il collega Manlio Vulsone Longo ritornò a Roma con la notizia della vittoria, rimase a pattugliare l'Africa.
Ma i Cartaginesi, messo a capo dell'esercito lo spartano Santippo, sconfissero i Romani a Tunisi, catturarono Atilio Regolo, uccisero oltre 12.000 nemici e assediarono Aspide, città africana precedentemente conquistata dai Romani e nella quale si erano rifugiati i circa 3.000 superstiti delle legioni.
Publilio - Storie:
"I Romani, al principio dell'estate, calate in mare trecentocinquanta navi e preposti al loro comando Marco Emilio e Servio Fulvio le inviarono."
Poi i consoli, invece di dare rinforzi ad Aspide, imbarcarono i superstiti di Tunisi e fecero vela verso nord. Secondo Polibio, la flotta romana che tornava in Italia era composta da 364 navi, quindi 130 erano rimaste ad Aspide.
L'attraversamento del Canale di Sicilia fu agevole, ma vicino alla Sicilia, presso Camarina
"...incapparono in una tempeste così violenta e in una sciagura così grave che non si potrebbe descriverle in modo appropriato data l'eccezionalità dell'accaduto . "
Solo 80 imbarcazioni riuscirono a salvarsi per cui oltre 280 navi furono affondate o
"fracassate dai flutti contro gli scogli e i promontori (riempiendo) la costa di corpi e di relitti del naufragio."
A 100 uomini di equipaggio per nave, oltre gli schiavi ai remi e le truppe trasportate, dovettero perdere oltre 28.000 uomini, l'equivalente di sei legioni! Cartagine rinfrancata mandò Asdrubale a rinforzare Lilibeo, ma questi non riuscì a impedire la caduta di Palermo a opera dei consoli Gneo Cornelio Scipione Asina e Aulo Atilio Calatino, perchè i Romani, straordinari ingegneri ed esecutori, avevano allestito una flotta di 220 navi in soli tre mesi.
Nel 253 ai consoli Gneo Servilio Cepione e Gaio Sempronio Bleso venne affidata la flotta con la quale raggiunsero l'Africa, ma inesperti com'erano, giunti all'isola di Meninge si arenarono in un basso fondale. Poco dopo la marea cambiò e i Romani, alleggerite le navi buttando fuori bordo gli oggetti pesanti, riuscirono a disincagliarsi e riprendere il mare.
Inconsapevoli dei pericoli del mare, i Romani fecero rotta per la Sicilia compiendo la circumnavigazione dell'isola sul lato occidentale ed approdando a Palermo, caduta dopo la battaglia dell'anno precedente in mani amiche. Di là, navigando in modo arrischiato e in alto mare verso Roma, di nuovo incapparono in una tempesta di una violenza tale che persero più di 150 navi.
Nel 249 a.c. la guerra terrestre in Africa era ancora preclusa ai Romani per mancanza di navi da guerra a protezione di quelle da carico. La guerra in Sicilia si trascinava con un assedio interminabile di Lilibeo e i Cartaginesi finirono per arroccarsi sul Monte Erice.
Sfortunatamente per Roma, durante la battaglia di Trapani una flotta romana di circa 120 navi, agli ordini di Publio Claudio Pulcro fu quasi totalmente distrutta dalle navi di Aderbale. I Cartaginesi catturarono 93 navi romane complete di equipaggio e Roma rimase nuovamente senza una flotta, in possesso di poche navi da guerra stanziate a Messina e presso Lilibeo. Venne equipaggiata una nuova flotta di 60 navi per scortare i rifornimenti e furono affidate a Lucio Giunio Pullo.
Questi raggiunse a Messina le navi rimaste e poi da Siracusa affidò ai questori metà delle 800 navi da carico e, come scorta, quasi metà di quelle da guerra, col compito di rifornire le legioni. Egli stesso aspettava col resto della flotta rifornimenti dall'interno dell'isola. Intanto Aderbale mandò a Cartagine i prigionieri e le navi da guerra romane catturati a Trapani e il collega Cartalone con un centinaio di navi ad attaccare gli assedianti di Lilibeo.
Cartalone riuscì a distruggere alcune navi romane e altre ne distrusse Imilcone, il comandante cartaginese di Lilibeo. Cartalone seguì Aderbale ma giunto ad Eraclea Minoa vide le avanguardie della flotta romana guidata dai questori di Pullo. La flotta romana si rifugiò a terra riuscendo però a resistere agli attacchi dei Cartaginesi. Questi, catturata qualche nave da carico, si allontanarono in attesa che i Romani riprendessero la navigazione.
"non osando venire allo scontro né potendo più fuggire perché i nemici erano molto vicini, piegò verso luoghi aspri e pericolosi, sotto ogni punto di vista e approdò."
Cartalone decise di non lanciarsi contro l'altra parte della flotta per non essere assalito alle spalle dalla metà della flotta dei questori di Pullo. Mise la flotta alla fonda limitandosi a tenere sotto controllo le due flotte da una posizione mediana.
Ancora una volta una commistione di incapacità e sfortuna misero alla prova la flotta di Roma. Una tempesta si annunciò dal mare aperto:
"I timonieri cartaginesi, che per l'esperienza sia dei luoghi sia della situazione prevedevano quanto stava per verificarsi cercarono di persuadere Cartalone a fuggire la tempesta e doppiare il promontorio di Pachino."
La flotta cartaginese apparentemente fuggì davanti ai Romani ma riuscì a doppiare il promontorio e ad approdare in luogo sicuro.
"essendo i luoghi assolutamente privi di porti, subirono un tale disastro che nessuno dei rottami del naufragio era più utilizzabile, ma entrambe le flotte furono rese completamente e incredibilmente inservibili."
Polibio riferisce che circa 900 navi vennero distrutte e l'episodio fermò per sette anni le azioni marinare dei Romani. I naufragi romani furono la causa delle disfatte nella guerra romana permettendo a Cartagine di prolungare le ostilità combattendo da una posizione di sicurezza in Africa e spostando le navi e le truppe in Sicilia.
Dal terzo naufragio dovranno passare ben sette anni perché Roma riuscisse a trovare la capacità economica di finanziare un'ennesima flotta e contendere il mare alla rivale. Dopo tante grandi e piccole sconfitte, dopo tante navi perdute in battaglie e tempeste solo nel 242 Roma riuscì tornare sul mare. Un prestito da parte dei cittadini permise l'ennesima costruzione di una flotta. Questa fu affidata al console Gaio Lutazio Catulo che il 10 marzo del successivo 241 a.c., alle Egadi riportò la vittoria decisiva per porre termine alla prima guerra punica.
QUANDO I ROMANI SAPEVANO NAVIGARE
La forza navale di Roma si sviluppò soprattutto dal II sec., ma già esisteva alla foce del Tevere la colonia di Ostia, la prima colonia romana, sorta addirittura, come si letto su un'epigrafe, per opera di re Anco Marcio, nel VII sec. a.c.. I Romani ampliarono il porto marittimo ostiense e pure quello fluviale arricchendolo di numerosi e vastissimi horrea (i magazzini).
Le fonti ricordano infatti la statua della Dea col figlio, ma quest'ultimo pian piano soppiantò la Dea nella protezione del porto, da qui il nome Portunno.
Durante la repubblica il porto raggiunse l’area dell’Emporio, dove gli horrea vennero ampliati, e poichè il commercio del vino ara fiorente, veniva scavato il terreno per interrarci le olle e le anfore. Poichè a volte il magazzino era molto profondo, veniva definito Horridus, da Horrea, da cui la parola orrido passato successivamente a designare i burroni.
Poichè molte navi affondarono nel porto e molte anfore di terracotta andavano a frangersi nel fondo del porto, fu necessario drenare il fondo e recuperare le merci, così le anfore spaccate vennero accumulate fino a formare il Monte dei cocci, l’odierno monte Testaccio.
Le navi mercantili più piccole risalivano il Tevere fino a Roma, ma tutte le altre dovevano scaricare le proprie merci ad Ostia, da cui piccole navi dette “codicarie”, facevano la spola fra il porto marittimo ed il porto fluviale. Questo anche se procurava un ulteriore lavoro era però un vantaggio, perchè nessuna nave da guerra con la sua notevole stazza poteva entrare nel tevere e giungere a minacciare Roma.
I commerci navali, che costituivano una ricca fonte di reddito per armatori e commercianti, si svilupparono soprattutto fra il VI ed il IV sec. a.c., quando Roma ottenne la supremazia sia sugli etruschi che sui cartaginesi, ambedue grandi concorrenti commerciali sul mediterraneo.
LA MARINA DA GUERRA
Per difendere la propria marina mercantile, i Romani dovettero attrezzarsi con una marina da guerra, cominciando dalle navi di Anzio nel 338 a.c., quando vinsero i Volsci che facevano scorribande di pirateria nell’area di Ostia. Non solo vennero sequestrate le navi indenni, ma su quel modello ne vennero costruite di nuove. In quanto alle navi nemiche distrutte nel combattimento, se ne appesero i rostri alla tribuna del foro romano, tanto che poi il luogo fu chiamato I Rostri.
A capo della nuova flotta, i Romani posero due duumviri navali, che si occupavano tanto dell'addestramento e dei compiti dell'equipaggio, tanto dell'approvvigionamento delle navi e tanto della sorveglianza delle coste della Penisola che dovevano percorrere per eventuali nemici o pirati.
I rostri divelti ai nemici divennero pertanto un simbolo delle vittorie romane in mare, insieme alle immagini delle navi romane rostrate. La nave romana rostrata, soprattutto la triremi, iniziarono a comparire sul retro delle monete. Ne ricordiamo due, tratte da due medaglie, riferite anche da Grevio nelle note a Floro, un'altra medaglia di una trireme per la vittoria macedonica di Metello, ancora riferita da Grevio, e ancora una di Metello il numidico sulla sua trireme rostrata, sempre riferita da Grevio. Le medaglie con nave rostrata si perpetuarono poi dalla repubblica a tutto l'impero.
In relazione alla velocità vennero suddivise in:
- naves praetoriae (navi ammiraglie) da guerra, lunghe, a remi, velocissime;
- naves longae e naves liburnicae: navi molto veloci, anche a dieci ordini di remi;
- naves actuariae: molto leggere, da vedetta e per il trasporto delle truppe;
- naves speculatoriae: navi da ricognizione, per spiare le mosse del nemico;
- naves tabellariae: piccole navi per portare dispacci da porto a porto.
I marinai erano suddivisi in:
- remiges, rematori per le scialuppe,
- manovali non specializzati per le pompe, detti mozzi o mesonautae, la cui funzione ancora non è chiara
- nautes, manovratori di ancore e vele, cioè i veri marinai di ponte.
I GRADI MILITARI
- praefectus classis - era il dux, il capo supremo della flotta militare.
- navarchus - praefectus navis - magister navis erano i titoli spettanti al capitano di una singola nave.
- gubernator - il timoniere.
- decuriones - i comandanti della sezione rematori
- remiges - i rematori
- nautes - marinai
- classarii - i soldati della marina
LE GUERRE PUNICHE
I GUERRA PUNICA
Cartagine (presso l'odierna Tunisia) era la potenza dominante del Mediterraneo occidentale, signora di tutti i traffici mercantili. Una volta conquistata la penisola Roma doveva sbarazzarsi di Cartagine, la potenza navale più potente del Mediterraneo, anche perchè i cartaginesi si erano insediati in Sicilia e si preparavano ad impadronirsi di Messina, alleata dei Romani.
Nel 278 Cartagine inviò una flotta di 120 navi, che si ancorò nel porto di Ostia per costringere i romani, impegnati nella guerra con Pirro e che pensavano alla pace, a continuare le ostilità. La cosa finì con un trattato di pace, interrotta dalla notizia che i Mamertini chiedevano alleanza a Roma contro Cartagine.
Il Senato accettò e nominò quattro questori incaricati di radunare le navi da tutto il territorio italico. I Romani sbarcarono così in Sicilia, ma presto si accorsero a loro spese che non avevano la necessaria esperienza nè le navi adatte. I romani riuscirono a mantenere il predominio sul mare ad altissimi prezzi: circa 600 navi affondate dalle tempeste, 250 affondate in combattimento e 280 catturate dal nemico. I romani compresero di doversi munire di quinqueremi simili a quelle cartaginesi, addestrandone gli equipaggi.
Nel 260 a.c. Roma finalmente vinse contro i cartaginesi una grande battaglia navale nei pressi di Milae (Milazzo), grazie soprattutto alla famosa ingegnosità e ingegneria romana, forgiando uno strumento che determinerà per un certo tempo il dominio di Roma sul Mediterraneo, e cioè il corvo.
Nel libro III delle Storie, Polibio lo descrive come una passerella mobile di 1.2 m x 10.9 m, con parapetto sui lati, dotato di uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica, consentendo alla fanteria di combattere quasi come sulla terraferma, combattimento di cui erano padroni. La vittoria a Milazzo donò al console Gaio Duilio il primo trionfo navale e una colonna rostrata, cioè con i rostri delle navi nemiche catturate.
La battaglia delle Isole Egadi del 241 a.c. vinta dalla flotta romana, segnò la fine della prima guerra punica, dimostrando l'estrema importanza della flotta. Ormai padroni del mare, i Romani cacciarono i Cartaginesi dalla Sicilia, dalla Sardegna e dalla Corsica.
II GUERRA PUNICA
Nonostante il trattato del 226 a.c. fissasse nell'Ebro il limite dell'espansione punica, alcune città comprese nel territorio controllato dai cartaginesi erano alleate di Roma, come Sagunto, cui Annibale dichiarò guerra. La città chiese aiuto a Roma che però si limitò a inviare ambasciatori che Annibale non ricevette. Sagunto venne attaccata nel marzo del 219 a.c. e sottoposta a un drammatico assedio per otto mesi. Disperato il commento dei delegati senza che Roma decidesse di attivarsi; tristemente famosa la disperata richiesta dei delegati:
«Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur»
« Mentre a Roma si discute, Sagunto cade »
Alla fine, la città affamata e disperata si arrese e venne rasa al suolo. Roma inviò una delegazione a Cartagine chiedendo la consegna di Annibale e i cartaginesi optarono per la guerra.
Annibale, grande generale e stratega cartaginese, non potendo affrontare le flotte romane numerose nel sud Italia, pensò bene, anziché di sbarcare in Sicilia, di sbarcare nel nord varcando poi le Alpi con il suo esercito ed i suoi elefanti, visto che al nord Roma aveva poche resistenze, non prevedendo pericoli dall'oltralpe. Fu un massacro di uomini ed elefanti, ma alla fine l'esercito dopo il Passo alpino era ancora consistente.
I Romani, seppur sconfitti via terra, decisero di astenersi dalle battaglie, limitandosi a precludere ad Annibale l'accesso al mare in Italia, impedendogli di ricevere aiuti e vettovaglie. Scipione infine sbarcò in Africa nel 204 a.c. imponendo ai cartaginesi stremati nuove condizioni della pace, con la distruzione della flotta punica ed il divieto di ricostruirla.
III GUERRA PUNICA
Ormai Roma aveva praticamente riconquistato Sicilia, Corsica e Sardegna, ma i Cartaginesi erano ancora una spina nel fianco.
Marco Porcio Catone, temendo la corruzione dei costumi per opera del vicino oriente finiva ogni sua concione con la stessa frase: «Ceterum censeo Carthaginem esse delendam» (e concludo affermando che Cartagine deve essere distrutta).
Solo Scipione Nasica, cugino dell'Africano e della civilissima familia scipio rispondeva: «per me deve vivere».
Sembra fu basilare la scena in cui Catone portò in senato un piatto di fichi freschi provenienti da Cartagine, per far capire ai romani quanto Cartagine fosse vicina e pertanto pericolosa.
Avuto così notizia dell'intento punico di ricostruire la flotta punica, i Romani sbarcarono nuovamente in Africa ed imposero ai Cartaginesi di abbandonare la città e di trasferirsi nell’entroterra, a non meno di 15 km dal mare. I cartaginesi rifiutarono, Cartagine fu assediata e, dopo aver sconfitto in mare la nuova flotta nemica (acque di Cartagine, 147 a.c.), costrinsero la popolazione alla resa. Quindi Cartagine fu messa a ferro e fuoco, incendiata e venne sparso il sale sulle sue rovine.
L'ESPANSIONE OLTREMARE
L’espansione romana proseguì oltre il suolo italico, per i primi 200 anni, quasi solo via mare, conquistando tutte le isole, poi le penisole iberica e balcanica, passando quindi in Africa ed in Asia, con grandi investimenti marittimi ma grandi ritorni di bottini e poi di commerci, per cui il Seneto era molto favorevole alla colonizzazione.
Le resistenze più serie provennero dalle mire espansionistiche dei popoli elleni che sognavano di ripristinare l'impero di Alessandro Magno, soprattutto con i due re di Macedonia (Filippo V e suo figlio Perseo) e di quelli di Siria (Antioco III) e del Ponto (Mitridate VI).
Gli Elleni invasero la Grecia e per combattere i Romani. sicuramente meno attrezzati e meno esperti via mai. Ma i romani avevano due grandi doti: copiavano tuttò ciò che i nemici avevano di valido, dalle armi alle navi, e imparavano prestissimo le nuove tecniche di combattimento, anzi le miglioravano, perchè pur essendo molto razionali avevano una mente molto aperta alle innovazioni. Così, mentre i Greci alleati si auguravano la vittoria romana temendo fortemente la barbarie macedone, i romani si gudagnarono una serie di vittorie navali tra cui quella di Mionneso (190 a.c.) e di Tenedo (72 a.c.).
LE BATTAGLIE NAVALI (264 - 57 a.c.)
Il principale mezzo di offesa di una nave da guerra era lo speronamento, per questo l’arma principale era lo sperone che, situato nella prua, era di ferro o bronzo e serviva a sfondare la chiglia della nave nemica. Nel 260 a.c. il console romano Caio Duilio introdusse una geniale innovazione nell’armamento delle navi da guerra: le fece munire di un ponte levatoio girevole denominato “corvo” che terminava con un uncino di ferro a becco di corvo.
Quando una nave romana aveva accostato quella avversaria, lasciava cadere la passerella, in modo che l’uncino si conficcasse sulla coperta della nave nemica, impedendole così di allontanarsi.
Attraverso il corvo, i soldati romani saltavano sulla nave avversaria e così la battaglia navale si trasformava in terrestre. Per i Romani, poco esperti di battaglie navali, basate soprattutto sullo speronamento di navi, la novità fu di fondamentale importanza.
Ogni nave, inoltre, era munita di un antirostro che limitava la penetrazione del rostro della nave nemica. La prua delle navi romane da combattimento aveva degli speroni sovrapposti al rostro, che evitavano l’eccessivo inserimento nel corpo della nave nemica speronata, e che permettevano di sganciare facilmente il rostro dopo l’attacco, salvaguardando la nave attaccante. Di questa tattica navale abbiamo testimonianze recenti attraverso l’archeologia subacquea che ha recuperato presso Trapani un reperto di rostro, con la parte anteriore rafforzata da tre fendenti laminari orizzontali che, scagliati sulle fiancate delle navi nemiche, ne determinavano falle e affondamento.
Il bordo anteriore del rostro, elegantemente arcuato, facilitava lo sganciamento della nave attaccante dalla nave colpita. La nave era una piccola triere che doveva essere munita di uno sperone a testa di animale –cinghiale o ariete- a circa 50cm sopra il rostro, per evitare che esso penetrasse eccessivamente nella nave nemica: gli attacchi ripetuti provocavano squarci irreversibili, ma senza un’eccessiva penetrazione, perché lo sperone sovrastante assolveva alle funzioni di freno. Si hanno indizi dell’uso di tali strumenti, situati sulla prua delle navi, già a partire dall’XI secolo a.c.
Cassio Dione Cocceiano, testimone della battaglia tra la flotta di Antonio e quella di Ottaviano e Agrippa nel golfo di Ambracia, narra che la vittoria di Ottaviano fu determinata dal tipo di nave utilizzata. Queste, infatti, erano piccole e veloci, vogavano con forza e miravano a speronare, protette com’erano da ogni parte dai colpi. Gli attacchi continui e rapidi erano dovuti al timore delle offese da lontano delle grandi e pesanti navi di Antonio e al timore del combattimento corpo a corpo. I nemici, da parte loro, quando si avvicinavano scagliavano pietre e saette. Nell’atto dell’abbordaggio gettavano i rampini e, se ci riuscivano, avevano la meglio, in caso contrario, divenivano facili bersagli.
Gli uomini di Ottaviano, inoltre, scagliavano frecce incendiate, vasi pieni di carboni ardenti e di pece, servendosi di catapulte. Matasse di crine o in fasci di nerbo di bue lavoravano per torsione per la forza e la precisione del tiro.
L’importanza delle navi per i Romani, anche se fino ad Augusto non si può parlare di una vera e propria marina militare organizzata ed efficiente, è testimoniata anche dal fatto che i marinai amavano far scolpire sui propri cippi funebri o sulla stele delle loro tombe, le navi sulle quali avevano navigato; gli spedizionieri e gli armatori avevano, invece, immagini di navi che rientravano sane e salve in porto.
Ecco le principali azioni belliche navali:
Nel libro III delle Storie, Polibio lo descrive come una passerella mobile di 1.2 m x 10.9 m, con parapetto sui lati, dotato di uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica, consentendo alla fanteria di combattere quasi come sulla terraferma, combattimento di cui erano padroni. La vittoria a Milazzo donò al console Gaio Duilio il primo trionfo navale e una colonna rostrata, cioè con i rostri delle navi nemiche catturate.
La battaglia delle Isole Egadi del 241 a.c. vinta dalla flotta romana, segnò la fine della prima guerra punica, dimostrando l'estrema importanza della flotta. Ormai padroni del mare, i Romani cacciarono i Cartaginesi dalla Sicilia, dalla Sardegna e dalla Corsica.
II GUERRA PUNICA
Nonostante il trattato del 226 a.c. fissasse nell'Ebro il limite dell'espansione punica, alcune città comprese nel territorio controllato dai cartaginesi erano alleate di Roma, come Sagunto, cui Annibale dichiarò guerra. La città chiese aiuto a Roma che però si limitò a inviare ambasciatori che Annibale non ricevette. Sagunto venne attaccata nel marzo del 219 a.c. e sottoposta a un drammatico assedio per otto mesi. Disperato il commento dei delegati senza che Roma decidesse di attivarsi; tristemente famosa la disperata richiesta dei delegati:
«Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur»
« Mentre a Roma si discute, Sagunto cade »
Annibale, grande generale e stratega cartaginese, non potendo affrontare le flotte romane numerose nel sud Italia, pensò bene, anziché di sbarcare in Sicilia, di sbarcare nel nord varcando poi le Alpi con il suo esercito ed i suoi elefanti, visto che al nord Roma aveva poche resistenze, non prevedendo pericoli dall'oltralpe. Fu un massacro di uomini ed elefanti, ma alla fine l'esercito dopo il Passo alpino era ancora consistente.
I Romani, seppur sconfitti via terra, decisero di astenersi dalle battaglie, limitandosi a precludere ad Annibale l'accesso al mare in Italia, impedendogli di ricevere aiuti e vettovaglie. Scipione infine sbarcò in Africa nel 204 a.c. imponendo ai cartaginesi stremati nuove condizioni della pace, con la distruzione della flotta punica ed il divieto di ricostruirla.
III GUERRA PUNICA
Ormai Roma aveva praticamente riconquistato Sicilia, Corsica e Sardegna, ma i Cartaginesi erano ancora una spina nel fianco.
Marco Porcio Catone, temendo la corruzione dei costumi per opera del vicino oriente finiva ogni sua concione con la stessa frase: «Ceterum censeo Carthaginem esse delendam» (e concludo affermando che Cartagine deve essere distrutta).
Solo Scipione Nasica, cugino dell'Africano e della civilissima familia scipio rispondeva: «per me deve vivere».
Sembra fu basilare la scena in cui Catone portò in senato un piatto di fichi freschi provenienti da Cartagine, per far capire ai romani quanto Cartagine fosse vicina e pertanto pericolosa.
Avuto così notizia dell'intento punico di ricostruire la flotta punica, i Romani sbarcarono nuovamente in Africa ed imposero ai Cartaginesi di abbandonare la città e di trasferirsi nell’entroterra, a non meno di 15 km dal mare. I cartaginesi rifiutarono, Cartagine fu assediata e, dopo aver sconfitto in mare la nuova flotta nemica (acque di Cartagine, 147 a.c.), costrinsero la popolazione alla resa. Quindi Cartagine fu messa a ferro e fuoco, incendiata e venne sparso il sale sulle sue rovine.
L'ESPANSIONE OLTREMARE
L’espansione romana proseguì oltre il suolo italico, per i primi 200 anni, quasi solo via mare, conquistando tutte le isole, poi le penisole iberica e balcanica, passando quindi in Africa ed in Asia, con grandi investimenti marittimi ma grandi ritorni di bottini e poi di commerci, per cui il Seneto era molto favorevole alla colonizzazione.
Le resistenze più serie provennero dalle mire espansionistiche dei popoli elleni che sognavano di ripristinare l'impero di Alessandro Magno, soprattutto con i due re di Macedonia (Filippo V e suo figlio Perseo) e di quelli di Siria (Antioco III) e del Ponto (Mitridate VI).
Gli Elleni invasero la Grecia e per combattere i Romani. sicuramente meno attrezzati e meno esperti via mai. Ma i romani avevano due grandi doti: copiavano tuttò ciò che i nemici avevano di valido, dalle armi alle navi, e imparavano prestissimo le nuove tecniche di combattimento, anzi le miglioravano, perchè pur essendo molto razionali avevano una mente molto aperta alle innovazioni. Così, mentre i Greci alleati si auguravano la vittoria romana temendo fortemente la barbarie macedone, i romani si gudagnarono una serie di vittorie navali tra cui quella di Mionneso (190 a.c.) e di Tenedo (72 a.c.).
LE BATTAGLIE NAVALI (264 - 57 a.c.)
Il principale mezzo di offesa di una nave da guerra era lo speronamento, per questo l’arma principale era lo sperone che, situato nella prua, era di ferro o bronzo e serviva a sfondare la chiglia della nave nemica. Nel 260 a.c. il console romano Caio Duilio introdusse una geniale innovazione nell’armamento delle navi da guerra: le fece munire di un ponte levatoio girevole denominato “corvo” che terminava con un uncino di ferro a becco di corvo.
Quando una nave romana aveva accostato quella avversaria, lasciava cadere la passerella, in modo che l’uncino si conficcasse sulla coperta della nave nemica, impedendole così di allontanarsi.
Attraverso il corvo, i soldati romani saltavano sulla nave avversaria e così la battaglia navale si trasformava in terrestre. Per i Romani, poco esperti di battaglie navali, basate soprattutto sullo speronamento di navi, la novità fu di fondamentale importanza.
Ogni nave, inoltre, era munita di un antirostro che limitava la penetrazione del rostro della nave nemica. La prua delle navi romane da combattimento aveva degli speroni sovrapposti al rostro, che evitavano l’eccessivo inserimento nel corpo della nave nemica speronata, e che permettevano di sganciare facilmente il rostro dopo l’attacco, salvaguardando la nave attaccante. Di questa tattica navale abbiamo testimonianze recenti attraverso l’archeologia subacquea che ha recuperato presso Trapani un reperto di rostro, con la parte anteriore rafforzata da tre fendenti laminari orizzontali che, scagliati sulle fiancate delle navi nemiche, ne determinavano falle e affondamento.
Il bordo anteriore del rostro, elegantemente arcuato, facilitava lo sganciamento della nave attaccante dalla nave colpita. La nave era una piccola triere che doveva essere munita di uno sperone a testa di animale –cinghiale o ariete- a circa 50cm sopra il rostro, per evitare che esso penetrasse eccessivamente nella nave nemica: gli attacchi ripetuti provocavano squarci irreversibili, ma senza un’eccessiva penetrazione, perché lo sperone sovrastante assolveva alle funzioni di freno. Si hanno indizi dell’uso di tali strumenti, situati sulla prua delle navi, già a partire dall’XI secolo a.c.
Cassio Dione Cocceiano, testimone della battaglia tra la flotta di Antonio e quella di Ottaviano e Agrippa nel golfo di Ambracia, narra che la vittoria di Ottaviano fu determinata dal tipo di nave utilizzata. Queste, infatti, erano piccole e veloci, vogavano con forza e miravano a speronare, protette com’erano da ogni parte dai colpi. Gli attacchi continui e rapidi erano dovuti al timore delle offese da lontano delle grandi e pesanti navi di Antonio e al timore del combattimento corpo a corpo. I nemici, da parte loro, quando si avvicinavano scagliavano pietre e saette. Nell’atto dell’abbordaggio gettavano i rampini e, se ci riuscivano, avevano la meglio, in caso contrario, divenivano facili bersagli.
Gli uomini di Ottaviano, inoltre, scagliavano frecce incendiate, vasi pieni di carboni ardenti e di pece, servendosi di catapulte. Matasse di crine o in fasci di nerbo di bue lavoravano per torsione per la forza e la precisione del tiro.
L’importanza delle navi per i Romani, anche se fino ad Augusto non si può parlare di una vera e propria marina militare organizzata ed efficiente, è testimoniata anche dal fatto che i marinai amavano far scolpire sui propri cippi funebri o sulla stele delle loro tombe, le navi sulle quali avevano navigato; gli spedizionieri e gli armatori avevano, invece, immagini di navi che rientravano sane e salve in porto.
Ecco le principali azioni belliche navali:
- In totale, almeno 1000 navi catturate contro 430 affondate. 338 a.c. - cattura dell'intera flotta di Anzio da parte del console Gaio Menio, Roma si appropria delle navi e in parte le copia. Distrugge le navi rovinate e ne appende i rostri nel Foro Romano, sulla facciata della Tribuna degli Oratori, che viene poi chiamata "I Rostri".
- 264 a.c. - presa navale di Messina da parte del console Appio Claudio Cauduce.
- 260 a.c. - Caio Duilio vince a Milazzo, cattura 31 navi e ne affonda 14.Trionfo navale del console sulla Sicilia e sulla flotta punica, e colonna rostrata in suo onore
- 259 a.c. - Presa navale di Sardegna e Corsica da parte del console Lucio Cornelio Scipione e Trionfo sui Punici, sulla Sardegna e sulla Corsica.
- 257 a.c. - Vittoria navale di Tindari: Caio Attilio Regolo (10 navi puniche catturate, 8 affondate).
- 256 a.c. - Trionfo navale sui Punici del console Lucio Manlio Vulsone Longo.
- 256 a.c. - Vittoria navale di Ecnomo conseguita da Lucio Manlio Vulsone Longo e Marco Attilio Regolo (64 navi puniche catturate, oltre 30 affondate).
- 255 a.c. - Vittoria navale di Capo Bon conseguita da Servio Fulvio Petino Nobiliore e Marco Emilio Paolo (114 navi puniche catturate).
- 254 a.c. - Trionfo navale del proconsole Servio Fulvio Petino Nobiliore, su Pantelleria e sui Punici. Colonna rostrata in onore di Marco Emilio Paolo.
- 254 a.c. - Presa navale di Palermo da parte dei consoli Gneo Cornelio Scipione Asina e Aulo Attilio Caiatino e Trionfo di Cornelio.
- 242 a.c. - Presa navale di Trapani da parte del console Caio Lutazio Catulo. Presa navale di Trapani da parte del console Caio Lutazio Catulo.
- 241 a.c. - Vittoria sulle Egadi, 63 catturate, 125 affondate;
- 229 a.c. - Sbarchi a Corfù, in Epiro e nelle isole della Dalmazia del console Gneo Fulvio Centimalo e trionfo.
- 218 a.c. - Vittoria navale di Lilibeo conseguita dal pretore Marco Emilio (7 navi puniche catturate).
- 218-217 a.c. - Conquista di Malta, Pantelleria e Gerba all’inizio della II guerra punica, per opera del console Tiberio Sempronio Longo.
- 218-206 a.c. - Conquista delle coste orientali e meridionali della Spagna da Gneo Cornelio Scipione.
- 217 a.c. - Vittoria navale dell’Ebro conseguita da Gneo Cornelio Scipione (25 navi puniche catturate).
- 217 a.c. - Presa navale di Pantelleria da parte del console Gneo Servilio Gemino.
- 215 a.c. - Vittoria navale nel canale di Sardegna conseguita dal pretore Tito Otacilio Crasso (7 navi puniche catturate).
- 207 a.c. - Sbarco nell’isola Eubea;
- 204 a.c. - Sbarco in Africa condotto da Scipione Africano;
- 191 a.c. - vittoria di Corico, 13 catturate, 10 affondate;
- 190 a.c - Sbarco in Asia condotto da Scipione Asiatico;
- 190 a.c. - Mionneso, 13 catturate, 29 affondate;
- 169-168 a.c. - Sbarchi in Macedonia e nell’isola di Samotracia;
- 146 a.c. Sbarco in Acaia condotto da Lucio Mummio Acaico;
- 123-122 a.c. - Conquista delle Baleari da parte di Quinto Cecilio Metello Balearico;
- 86 a.c. - Presa di possesso della Cirenaica, o Pentapoli libica.
- 77-71 a.c - Sbarchi sulle coste occidentali del mar Nero, fino al Danubio.
- 72-70 a.c. - Sbarchi sulle coste meridionali del mar Nero, fra Eraclea e Ceraso.
- 69-67 a.c. - Conquista di Creta da parte di Quinto Cecilio Metello Cretico.
- 67 a.c. - Sbarco in Cilicia a conclusione della guerra piratica;
- 64-63 a.c. - Sbarchi sulle coste orientali del Mediterraneo:
- 63 a.c. - 110 navi rostrate catturate da Lucio Lucullo ed esibite nel suo trionfo;
- 61 a.c. 800 navi rostrate catturate da Pompeo Magno nelle guerre Piratica e Mitridatica, come ostentò con cartelli riepilogativi e "un infinito numero di rostri" in occasione del suo terzo trionfo;
- 59 a.c. - Blocco navale e assunzione del controllo del Bosforo Cimmerio.
- 57 a.c. - Annessione di Cipro.
- 56 a.c - vittoria in Bretagna, circa 200 catturate, nessuna affondata;
- 36 a.c - vittoria Nauloco circa 200 catturate, 28 affondate;
- 31 a.c. - vittoria di Azio, 300 catturate, circa 200 affondate o bruciate:
I GRANDI AMMIRAGLI
POMPEO MAGNO
La pirateria fu l'epidemia del mondo antico, localizzata ma inestinguibile, a parte la difficoltà a scoprire i covi piratici. Per giunta venne finanziata a fini personali da Filippo V di Macedonia, Napide tiranno di Sparta e Mitridate VI re del Ponto. Soprattutto quest'ultima fu micidiale per i romani, non solo per la sicurezza delle ville patrizie sulla costa, ma ancor più grave, per il pericolo di affamare Roma bloccandole i rifornimenti navali.
Finalmente il senato conferì pieni poteri a Pompeo Magno affidandogli 500 navi da guerra. Questi, abolissimo generale, sguinzagliò le navi per tutto il Mediterraneo, in modo che i pirati venissero perseguitati ovunque, minacciando e perseguitando chiunque desse loro sostegno, anche solo con le merci.
Poi si recò nella loro base principale in Cilicia, sconfiggendoli totalmente in tre mesi, nel 67 a.c..
Ancora Pompeo Magno mosse guerra contro Mitridate, e in due campagne catturò ben 800 navi da guerra, di cui 700 annesse da Roma alla propria flotta. Ottenne così il suo trionfo per aver “restituito al popolo romano il dominio del mare”.
GIULIO CESARE
Nel terzo anno della guerra gallica, Giulio Cesare dovette affrontare ancora i Galli, ma non più a tribù, bensì riuniti e capeggiati da Vercingetorige. Trattavasi del popolo più potente sull’Oceano, dove controllava con le proprie navi tutti i traffici, inclusi quelli con i Britanni.
Cesare fece allora costruire una grande flotta sulla Loira facendone addestrare gli equipaggi. Poi la schierò davanti al porto dei nemici Veneti che disponevano di una flotta di 220 grandi navi, armate da loro stessi e dai loro alleati, col sostegno dei Britanni.
Dopo una giornata di combattimenti in mare (agosto 56 a.c.), i Romani riuscirono ad arrembare con lo stratagemma di Cesare di arpionargli le vele, catturando quasi tutte le navi nemiche. I veneti si arresero.
Con questa vittoria Cesare nei due anni successivi (55 e 54 a.c.) inviò due spedizioni navali in Britannia. La prima con la stessa flotta che aveva combattuto contro i Veneti, oltre a un centinaio di navi onerarie per il trasporto di due legioni e cavalieri. Si trattò di esplorare l'isola e di piccole scaramucce.
La seconda spedizione utilizzò invece una nuova flotta ideata da Cesare con seicento navi “da sbarco” larghe, basse e leggere, per la spiaggia, e ventotto grandi per il largo. Sbarcarono così in Britannia cinque legioni e duemila cavalieri, che operarono per tre mesi nell’entroterra, fin oltre il Tamigi.
Pacificate le Gallie, Cesare, pur con scarsi mezzi, affrontò Marsiglia nel 49 a.c. assediandola anche a largo con dodici navi da guerra per bloccarne qualsiasi rifornimento. I Marsigliesi reagironoma persero diciotto navi, di cui otto affondate e dieci catturate dai Romani, su ventisei che erano riusciti ad armare. Ne conseguì la resa della città.
Nel successivo inverno del 48 Cesare dovè traversare il canale d’Otranto con le flotte nemiche pompeiane, con un centinaio di navi da carico per le legioni e solo dodici navi da guerra per scortarle, comunque passò indenne attraverso due flotte avversarie per totale di centoventotto navi da guerra.
In altre navigazioni invernali, sempre abile e veloce, effettuò le navigazioni di trasferimento dalla Sicilia all’Africa a fine dicembre 47 a.c. e da Roma a Cadice nel dicembre successivo. Ma la più impegnativa fu la guerra alessandrina, dove Cesare si trovò in Egitto con pochissime forze, minacciato dall'esercito del giovanissimo re Tolomeo XIII.
Dopo due vittorie navali sugli Alessandrini, espertissimi marinai, venne attaccato nel suo palazzo che aveva destinato a sua base militare. Non avendo che pochi soldati fuggì tuffandosi in mare e nuotando con un solo braccio dovendo con l'altro tenere sopra il pelo dell'acqua un astuccio di plichi importanti.
VIPSANIO AGRIPPA
Dopo gran tempo dalla sconfitta di Pompeo Magno, suo figlio Sesto Pompeo, occupò la Sicilia l’anno dopo la morte di Cesare esercitando a lungo la pirateria contro l'impero, servendosi di una potente flotta armata da ribelli, proscritti e schiavi fuggiti, e assoldando come ammiragli i capi pirati catturati da suo padre. I triumviri avevano cercato invano una soluzione incruenta finchè nel 37 Ottaviano affidò il comando della flotta al suo grande amico Vipsanio Agrippa, uno dei più grandi ammiragli di tutti i tempi.
Le sue doti militari e ingegneristiche si
rivelarono in pieno quando costruì per Roma
a tempo di record e con grande maestria una
base navale con la costruzione del Portus
Julius, riunendo i laghi di Averno e Lucrino,
quest'ultimo aveva uno sbocco sul mare, che
venne infatti sfruttato durante tutto il
successivo inverno per compiervi delle
continue esercitazioni navali, mettendo in
piedi una poderosissima flotta navale.
Successivamente, trasferì la base nel duplice bacino, lacustre e marittimo, di Miseno, organizzando una macchina da guerra così perfetta che fu mantenuta invariata per ben 5 secoli. I marinai erano così addestrati nell'uso delle vele che in seguito vennero usati per le manovre dell'immenso velabro del Colosseo.
Espertissimo nella gestione delle risorse del territorio, progettista infaticabile, grande stratega e ammiraglio plurivittorioso della flotta da lui ideata, Marco Vipsanio Agrippa fu l'uomo che fece decollare la base di Miseno. Organizzatore della marina da guerra del nuovo Impero Romano e fondatore della Praetoria Classis Misenensis, fu tra i pochi comandanti insigniti della corona navale, massimo riconoscimento che veniva attribuito a coloro che si distinguevano in imprese marittime.
La sconfitta di Sesto Pompeo
Nella primavera del 36 a.c., Ottaviano ed Agrippa misero in funzione il piano per prendere la Sicilia a tenaglia, attaccandola da tre direzioni: Ottaviano e Lepido dovevano sbarcare con le truppe da est e da sud-ovest, mentre la nuova flotta con Agrippa doveva attaccare da nord. Vipsanio sconfisse la flotta avversaria a Milazzo, privando i pirati di trenta navi, poi nel mare di Nauloco, nel 36 a.c. Sesto Pompeo, avendo recuperato solo 17 navi su 350, fuggì in Asia minore.
Tito Livio, Velleio Patercolo e Dione Cassio riferiscono infatti che fu la terza corona navale concessa a un comandante, dopo Caio Attilio Regolo e Marco Terenzio Varrone. Ne fu insignito da Ottaviano dopo la grande vittoria navale di Nauloco, contro i pirati di Sesto Pompeo, e la battaglia era campale perchè la flotta nemica impediva i rifornimenti di grano a Roma con grave pericolo di rivolta del popolo.
Per merito di Agrippa, Sesto Pompeo, che per i molti successi in mare si diceva figlio di Nettuno, fu sconfitto dal più grande degli ammiragli romani, che cinque anni dopo vinse anche l'ultima, importantissima, battaglia navale della repubblica ad Azio, nel 31 a.c., incrementò ulteriormente la valenza di quell'onorificenza, che Seneca definì "la più alta delle onorificenze militari".
La guerra di Azio
ROSTRO ROMANO |
Essere romani significava fare tutto per Roma, ed anteporla a tutto, anche alla propria vita. Così fu tempesta quando Ottaviano lesse il testamento di Antonio su cui era riuscito a mettere le mani, in cui avrebbe lasciato l'Oriente a Cleopatra e ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Giulio Cesare. Lo lesse in Senato certo che i senatori sarebbero stati tutti dalla sua parte e così fu.
Roma e Ottaviano dichiarono guerra a Cleopatra regina d'Egitto, nel 32 a.c., e anche ad Antonio che prese le difese della regina, combattendo contro la sua stessa patria. In questa occasione Ottaviano ricevette dal Senato i pieni poteri di un dittatore, limitati però al tempo della guerra.
Ottaviano sconfisse Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio, e ambedue si suicidarono per non cadere in mano nemiche. Per sua tranquillità Ottaviano fece uccidere anche Cesarione, che si diceva fosse figlio di Cesare, e si fece dare l'Egitto come provincia imperiale, governata da un prefetto da lui scelto.
Il ricco tesoro dei Tolomei ora era suo e gli consentì di pagare molti debiti di guerra, nonché ricompensare i veterani di tante battaglie, donando loro colonie dell'impero. Questo gli valse il loro appoggio incondizionato. Come Cesare, Ottaviano sapeva che l'appoggio più importante non era tanto quello dei senatori quanto quello dell'esercito.
L’immensa flotta orientale di 200 navi alessandrine più 800 alleate, salpò dal Pireo ed entrò nello Ionio, verso l’Italia. Saputo però della flotta di Agrippa che pattugliava il canale d’Otranto, Antonio e Cleopatra ancorarono la flotta ad Azio, per svernarvi.
Marco Agrippa bloccò immediatamente lo Ionio per impedire i rifornimenti alla flotta di Antonio, raggiunto poi dal console Ottaviano, sbaragliò nelle acque di Azio l’intera flotta orientale che tentava di forzare il blocco, catturando 300 poliremi e distruggendo le altre, tranne le 60 navi di Cleopatra che presero la fuga seguite da Antonio nel 31 a.c. I due sconfitti moriranno l'anno seguente e l’Egittovenne annesso alle province romane.
LE CLASSIS
La flotta romana dovette il suo splendore al genio di Marco Agrippa che la tramutò in struttura primaria e permanente a difesa di Roma per tutto l’Impero. Come principale base navale permanente venne scelta Miseno, vicina al Porto Giulio, che vene adibito a scopi civili, collegando però al mare il lago di Miseno, con un acquedotto ed enormi cisterne idriche.
La Marina romana aveva due basi principali e diverse basi provinciali; ciascuna base ospitava una flotta, marittima o fluviale.Le due flotte principali avevano la funzione di controllare l'intero Mediterraneo, ed erano:
- Classis Misenensis, di stanza a Miseno
- Classis Ravennatis, di stanza a Ravenna
Le flotte provinciali erano:
- la Classis Britannica, che controllava il canale della Manica e le acque intorno alla Britannia;
- la Classis Germanica, che era una flotta fluviale e controllava il Reno;
- la Classis Pannonica, che era una flotta fluviale e controllava il Danubio;
- la Classis Moesica, che controllava il mar Nero occidentale e parte del corso del Danubio;
- la Classis Pontica, che controllava il mar Nero meridionale;
- la Classis Syriaca, che controllava le coste della Siria, della Palestina e della Turchia meridionale;
- la Classis Alexandrina, che controllava le coste dell'Egitto;
- la Classis Mauretanica, che controllava le coste dell'Africa occidentale;
- la Classis Libyca, che controllava i litorali libici.
LE FLOTTE ROMANE DELL' IMPERO
Anche se Roma imperava su tutti i porti del Mediterraneo, era necessario mantenervi una flotta navale permanente, cosa che Augusto realizzò con la massima cura..
FLOTTE ISTITUITE DA AUGUSTO
Le prime flotte romane permanenti vennero istituite da Augusto, mettendo in opera il grande disegno difensivo di Marco Agrippa.
La flotta romana venne suddivisa fra la base principale di Miseno (Flotta Misenense) e quella di Ravenna (Flotta Ravennate), mentre le navi migliori catturate ad Azio vennero inviate a Foro Giulio, odierna Fréjus (Flotta Forogiuliense).
Vennero inoltre costituite altre foltte: una sui fiumi Sava e Danubio (Flotta Pannonica), una sul Reno (Flotta Germanica), due in Egitto: una ad Alessandria (Flotta Alessandrina) ed una ad Arsinoe, odierna Suez, sul Mar Rosso.
FLOTTE ISTITUITE DAGLI ALTRI IMPERATORI
Altre flotte permanenti vennero costituite dagli imperatori successivi:
- la Flotta Britannica, di istanza nella Manica, da Claudio intorno al primo nucleo creato da Gaio Caligola;
- la Flotta Pontica, nel Mar Nero da Nerone;
- la Flotta Siriaca, nel Mediterraneo orientale da Vespasiano;
- la Flotta Mesica, sul basso Danubio, da Domiziano; - la Flotta Libica, in Cirenaica probabilmente da Commodo,
- la Flotta Mesopotamica, sull’Eufrate e sul Tigri sotto vari imperatori, da Traiano a Giuliano.
Durante il basso Impero, quasi tutte queste flotte vennero frammentate in reparti più piccoli, scaglionati più sui fiumi che sui mari.
Redazione Archaeogate, 22-09-2005
TOMBA DI MARINAIO ROMANO |
Una stele scolpita mostra per la prima volta l'aspetto di un militare della flotta romana.
- "Giovane, a capo scoperto, in perfetto abbigliamento militare, con corazza, spada e calzari; la mano destra regge una specie di giavellotto (il pilum), con la sinistra tiene il mantello che gli pende dalla spalla. (foto a fianco)
Questo è il ritratto del "classiario" scolpito sulla stele rinvenuta sabato scorso nella necropoli di Classe, quasi una foto di un marinaio delle agili imbarcazioni che contrastavano la pirateria nell'Adriatico.
Una scoperta eccezionale perchè è questa, al momento, l'unica raffigurazione che ci permetta di vedere quale fosse l'aspetto usuale di un soldato della flotta (classis) di Ravenna posto che, in tutte le altre stele rinvenute nelle necropoli dell'antico porto, gli abitanti, anche se militari, sono rappresentati con la toga, cioè in qualità di cittadino romano".
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