VELEIA ( Emilia Romagna )



L'UBICAZIONE

Veleia è una delle più importanti zone archeologiche dell'Emilia Romagna e ancora soggetta a studi di storia, di archeologia e di restauro, un'antica città romana di piccole dimensioni ma quasi integra, con un territorio di circa 1200 Km, naturalmente con ancora tanto da scavare.
Costruita sull'area di un villaggio protostorico, deriva il suo nome dalla tribù ligure chiamata Veleiates, che popolava la zona e il centro urbano si estendeva fra le attuali provincie di: Genova, Tortona, La Spezia, Lucca, Parma e Piacenza, a 460 m sul livello del mare, nella valle del Chero in provincia di Piacenza.

Anche se da taluni è appellata Velleia, testi epigrafici e fonti letterarie ne attestano più antica e frequente la grafia con una sola L. Ma già probabilmente dal I sec. d.c. la città è designata nella parlata corrente con l’appellativo, sopravvissuto nel Medioevo, di Augusta, che distingue talvolta centri romani in territori mai del tutto romanizzati.

Posta lontano dalle grandi strade transappenniniche, dovette probabilmente la sua evoluzione alla ricchezza di acque cloruro-sodiche presenti nei suoi terreni, oggetto di devozione e meta di santuari per le loro proprietà terapeutiche e taumaturgiche, le stesse acque che determinarono poi le frane che la distrussero.

In effetti ancora oggi questo tipo di acque, dette anche salse, vengono altrove utilizzate per la cura delle patologie delle vie respiratorie anche croniche come bronchiti, sinusiti, faringiti, otiti e così via.

L'abitato proseguì fino al V sec.d.c., quando infiltrazioni d'acqua causarono frane smottamenti che portarono alla scomparsa del sito.

Il piano urbanistico di Veleia è infatti distribuito su una serie di terrazze lungo il pendio dei monti Morìa e Rovinasso, che un tempo costituivano un monte unico, e i cui nomi alludono ad un evento catastrofico perso nei tempi.

Questa zona appenninica, come altre dell'Appennino, tende a movimenti franosi, e molti esperti pensano che il declino di Veleia fu causata da una serie di smottamenti lungo la costa del monte sovrastante.



IL RITROVAMENTO

Gli scavi di Veleia iniziarono nel 1760, per volere di Don Filippo di Borbone, duca di Parma, Piacenza e Guastalla, in quanto, nel 1747, era stato rinvenuto un importante reperto archeologico. Infatti l'arciprete della pieve di Macinesso, a ridosso di Veleia, scoprì, durante i lavori in un prato franato, la famosa Tabula Alimentaria Traiana, la più grande tavola scritta in bronzo di tutta l'antichità romana.

La preziosa tavola di bronzo, di m 1,50 x 3, era una specie di catasto fondiario su cui erano annoverati i nomi di tanti proprietari terrieri, l'ubicazione dei fondi e il loro valore in sesterzi.

Questo importantissimo monumento antico rischiò di perdersi perchè per bieca ignoranza fu spaccato in vari pezzi poi smerciati a dei fonditori, ma recuperati prima che fossero messi nelle fornaci. Purtroppo ben altri preziosi oggetti furono, all'epoca, rubati o fusi.

Il documento censuario del territorio veliate risale alla prima metà del II° sec. d.c., ed elencava i nomi di tutti i proprietari terrieri, l'ubicazione dei fondi ed i loro valori in sesterzi. Una specie di cartella esattoriale collettiva.

Poco dopo venne rinvenuta nello stesso luogo, che poi si rivelerà essere la basilica, un'altra lastra bronzea contenente un frammento della Lex Rubria de Gallia Cisalpina, un testo giuridico emanato da Giulio Cesare tra il 49 e il 42 a.c.

 A quel tempo il ducato di Parma e Piacenza era retto da Filippo di Borbone, fratello minore di Carlo, re di Napoli. Al giovane Borbone non parve vero di poter emulare le gesta del fratello, che già aveva iniziato a mettere in luce i resti delle città vesuviane di Ercolano e Pompei, ricavandone enorme prestigio, e diede il via agli scavi nel 1760.

Nella campagna di scavi si scoprì che la città era stata edificata sulle pendici del colle, per cui gli edifici si trovavano su piani diversi, ma solo nel 1994, sono ripresi gli scavi per portare alla luce il tempio, la necropoli, l'impianto urbanistico e gli insediamenti preromani.

Nel museo locale vi sono i calchi in gesso della tavola alimentaria e numerosi altri reperti, mentre nel Museo Nazionale di Parma si trovano le statue di marmo e i bronzi.



LA STORIA

Tra il III° e il II° secolo a.c. con l'espansione romana nella Gallia Cisalpina, la creazione della Via Aemilia, che a Piacenza si raccordava con la Via Postumia per unire Genova e Aquileia, avvenne la romanizzazione o crebbe l'importanza dei centri lungo questo percorso.

LE TERME
Veleia fu dichiarata città libera nel 42 d.c., ottenendo quindi la cittadinanza romana col diritto di scegliere i propri magistrati, e prosperò per i primi due secoli dell'età imperiale, ma alcuni reperti indicano che la città era ancora importante fino alla seconda metà del III secolo d.c., a cui seguì un lento declino sino al V secolo.

Veleia fu infatti un prospero municipio romano ed importante capoluogo amministrativo di una vasta area collinare e montana confinante tra Parma, Piacenza, Libarna (Serravalle Scrivia) e Lucca.

IL FORO
La presenza nel territorio di acque saline, che i romani hanno sempre trasformare in portentose terme e business, aiutò senz'altro lo sviluppo urbano in cui è possibile individuare vari edifici termali. Questa risorsa naturale e l'amenità del luogo, fece di Veleia meta di villeggiatura per nobili e ricchi romani.

Tanto più che l'ultimo censimento dell'imperatore Vespasiano del 72 d.c. rivelò che tra la popolazione di Veleia vivevano 6 persone di 110 anni, 4 di 120, e tal Marcus Mutius Marci filius Galerius Felix di 140 anni, di certo una bella pubblicità, ribadita dallo stesso Cicerone, nonchè da Plinio, alla salubrità del luogo.

IL MUSEO DI VELEIA
Legionari veterani, commercianti, liberti e pubblici funzionari affiancarono pian piano i nativi, sostituendo le vecchie capanne con abitazioni di pietra decorate da pitture, statue e mosaici, ed elevando edifici pubblici rivestiti di marmi delle Apuane.

Ai legionari congedati vennero assegnati in premio appezzamenti di terreno di forma quadrata, che ancora oggi contraddistinguono il paesaggio, e questi cominciarono a produrre un vino, il Gutturnium, ancora oggi apprezzato.

Secondo i reperti rinvenuti Velleia raggiunse il massimo splendore fino al III secolo d.c. per poi decadere inesorabilmente sino al V secolo d.c.



DESCRIZIONE

UNA DELLE STATUE DEL FORO
I lavori archeologici hanno fatto affiorare le fondamenta delle terme, le strade porticate, negozi, taverne, magazzini, laboratori e quartieri residenziali, il foro con un bel lastricato in arenaria, un tempio e la curia, e la basilica, a pianta rettangolare e a navata unica dov'era collocata la celebre Tabula Alimentaria, poi il grande quartiere abitativo, nonché un'enorme cisterna idrica scambiata allora per la sua forma ovale per i resti di un anfiteatro.

Tutto ruotava attorno al monumentale foro con annessa basilica, quest'ultima contenente un pregevole gruppo di dodici statue in marmo apuano della famiglia imperiale giulio-claudia.

La città era infatti  in ottimi rapporti con Roma e soprattutto con la famiglia imperiale; ce lo documentano le 12 statue celebrative in marmo raffiguranti la dinastia imperiale; tra le poche oggi conservate, ben 4 sono di donne: Livia, moglie dell’imperatore Augusto, Agrippina maggiore, moglie di Germanico, la figlia Drusilla e infine Agrippina minore, moglie di Claudio e madre di Nerone. Le statue erano conservate presso la basilica e testimoniavano la fedeltà di Veleia a Roma e soprattutto il culto della famiglia imperiale.

Le figure femminili, identificate per lo più dalle dediche che le accompagnavano, sono rappresentate con abbigliamento ricercato e raffinato, tipico delle matrone romane: la stola è tenuta in vita dalla cintura, portano sul capo un lungo mantello che copre anche spalle e schiena.

I reperti, di notevole fattura, sono distribuiti in una successione di terrazze lungo il cosiddetto “Pendio Boreale del Poggio” a ridosso dei monti Rovinasso e Morìa, e del complesso urbanistico originario resta il foro, lastricato con pietra arenaria, le terme, il quartiere abitativo, la basilica a navata unica a pianta rettangolare, dove si collocava la nota Tabula Alimentaria, e ciò che resta di un’antica costruzione di perimetro circolare che si presume essere stato un serbatoio per l’acqua.

LUDI GLADIATORII
Il Foro, lastricato in arenaria e con tre lati porticati, fornito di pitture murali; sui suoi lati si aprivano botteghe e ambienti pubblici. Era il centro della vita pubblica e privata della città, e in mancanza di un anfiteatro vi si tenevano anche gli spettacoli. Ha restituito varie statue bronzee, tra cui una vittoria alata, ed epigrafi dedicate agli imperatori Domizio, Aureliano, Marco Aurelio e Adriano.

Su un fianco sorgeva la basilica, a navata unica con esedre rettangolari alle testate, dove erano collocate le dodici statue in marmo apuano della famiglia giulio-claudia, ora esposte al Museo di Parma, dono del console e pontefice piacentino Lucio Calpurnio Pisone, fratello della moglie di Giulio Cesare e protettore di Veleia.

Le terme utilizzavano acque cloruro-sodiche dalle indubbie proprietà terapeutiche, strutturate nei tre classici ambienti di calidarium, tepidarium e frigidarium, con spogliatoi separati per uomini e donne, dotato di un termopolio, cioè del bar delle terme, e infine i quartieri residenziali, la classica domus monofamiliare di tipo italico, composta da diversi vani affacciati sul cortile dell'atrium. Tutti gli edifici pubblici e privati erano dotati di fognature e di impianti di riscaldamento. Ritrovati infine un mulino e un frantoio.

All'interno dell'area archeologica è stato allestito un Antiquarium dove sono conservati calchi della Tabula Alimentaria Traiana e della tavola bronzea contenente la lex de Gallia Cisalpina, come pure corredi relativi alle sepolture a cremazioni romane, elementi architettonici e d'arredo.
In particolare sono conservati: fibule, anelli, armille, borchie in bronzo, cuspidi di lancia, spade in ferro spezzate per motivi rituali, reperti di sepolture a cremazione romane tra cui balsamari in vetro, lucerne e la preziosa patera baccellata in vetro murrino.

Inoltre una scultura mutila in arenaria di uomo barbuto, una situla in rame, un mosaico policromo con maschera teatrale dal Foro e una stele in marmo lunense con figura di cacciatore.

Nel Museo Archeologico Nazionale di Parma, costruito apposta dal duca nel 1760 per accogliere il materiale rinvenuto, si conservano numerose statue di marmo e bronzo che raffigurano membri della famiglia Giulio-Claudia, oltre una statua di Agrippina, madre di Nerone, in marmo lunense, il bronzetto raffigurante Ercole ebbro e il bronzo di testa con listello di una fanciulla.

Dagli ultimi scavi la configurazione emerge più precisamente: all'ingresso c'erano le terme con frigidarium, tepidarium, calidarium, adiacente si trovava l'antiquarimu, per il ricovero dei prodotti agricoli, mentre proseguendo per le vie ciottolate si incontra il pistrinum, il mulino per la macina del grano, il frantoio per la spremitura delle olive e dell'uva. Ben visibili le fondamenta dei negozi e delle abitazioni.

 Al centro si trovava il foro, un tempo circondato da un colonnato e da statue, adiacente c'era la basilica, e ancora, di fronte al foro si ergeva il tempio, nei pressi si trovava il pozzo e decentrato l'anfiteatro.



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