"Vi sono tre tipi di utensili:
quelli che non si muovono e non parlano;
quelli che si muovono e non parlano (animali),
e quelli che si muovono e parlano (schiavi)".
(Gaio)
Dal momento in cui diventa lecito attaccare un altro popolo diviene lecita la schiavitù. Non si parla mai di schiavi romani, sia perchè in genere vincevano sia perchè un guerriero romano si uccideva pur di non cadere schiavo dei barbari. In quanto al carattere della schiavitù i romani ne avevano due esempi molto vicini: gli Etruschi e i Greci, che molto prima dei Romani, usarono abbondantemente gli schiavi.
GLI SCHIAVI IN ETRURIA
Posidonio di Apamea (II sec. a.c.), riportato da Diodoro Siculo (I sec. d.c.) condannava il lusso eccessivo e i molli di costumi: "si fanno imbandire due volte al giorno tavole sontuose, si fanno servire da nugoli di schiavi, alcuni bellissimi e vestiti con sconveniente eleganza."
I ricchi e raffinati Etruschi avevano infatti case e terre piene di schiavi. Soprattutto in casa c'era il gusto di circondarsi di schiavi splendidamente vestiti che si esibivano in danze e acrobazie, o musiche, oppure che durante i banchetti mescolavano nelle anfore il vino e l’acqua, o versavano le bevande nelle coppe, tagliavano le carni, distribuivano i cibi, cambiavano le stoviglie e così via.
Perchè fosse giudicato sconveniente vestire bene gli schiavi non si sa, ma si dice che in Etruria gli schiavi fossero trattati un po’ più familiarmente e mitemente che a Roma, ma è desunto solo dalle vesti belle e raffinate degli schiavi domestici, il che può dipendere anche o unicamente dalla raffinatezza di questo popolo.
Gli Etruschi erano anche feroci pirati per cui tanto teneri non erano. Una delle punizioni più crudeli per gli chiavi era essere venduti per lavorare nelle miniere, nelle cave di marmo o nelle paludi per le bonifiche dove le condizioni erano disumane, ma questo ovunque, non solo tra gli Etruschi.
Anche in Etruria gli schiavi potevano emanciparsi, grazie al denaro che riuscivano ad accumulare o grazie a meriti speciali presso i padroni. L’affrancamento dipendeva comunque dalla volontà del padrone, nei confronti del quale il liberto (lautni in etrusco) conservava sempre degli obblighi. Il liberto aggiungeva al suo nome il gentilizio del padrone, faceva pur sempre parte della famiglia, ma aveva una vita propria, lavorava per sé, poteva sposare una libera o un libero, e arricchire.
LA SCHIAVITU' IN GRECIA |
GLI SCHIAVI IN GRECIA
Secondo Aristotele, lo schiavo era uno "strumento animato", come un utensile di casa; anzi, era "strumento per gli strumenti" e non potendo partecipare alla vita della polis, non era un vero uomo e non poteva studiare di filosofia. Per il mondo greco lo schiavo è un oggetto domestico, non può possedere nulla, ed è il suo padrone a decidere se si possa sposare e possa avere figli.
Secondo la dottrina stoica invece, tutti gli uomini sono in realtà degli schiavi e solo il saggio è libero.
Per gli Stoici anche gli schiavi avevano un'anima, ma i lavori manuali, disdicevoli e disprezzabili, toglievano loro dignità e intelligenza.
Presso gli Spartani gli iloti, termine spartano per "schiavo", superavano, a quanto riferisce Erodoto, il numero dei cittadini spartani in una proporzione di circa sette a uno.
Sia in Grecia e poi a Roma gli schiavi costituivano una vera classe sociale: si stimano 60000 schiavi in Grecia nel V sec. a.c. e 2 milioni in Italia sul finire dell'età repubblicana, in entrambi i casi l'ammontare rappresentava circa il 35 percento della popolazione totale.
MOSAICO ROMANO |
GLI SCHIAVI A ROMA
In latino schiavo si diceva servus oppure ancillus, mentre chi ne aveva il diritto di proprietà era detto dominus. Uno schiavo, in questo caso detto vicarius, poteva possedere un altro schiavo, detto ordinarius, ma non era di sua proprietà, bensì faceva parte del suo peculium, l'insieme di beni che il dominus gli permetteva di tenere.
Agli schiavi spesso i padroni mettevano un collare con una targhetta o ciondolo dove si poteva leggere "Tene me ne fugia(m) et revoca me ad dom(i)num Viventium in ar(e)a Callisti" , cioè "Tienimi perchè non fugga e riportatemi al mio padrone Vivenzio nella tenuta di Callisto".
I romani consideravano l'essere schiavi come una condizione infame ed un soldato romano preferiva togliersi la vita piuttosto che diventare schiavo di un qualsiasi popolo barbaro.
La legislazione romana fu tuttavia la prima a contemplare la possibilità di restituire allo schiavo la dignità di uomo libero; la restituzione della libertà attraverso l'istituto della manumissione, molto diffuso soprattutto tra le famiglie patrizie, permise ai liberti (tale era il nome degli ex schiavi) di assurgere talvolta a ruoli di notevole importanza, come accadde a Tirone, segretario di Marco Tullio Cicerone, o al commediografo Terenzio.
Lo schiavo così liberato diventava libertus e prendeva il prenome e nome del padrone, che gli concedeva la sua protezione e ne diventava il patronus. I liberti potevano votare, ma non essere eletti in cariche pubbliche.
Intorno al 100 a.c. oltre un terzo della popolazione romana era composta da schiavi. Principalmente si trattava di prigionieri di guerra, di schiavi di nascita, di bambini rapiti dai pirati e dai briganti e allevati per essere venduti, e non per ultimo uomini liberi, che avevano perso la libertà per debiti.
Le continue conquiste territoriali e l'espansione dei confini richiesero un imponente numero di schiavi per far fronte alle necessità del lavoro agricolo e delle costruzioni; il loro reclutamento avveniva soprattutto durante le guerre, quando decine di migliaia di prigionieri catturati in battaglia venivano portati a Roma come schiavi e venduti. Cesare divenne ricco già con i molti prigionieri da lui fatti e venduti a Roma.
GLI ALLOGGI DEGLI SCHIAVI
"I servi domestici erano alloggiati in città entro singole camerette, in cui poteva entrare al massimo un lettino. Questi quartieri servili o ergastula si trovavano per lo più nei seminterrati delle domus, sovente al di sotto degli atria e comunque nei piani bassi, come si vede appunto nella casa di Ottaviano.
L’esempio più famoso si trova nella casa attribuita a Scauro, le cui 62 camerette sono state attribuite, erroneamente, a un postribolo, e lo prova la casa di Augusto che al di sotto non ha una casa per il vizio ma una sorta di ministero. Si veda anche la casa dei Domizi Enobarbi sulla Velia, in cui sono 48 stanzette sui due piani del lato lungo settentrionale del peristilio e del criptoportico. "
(Andrea Carandini)
POMPEI - Trovata la stanza degli schiavi, nuova luce sulla vita quotidiana dei romani
Nuova scoperta a Pompei. Dagli scavi della villa di Civita Giuliana emerge un nuovo ambiente in eccezionale stato di conservazione: la stanza degli schiavi. Grazie all’affinamento della tecnica dei calchi, sono stati portati alla luce letti e altri oggetti in materiali deperibili, nella villa suburbana a nord di Pompei indagata dal 2017 e che ha già restituito un carro cerimoniale e una stalla con i resti di tre cavalli.
Sono emersi i modesti alloggi degli addetti che si occupavano del lavoro quotidiano della villa romana, con tre brandine in legno, una cassa lignea con oggetti in metallo e in tessuto che sembrano far parte dei finimenti dei cavalli. Inoltre, poggiato su uno dei letti, è stato trovato un timone di un carro, di cui è stato effettuato un calco.
I letti sono composti da poche assi lignee sommariamente lavorate che potevano essere assemblate a seconda dell’altezza di chi li usava. Mentre due hanno una lunghezza pari a 1,70 m circa, un letto misura appena 1,40 m per cui potrebbe essere di un ragazzo o di un bambino. La rete dei letti è formata da corde, al di sopra delle quali furono messe coperte in tessuto. Al di sotto delle brandine si trovavano pochi oggetti personali, tra cui anfore poggiate per conservare oggetti, brocche in ceramica e il “vaso da notte.”
L’ambiente era illuminato da una piccola finestra in alto senza decorazioni parietali. Oltre a fungere da dormitorio, l’ambiente serviva come ripostiglio, come dimostrano otto anfore stipate negli angoli lasciati appositamente liberi per tal scopo.
Oggetto di un saccheggiamento sistematico per anni, dopo un’indagine della procura, la villa di Civita Giuliana è dal 2017 oggetto di scavi stratigrafici che hanno restituito una serie di nuovi dati e scoperte a cui si aggiunge ora la stanza degli schiavi. Purtroppo, anche in questo ambiente, una parte del patrimonio archeologico è andato perduto a causa dei cunicoli scavati dai tombaroli che, in tutta la villa, hanno creato un danno complessivo stimato in quasi 2 milioni di euro.
Per la legge romana gli schiavi non godevano di alcun diritto e non avevano status sociale. I proprietari romani ebbero più potere sugli schiavi di quanto non ne avessero i proprietari greci, soprattutto perché il sistema economico e sociale di Roma funzionava, soprattutto in età imperiale, con molta più manodopera di quanta non ne fosse stata impiegata in Grecia.
Le continue conquiste territoriali e l'espansione dei confini richiesero un imponente numero di schiavi per far fronte alle necessità del lavoro agricolo e delle costruzioni; il loro reclutamento avveniva soprattutto durante le guerre, quando decine di migliaia di prigionieri catturati in battaglia venivano portati a Roma come schiavi e venduti. Cesare divenne ricco già con i molti prigionieri da lui fatti e venduti a Roma.
GLI ALLOGGI DEGLI SCHIAVI
"I servi domestici erano alloggiati in città entro singole camerette, in cui poteva entrare al massimo un lettino. Questi quartieri servili o ergastula si trovavano per lo più nei seminterrati delle domus, sovente al di sotto degli atria e comunque nei piani bassi, come si vede appunto nella casa di Ottaviano.
L’esempio più famoso si trova nella casa attribuita a Scauro, le cui 62 camerette sono state attribuite, erroneamente, a un postribolo, e lo prova la casa di Augusto che al di sotto non ha una casa per il vizio ma una sorta di ministero. Si veda anche la casa dei Domizi Enobarbi sulla Velia, in cui sono 48 stanzette sui due piani del lato lungo settentrionale del peristilio e del criptoportico. "
(Andrea Carandini)
ALLOGGIO DI SCHIAVI RINVENUTO A POMPEI |
Nuova scoperta a Pompei. Dagli scavi della villa di Civita Giuliana emerge un nuovo ambiente in eccezionale stato di conservazione: la stanza degli schiavi. Grazie all’affinamento della tecnica dei calchi, sono stati portati alla luce letti e altri oggetti in materiali deperibili, nella villa suburbana a nord di Pompei indagata dal 2017 e che ha già restituito un carro cerimoniale e una stalla con i resti di tre cavalli.
Sono emersi i modesti alloggi degli addetti che si occupavano del lavoro quotidiano della villa romana, con tre brandine in legno, una cassa lignea con oggetti in metallo e in tessuto che sembrano far parte dei finimenti dei cavalli. Inoltre, poggiato su uno dei letti, è stato trovato un timone di un carro, di cui è stato effettuato un calco.
I letti sono composti da poche assi lignee sommariamente lavorate che potevano essere assemblate a seconda dell’altezza di chi li usava. Mentre due hanno una lunghezza pari a 1,70 m circa, un letto misura appena 1,40 m per cui potrebbe essere di un ragazzo o di un bambino. La rete dei letti è formata da corde, al di sopra delle quali furono messe coperte in tessuto. Al di sotto delle brandine si trovavano pochi oggetti personali, tra cui anfore poggiate per conservare oggetti, brocche in ceramica e il “vaso da notte.”
L’ambiente era illuminato da una piccola finestra in alto senza decorazioni parietali. Oltre a fungere da dormitorio, l’ambiente serviva come ripostiglio, come dimostrano otto anfore stipate negli angoli lasciati appositamente liberi per tal scopo.
Oggetto di un saccheggiamento sistematico per anni, dopo un’indagine della procura, la villa di Civita Giuliana è dal 2017 oggetto di scavi stratigrafici che hanno restituito una serie di nuovi dati e scoperte a cui si aggiunge ora la stanza degli schiavi. Purtroppo, anche in questo ambiente, una parte del patrimonio archeologico è andato perduto a causa dei cunicoli scavati dai tombaroli che, in tutta la villa, hanno creato un danno complessivo stimato in quasi 2 milioni di euro.
IL MATRIMONIO
ORIGINALE TARGA DI SCHIAVO |
Lo schiavo, di regola, non poteva sposarsi, Catone il Vecchio fu l'unico a permettere, tra i suoi servi, rapporti sessuali a pagamento intascandone il prezzo, così fu scritto, anche se i padroni non potevano sorvegliare i rapporti tra gli schiavi.
Se lo schiavo aveva moglie e figli, il suo padrone poteva venderli senza problemi. Lo schiavo restava tale anche se per un evento qualunque restava senza padrone.
Tuttavia, nel corso dell'impero i padroni divennero più umani con gli schiavi, dando loro la possibilità di una stabile vita di coppia, e soprattutto avevano più riguardi per gli schiavi nati in casa, che diventavano un po' di famiglia.
COME SI DIVENTAVA SCHIAVI
I motivi principali erano:
LEGGI INERENTI ALLA SCHIAVITU'
GLI USI
I MERCANTI DI SCHIAVI
Gli schiavi derivanti dalle vittorie in guerra diventavano proprietà dello stato e venivano venduti nelle tabernae, sui mercati o nel Foro, sotto la sorveglianza di appositi magistrati, per riscuotere il prezzo dovuto.
Generalmente gli schiavi stavano su un palco girevole, con al collo un cartello (titulus) con tutte le indicazioni utili al compratore: nazionalità, attitudini, qualità, difetti. Gli schiavi più fini si acquistavano nei Saepta, presso il Foro, dove c'erano le botteghe più lessuose.
Le doti che facevano salire di più i prezzi degli schiavi erano l'intelligenza e la cultura. Venivano poi la bellezza, l'attitudine a determinati uffici, o particolari qualità o stranezze, come l'essere nano o di spirito.
Quelli provenienti d'oltremare erano riconoscibili per un piede tinto di bianco, e i soldati vinti per una coroncina in testa. Gli schiavi più costosi venivano mostrati in sale chiuse a ingresso controllato.
I prezzi variavano a seconda dell'età, dell'intelligenza, cultura, forza fisica, bellezza, buona dentatura, capacità di suonare o cantare, parlare greco ecc. e si aggiravano sui 1.200-2.500 sesterzi (a fine repubblica un sesterzio equivaleva a circa 2 euro).
Anche chi non era ricco poteva permettersi uno schiavo, per cui non averne neppure uno era indice di grande povertà. Un po' come nell'800 famiglie con poche risorse avevano una domestica per salvaguardare la dignità della famiglia. Molti ricchi romani possedevano da 10.000 a 20.000 schiavi. Alcuni li acquistavano in blocchi per rivenderli o affittarli.
Il mercato più importante fino all'inizio del I sec. a.c. fu quello dell' isola di Delo, dove secondo Strabone si trattavano 10 000 individui al giorno. Gli schiavi diventavano oggetti a disposizione assoluta del loro padrone, che poneva loro un collare o li marchiava a fuoco. Non avevano dignità giuridica, non potevano possedere proprietà nè una famiglia, dal momento che il loro matrimonio, consensentito dal padrone, si considerava come un semplice concubinato ed i figli di proprietà del padrone.
LE MANSIONI
Gli schiavi domestici venivano spesso ricevuti con una cerimonia e si praticava loro una "purificazione" versando acqua sulla testa, e lavoravano nelle domus, nelle ville o nelle fattoriei. Lo schiavo poteva essere così agricoltore, allevatore di animali, falegname, giardiniere, domestico, muratore, ma molti schiavi erano invece mimi e cantori, artigiani, architetti, atleti, contabili, intellettuali, filosofi, poeti e storici.
Uno schiavo particolarmente colto, spesso veniva impiegato come insegnante di lingua, più spesso il greco, o, nel caso di persone molto calme e fidate, come precettore dei bambini. Spesso poi gli schiavi venivano fatti studiare per imparare a scrivere e a tenere i conti, cosa che tornava utile al padrone. Teniamo conto che ai tempi dei romani l'alfabetizzazione era nella stessa percentuale di oggi, percentuale che crollò ai limiti minimi con la caduta dell'impero.
Schiavi addetti a servire nelle mense (Tricliniachae):
captor – addetto al taglio delle carni
scissor – addetto al taglio delle vivande
analecta – che raccoglie i resti del pranzo
scoparius – che distribuisce agli invitati i resti del pranzo
cellarius – dispensiere di vino e bevande
structor – addetto all'apparecchiatura e sparecchiatura della tavola, ma pure al taglio dei cibi in piccole porzioni
cocus – cuoco
pistor – panettiere
puer a cyatho – coppiere a disposizione di un commensale
puer ad pedes – ragazzo seduto accanto al triclinio per servire il commensale di qualsiasi cosa
Addetti al servizio della casa:
archimagirus - una specie di maggiordomo che comanda gli altri schiavi.
ostiarius o ianuarius – portiere, nei primi tempi veniva legato con la catena, perchè non abbandonasse il suo posto: Tibullo, per sorvegliare la sua amata, si offrì a far l'ufficio di portinaio, col pide alla catena.
atriensis – colui che accoglie gli invitati alla porta ripetendo “Dextro pede” perchè porta sfortuna che si entri col piede sinistro
cubicularius – addetto alle camere, dorme dietro alla porta pronto a qualsiasi ordine notturno
minister - domestico
Addetti agli affari del padrone:
arcarius – tesoriere
amanuensis - copista
dispensator - incaricato della tenuta dei libri
sumptuarius – contabile
actor o procurator – amministratore
bibliothecarius - bibliotecario
anagnostes – lettore dal greco
lector – lettore
dispensator – amministratore
servus a codicillis – che scrive sotto dettatura
librarius – segretario
notarius – annotava cose che il padrone diceva mentre lo seguiva passo a passo
scriba – addetto alla corrispondenza
Addetto ai lavori artigianali:
textor – tessitore
sarcinatrix – addetta a rammendo e cucito
Addetti al padrone fuori casa:
lecticarius - portatore di lettiga
cursor - corridore che precede la carrozza o la lettiga del padrone.
dadoforo - portatore di fiaccole che illumina di notte il cammino del padrone.
Tabellarius – messaggero, corriere
nomenclator – ricordava all'orecchio del padrone il nome delle persone importanti che incontrava
pedisequus - accompagnatore
Addetti al servizio personale:
ornatrix - schiava pratica di abbigliamento e abbinamenti per far risaltare la bellezza della matrona.
alipilus – depilatore di ascelle
aliptes – untore e massaggiatore
unctor - schiavo che ungeva con olio o unguento profumato
tonsor – barbiere
flabellarius – che agita i ventagli per cacciare gli insetti
iatraliptes - massaggiatore
Addetti al lavoro rustico:
vilicus – fattore
arborator – addetto alla cura degli alberi
subulcus – guardiano di porci
caprarius – guardiano di capre
asinarius – addetto ad asini e muli
bubulcus – custode del bestiame
magister canum - allevatore di cani
Addetti ai figli del padrone:
Precector – precettore dei figli dei padroni
pedagogus – istruttore dei figli dei padroni
capsarius – che porta agli scolari la cassetta dei libri
calculator – maestro di aritmetica
grammaticus – maestro di lingua
Addetti agli spettacoli
synphoniacus – suonatore
saltator – ballerino
scurra – buffone o mimo
Addetti ai lavori umili:
mediastinus – garzone
servus qualisqualis – uomo di fatica
servus vulgaris - uomo di fatica
servus ordinarius - uomo di fatica
Schiavi dello stato
aedituus – custode di un tempio
viator – messo statale
praeco – banditore pubblico
LE DESTINAZIONI
La schiavitù rurale era quella più vasta, e comprendeva i braccianti, i contadini, gli allevatori, con un lavoro molto faticoso e poco qualificato. Il trasferimento dalla famiglia urbana a quella rustica veniva considerato come una punizione. A capo degli schiavi di campagna era il fattore, assistito dalla moglie. Erano mansioni di basso livello anche spurgare le fognature, buttare la spazzatura, allevare i porci, etc.
Gli schiavi delle cave eminiere o dei latifondi provenivano spesso dall'occidente barbarico.
Talvolta lavoravano in mare, come rematori nelle navi da guerra o di commercio
In città invece venivano impiegati per attività artigianali: vasai, decoratori, carpentieri, muratori, lavoratori del cuoio, del legno, fabbri o tessitori.
Questi schiavi godevano di condizioni di vita migliori e il loro lavoro era più qualificato. Ma vi erano anche quelli dediti alla costruzione di strade e alle opere pubbliche, o quelli che dovevano far girare in catene la ruota del mulino, lavori molto duri.
Il lavoro meno pesante era al servizio domestico, come cuochi, camerieri, addetti alla toeletta dei padroni, alla cura e all'educazione dei loro figli, alla pulizia della casa,, degli indumenti, o che aiutavano il padrone nelle attività commerciali, oppure gli schiavi intellettuali, quali pedagoghi, medici e chirurghi, bibliotecari. In genere gli schiavi provenienti dall'oriente ellenistico erano adibiti a funzioni domestiche e come maestri dei figli dell'aristocrazia, o artigianali cittadine, perché meno robusti e più acculturati di italici, germanici, o iberici.
Lo scrittore Petronio, come riferisce Tacito, raccontò anche un'occupazione degli schiavi che altri autori tacevano per pudore, e cioè di schiavi usati "per i piaceri segreti" dell'alcova della padrona. Ora questo scandalizzava ma le schiave passavano spesso e volentieri nei letti dei padroni, e questo sembrava normale.
Spesso gli schiavi venivano usati per la prostituzione, per lo più femminile, ma anche maschile, in genere usata nei termopoli o nei postriboli. I più robusti venivano talvolta venduti ad una scuola di gladiatori, che in molti casi portava rapidamente alla morte e solo qualche volta alla gloria e alla libertà. Gli schiavi non combattevano in guerra, perché reputati inaffidabili.
Ma a volte per esigenze particolari, scarsità di combattenti in guerra, o seri problemi di ordine pubblico, si accettavano arruolamenti di schiavi che però ottenevano subito la libertà e il diritto a sposare le vedove dei caduti di guerra.
Agli schiavi fuggitivi, calunniatori o ladri si scrivevano in fronte, col marchio infuocato, rispettivamente le lettere Fug (fugitivus), Kal (kalumniator) o Fur (fur=ladro). Se uno schiavo fuggitivo riusciva a sottrarsi alla cattura cessava di essere schiavo, per una consuetudine passata nel diritto.
Tra le mansioni casalinghe vi era la cura estetica ed il benessere fisico dei padroni. Esistevano quindi: addetti al bagno, manicure e pedicure, massaggiatori, truccatrici, guardarobieri e così via. Erano spesso incaricati di compiere funzioni di maggiordomo, ricevevano gli invitati, raccoglievano la toga ed i calzari, preparavano il bagno caldo, insaponavano, risciacquavano ed asciugavano i padroni, e spesso lavavano loro i piedi. Si trattava per lo più di schiavi provenienti dall'Egitto e dall'Oriente civilizzato.
I più belli, graziosi e gentili, erano meglio abbigliati, servivano il vino, tagliavano le vivande, porgevano i vassoi, mentre quelli incaricati di raccogliere, pulire i piatti e gettare o riciclare la spazzatura erano peggio vestiti. Spesso nelle famiglie più ricche ad ogni invitato si aggiudicava uno schiavo "servus ad pedes", che rimaneva seduto ai piedi del triclinio. Quelli che nascevano schiavi e venivano educati costituivano una classe privilegiata tra i servi.
EMANCIPAZIONE
Gli schiavi, veri e propri "strumenti di produzione", quando la vecchiaia, gli stenti, le malattie li rendevano improduttivi, dato che difficilmente il padrone trovava un compratore, venivano abbandonati a se stessi e lasciati lentamente morire. A meno che non fossero in grado di riscattarsi diventando liberti.
Solo dopo Adriano lo schiavo, coi suoi piccoli risparmi, con le mance, ha diritto di farsi un gruzzolo di denaro con cui affrancarsi, ma soltanto nella tarda età imperiale la legge ordinerà ai padroni di concedere l'affrancamento, dopo aver soddisfatto i loro diritti di proprietario.
Claudio ordinò l'emancipazione degli schiavi malati abbandonati dal padrone.
L'emancipazione dalla condizione schiavile era solita avvenire in tre forme previste dal diritto civile
Col tempo le cose si semplificarono:
Dopo la manumissio il padrone (dominus) diventava patronus, cioè protettore del liberto. Il nuovo vincolo comportava l'obbligo reciproco degli alimenti in caso di necessità, e l'obbligo di prestazioni gratuite di manodopera da parte del liberto e di aiuto da parte del patronus in caso di guai giuridici, spese mediche e così via.
Lo Stato temeva sempre un'eccessiva liberazione di schiavi, perché sapeva bene ch'essi avrebbero ingrossato la massa della plebe, il cui mantenimento gravava sulla pubblica annona.
Di qui la limitazione al 5% del totale posseduto, nonché il divieto di liberare schiavi sotto i 18 anni o di riscattarsi prima dei 30.
D'altra parte gli stessi imperatori impedirono più volte, con la cancellazione dei debiti, che masse di debitori cadessero in schiavitù per insolvenza. Augusto liberò ben 3000 schiavi e sua moglie Livia 500.
I LIBERTI
Uno schiavo affrancato era detto "liberto". E l'età adatta a riscattarsi era sui 30 anni. Talvolta quando i cittadini liberi erano impegnati nelle guerre di conquista, gli schiavi svolgevano in patria mansioni impegnative come la gestione di un'azienda, di un'attività economica, di un'abitazione padronale.
In tali casi il padrone poteva concedere la condizione di "liberto" per rendergli possibile il lavoro, visto che a uno schiavo nessuno avrebbe dato credito. Talvolta invece lo schiavo poteva riscattarsi pagando un certo prezzo e continuando a lavorare presso il padrone con un contratto.
Alcuni liberti, specie nell'età imperiale, fecero sorprendenti carriere dandosi spesso all'usura. I liberti più abili e colti posero le proprie capacità al servizio degli imperatori come segretari, consiglieri, amministratori; spesso preferiti ai senatori perché più fedeli di loro. I senatori poi, che erano interdetti al commercio, dovevano servirsi di liberti, che spesso praticavano per loro anche l'usura e il commercio di schiavi.
GLI USI
L'AFFLUSSO DEGLI SCHIAVI
LA CONDIZIONE DEGLI SCHIAVI
Repubblica e I era imperiale
Nel I sec. a.c. lo schiavo collaborava alla lavorazione della terra e all'andamento della casa con tutti i familiari sotto la guida del pater familias. Non era tutelato ma era trattato più o meno alla stregua di moglie e figli, che comunque non erano trattati granchè bene.
All'inizio del II sec. a.c. raramente le famiglie romane possedevano più di uno schiavo, ma verso la fine del sec., il numero degli schiavi era straordinariamente aumentato, con una media di 8 schiavi. Ricchezza e prestigio si misurava col numero degli schiavi.
Plinio il Giovane (età di Traiano), che si dichiarava uomo di modesta ricchezza, ne possedeva almeno 500, e di questi volle affrancarne almeno 100 nel suo testamento.
Il massimo dei riscatti consentiti dalla legge Fufia Canina, dell'8 a.C., era di 1/5 del totale degli schiavi posseduti. Nell'età imperiale Adriano tolse al padrone dello schiavo il diritto di vita e di morte, e Antonino Pio e Costantino considerarono omicidio l'assassinio del servo.
Le stime degli storici riguardo la percentuale di schiavi nell'Impero Romano variano dal 30% al 15%-20% nel I sec., ma concordano tutti sul fatto che l'economia romana dipendesse dall'utilizzo degli schiavi.
Il mercato degli schiavi era diventato una delle attività più lucrose perché i ricchi proprietari terrieri avevano bisogno di braccia per l'agricoltura
Nell'epoca del grande espansionismo romano (II-I sec. a.c.) agli schiavi non era garantito nessun diritto, tanto che un padrone poteva uccidere uno schiavo impunemente. D'altronde in epoca arcaica il padre aveva diritto di vita e di morte anche su moglie e figli.
Nel I secolo a.c. vennero, però, istituite le prime leggi a favore degli schiavi: la legge Cornelia, dell'82 a.c. proibì che il padrone potesse uccidere lo schiavo senza giustificato motivo e la legge Petronia, del 32, rimosse l'obbligo dello schiavo di combattere nel Circo se richiestogli dal proprietario.
Comunque l'uccisione degli schiavi era molto rara, dato che gli schiavi erano un bene molto costoso ed anche produttivo. Tuttavia, in caso di grandi rivolte, come le guerre servili dell'età repubblicana, i romani non esitavano a punire gli schiavi ribelli con crocifissioni di massa lungo le vie consolari, come monito per gli altri schiavi.
La situazione degli schiavi migliorò in età imperiale. Augusto dichiarò liberi gli schiavi portati al tempio di Esculapio, Claudio stabilì che se un padrone non dava cure ad uno schiavo malato e questi veniva ricoverato da altri presso il tempio di Esculapio, in caso di guarigione diventava libero, se invece lo schiavo moriva il padrone poteva essere incriminato.
Il filosofo ispano-romano Lucio Anneo Seneca in epoca neroniana, esortava a non maltrattare e a non uccidere gli schiavi, anche non comportava una violazione di legge. Domiziano vietò la castrazione; Adriano la vendita delle schiave ai postriboli, inoltre punì i maltrattamenti inflitti dalle matrone alle loro schiave (ma non quelle dei padroni ali schiavi); Marco Aurelio garantì il diritto di asilo per i fuggitivi nei templi e presso le statue dell'imperatore.
Tardo Impero (III-V sec. d.c.)
Diminuendo le guerre di conquista e aumentando l'emancipazione degli schiavi favorita dalle leggi imperiali, diminuì il numero degli schiavi.
Contrariamente al pensiero comune, il Cristianesimo non condannò mai la schiavitù come pratica peccaminosa, nè ci fu imperatore cristiano che la abolì. La pratica cadde da sè per ragioni economico-sociali.
L'esercito degli schiavi consentì la gestione a costi minimi dei latifondi connessi alle ville rurali e patronali, finché l'impossibilità di proteggere le frontiere e i latifondi suggerì la pratica del colonato (da colono), che permetteva al padrone di restare lontano dai suoi beni.
Finite le grandi guerre di conquista, il numero di prigionieri schiavizzabili calò enormemente, gli schiavi divennero merce rara e costosa, per cui la schiavitù si trasformò in servitù, in cui chi nasceva in una terra era vincolato al padrone e costretto a prestare servizi (corvée) o pagare canoni in natura al proprietario del fondo, in cambio della sua protezione, di un piccolo salario o della possibilità di trattenere una parte del raccolto per la sussistenza della propria famiglia. Dal colonato si svilupperà, quindi, la futura servitù della gleba dell'età medievale.
Il Dopo Impero d'occidente
La schiavitù comunque, seppur indebolita, proseguì oltre l'impero romano d'occidente. A Mediolanum, nel 775, si poteva acquistare un ragazzo franco a 12 soldi, mentre un cavallo ne costava 72. Questo perchè di ragazzi abbandonati, per insensibilità diffusa e povertà, ce n'erano a bizzeffe.
Ma per chi si scandalizzasse per la servitù romana, ricordi che nella Serenissima Venezia dei Dogi andavano di moda gli schiavetti neri, quelli riprodotti con le torce in mano, per non parlare della schiavitù americana dei neri ecc.
E nessuna religione si è mai opposta, a parte molto dopo, nel 1435, da parte di papa Eugenio IV che con una bolla (Sicut Dudum), applicò la scomunica a chi ponesse in schiavitù gli abitanti delle Canarie, sottraendo così manodopera gratuita alla Chiesa che ai convertiti faceva lavorare la terra delle canoniche per conquistarsi il paradiso.
BIBLIO
- Andrea Carandini - Schiavi in Italia. Gli strumenti pensanti dei Romani fra tarda repubblica e medio impero - Carocci - 1988 -
- Thomas Casadei, Sauro Mattarelli - Il senso della repubblica. Schiavitù - Roma - Franco Angeli - 2009 -
- Giovanni Brizzi - Ribelli contro Roma. Gli schiavi, Spartaco, l'altra Italia - Bologna - Il mulino - 2017 -
- Andrea Giardina - con A. Schiavone - Società romana e produzione schiavistica - voll. I-III - Roma-Bari - Laterza - 1981 -
Tuttavia, nel corso dell'impero i padroni divennero più umani con gli schiavi, dando loro la possibilità di una stabile vita di coppia, e soprattutto avevano più riguardi per gli schiavi nati in casa, che diventavano un po' di famiglia.
COME SI DIVENTAVA SCHIAVI
I motivi principali erano:
- come prigionieri di guerra, caduti in proprietà dello Stato, venivano venduti al miglior offerente;
- indebitamento: chi non poteva pagare i propri debiti diventava proprietà del creditore, dopo il relativo periodo di prigionia, oppure veniva venduto direttamente sui mercati.
- a seguito di un naufragio,
- per una pena che comportasse la perdita della libertà personale (p.es. l'assassinio o la renitenza alla leva o l'evasione fiscale), a meno che non si accettasse l'esilio.
- La gente povera spesso finiva schiava anche per reati minimi, se non poteva pagare una pena pecuniaria.
- rapimento dai pirati o dai briganti per essere poi vendute
- i bambini che venivano abbandonati perché non riconosciuti dal padre o venduti dalle famiglie povere.
- esiliati politici che emigravano a Roma per porsi in servitù, o quelle tribù nordiche che facevano la stessa cosa, spinte dalla fame o dalla carestia.
- Nascita da una madre a sua volta schiava in una domus (erano chiamati verna).
(Rappresentazione di Kira-the-God) |
LEGGI INERENTI ALLA SCHIAVITU'
- Lex Poetelia (313 a.c.) - Riguardo i debiti e la schiavitù
- Lex Poetelia Papiria de nexis - Abolizione della schiavitù per debiti
- Lex Scantinia (149 a.c.) - Sui rapporti omosessuali con persone di condizione libera.
- Lex Aemilia (115 a.c.) - Concedeva il voto ai liberti (con limitazioni)
- Lex Julia de civitate (90 a.c.) - Del console Lucio Cesare, offre la cittadinanza a tutti gli Italici che non hanno mosso guerra contro Roma durante le guerre italiche
- Lex Cornelia (82 a.c.) - Proibisce al padrone di uccidere schiavi non colpevoli di delitto
- Lex Iunia Norbana (19 a.c.) - Riguardo lo status dei liberti
- Lex Fufia Caninia ( 2 a.c.) - Limitazione nel liberare gli schiavi.
- Lex Aelia Sentia (4 d.c.) - Legge contro la liberazione di schiavi
- Senatus consultum Silanianum (10 d.c.) - Riguardo gli schiavi
- Lex Petronia (32 d.c.) - Rimuove l'obbligo di combattere nel circo se ordinato dal padrone
- Senatus consultum Claudianum (52 d.c.) - Obbligo condizionale di prestare cure mediche allo schiavo malato.
GLI USI
- Gli schiavi che ritenevano ingiusto il padrone potevano rifugiarsi in Campidoglio ed esporre le proprie ragioni, ma non si ha notizia di padroni puniti. Gli veniva concesso asilo se si rifugiava presso un tempio, ma al massimo poteva passare di proprietà da un padrone a un altro.
- Lo schiavo non poteva essere difeso dalla legge o ascoltato in un tribunale.
- Se un cittadino uccideva uno schiavo altrui, non incorreva a una sanzione penale ma solo amministrativa, cioè pagava una sanzione monetaria corrispondente al valore dello schiavo.
- La legge Giulia aveva altresì stabilito che non poteva esservi adulterio o stupro se non tra persone libere. Molti giovani schiavi venivano usati a scopi sessuali.
- La lex Petronia proibiva al padrone di dare lo schiavo in pasto alle belve senza una sentenza del giudice.
- Il diritto romano non riconosceva agli schiavi un culto religioso proprio, ma gli si consentiva di esercitare alcuni riti secondo i costumi originari.
- Gli schiavi di città erano sicuramente più liberi di quelli di campagna: potevano frequentare le osterie, i bagni pubblici, il circo.
- Il padrone romano che trattava crudelmente i suoi schiavi veniva visto con riprovazione dagli altri romani, perchè il principio del buon cittadino romano comprendeva, oltre ad essere un difensore della patria e un pius religioso, l' "Optimo Pater Familias", giusto e generoso con moglie, figli e schiavi.
- Molti schiavi, per punizione, venivano venduti alle scuole gladiatorie per combattere nell'arena.
I MERCANTI DI SCHIAVI
Gli schiavi derivanti dalle vittorie in guerra diventavano proprietà dello stato e venivano venduti nelle tabernae, sui mercati o nel Foro, sotto la sorveglianza di appositi magistrati, per riscuotere il prezzo dovuto.
ORIGINALE COLLARE DI SCHIAVO ROMANO |
Le doti che facevano salire di più i prezzi degli schiavi erano l'intelligenza e la cultura. Venivano poi la bellezza, l'attitudine a determinati uffici, o particolari qualità o stranezze, come l'essere nano o di spirito.
Quelli provenienti d'oltremare erano riconoscibili per un piede tinto di bianco, e i soldati vinti per una coroncina in testa. Gli schiavi più costosi venivano mostrati in sale chiuse a ingresso controllato.
I prezzi variavano a seconda dell'età, dell'intelligenza, cultura, forza fisica, bellezza, buona dentatura, capacità di suonare o cantare, parlare greco ecc. e si aggiravano sui 1.200-2.500 sesterzi (a fine repubblica un sesterzio equivaleva a circa 2 euro).
Anche chi non era ricco poteva permettersi uno schiavo, per cui non averne neppure uno era indice di grande povertà. Un po' come nell'800 famiglie con poche risorse avevano una domestica per salvaguardare la dignità della famiglia. Molti ricchi romani possedevano da 10.000 a 20.000 schiavi. Alcuni li acquistavano in blocchi per rivenderli o affittarli.
Il mercato più importante fino all'inizio del I sec. a.c. fu quello dell' isola di Delo, dove secondo Strabone si trattavano 10 000 individui al giorno. Gli schiavi diventavano oggetti a disposizione assoluta del loro padrone, che poneva loro un collare o li marchiava a fuoco. Non avevano dignità giuridica, non potevano possedere proprietà nè una famiglia, dal momento che il loro matrimonio, consensentito dal padrone, si considerava come un semplice concubinato ed i figli di proprietà del padrone.
LE MANSIONI
Gli schiavi domestici venivano spesso ricevuti con una cerimonia e si praticava loro una "purificazione" versando acqua sulla testa, e lavoravano nelle domus, nelle ville o nelle fattoriei. Lo schiavo poteva essere così agricoltore, allevatore di animali, falegname, giardiniere, domestico, muratore, ma molti schiavi erano invece mimi e cantori, artigiani, architetti, atleti, contabili, intellettuali, filosofi, poeti e storici.
Uno schiavo particolarmente colto, spesso veniva impiegato come insegnante di lingua, più spesso il greco, o, nel caso di persone molto calme e fidate, come precettore dei bambini. Spesso poi gli schiavi venivano fatti studiare per imparare a scrivere e a tenere i conti, cosa che tornava utile al padrone. Teniamo conto che ai tempi dei romani l'alfabetizzazione era nella stessa percentuale di oggi, percentuale che crollò ai limiti minimi con la caduta dell'impero.
Schiavi addetti a servire nelle mense (Tricliniachae):
captor – addetto al taglio delle carni
scissor – addetto al taglio delle vivande
analecta – che raccoglie i resti del pranzo
scoparius – che distribuisce agli invitati i resti del pranzo
cellarius – dispensiere di vino e bevande
structor – addetto all'apparecchiatura e sparecchiatura della tavola, ma pure al taglio dei cibi in piccole porzioni
cocus – cuoco
pistor – panettiere
puer a cyatho – coppiere a disposizione di un commensale
puer ad pedes – ragazzo seduto accanto al triclinio per servire il commensale di qualsiasi cosa
Addetti al servizio della casa:
archimagirus - una specie di maggiordomo che comanda gli altri schiavi.
ostiarius o ianuarius – portiere, nei primi tempi veniva legato con la catena, perchè non abbandonasse il suo posto: Tibullo, per sorvegliare la sua amata, si offrì a far l'ufficio di portinaio, col pide alla catena.
atriensis – colui che accoglie gli invitati alla porta ripetendo “Dextro pede” perchè porta sfortuna che si entri col piede sinistro
cubicularius – addetto alle camere, dorme dietro alla porta pronto a qualsiasi ordine notturno
minister - domestico
Addetti agli affari del padrone:
arcarius – tesoriere
amanuensis - copista
dispensator - incaricato della tenuta dei libri
sumptuarius – contabile
actor o procurator – amministratore
bibliothecarius - bibliotecario
anagnostes – lettore dal greco
lector – lettore
dispensator – amministratore
servus a codicillis – che scrive sotto dettatura
librarius – segretario
notarius – annotava cose che il padrone diceva mentre lo seguiva passo a passo
scriba – addetto alla corrispondenza
Addetto ai lavori artigianali:
textor – tessitore
sarcinatrix – addetta a rammendo e cucito
Addetti al padrone fuori casa:
lecticarius - portatore di lettiga
cursor - corridore che precede la carrozza o la lettiga del padrone.
dadoforo - portatore di fiaccole che illumina di notte il cammino del padrone.
Tabellarius – messaggero, corriere
nomenclator – ricordava all'orecchio del padrone il nome delle persone importanti che incontrava
pedisequus - accompagnatore
Addetti al servizio personale:
ornatrix - schiava pratica di abbigliamento e abbinamenti per far risaltare la bellezza della matrona.
alipilus – depilatore di ascelle
aliptes – untore e massaggiatore
unctor - schiavo che ungeva con olio o unguento profumato
tonsor – barbiere
flabellarius – che agita i ventagli per cacciare gli insetti
iatraliptes - massaggiatore
Addetti al lavoro rustico:
vilicus – fattore
arborator – addetto alla cura degli alberi
subulcus – guardiano di porci
caprarius – guardiano di capre
asinarius – addetto ad asini e muli
bubulcus – custode del bestiame
magister canum - allevatore di cani
Addetti ai figli del padrone:
Precector – precettore dei figli dei padroni
pedagogus – istruttore dei figli dei padroni
capsarius – che porta agli scolari la cassetta dei libri
calculator – maestro di aritmetica
grammaticus – maestro di lingua
Addetti agli spettacoli
synphoniacus – suonatore
saltator – ballerino
scurra – buffone o mimo
Addetti ai lavori umili:
mediastinus – garzone
servus qualisqualis – uomo di fatica
servus vulgaris - uomo di fatica
servus ordinarius - uomo di fatica
Schiavi dello stato
aedituus – custode di un tempio
viator – messo statale
praeco – banditore pubblico
CATENA PER SCHIAVI ROMANA |
LE DESTINAZIONI
La schiavitù rurale era quella più vasta, e comprendeva i braccianti, i contadini, gli allevatori, con un lavoro molto faticoso e poco qualificato. Il trasferimento dalla famiglia urbana a quella rustica veniva considerato come una punizione. A capo degli schiavi di campagna era il fattore, assistito dalla moglie. Erano mansioni di basso livello anche spurgare le fognature, buttare la spazzatura, allevare i porci, etc.
Talvolta lavoravano in mare, come rematori nelle navi da guerra o di commercio
In città invece venivano impiegati per attività artigianali: vasai, decoratori, carpentieri, muratori, lavoratori del cuoio, del legno, fabbri o tessitori.
Questi schiavi godevano di condizioni di vita migliori e il loro lavoro era più qualificato. Ma vi erano anche quelli dediti alla costruzione di strade e alle opere pubbliche, o quelli che dovevano far girare in catene la ruota del mulino, lavori molto duri.
Il lavoro meno pesante era al servizio domestico, come cuochi, camerieri, addetti alla toeletta dei padroni, alla cura e all'educazione dei loro figli, alla pulizia della casa,, degli indumenti, o che aiutavano il padrone nelle attività commerciali, oppure gli schiavi intellettuali, quali pedagoghi, medici e chirurghi, bibliotecari. In genere gli schiavi provenienti dall'oriente ellenistico erano adibiti a funzioni domestiche e come maestri dei figli dell'aristocrazia, o artigianali cittadine, perché meno robusti e più acculturati di italici, germanici, o iberici.
Lo scrittore Petronio, come riferisce Tacito, raccontò anche un'occupazione degli schiavi che altri autori tacevano per pudore, e cioè di schiavi usati "per i piaceri segreti" dell'alcova della padrona. Ora questo scandalizzava ma le schiave passavano spesso e volentieri nei letti dei padroni, e questo sembrava normale.
Spesso gli schiavi venivano usati per la prostituzione, per lo più femminile, ma anche maschile, in genere usata nei termopoli o nei postriboli. I più robusti venivano talvolta venduti ad una scuola di gladiatori, che in molti casi portava rapidamente alla morte e solo qualche volta alla gloria e alla libertà. Gli schiavi non combattevano in guerra, perché reputati inaffidabili.
Ma a volte per esigenze particolari, scarsità di combattenti in guerra, o seri problemi di ordine pubblico, si accettavano arruolamenti di schiavi che però ottenevano subito la libertà e il diritto a sposare le vedove dei caduti di guerra.
Agli schiavi fuggitivi, calunniatori o ladri si scrivevano in fronte, col marchio infuocato, rispettivamente le lettere Fug (fugitivus), Kal (kalumniator) o Fur (fur=ladro). Se uno schiavo fuggitivo riusciva a sottrarsi alla cattura cessava di essere schiavo, per una consuetudine passata nel diritto.
Tra le mansioni casalinghe vi era la cura estetica ed il benessere fisico dei padroni. Esistevano quindi: addetti al bagno, manicure e pedicure, massaggiatori, truccatrici, guardarobieri e così via. Erano spesso incaricati di compiere funzioni di maggiordomo, ricevevano gli invitati, raccoglievano la toga ed i calzari, preparavano il bagno caldo, insaponavano, risciacquavano ed asciugavano i padroni, e spesso lavavano loro i piedi. Si trattava per lo più di schiavi provenienti dall'Egitto e dall'Oriente civilizzato.
I più belli, graziosi e gentili, erano meglio abbigliati, servivano il vino, tagliavano le vivande, porgevano i vassoi, mentre quelli incaricati di raccogliere, pulire i piatti e gettare o riciclare la spazzatura erano peggio vestiti. Spesso nelle famiglie più ricche ad ogni invitato si aggiudicava uno schiavo "servus ad pedes", che rimaneva seduto ai piedi del triclinio. Quelli che nascevano schiavi e venivano educati costituivano una classe privilegiata tra i servi.
EMANCIPAZIONE
Solo dopo Adriano lo schiavo, coi suoi piccoli risparmi, con le mance, ha diritto di farsi un gruzzolo di denaro con cui affrancarsi, ma soltanto nella tarda età imperiale la legge ordinerà ai padroni di concedere l'affrancamento, dopo aver soddisfatto i loro diritti di proprietario.
Claudio ordinò l'emancipazione degli schiavi malati abbandonati dal padrone.
L'emancipazione dalla condizione schiavile era solita avvenire in tre forme previste dal diritto civile
- manumissio per vindictam: davanti a un magistrato, il padrone metteva una mano sulla testa dello schiavo (manumissus), pronunciando una determinata formula giuridica, dopodiché un littore del magistrato toccava lo schiavo su una spalla con una verghetta (vindicta), simbolo di potere, e lo dichiarava libero;
- manumissio censu: il padrone, dopo cinque anni, faceva iscrivere lo schiavo come cittadino romano nelle liste dei cittadini, dietro consenso popolare o per suo diretto intervento, e lo schiavo era automaticamente libero. L'iscrizione veniva fatta dal censor, cioè dal funzionario addetto ai ruoli delle imposte e alla registrazione del censo;
- manumissio testamento: il padrone nel suo testamento dichiarava libero uno o più schiavi; l'esecuzione testamentaria poteva aver luogo anche prima che il padrone morisse e comportava la successiva iscrizione nelle liste del censo.
Col tempo le cose si semplificarono:
- manumissio inter amicos: il dominus dichiarava in presenza degli amici di voler dare la libertà allo schiavo;
- manumissio per mensam: il dominus invitava lo schiavo a mangiare insieme agli ospiti;
- manumissio per convivii adhibitionem, il dominus liberava lo schiavo semplicemente considerandolo un commensale;
- manumissio per epistulam: il padrone comunicava per lettera allo schiavo l'intenzione di liberarlo.
LO SCHIAVO ROMANO |
Lo Stato temeva sempre un'eccessiva liberazione di schiavi, perché sapeva bene ch'essi avrebbero ingrossato la massa della plebe, il cui mantenimento gravava sulla pubblica annona.
Di qui la limitazione al 5% del totale posseduto, nonché il divieto di liberare schiavi sotto i 18 anni o di riscattarsi prima dei 30.
D'altra parte gli stessi imperatori impedirono più volte, con la cancellazione dei debiti, che masse di debitori cadessero in schiavitù per insolvenza. Augusto liberò ben 3000 schiavi e sua moglie Livia 500.
I LIBERTI
Uno schiavo affrancato era detto "liberto". E l'età adatta a riscattarsi era sui 30 anni. Talvolta quando i cittadini liberi erano impegnati nelle guerre di conquista, gli schiavi svolgevano in patria mansioni impegnative come la gestione di un'azienda, di un'attività economica, di un'abitazione padronale.
In tali casi il padrone poteva concedere la condizione di "liberto" per rendergli possibile il lavoro, visto che a uno schiavo nessuno avrebbe dato credito. Talvolta invece lo schiavo poteva riscattarsi pagando un certo prezzo e continuando a lavorare presso il padrone con un contratto.
Alcuni liberti, specie nell'età imperiale, fecero sorprendenti carriere dandosi spesso all'usura. I liberti più abili e colti posero le proprie capacità al servizio degli imperatori come segretari, consiglieri, amministratori; spesso preferiti ai senatori perché più fedeli di loro. I senatori poi, che erano interdetti al commercio, dovevano servirsi di liberti, che spesso praticavano per loro anche l'usura e il commercio di schiavi.
GLI USI
- Il liberto poteva anche svolgere un'attività economica indipendente, ma il padrone esigeva sempre dei servizi sui suoi terreni o nella sua abitazione, oppure pretendeva doni in occasione di festività.
- Generalmente i liberti continuavano ad abitare presso la casa padronale.
- In genere i liberti diventavano clientes dei padroni prestandogli servizi ma ricevendo doni in cambio.
- I liberti venivano ammessi dallo stato alla distribuzione gratuita di frumento, vino, olio, denaro.
- I liberti .erano esclusi dai diritti politici, ma avevano il diritto di cittadinanza. Tuttavia i suoi discendenti, alla terza generazione, diventavano cittadini romani con la pienezza di tutti i diritti.
- In qualità di cittadini romani potevano esercitare alcuni diritti politici.
- Potevano essere condannati a morte solo da un’assemblea cittadina e non da un qualunque magistrato, come accadeva a chi non era romano.
- Come cittadini romani non potevano essere sottoposti a tortura fisica e fustigazione.
- Gli stessi imperatori diedero spesso loro incarichi di fiducia (spesso connessi al fisco). L'ufficio politico dell'imperatore Claudio era composto esclusivamente di schiavi di fiducia, che, dopo la sua morte, furono sostituiti da liberti, molti dei quali si erano arricchiti notevolmente sin dal tempo delle guerre civili sillane.
- Quando, nel 40 d.c., l’imperatore Claudio propose di dare ad alcuni galli la possibilità di diventare magistrati e senatori, alcuni senatori si opposero. Tuttavia, la tesi che vinse, riportata da Tacito, fu: "A qualche altra causa si deve la rovina degli spartani e degli ateniesi, nonostante il loro valore bellico, se non alla loro ostinazione a tenere in disparte gli stranieri?. Al contrario, Romolo, che fondò il nostro impero, fu abbastanza saggio da saper trattare nello stesso giorno gli stessi popoli da nemici e da cittadini. Degli stranieri hanno regnato su di noi, i figli di liberti possono diventare magistrati, e questa non è una novità, come si ha il torto di credere: l’antica Roma ne ha dato molti esempi".
- Augusto autorizzò i matrimoni tra liberi e liberti.
- Tiberio diede la cittadinanza ai liberti pompieri antincendio a condizione che si arruolassero nell'esercito.
- Claudio la concesse ai liberti che coi loro risparmi avessero armato le navi commerciali.
- Nerone a quelli che avessero impiegato capitali nell'edilizia.
- Traiano a quelli che avessero aperto dei forni.
L'AFFLUSSO DEGLI SCHIAVI
- 30.000 abitanti di Taranto nel 209 a.c
- Un gran numero di Sardi nel 176 a.c
- 150.000 abitanti dell'Epiro nel 167 a.c.
- 50.000 Cartaginesi e 50.000 Corinzi nel 146 a.c.
- Intere popolazioni della Spagna tra il 150 e il 100 a.c.
- 150.000 Cimbri e Teutoni il 102-101 a.c.
- Centinaia di migliaia di asiatici di Ponto, Siria e Palestina dalle guerre di Pompeo nel 66-62 a.c.
- Un milione di Galli dalle guerre di Cesare nel 58-50 a.c.
- Vespasiano e Tito nel 70 d.c. portano a Roma decine di migliaia di schiavi da Gerusalemme.
- Traiano occupa la Dacia e l'Armenia, portando circa 50.000 schiavi. L'ultima grandiosa tratta di schiavi si ebbe appunto con Traiano.
LA CONDIZIONE DEGLI SCHIAVI
Repubblica e I era imperiale
Nel I sec. a.c. lo schiavo collaborava alla lavorazione della terra e all'andamento della casa con tutti i familiari sotto la guida del pater familias. Non era tutelato ma era trattato più o meno alla stregua di moglie e figli, che comunque non erano trattati granchè bene.
All'inizio del II sec. a.c. raramente le famiglie romane possedevano più di uno schiavo, ma verso la fine del sec., il numero degli schiavi era straordinariamente aumentato, con una media di 8 schiavi. Ricchezza e prestigio si misurava col numero degli schiavi.
Plinio il Giovane (età di Traiano), che si dichiarava uomo di modesta ricchezza, ne possedeva almeno 500, e di questi volle affrancarne almeno 100 nel suo testamento.
Il massimo dei riscatti consentiti dalla legge Fufia Canina, dell'8 a.C., era di 1/5 del totale degli schiavi posseduti. Nell'età imperiale Adriano tolse al padrone dello schiavo il diritto di vita e di morte, e Antonino Pio e Costantino considerarono omicidio l'assassinio del servo.
Le stime degli storici riguardo la percentuale di schiavi nell'Impero Romano variano dal 30% al 15%-20% nel I sec., ma concordano tutti sul fatto che l'economia romana dipendesse dall'utilizzo degli schiavi.
Il mercato degli schiavi era diventato una delle attività più lucrose perché i ricchi proprietari terrieri avevano bisogno di braccia per l'agricoltura
Nell'epoca del grande espansionismo romano (II-I sec. a.c.) agli schiavi non era garantito nessun diritto, tanto che un padrone poteva uccidere uno schiavo impunemente. D'altronde in epoca arcaica il padre aveva diritto di vita e di morte anche su moglie e figli.
Nel I secolo a.c. vennero, però, istituite le prime leggi a favore degli schiavi: la legge Cornelia, dell'82 a.c. proibì che il padrone potesse uccidere lo schiavo senza giustificato motivo e la legge Petronia, del 32, rimosse l'obbligo dello schiavo di combattere nel Circo se richiestogli dal proprietario.
Comunque l'uccisione degli schiavi era molto rara, dato che gli schiavi erano un bene molto costoso ed anche produttivo. Tuttavia, in caso di grandi rivolte, come le guerre servili dell'età repubblicana, i romani non esitavano a punire gli schiavi ribelli con crocifissioni di massa lungo le vie consolari, come monito per gli altri schiavi.
La situazione degli schiavi migliorò in età imperiale. Augusto dichiarò liberi gli schiavi portati al tempio di Esculapio, Claudio stabilì che se un padrone non dava cure ad uno schiavo malato e questi veniva ricoverato da altri presso il tempio di Esculapio, in caso di guarigione diventava libero, se invece lo schiavo moriva il padrone poteva essere incriminato.
Il filosofo ispano-romano Lucio Anneo Seneca in epoca neroniana, esortava a non maltrattare e a non uccidere gli schiavi, anche non comportava una violazione di legge. Domiziano vietò la castrazione; Adriano la vendita delle schiave ai postriboli, inoltre punì i maltrattamenti inflitti dalle matrone alle loro schiave (ma non quelle dei padroni ali schiavi); Marco Aurelio garantì il diritto di asilo per i fuggitivi nei templi e presso le statue dell'imperatore.
Tardo Impero (III-V sec. d.c.)
Diminuendo le guerre di conquista e aumentando l'emancipazione degli schiavi favorita dalle leggi imperiali, diminuì il numero degli schiavi.
L'esercito degli schiavi consentì la gestione a costi minimi dei latifondi connessi alle ville rurali e patronali, finché l'impossibilità di proteggere le frontiere e i latifondi suggerì la pratica del colonato (da colono), che permetteva al padrone di restare lontano dai suoi beni.
Finite le grandi guerre di conquista, il numero di prigionieri schiavizzabili calò enormemente, gli schiavi divennero merce rara e costosa, per cui la schiavitù si trasformò in servitù, in cui chi nasceva in una terra era vincolato al padrone e costretto a prestare servizi (corvée) o pagare canoni in natura al proprietario del fondo, in cambio della sua protezione, di un piccolo salario o della possibilità di trattenere una parte del raccolto per la sussistenza della propria famiglia. Dal colonato si svilupperà, quindi, la futura servitù della gleba dell'età medievale.
Il Dopo Impero d'occidente
La schiavitù comunque, seppur indebolita, proseguì oltre l'impero romano d'occidente. A Mediolanum, nel 775, si poteva acquistare un ragazzo franco a 12 soldi, mentre un cavallo ne costava 72. Questo perchè di ragazzi abbandonati, per insensibilità diffusa e povertà, ce n'erano a bizzeffe.
Ma per chi si scandalizzasse per la servitù romana, ricordi che nella Serenissima Venezia dei Dogi andavano di moda gli schiavetti neri, quelli riprodotti con le torce in mano, per non parlare della schiavitù americana dei neri ecc.
E nessuna religione si è mai opposta, a parte molto dopo, nel 1435, da parte di papa Eugenio IV che con una bolla (Sicut Dudum), applicò la scomunica a chi ponesse in schiavitù gli abitanti delle Canarie, sottraendo così manodopera gratuita alla Chiesa che ai convertiti faceva lavorare la terra delle canoniche per conquistarsi il paradiso.
BIBLIO
- Andrea Carandini - Schiavi in Italia. Gli strumenti pensanti dei Romani fra tarda repubblica e medio impero - Carocci - 1988 -
- Thomas Casadei, Sauro Mattarelli - Il senso della repubblica. Schiavitù - Roma - Franco Angeli - 2009 -
- Giovanni Brizzi - Ribelli contro Roma. Gli schiavi, Spartaco, l'altra Italia - Bologna - Il mulino - 2017 -
- Marco Melluso - La schiavitù in età giustinianea - Paris - Les Belles Lettres - 2000 -
- Marco Melluso - Alcune testimonianze sui mercati di schiavi nel Basso Impero - Routes et marchés d'esclaves - XXVI colloque du Girea - Besançon - 2002 -- Andrea Giardina - con A. Schiavone - Società romana e produzione schiavistica - voll. I-III - Roma-Bari - Laterza - 1981 -
- Theodor Mommsen - Diritto penale romano - 1899 -
20 comment:
CAVOLOQUANTE COSE CHE CI SONO QUI!
Molto interessante, complimenti all'autore che è riuscito a raccogliere tutte queste informazioni!
Dovresti mettere le fonti
schiavi neri c'erano nell'antica Roma? Da che era furono impiegati?
Ciao! Una domanda: si sa se durante la primissima Roma, quella dei sette re, si utilizzavano gli schiavi? Che io sappia, era costume per i re portare i popoli sconfitti in battaglia a Roma, al fine di ingrandire una città ancora in crescita. Però è anche vero che popoli a loro vicini, come gli Etruschi, avevano schiavi.
Complimenti all'autore.
Forse per pudore, non viene descritto che le schiave domestiche dei ricchi patrizi, in età repubblicana e imperiale, lavoravano per la maggior parte del tempo a seno nudo: era una pratica essenziale non tanto per umiliarle quanto per farle rendere conto ogni istante del loro valore pressoché nullo.
Inoltre il corpo nudo era spesso sottoposto a punizioni dolorose e immediate nel caso di errore, il che rendeva le schiave più accorte e attente: racconta Giovenale che era prassi per le matrone arrabbiate colpire le schiave negligenti con spilloni o bastoni su seni, braccia e schiena
Sul fatto che la chiesa non si è mai opposta alla schiavità non avevo dubbi.
Mi. chiedevo..ma se i padroni era accusato di tradimento e/o cospirazione verso imperatore e ritenuto colpevole..che fine facevano i suoi schiavi e i suo beni?
Dopo quanto tempo era possibile affrancare uno schiavo acquistato?
lavoro elaborato e pieno di cose interessanti forse dovresti aggiungere le fonti!
Fonti inserite.
Certo la condizione di schiavo era molto brutta. Tuttavia c'erano delle
eccezioni. Nel terreno di un mio conoscente, nei primi del 900 è stata rinvenuta una lapide di epoca repubblicana con una scritta che diceva che lo schiavo Antigono, autore della scritta, invocava la protezione della dea Fortuna per i Rufi, suoi padroni. Quindi non credo che i Rufi lo trattassero male.
perfetto
Ricordo di avere letto che ci fu ad un certo punto una proposta di far portare agli schiavi una fascia colorata per riconoscerli, ma poi in Senato si abbandono' l'idea perche' si sarebbe visto quanto erano numerosi e cio' avrebbe favorito le rivolte. E' vero ? in che periodo?
Jesus-net servus net dominus
no
Gaio Gracco aveva schiavi? se si si poteva chiamare patres familia? questi schiavi li poteva poi liberare?
Il nome di Spartaco è vivo oltrepassando il tempo.
SPARTACO EROE
Mai più
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