IL LUCUS
Almeno in area mediterranea ed europea, ma non solo, il primo luogo sacro fu il bosco, in latino lucus, plurale luci. Il bosco è misterioso, pieno di vita, ma anche di pericoli, lì la natura, che un tempo riempiva quasi tutta l'area di boschi, si esprimeva col suo lato accogliente per le bacche, le erbe e la legna per il fuoco e le capanne, ma anche col suo lato oscuro per le belve, il perdere la strada, i temporali e quella penombra dove il sole penetra con difficoltà.
In epoca arcaica, anche i templi urbani potevano avere un proprio lucus, che poi con l'espansione degli edifici veniva gradualmente ridotto ad un piccolo gruppo di alberi visto che il terreno edificabile faceva gola. Però il piccolo bosco residuo veniva conservato con molta cura; i boschi erano invece più diffusi nei santuari rurali o suburbani.
Quella separazione segnò la separazione di un'idea. Mentre nei primordi la natura era tutta sacra, poi divenne in parte sacra e in parte profana. Col cristianesimo perse ogni sacralità essendo ritenuta una materia senza vita da utilizzare a piacimento.
Nel culto dell'Antica Roma lucus e nemus indicano entrambi il Bosco Sacro, Lucus è la radura, naturale o creata dall'uomo, ma seguendo un rituale rispettoso delle divinità del bosco, come spiega Catone, o perché in generale è la parte del bosco che veniva riservata al culto.
Il lucus era come gli Dei della natura, benevolo ma a volte ostile o indifferente, dunque si doveva rendergli omaggio per ingraziarselo. Così gli si offrivano cibo, erbe odorose, preghiere, canti e danze. Le sacerdotesse furono le prime a contattare il mondo magico del bosco, e la loro religione fu un misto di scienza e magia, perchè dal bosco trassero le erbe da mangiare ma anche quelle medicamentose, nonchè i segni per i vaticini.
Successivamente il sacerdozio divenne prevalentemente maschile, e la popolazione aumentò si che una vasta area del bosco divenne profana, atta a cacciare animali, raccogliere legna ed abbattere alberi per coltivare più terreno. Il bosco sacro era detto anche Nemus, e si pensa che l'antico tempio di Diana a Nemi avesse il suo bosco sacro che ha dato il nome al paese, mentre col nome lucus si intese un bosco che aveva una parte sacra, in genere recintata, detta Incus.
Successivamente il sacerdozio divenne prevalentemente maschile, e la popolazione aumentò si che una vasta area del bosco divenne profana, atta a cacciare animali, raccogliere legna ed abbattere alberi per coltivare più terreno. Il bosco sacro era detto anche Nemus, e si pensa che l'antico tempio di Diana a Nemi avesse il suo bosco sacro che ha dato il nome al paese, mentre col nome lucus si intese un bosco che aveva una parte sacra, in genere recintata, detta Incus.
LUCUS O NEMUS |
Quella separazione segnò la separazione di un'idea. Mentre nei primordi la natura era tutta sacra, poi divenne in parte sacra e in parte profana. Col cristianesimo perse ogni sacralità essendo ritenuta una materia senza vita da utilizzare a piacimento.
Un tempo i romani chiedevano al Genius loci, o al Nume del bosco il permesso di cacciare o tagliare legna, col cristianesimo tutto era stato fatto da Dio per l'uomo, che poteva distruggere la natura come poteva, perchè era solo profana. Un tempo i boschi erano abitati da Numi, genii, Ninfe a Satiri, ora la natura è vuota e disanimata.
Secondo quanto riporta Varrone, erano i lucus erano omaggiati durante la processione che si svolgeva nella festività degli Argei, l'11 gennaio, quando si visitavano 27 sacrari posti attorno alla città offrendo sacrifici. Numerosi erano comunque i Boschi Sacri della città di Roma, sia dentro che fuori le mura.
Oltre alle epigrafi dedicatorie, altre fonti per una storia dei boschi sacri a Roma sono quelle letterarie.
L'EDICOLA
Nell'evolversi dei tempi al luogo sacro si sovrappose l'Aedicola, cioè un piccolo aedes, una piccola area sacra, con edicole a tempietto, con arco tondo o acuto, con un paio di colonne e un'immagine sacra.
Si trovava in campagna agli incroci o bivii delle strade, ma anche nei paesi e soprattutto in città, nei crocicchi delle vie, o sulle insule, un'usanza che il cristianesimo adotterà con le cosiddette "Madonnelle".
Le edicole erano spesso dedicate a divinità minori e sovente avevano una specie di teca con gli ex voto per le grazie ricevute.
I maggiori di cui abbiamo notizia, sia per estensione che per importanza, a Roma si trovavano sull'Esquilino (Facutalis, Larum Querquetulanum, Esquilinus, Poetelius, Mephitis, Junonis Lucinae, Libitinae).
L'EDICOLA
Nell'evolversi dei tempi al luogo sacro si sovrappose l'Aedicola, cioè un piccolo aedes, una piccola area sacra, con edicole a tempietto, con arco tondo o acuto, con un paio di colonne e un'immagine sacra.
Si trovava in campagna agli incroci o bivii delle strade, ma anche nei paesi e soprattutto in città, nei crocicchi delle vie, o sulle insule, un'usanza che il cristianesimo adotterà con le cosiddette "Madonnelle".
Le edicole erano spesso dedicate a divinità minori e sovente avevano una specie di teca con gli ex voto per le grazie ricevute.
Si trattava di terracotte dozzinali raffiguranti parti anatomiche del corpo umano, o minuscoli vasetti, ad esempio venne rivenuta in un'edicola romana una minuscola anforetta fatta con pasta vitrea, un piccolo ciondolo da collo sicuramente da bambina offerta alla divinità per la grazia ricevuta.
L'AEDES SACRA
Al lucus e all'aedicola si sovrappose l'aedes sacra, un'area consacrata in genere recintata e con un'ara di pietra, talvolta con una statua. Tra le più antiche a Roma quelle degli Argei di cui si pensa averne rinvenuto uno sul Colle Oppio durante recenti lavori archeologici.
IL TEMPIO
L'ultima evoluzione fu il tempio, in genere di tipo tuscanico, successivamente con influenze greche. In tal senso molto i romani appresero dagli Etruschi, anche se il pantheon si rifece e ristrutturò nei nomi e nei miti a quello greco.
Questi luoghi sacri pur nascendo in epoche successive non eliminarono le forme più arcaiche, anche se molti luci a Roma vennero eliminati per far posto alla speculazione edile, ma anche al bisogno urgente di urbanizzazione.
L'AEDES SACRA
Al lucus e all'aedicola si sovrappose l'aedes sacra, un'area consacrata in genere recintata e con un'ara di pietra, talvolta con una statua. Tra le più antiche a Roma quelle degli Argei di cui si pensa averne rinvenuto uno sul Colle Oppio durante recenti lavori archeologici.
IL TEMPIO
L'ultima evoluzione fu il tempio, in genere di tipo tuscanico, successivamente con influenze greche. In tal senso molto i romani appresero dagli Etruschi, anche se il pantheon si rifece e ristrutturò nei nomi e nei miti a quello greco.
Questi luoghi sacri pur nascendo in epoche successive non eliminarono le forme più arcaiche, anche se molti luci a Roma vennero eliminati per far posto alla speculazione edile, ma anche al bisogno urgente di urbanizzazione.
Diversi piccoli boschi sacri vennero conservati e curati, sostituendo puntualmente ogni albero morto. Anche il taglio degli alberi, limitato a quello indispensabile per la cura delle piante e non per ricavarne legna, veniva operato dai sacerdoti addetti al lucus.
I profani non avevano adito al lucus se non in feste pubbliche ritualizzate con sacrifici, benedizioni e processioni, in cui si poteva entrare nel bosco, assistere al rito sacro operato sull'altare, e magari portarsi via un ramo di una pianta sacra, perchè ogni albero del bosco era sacro. Ma vi erano anche boschi misti, con diversi alberi o di soli arbusti. Si sa infatti di boschi sacri che erano selve romane di alloro, di mirto, di vimini ecc.
LUCI DI ROMA
Gli antichi scrittori parlano spesso di un bosco alle falde dell'Aventino, al di sotto di una rupe chiamata Saxium. A questo bosco, dotato di grotta e di sorgente, sono collegate molte leggende che si riferiscono a Numa Pompilio e alla ninfa Egeria. Del Saxum parla anche Ovidio in Fasti e dice che di lì Remo osservò i suoi auspicii. Oggi si concorda nel collocare Saxium sull'Aventino, sull'altura di s. Balbina. Presso il Saxsium avea il suo tempio la Bona Dea, chiamata appunto subsasanea anche nella Notitia Regionum, reg. XII. .
Il vicus Aesculeti è stato rivelato dalla scoperta di un'ara quadrata di marmo, rinvenuta in via Arenula, con un'iscrizione, incisa sul piano di lastroni, sopra cui posava l'ara, che si dichiara dedicata dai vicomagistri del victis Aescleti (Aesculeti). Dall'esistenza dell'ara, appartenente probabilmente a qualche sacello, e dell'analogia con altri sacelli che sappiamo circondati da alberi si potrebbe argomentare l'esistenza di un lucus accanto al vicus, anche in tempi storici.
Alcuni facevano derivare Viminalis da una gran selva di vimini che un tempo avrebbe ricoperto il colle Viminale; e Murcia, o Myrtea vallis, verrebbe da un mirteto, che avrebbe dato l'appellativo anche alla Venus Murcia che in quel luogo aveva un celebre sacello; e da un querceto la porta Querquetulana o Querquetulariai, donde pure avrebbe preso nome il monte Celio, chiamato prima Querquetulano. Ancora oggi sul colle esiste la via Querquetulana.
Ma c'è un'epoca protostorica in cui i luci furono l'unica aedes in cui si svolgevano riti e cerimonie, come ci narrano eccellenti studiosi del mondo antico come Robert Graves, Bachofen e Frazer, quando i culti erano soprattutto lunari e i boschi erano i templi notturni delle sacerdotesse.
Negli antichi Lupercali le sacerdotesse vestite unicamente di pelli di lupo, si aggiravano tra le selve ululando e attirando gli uomini per l'accoppiamento che avveniva nelle grotte sacre.
I profani non avevano adito al lucus se non in feste pubbliche ritualizzate con sacrifici, benedizioni e processioni, in cui si poteva entrare nel bosco, assistere al rito sacro operato sull'altare, e magari portarsi via un ramo di una pianta sacra, perchè ogni albero del bosco era sacro. Ma vi erano anche boschi misti, con diversi alberi o di soli arbusti. Si sa infatti di boschi sacri che erano selve romane di alloro, di mirto, di vimini ecc.
LUCI DI ROMA
Gli antichi scrittori parlano spesso di un bosco alle falde dell'Aventino, al di sotto di una rupe chiamata Saxium. A questo bosco, dotato di grotta e di sorgente, sono collegate molte leggende che si riferiscono a Numa Pompilio e alla ninfa Egeria. Del Saxum parla anche Ovidio in Fasti e dice che di lì Remo osservò i suoi auspicii. Oggi si concorda nel collocare Saxium sull'Aventino, sull'altura di s. Balbina. Presso il Saxsium avea il suo tempio la Bona Dea, chiamata appunto subsasanea anche nella Notitia Regionum, reg. XII. .
Il vicus Aesculeti è stato rivelato dalla scoperta di un'ara quadrata di marmo, rinvenuta in via Arenula, con un'iscrizione, incisa sul piano di lastroni, sopra cui posava l'ara, che si dichiara dedicata dai vicomagistri del victis Aescleti (Aesculeti). Dall'esistenza dell'ara, appartenente probabilmente a qualche sacello, e dell'analogia con altri sacelli che sappiamo circondati da alberi si potrebbe argomentare l'esistenza di un lucus accanto al vicus, anche in tempi storici.
Alcuni facevano derivare Viminalis da una gran selva di vimini che un tempo avrebbe ricoperto il colle Viminale; e Murcia, o Myrtea vallis, verrebbe da un mirteto, che avrebbe dato l'appellativo anche alla Venus Murcia che in quel luogo aveva un celebre sacello; e da un querceto la porta Querquetulana o Querquetulariai, donde pure avrebbe preso nome il monte Celio, chiamato prima Querquetulano. Ancora oggi sul colle esiste la via Querquetulana.
Ma c'è un'epoca protostorica in cui i luci furono l'unica aedes in cui si svolgevano riti e cerimonie, come ci narrano eccellenti studiosi del mondo antico come Robert Graves, Bachofen e Frazer, quando i culti erano soprattutto lunari e i boschi erano i templi notturni delle sacerdotesse.
Negli antichi Lupercali le sacerdotesse vestite unicamente di pelli di lupo, si aggiravano tra le selve ululando e attirando gli uomini per l'accoppiamento che avveniva nelle grotte sacre.
Era il culto della Dea Lupa quando le sacerdotesse praticavano la ierodulia, la prostituzione sacra. Da qui il mito della lupa, da qui il nome di lupanare ai postriboli romani, ormai profani.
Nel bosco di Diana le sacerdotesse sembra corressero di notte coi cani al guinzaglio, oppure stendessero altalene cosiddette "lunari" appese tra gli alberi su cui si dondolavano per ottenere una trance profetica. Sembra che in certi mesi le sacerdotesse usassero dei "paraluna", ombrellini che le riparassero dai raggi della luna nefasti in certi mesi dell'anno. I pastori d'Abruzzo d'altronde solevano coprire il capo di notte per non dormire esposti alla luna di Marzo, che si diceva portasse scompenso e addirittura follia.
Ma il bosco forniva pure le foglie d'alloro che le sacerdotesse masticavano per l'ebbrezza profetica, o il finocchio selvatico, o l'alloro stesso, con cui cingevano la fronte, o i rami che si portavano in processione: la quercia per Giove, il mirto e il cipresso per Venere, l'alloro per Apollo, la rosa canina per Diana, l'ulivo per Minerva, l'eliotropio per Helios o Sol, il melograno per Giunone e Proserpina, il pino per Cibele, il rosmarino per Marte, i pampini e il timo per Bacco, ancora il mirto per i matrimoni, la menta e il cipresso per i morti.
I NOMI DEI LUCUS
Gli antichi romani, ritenevano che i boschi fossero abitati soprattutto da ninfe e satiri. Le ninfe erano fanciulle giovani e belle che vivevano in mezzo alla natura, simboli della forza vitale della natura nelle sue manifestazioni più piacevoli e amichevoli verso l’uomo; alcune ninfe erano immortali, altre mortali ma dotate di una vita molto lunga. Eleganti, flessuose, vestite di lunghe tuniche a velo, oppure nude, spesso si divertivano improvvisando danze e giochi, o intrecciando storie d’amore con Dei, satiri e pure uomini.
Furono adorate moltissimo dalla popolazione, ma non in pubblico; si facevano alle ninfe offerte in privato (latte, miele, olio, ghirlande di fiori) per ottenere la loro benevolenza. Si ponevano le offerte su una pietra o dentro un circolo di pietre raccolte nel bosco. Le ninfe avevano il potere di indovinare il futuro, erano ispiratrici, guaritrici, e offrivano protezione alle donne durante il parto. Anche quando i boschi vennero dedicati alle divinità il culto continuò, ma sempre privatamente.
LUCI DELL'ESQUILINO
Varrone:
"In saeris Argeorum scriptum sic est:
Oppius mons princeps Esquilis cis lucim Fagutalem, sinistra quae secundum moerum est.
Oppius mons terticeps, cis lueum Esquilinum, dexterior via in Tabernola est.
Oppius mons quarticeps cis lucum Esquilinum, via dexterior in Figulinis est.
Cespius mons quinticeps cis lucum Foetelium, Esquiliis est.
Cespius mons sexticeps apud aedem -Juonis Lucinae, ubi aeditimus habere-solet".
Dal documento degli Argei, risulta che alla enumerazione di Varrone manca il lucus Esquilinus ed il Poetelius, che forse più non esistevano ai suoi tempi, mentre negli Argei; non si parla del Querquetulano nè del lucus Mephitis, ricordati da Varrone.
Unificando comunque la lista degli Argei e quella di Varrone risultano i luci:
- Fagutale,
- Querquetulano,
- Esquilino,
- Libitinae
sull'Oppio;
- Poetelio, di Mefite e di Giunone Lucina
sul Cispio.
Il documento degli Argei riferisce di una processione che visitava in successione ciascuno dei sacelli. Quindi, siccome la processione veniva dal Celio, il Fagutale, che viene ricordato primo, doveva estendersi in quella parte dell'Oppio più vicina al Celio, ed il bosco di Giunone Lucina, menzionato per ultimo, nell'estremo lembo del Cispio, dove passava la linea di confine tra la seconda regione Esquilina e la terza Collina.
Non si sa con certezza a quale divinità fosse dedicato; un tempo si legò a Veiove, ma Servio (Commentari all'Eneide, II, 760) cita l'annalista del I secolo a.c. Lucio Calpurnio Pisone, che chiama Lucoris la divinità di questo particolare lucus, ma forse un appellativo generico alla divinità del bosco.
Van Berchem ha messo in luce una forma di asylia arcaica nel santuario aventinense, che rientra bene in un contesto che risale secondo la tradizione al VI secolo, che è estranea al diritto romano che ha cercato in genere di limitare il più possibile i luoghi di rifugio garantiti dalla religione. Il caso più interessante è l’asilo sul Campidoglio.
Esso era definito normalmente inter duos lucos e talora anch’esso lucus. Era un luogo recintato (locus saeptus, temenos) collocato presso la porta Pandana, cioè la “porta aperta”, sita presso i1 tempio di Saturno. Quest’ultimo dava sul Foro romano ma era considerato quasi come alla porta del Campidoglio, le fautes Capitola. Si discuteva molto fra gli eruditi e gli storici antichi su quale fosse la divinità dell’asilo e sull’etimo della porta Pandana.
Servio (ad Aen., II, 1 16) stabilisce un collegamento tra il Campidoglio ed il bosco di Diana ad Alicia. Esso è offerto dalla pretesa traslazione delle ossa di Oreste che sarebbero state collocate sotto il tempio di Saturno. Si può affermare che la presenza delle ossa a Roma alle fauces Capitola ha un senso nel quadro della città sabina: ai Sabini com’è noto si attribuiva un’origine spartana ed Oreste era eroe spartano.
La localizzazione del mito sotto il tempio di Saturno può essere in rapporto col fatto che a questo tempio si attribuiva un’origine remota, anteriore alla fondazione della città. Sembra quasi d’intravvedere un filo che collega la riunione degli elementi marginali che formano la città romana tra i boschi capitolini e le riunioni dei Latini che costituiscono il nomen Latinum.
hic ubi nocturnae Numa constituebat amicae /
nunc sacri fontis nemus et delubra locantur li Judaeis"
e poi:
"in vallem Egeriae descehdimus et speluncas /
dissimiles veri.."
Se dunque dal lucus Camenarum per venire alla valle di Egeria si discende, i due luoghi dovevano essere diversi e situati uno dopo l'altro. Le scoperte avvenute in vari tempi confermano questa distinzione. Il ninfeo delle Camene fu infatti riconosciuto negli avanzi di un antico edificio scoperto a pochi passi fuori porta Capena nel 1558; e Pirro Ligorio che lo vide, lo descrive, ne dà la pianta e riporta le iscrizioni che vi furono trovate, dalle quali risulterebbe che il ninfeo venne costruito da un collegio di magistri et ministris Foniis.
Le iscrizioni sono di dubbia autenticità, ma non vi è ragione per dubitare della scoperta del ninfeo, le cui acque furono ritrovate nel 1700, perché Alberto Cassio nei suoi due volumi sul Corso delle Acque narra della scoperta di una sorgente di acqua purissima e fresca nel medesimo sito di quella descritta da Pirro Ligorio.
Ancora si possono vedere le acque, che appaiono oggi nell'orto inferiore della villa Mattei, e precisamente nel ninfeo-bagno all'angolo di via s. Sebastiano e via delle Mole di s. Sisto. Ivi pure, quindi, si deve collocare il boschetto sacro, celebre per i notturni convegni di Numa con la ninfa Egeria.
Veniva dopo il Querquetulano, e nel documento degli Argei determina la posizione del III e del IV sacello. Forse nel tempo cui si riferisce il documento, si estendeva dalle vicinanze del bosco Querquetulano sino alla porta Esquilina, occupando la parte orientale del colle, dove ora passa la via delle Sette Sale.
Ad uno di questi sacelli deve appartenere l'iscrizione di via delle Sette Sale, posta a ricordo dei Magistri e Flamines montanorum montis Oppi per aver chiuso il sacello con un muro, piantandovi alberi attorno, a ricordo dell'antico boschetto sacro.
LUCUS FAGUTALIS - Bosco di faggi -
Posto nella parte dell'Oppio che guarda il Celio. Infatti Solino riferisce che la casa di Tarquinio il Superbo sorgeva presso il lucus Fagutalis, situato, a sua volta, vicino al clivus Pullius. Da quest'ultimo nome, pur trasformato, deriva quello di una chiesa medievale, s. Griovanai in Grapullo che sorgeva nei pressi della basilica di s. Pietro in Vincoli, ove erano locati sia il clivus Pullius che il locus Fagutalis che gli era attiguo.
Del lucus Furinae si sa che Caio Gracco, fuggendo dai suoi avversari che, dopo aver occupato l'Aventino, lo inseguivano, cercò di riparare in Trastevere, traversando il ponte Sublicio; del quale intanto i pochi rimasti fedeli al tribuno tentarono impedire l'accesso ai partigiani del console Opimio, fino a che, sopraffatti dal numero, caddero uccisi.
Fu, perciò, il tribuno raggiunto nel lucus Farinae, fu qui trucidato. Da questo racconto si deduce che il lucus Furinae era situato in Trastevere, non lontano dal ponte Sublicio, dietro l'odierno ospedale di s. Gallicano. Nel lucus si celebravano feste in onore della Dea, che si trovano segnate nei calendari al giorno 25 luglio col nome di Furrinalia o Furrinales ferine. Ma presto devono esser cadute in disuso, affermando Varrone che già ai suoi tempi pochi ne conoscevano il nome.
Pontifices illuc nunc quoque sacra ferunt"
e
"Tunc quoque vicini lucus celehratur Helerni /
Qua petit aequoreas advena Tybris aquas"
La maggior parte dei topografi, fondandosi sul "qua petit aequoreas", collocano il bosco alla foce del Tevere. Ma è possibile che il verso non indichi il gettarsi delle acque del fiume nel mare, ma il loro procedere verso il mare, per cui non si alluda alla foce, ma ad un sito qualunque nelle vicinanze del Tevere.
E poichè nel bosco venivano celebrate due feste l'anno, è probabile che esso fosse situato molto distante da Roma, anzi rende probabile fosse nei pressi della città. La tradizione narra che Romolo non permise che l' Aventino fosse abitato, perchè lo volle sacro alla memoria del fratello Remo, usque ad Hilernam, ma in parecchi manoscritti si legge asyli od averni invece di Helerni.
Per cui l'ubicazione sulle rive del Tevere presso l'Aventino non è certa. Ancora ai tempi di Ovidio si celebravano nel lucus le feste in onore della Dea Carnea il 1° giugno, e feste a Giunone il 1° febbraio di ogni anno. Secondo Svetonio il lucus era nel Campus tiberinus che stava accanto al Campo Marzio. Helerno era comunque un'antica divinità di cui nulla si sa se non che veniva festeggiato il I di febbraio, come spiega Ovidio nei Fasti.
LUCUS JUNONIS LUCINAE
Di nessun altro bosco come di questo si è in grado di meglio fissare la posizione, conoscendo con certezza quella del tempio di Giunone Lucina, e del sesto sacello degli Argei che presso il bosco era situato.
Per cui tanto il sacello quanto il bosco erano da ricercare all'estremità del Cispio. Il tutto confermato dalla scoperta, avvenuta nel 1888, di uno dei sacelli compitalici eretti da Augusto nel luogo dove sorgevano gli antichi sacrari degli Argei, rispettando per quanto era possibile la precedente costruzione e giacente dietro l'abside della chiesa di san Martino ai Monti. Qui, dunque, si deve collocare il sacro boschetto di Lucina, nel quale si sarebbe fatta udire la voce che prescrisse alle sterili Sabine di farsi colpire dai Luperci per diventare feconde.
Perciò la tradizione attribuiva la dedicazione del tempio alle matrone, e se ne celebrava la ricorrenza alle none di marzo. Del progressivo sparire del lucus si lamenta Varrone incolpando l'avidità dei privati, che invadevano con le costruzioni i confini del lucus, dal che si deduce che il muro, di cui parla nell'iscrizione dovesse proteggere il bosco dalle continue usurpazioni.
LUCUS LARUM QUERQUETULANUM
Situato subito dopo il Fagutale, anche se il nome di Querquetulano, che un tempo, secondo Tacito, si dava al monte Celio, indurrebbe a collocarlo qui. Ma sul monte Oppio, come sul Celio, poteva ben esserci un bosco di quercia. Secondo alcuni era dedicato ai Lari, e dal nome appare probabile.
Se poi questi alberi riuscirono a conservarsi fino ai tempi di Augusto, a maggior ragione saranno stati rispettati nei secoli successivi, quando l'alloro divenne l'albero prediletto della famiglia Giulia, e poi, per imitazione, anche dei successivi imperatori.
La Dea Marica è una divinità italica, una Grande Madre, dell'acqua e delle paludi, signora degli animali, protettrice di neonati e bambini e Dea della fecondità. Ricorda Diana, la triplice Dea della vita, della crescita e della morte. Il suo nome deriva probabilmente dalla base mediterranea "mara" che significa "palude".
Nella fase primitiva c'era solo un lucus, privo di tempio, probabilmente con un altare graminaceo degli inizi del VII sec.a.c.. Seguirono poi i templi in muratura. Un santuario dedicato alla ninfa Marìca stava sulla sponda del fiume Garigliano in prossimità della città romana di Minturnae, sulla costa meridionale del Lazio.
LUCUS MEPHITIS
Il Lucus Larum Querquetulanum, che, dato il nome, doveva essere caratterizzato dall'abbondanza di querce. Secondo per ampiezza solo al Lucus Fagutalis.
Quindi il lucus si deve collocare immediatamente al di sotto del colle, sulla riva sinistra del Tevere. Se poi il propinqua significasse non una contiguità, ma una vicinanza, si potrebbe situare il lucus anche sulla riva destra del fiume, ma in luogo non troppo distante dall'Aventino e quindi, sempre nelle adiacenze di Ripa Grande, dalla parte ove ora sorge l'Ospizio di S. Michele.
Sorgeva dove le Carine confluivano nella via Ceriolense, in quella specie di rialzo che trovasi di fronte alle terme di Tito. del lucus Strenuae, non lungi dall'anfiteatro Flavio. Il lucus Strenuae compare nelle più antiche tradizioni romane, come spiega Simmaco, il quale a Tito Tazio fa risalire l'uso di prendere dal boschetto di Strenua i rami di un albero felice come simbolo di augurio per il nuovo anno, usanza ancora vigente ai suoi tempi.
LUCUS VESTAE
Connesso con un boschetto sacro, in qualità di culto antichissimo. il Lucus Vestae: così si chiamava il bosco sacro dedicato a Vesta presso la casa delle Vestali, sulla Via Nova, sotto la pendice del Palatino; e dal quale, come racconta Cicerone, la voce del Dio Aius Locutius si sarebbe fatta sentire annunciando l'invasione del Galli del 390 a.e.v..
BIBLIO
- AA.VV. - Les bois sacrés - Actes du Colloque International, du Centre J. Bérard - Napoli - 1993 -
- Servio - Ad Aeneidem -
Nel bosco di Diana le sacerdotesse sembra corressero di notte coi cani al guinzaglio, oppure stendessero altalene cosiddette "lunari" appese tra gli alberi su cui si dondolavano per ottenere una trance profetica. Sembra che in certi mesi le sacerdotesse usassero dei "paraluna", ombrellini che le riparassero dai raggi della luna nefasti in certi mesi dell'anno. I pastori d'Abruzzo d'altronde solevano coprire il capo di notte per non dormire esposti alla luna di Marzo, che si diceva portasse scompenso e addirittura follia.
Ma il bosco forniva pure le foglie d'alloro che le sacerdotesse masticavano per l'ebbrezza profetica, o il finocchio selvatico, o l'alloro stesso, con cui cingevano la fronte, o i rami che si portavano in processione: la quercia per Giove, il mirto e il cipresso per Venere, l'alloro per Apollo, la rosa canina per Diana, l'ulivo per Minerva, l'eliotropio per Helios o Sol, il melograno per Giunone e Proserpina, il pino per Cibele, il rosmarino per Marte, i pampini e il timo per Bacco, ancora il mirto per i matrimoni, la menta e il cipresso per i morti.
I NOMI DEI LUCUS
Gli antichi romani, ritenevano che i boschi fossero abitati soprattutto da ninfe e satiri. Le ninfe erano fanciulle giovani e belle che vivevano in mezzo alla natura, simboli della forza vitale della natura nelle sue manifestazioni più piacevoli e amichevoli verso l’uomo; alcune ninfe erano immortali, altre mortali ma dotate di una vita molto lunga. Eleganti, flessuose, vestite di lunghe tuniche a velo, oppure nude, spesso si divertivano improvvisando danze e giochi, o intrecciando storie d’amore con Dei, satiri e pure uomini.
Furono adorate moltissimo dalla popolazione, ma non in pubblico; si facevano alle ninfe offerte in privato (latte, miele, olio, ghirlande di fiori) per ottenere la loro benevolenza. Si ponevano le offerte su una pietra o dentro un circolo di pietre raccolte nel bosco. Le ninfe avevano il potere di indovinare il futuro, erano ispiratrici, guaritrici, e offrivano protezione alle donne durante il parto. Anche quando i boschi vennero dedicati alle divinità il culto continuò, ma sempre privatamente.
LUCI DELL'ESQUILINO
Varrone:
"In saeris Argeorum scriptum sic est:
Oppius mons princeps Esquilis cis lucim Fagutalem, sinistra quae secundum moerum est.
Oppius mons terticeps, cis lueum Esquilinum, dexterior via in Tabernola est.
Oppius mons quarticeps cis lucum Esquilinum, via dexterior in Figulinis est.
Cespius mons quinticeps cis lucum Foetelium, Esquiliis est.
Cespius mons sexticeps apud aedem -Juonis Lucinae, ubi aeditimus habere-solet".
Dal documento degli Argei, risulta che alla enumerazione di Varrone manca il lucus Esquilinus ed il Poetelius, che forse più non esistevano ai suoi tempi, mentre negli Argei; non si parla del Querquetulano nè del lucus Mephitis, ricordati da Varrone.
Unificando comunque la lista degli Argei e quella di Varrone risultano i luci:
- Fagutale,
- Querquetulano,
- Esquilino,
- Libitinae
sull'Oppio;
- Poetelio, di Mefite e di Giunone Lucina
sul Cispio.
Il documento degli Argei riferisce di una processione che visitava in successione ciascuno dei sacelli. Quindi, siccome la processione veniva dal Celio, il Fagutale, che viene ricordato primo, doveva estendersi in quella parte dell'Oppio più vicina al Celio, ed il bosco di Giunone Lucina, menzionato per ultimo, nell'estremo lembo del Cispio, dove passava la linea di confine tra la seconda regione Esquilina e la terza Collina.
ELENCO ALFABETICO
LUCUS ALBIONARUM
Lucus Albionarum: lo menziona soltanto Festo, sostenendo che il nome deriva dal colore bianco (albus) delle vittime sacrificali: "Albiona ager trans Tiberim dicitur a luco Albionarum, quo luco Dea Alba sacrificabatur" Erroneamente Cicerone identifica la Furina con le Furie della mitologia greca.
LUCUS ANNAE PERENNAE
Lucus Annae Perennae: situato lungo la via Flaminia e dedicato alla Dea che presiedeva ad una festa del mese di marzo, legata al cambio di anno e che prevedeva danze e bevute. Nel 1999 è stata scoperta la fonte di Anna Perenna, identificata grazie ai reperti, soprattutto defixiones cioè tavolette di piombo con maledizioni incise, oggi al Museo Nazionale delle terme di Diocleziano. La scoperta della fonte ha permesso di localizzare con precisione il relativo bosco (che Marziale e Ovidio, definiscono anche nemus).
Anna Perenna sembra fosse venerata in più luoghi, sulle rive del fiume Numicio, nelle vicinanze di Boville, e a Roma dove sulla via Flaminia ad un miglio dalla città era consacrato un bosco alla Dea, come si deduce dal calendario Vaticano che segna le feste che ivi si celebravano alle idi di marzo.
A questa località si riferiscono i versi di Marziale e di Ovidio, il nemus Annae Perennae in cui si recavano i Romani per augurarsi reciprocamente i numi favorevoli nel nuovo anno, onde la voce annare, perennare per indicare questi auguri. Ora, siccome il primo miglio della via Flaminia cade o dentro la piazza del Popolo, o subito dopo l'odierna porta del Popolo, qui si deve collocare il bosco.
LUCUS ASYLI
Lucus Asyli: forse il più celebre dopo quello dei Fratelli Arvali, essendo connesso con le leggende riguardanti il fondatore e le origini di Roma.
Molti degli antichi scrittori affermano che Romolo per aumentare la popolazione della città da lui fondata, aprì un luogo di rifugio nell'area tra le due cime del Campidoglio, dove riparassero gli esiliati dai luoghi vicini, liberi o schiavi.
Questo spazio è da essi indicato con la frase inter duos lucus, denominazione confermata anche dai Fasti Prenestini. T. Livio aggiunge che ai suoi tempi l'area inter duos lucos era chiusa:
« locus qui nunc saeptus descendentibus »; ed Ovidio attribuisce a Romolo il muro di cinta che la chiudeva.
Lo nominano, tra gli altri, Livio, Tacito, Floro, Ovidio, Strabone. Plutarco. Dione Cassio, e Virgilio anche se quest'ultimo lo colloca presso il Lupercale. come bosco o talvolta come spazio tra i boschi, in cui era possibile ottenere il diritto d'asilo: l'area sarebbe stata creata da Romolo per radunare un certo numero di schiavi, esiliati o emigranti dalle città vicine e accrescere la popolazione della nuova città che aveva appena fondato.
Se Tito Livio, così celebrativo dell'urbe, non ha ripudiato una leggenda così poco onorifica per i Romani, che li faceva discendere da ladri e banditi, significa che fosse già popolare e riconosciuta. Secondo lo storico Lucio Calpurnio Pisone, l'Asilo era posto sotto la protezione del Dio Lucoris, nome evidentemente foggiato sulla parola lucus, ad indicare il Dio del bosco, come da silva derivò Silvanus, Dio della selva. Sembra che fosse locato nell'odierna piazza del Campidoglio.
Van Berchem ha messo in luce una forma di asylia arcaica nel santuario aventinense, che rientra bene in un contesto che risale secondo la tradizione al VI secolo, che è estranea al diritto romano che ha cercato in genere di limitare il più possibile i luoghi di rifugio garantiti dalla religione. Il caso più interessante è l’asilo sul Campidoglio.
Esso era definito normalmente inter duos lucos e talora anch’esso lucus. Era un luogo recintato (locus saeptus, temenos) collocato presso la porta Pandana, cioè la “porta aperta”, sita presso i1 tempio di Saturno. Quest’ultimo dava sul Foro romano ma era considerato quasi come alla porta del Campidoglio, le fautes Capitola. Si discuteva molto fra gli eruditi e gli storici antichi su quale fosse la divinità dell’asilo e sull’etimo della porta Pandana.
Servio (ad Aen., II, 1 16) stabilisce un collegamento tra il Campidoglio ed il bosco di Diana ad Alicia. Esso è offerto dalla pretesa traslazione delle ossa di Oreste che sarebbero state collocate sotto il tempio di Saturno. Si può affermare che la presenza delle ossa a Roma alle fauces Capitola ha un senso nel quadro della città sabina: ai Sabini com’è noto si attribuiva un’origine spartana ed Oreste era eroe spartano.
La localizzazione del mito sotto il tempio di Saturno può essere in rapporto col fatto che a questo tempio si attribuiva un’origine remota, anteriore alla fondazione della città. Sembra quasi d’intravvedere un filo che collega la riunione degli elementi marginali che formano la città romana tra i boschi capitolini e le riunioni dei Latini che costituiscono il nomen Latinum.
LUCUS BELLONAE
Lucus Bellonae: dedicato appunto a Bellona, sorgeva presso il suo tempio al Circo Flaminio, costruito nel V secolo.
Il suo tempio è citato in tre iscrizioni (CIL VI.490, 2232, 2233; DE I.175), della Dea cappadoce Ma‑Bellona, il cui culto. molto diffuso nell'Asia Minore. avrebbe soppiantato quello del latino Bellona dopo le guerre contro Mitridate.
Questo tempio munito di lucus probabilmente non fu costruito prima del III secolo e il suo sito è sconosciuto.
Tre templi pare sorgessero in Roma dedicati a questa divinità antichissima, più tardi identificata con la Dea Lunare, culto , con il suo centro in Cappadocia, e introdotto in Roma
Verso quest'epoca, quando era già avvenuta tale identificazione, fu innalzato l'ultimo dei tre templi presso il pulvinare del Circo Flaminio, donde il nome di Pulvinensis dato a Bellona nelle iscrizioni del tempio.
Verso quest'epoca, quando era già avvenuta tale identificazione, fu innalzato l'ultimo dei tre templi presso il pulvinare del Circo Flaminio, donde il nome di Pulvinensis dato a Bellona nelle iscrizioni del tempio.
Il lucus Bellonae si può collocare oggi tra il palazzo Caetani, il palazzo Mattei, ed il palazzo Moroni o Guglielmi; forse nell'odierna piazza Paganica.
LUCUS CAMENARUN
Lucus Camenarum: situato vicino al Lucus dedicato ad Egeria, la ninfa che secondo il mito ispirò a Numa le sue leggi, ospitava anch'esso un ninfeo riscoperto nel XVI secolo. Si confonde generalmente col lucus Egeriae, come si confondono le due sorgenti ed i due ninfei.
Ma, quantunque situati a breve distanza, bisogna distinguere il lucus, la sorgente ed il ninfeo delle Camene, da quelli di Egeria. Giovenale:
"subistitit ad veteres arcus madidamque Capenam / hic ubi nocturnae Numa constituebat amicae /
nunc sacri fontis nemus et delubra locantur li Judaeis"
e poi:
"in vallem Egeriae descehdimus et speluncas /
dissimiles veri.."
Se dunque dal lucus Camenarum per venire alla valle di Egeria si discende, i due luoghi dovevano essere diversi e situati uno dopo l'altro. Le scoperte avvenute in vari tempi confermano questa distinzione. Il ninfeo delle Camene fu infatti riconosciuto negli avanzi di un antico edificio scoperto a pochi passi fuori porta Capena nel 1558; e Pirro Ligorio che lo vide, lo descrive, ne dà la pianta e riporta le iscrizioni che vi furono trovate, dalle quali risulterebbe che il ninfeo venne costruito da un collegio di magistri et ministris Foniis.
Le iscrizioni sono di dubbia autenticità, ma non vi è ragione per dubitare della scoperta del ninfeo, le cui acque furono ritrovate nel 1700, perché Alberto Cassio nei suoi due volumi sul Corso delle Acque narra della scoperta di una sorgente di acqua purissima e fresca nel medesimo sito di quella descritta da Pirro Ligorio.
Molto tempo dopo nello stesso luogo si trovarono alcuni avanzi di camere che forse appartenevano al ninfeo. In quei pressi, dunque, si deve collocare il ninfeo e il suo lucus, del quale parlano anche Livio e Plutarco, riportando la tradizione che sia stato dedicato alle Camene dal re Numa Pompilio.
Esso è ricordato pure da Vitruvio, da Frontino e da Simmaco, il quale anzi ne parla come di ancora esistente ai suoi tempi. Nel già citato passo, Giovenale si lamenta che il lucus fosse stato concesso in affitto agli ebrei, i quali forse vi avranno esercitato l'industria di vendere l'acqua del ninfeo, ritenuta salutare dal popolo.
Esso è ricordato pure da Vitruvio, da Frontino e da Simmaco, il quale anzi ne parla come di ancora esistente ai suoi tempi. Nel già citato passo, Giovenale si lamenta che il lucus fosse stato concesso in affitto agli ebrei, i quali forse vi avranno esercitato l'industria di vendere l'acqua del ninfeo, ritenuta salutare dal popolo.
LUCUS DEA DIAE
Lucus Deae Diae: il bosco sacro della Dea Dia, collocato poco fuori dalle mura, lungo la via Campana, era il luogo di riunione dei collegio dei Fratelli Arvali. E' stato oggetto di scavi che hanno portato alla luce statue e iscrizioni, per cui conosciamo anche le regole sacre che ne regolamentavano l'utilizzo: era vietato tagliare gli alberi, raccogliere i rami caduti, portare nel bosco arnesi di ferro.
Come in tutte le prescrizioni relative alla religione dei romani, i divieti non erano assoluti, ma se erano infranti, si ripagava la divinità con sacrifici prima e dopo l'atto che richiedeva l'infrazione.
Nella concezione giuridica che i Romani avevano del rapporto con gli Dei, equivale ad un risarcimento per la rottura di un precedente contratto. Stara-Tedde e Gianbattista De Rossi, autore di Roma sotterranea cristiana, sostengono che gli alberi furono abbattuti in seguito agli editti antipagani del IV secolo (mentre gli edifici dei Fratelli Arvali sarebbero stati lasciati andare in rovina).
Il più celebre lucus, di cui si conoscono le leggi che regolavano questo lucus ma anche tutti gli altri, grazie alla importantissima scoperta degli Atti dei Fratelli Arvali, collegio sacerdotale di antichissima origine, che appunto nel lucus Deae Diae si radunava per compiervi riti e cerimonie religiose.
Il lucus era situato sulla via Campana al quinto miglio da Roma. Nelle tavole arvaliche, oggi al Museo Nazionale delle Terme, si legge:
"fratres Arval{es) in luco Deae Diae via Campana apud lap{idem) quintum conv{enerunt)"
Il posto preciso è nella vigna posseduta dai sigg. Chiovenda, già Ceccarelli, dove, fin dal secolo XVI tornarono in luce le basi delle statue dedicate agli imperatori nella loro qualità di fratelli Arvali, insieme a parecchi frammenti degli atti incisi in marmo.
Nel medesimo sito, essendosi negli anni 1867-69 praticati scavi a cura dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, furono rinvenuti altri numerosi frammenti degli atti nonchè i resti degli antichi arvalici edifici. Il bosco si trovava in cima alla collina, come si legge dagli atti, dove è specificato che i sacerdoti "lucum Deae Diae summoto ascenderunt".
Come tutti i boschi sacri, il bosco degli Arvali era rigorosamente inviolabile: non se ne potevano abbattere gli alberi e neanche raccogliere i rami caduti. Anzi era vietato di portare nel bosco arnesi di ferro. E quando ciò era necessario per incidere tavole marmoree, restaurare edifìci, o altro, si doveva prima e dopo il lavoro offrire un sacrificio espiatorio.
Il lucus, benché negli ultimi tempi avesse perduto importanza, durò fino al 382, nel quale anno i Cristiani, in forza della costituzione di Graziano che interdiceva il culto pagano, ne poterono abbattere gli alberi, ma non gli edifici, crollati posteriormente, perchè la parte magico religiosa si sapeva legata essenzialmente agli alberi. In realtà il culto degli arvali era legato ai Sacri Misteri, infatti nulla dei loro riti è trapelato.
Il lucus era situato sulla via Campana al quinto miglio da Roma. Nelle tavole arvaliche, oggi al Museo Nazionale delle Terme, si legge:
"fratres Arval{es) in luco Deae Diae via Campana apud lap{idem) quintum conv{enerunt)"
Il posto preciso è nella vigna posseduta dai sigg. Chiovenda, già Ceccarelli, dove, fin dal secolo XVI tornarono in luce le basi delle statue dedicate agli imperatori nella loro qualità di fratelli Arvali, insieme a parecchi frammenti degli atti incisi in marmo.
Nel medesimo sito, essendosi negli anni 1867-69 praticati scavi a cura dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, furono rinvenuti altri numerosi frammenti degli atti nonchè i resti degli antichi arvalici edifici. Il bosco si trovava in cima alla collina, come si legge dagli atti, dove è specificato che i sacerdoti "lucum Deae Diae summoto ascenderunt".
Come tutti i boschi sacri, il bosco degli Arvali era rigorosamente inviolabile: non se ne potevano abbattere gli alberi e neanche raccogliere i rami caduti. Anzi era vietato di portare nel bosco arnesi di ferro. E quando ciò era necessario per incidere tavole marmoree, restaurare edifìci, o altro, si doveva prima e dopo il lavoro offrire un sacrificio espiatorio.
Il lucus, benché negli ultimi tempi avesse perduto importanza, durò fino al 382, nel quale anno i Cristiani, in forza della costituzione di Graziano che interdiceva il culto pagano, ne poterono abbattere gli alberi, ma non gli edifici, crollati posteriormente, perchè la parte magico religiosa si sapeva legata essenzialmente agli alberi. In realtà il culto degli arvali era legato ai Sacri Misteri, infatti nulla dei loro riti è trapelato.
LUCUS DEAE SATRIANE
È ricordato nella seguente brevissima iscrizione: Lucus Sacer Deae Satrianae, rinvenuta nel XVI sec. presso San Pietro e oggi perduta, o venduta a chissà chi. Si presume fosse una divinità della gens Satria.
È ricordato nella seguente brevissima iscrizione: Lucus Sacer Deae Satrianae, rinvenuta nel XVI sec. presso San Pietro e oggi perduta, o venduta a chissà chi. Si presume fosse una divinità della gens Satria.
LUCUS EGERIAE
Era situato nella vallis Egeriae, che si stendeva da est ad ovest tra la falda meridionale del Celio e la settentrionale del colle oggi chiamato Monte d'Oro, dall'odierna villa Mattei, lungo la via delle Mole di s. Sisto e della Ferratella. Il lucus ed il ninfeo di Egeria si devono distinguere dal lucus e dal ninfeo delle Camene. Il ninfeo di Egeria stava infatti nella parte inferiore della villa Fonseoa e restò visibile fino alla distruzione di questa villa.
Era situato nella vallis Egeriae, che si stendeva da est ad ovest tra la falda meridionale del Celio e la settentrionale del colle oggi chiamato Monte d'Oro, dall'odierna villa Mattei, lungo la via delle Mole di s. Sisto e della Ferratella. Il lucus ed il ninfeo di Egeria si devono distinguere dal lucus e dal ninfeo delle Camene. Il ninfeo di Egeria stava infatti nella parte inferiore della villa Fonseoa e restò visibile fino alla distruzione di questa villa.
Ancora si possono vedere le acque, che appaiono oggi nell'orto inferiore della villa Mattei, e precisamente nel ninfeo-bagno all'angolo di via s. Sebastiano e via delle Mole di s. Sisto. Ivi pure, quindi, si deve collocare il boschetto sacro, celebre per i notturni convegni di Numa con la ninfa Egeria.
Giovenale si lagna che alla grotta naturale posta in mezzo al bosco, avessero sostituito un brutto ninfeo artificiale. La grotta ed il lucus di Egeria di Roma sono una evidente duplicazione, o meglio imitazione di quelli non meno celebri di Aricia, da cui il culto di Egeria è emigrato in Roma.
LUCUS ESQUILINUS
Lucus Esquilinus, forse un bosco di frassini, che probabilmente nelle epoche successive fu notevolmente ridotto, tanto che da altri passi di Varrone sembra non esistere più come bosco nella sua epoca. Rimanevano probabilmente gli alberi attorno agli altari dei Lares compitales, rinnovati in epoca augustea.
Veniva dopo il Querquetulano, e nel documento degli Argei determina la posizione del III e del IV sacello. Forse nel tempo cui si riferisce il documento, si estendeva dalle vicinanze del bosco Querquetulano sino alla porta Esquilina, occupando la parte orientale del colle, dove ora passa la via delle Sette Sale.
Ma ben presto dovette perdere la sua continuità e restringere di molto i suoi confini, giacché non ne parla Varrone. Si dovettero, però conservare con ogni cura gli alberi attorno ai sacelli degli Argei, sacelli che, rinnovati da Augusto e dedicati ai Lares eompiiales, si mantennero a lungo.
Ad uno di questi sacelli deve appartenere l'iscrizione di via delle Sette Sale, posta a ricordo dei Magistri e Flamines montanorum montis Oppi per aver chiuso il sacello con un muro, piantandovi alberi attorno, a ricordo dell'antico boschetto sacro.
Come i faggi per il Fagutale e le querce per il Querquetulano, si pensò che l'etimologia dell'esquilino derivasse da Esquiliae, cioè dagli eschi (frassino), oppure la parola exquilinus è un contrapposto di inquilinus.
Posto nella parte dell'Oppio che guarda il Celio. Infatti Solino riferisce che la casa di Tarquinio il Superbo sorgeva presso il lucus Fagutalis, situato, a sua volta, vicino al clivus Pullius. Da quest'ultimo nome, pur trasformato, deriva quello di una chiesa medievale, s. Griovanai in Grapullo che sorgeva nei pressi della basilica di s. Pietro in Vincoli, ove erano locati sia il clivus Pullius che il locus Fagutalis che gli era attiguo.
Nel boschetto c'era un santuario di Giove Fagutalis, come si apprende dallo Varrone, da Pesto e da Plinio, che ne parla come esistente ai suoi tempi, mentre Pesto lo colloca fra i luoghi nei quali si celebravano i sacrifici nella solennità del Settimonzio. Il Giove Pagutale era un dio profetico che richiama lo Zeus di Dodona, che dava responsi attraverso lo stormire degli alberi del lucus, e il Faunus latino, divinità silvestre.
LUCUS FERONIAE
Lucus Feroniae in Campo: annesso al tempio di Feronia in Campo (secondo gli annali dei fratelli Arvali, avrebbe avuto la sua ricorrenza il 14 novembre). Da un titoletto di colombario recentemente scoperto tra la via Salaria e la Pinciana, appartenente ad un Epigono Volusiano « operi(s) exactori ab luco Feroniae » si ricava l'esistenza di un bosco sacro finora sconosciuto.
Non si tratta del famoso Incus Feroniae dei Capenati, troppo distante da Roma, ma di un Incus annesso al sacellum Feroniae in Campo, sacello la cui esistenza è provata dall'Emerologio Arvalico, che ne segna la festa per il giorno 14 novembre.
LUCUS FURRINAE
Lucus Furrinae o Furinae: bosco sacro a Furrina, la Dea delle acque sotterranee la cui festività era celebrata il 25 luglio, appena quattro giorni dopo i Lucaria, la festività dei boschi sacri. La Dea Furina (o Furrina), fu una delle più antiche divinità romane, come si comprende da Varrone che menziona il flamine della Dea Furina insieme ad altri flamini antichissimi, quali il Palatualis ed il Vulturnalis.
Del lucus Furinae si sa che Caio Gracco, fuggendo dai suoi avversari che, dopo aver occupato l'Aventino, lo inseguivano, cercò di riparare in Trastevere, traversando il ponte Sublicio; del quale intanto i pochi rimasti fedeli al tribuno tentarono impedire l'accesso ai partigiani del console Opimio, fino a che, sopraffatti dal numero, caddero uccisi.
Fu, perciò, il tribuno raggiunto nel lucus Farinae, fu qui trucidato. Da questo racconto si deduce che il lucus Furinae era situato in Trastevere, non lontano dal ponte Sublicio, dietro l'odierno ospedale di s. Gallicano. Nel lucus si celebravano feste in onore della Dea, che si trovano segnate nei calendari al giorno 25 luglio col nome di Furrinalia o Furrinales ferine. Ma presto devono esser cadute in disuso, affermando Varrone che già ai suoi tempi pochi ne conoscevano il nome.
LUCUS HELERNI
Lucus Helerni: lo nomina Ovidio, come luogo delle celebrazioni in onore di Carna il primo di giugno e di Giunone il primo febbraio. Helena sembra fosse in origine una divinità lunare. È ricordato nei due passi seguenti:
"Adiacet antiquus Tiberino lucus Helerni / Pontifices illuc nunc quoque sacra ferunt"
e
"Tunc quoque vicini lucus celehratur Helerni /
Qua petit aequoreas advena Tybris aquas"
La maggior parte dei topografi, fondandosi sul "qua petit aequoreas", collocano il bosco alla foce del Tevere. Ma è possibile che il verso non indichi il gettarsi delle acque del fiume nel mare, ma il loro procedere verso il mare, per cui non si alluda alla foce, ma ad un sito qualunque nelle vicinanze del Tevere.
E poichè nel bosco venivano celebrate due feste l'anno, è probabile che esso fosse situato molto distante da Roma, anzi rende probabile fosse nei pressi della città. La tradizione narra che Romolo non permise che l' Aventino fosse abitato, perchè lo volle sacro alla memoria del fratello Remo, usque ad Hilernam, ma in parecchi manoscritti si legge asyli od averni invece di Helerni.
Per cui l'ubicazione sulle rive del Tevere presso l'Aventino non è certa. Ancora ai tempi di Ovidio si celebravano nel lucus le feste in onore della Dea Carnea il 1° giugno, e feste a Giunone il 1° febbraio di ogni anno. Secondo Svetonio il lucus era nel Campus tiberinus che stava accanto al Campo Marzio. Helerno era comunque un'antica divinità di cui nulla si sa se non che veniva festeggiato il I di febbraio, come spiega Ovidio nei Fasti.
Di nessun altro bosco come di questo si è in grado di meglio fissare la posizione, conoscendo con certezza quella del tempio di Giunone Lucina, e del sesto sacello degli Argei che presso il bosco era situato.
Sorgeva il tempio sull'estremo lembo del Cispio, nel versante che guarda il vico Patricio, tra le moderne vie in Selci ed Urbana, dove via Cavour si dirama in via G. Lanza, e dove infatti fu scoperta nel 1770 un'iscrizione appartenente al tempio di Lucina, ritrovata all'estremo confine dell'Oppio, ma a così breve distanza dal Cispio, da pensare che fosse caduta dall'alto di qualche parete, o spostata dal luogo d'origine. Lì vicino si collocavano sia l'Incus che il sesto sacello degli Argei.
Per cui tanto il sacello quanto il bosco erano da ricercare all'estremità del Cispio. Il tutto confermato dalla scoperta, avvenuta nel 1888, di uno dei sacelli compitalici eretti da Augusto nel luogo dove sorgevano gli antichi sacrari degli Argei, rispettando per quanto era possibile la precedente costruzione e giacente dietro l'abside della chiesa di san Martino ai Monti. Qui, dunque, si deve collocare il sacro boschetto di Lucina, nel quale si sarebbe fatta udire la voce che prescrisse alle sterili Sabine di farsi colpire dai Luperci per diventare feconde.
Perciò la tradizione attribuiva la dedicazione del tempio alle matrone, e se ne celebrava la ricorrenza alle none di marzo. Del progressivo sparire del lucus si lamenta Varrone incolpando l'avidità dei privati, che invadevano con le costruzioni i confini del lucus, dal che si deduce che il muro, di cui parla nell'iscrizione dovesse proteggere il bosco dalle continue usurpazioni.
E forse a questo muro si deve se qualche avanzo del incus si potè conservare almeno fino ai tempi di Plinio il Vecchio, il quale riferisce che davanti al tempio di Lucina si vedevano ancora alcuni alberi di loto antichissimi, e che ad uno di questi, chiamato arbor cavillata, si appendevano i capelli che il pontefice massimo tagliava alle Vestali.
LUCUS LARUM QUERQUETULANUM
Situato subito dopo il Fagutale, anche se il nome di Querquetulano, che un tempo, secondo Tacito, si dava al monte Celio, indurrebbe a collocarlo qui. Ma sul monte Oppio, come sul Celio, poteva ben esserci un bosco di quercia. Secondo alcuni era dedicato ai Lari, e dal nome appare probabile.
LUCUS LAURUS NOBILIS
Una selva di allori, riferito da Dionigi e Varrone, vi sarebbe stato sepolto il re Tito Tazio. Poichè Plutarco riferisce che Tazio fu sepolto nell'Armilustrium, e siccome presso la chiesa di Sant'Alessio fu trovata un'epigrafe che menziona l'Armilustrium, si suppone il lucus in quella zona.
Alcuni autori citano un lucus Dianae, annesso al celebre tempio della Dea sull'Aventino e la grande somiglianza di questo tempio con quello di Diana Nemorense, fa credere che avessero in comune anche un lucus, ma non se ne trova traccia. Nonostante la notizia di Varrone circa il taglio della selva, almeno sino ai tempi di Servio, devono essersi mantenuti parecchi alberi di alloro, riferendo questi che dal Loretum si traessero i rami di lauro necessari ai sacra.
LUCUS LAVERNAE
Lucus Lavernae: lungo la via Salaria, come dice chiaramente Acrone, dedicato a Laverna, divinità dell'ombra e protettrice dei ladri (secondo Varrone i ladri nascondevano il loro bottino in questo bosco), probabilmente in origine divinità ctonia legata alle grotte.
Erroneamente alcuni lo collocano vicino all'ara di Laverna, situata, secondo Varrone, presso la porta Lavernale, la quale a sua volta deve collocarsi sotto l'Aventino al bastione di Paolo III. Del lucus fa pure menzione Varrone, senza però indicarne il sito, e riferisce che i ladri vi nascondevano le refurtive, essendo così sotto la protezione di Laverna, dalla quale appunto prendevano il nome di Laverniones.
LUCUS LIBITINAE
Lucus Libitinae, dedicato a Libitina, divinità del passaggio che della morte, mentre Giunone Lucina del vicino lucus è divinità del venire alla luce, della nascita. Sull'Esquilino infatti si trovavano anche le sepolture e in particolare le fosse comuni; presso il bosco aveva sede la società dei libitinarii, gli addetti alla sepoltura.
Quantunque il lucus compaia in parecchie iscrizioni, non si conosce la locazione nè del santuario nè del bosco. Si sa però di una prescrizione di Servio Tullio per cui per ogni caso di morte si doveva pagare un tributo al santuario di Libitina. Poichè era la Dea della morte e dei funerali e il suo lucus era amministrato da una corporazione di seppellitori, chiamati appunto Ubitiiarii, che dal bosco provvedevano tutte le cose necessarie ai funerali, dai riti all'incinerazione.
E' molto probabile che l'Incus Libìtinae fosse nell'Esquilino, dove si estendeva un grande cimitero. La relazione di Libitina coi funerali era espressa dalla frase "Libitinam exercere" nel senso di prendersi cura dei funerali.
In epoca successiva Libitina fu anche associata a Venere: alcuni studiosi la ritengono una confusione tra il nome della Dea e la parola libido, desiderio, ma dobbiamo considerare che Venere è stata associata nella religione Romana anche a Murcia, divinità di ciò che va marcio (in latino indica sia il marcire che il "macerarsi nel languore" che può essere anche quello amoroso.
Libitina appartiene alla mitologia antica ed arcaica romana e preromana, incaricata di badare ai doveri ed ai riti che si tributavano ai morti e aveva un proprio santuario nei pressi di un bosco sacro, situato nella zona del colle Aventino, dove infatti si riunivano le corporazioni delle pompe funebri (libitinarii).
La Dea presenta diverse analogie con Proserpina, ma non ci sono prove della loro coincidenza, piuttosto come Dea che si prendeva cura delle salme, aveva anche un aspetto inquietante che oggi si tradurrebbe come Dea di cadaveri e spettri.
Pertanto a lei si rivolgevano, nell'antica Roma, anche streghe e fattucchiere, versando sui cimiteri calici di vino rosso. Sembra non ricevesse offerte cruente, in quanto era lei ad amministrare la morte, ma offerte, oltre che di vino, di focacce e di latte.
Ammoniva Callimaco: "Non dir dei buoni l'empia parola 'morto', dormono "il sonno divino ", sono “anch'essi Dei”.
Pertanto a lei si rivolgevano, nell'antica Roma, anche streghe e fattucchiere, versando sui cimiteri calici di vino rosso. Sembra non ricevesse offerte cruente, in quanto era lei ad amministrare la morte, ma offerte, oltre che di vino, di focacce e di latte.
Ammoniva Callimaco: "Non dir dei buoni l'empia parola 'morto', dormono "il sonno divino ", sono “anch'essi Dei”.
C'era nei Sacri Misteri la certezza che mentre gli empi e i malvagi si dissolvessero nelle nebbie del Tartaro, per i saggi e i puri di cuore vi fosse un ritorno alla terra o addirittura un passaggio ad altri mondi, di cui la Dea Libitina rappresentava la porta di accesso.
Inoltre secondo le fonti Libitina era anche in stretta relazione con l'acqua e la vegetazione, per cui il santuario poteva non distare da quello della Venus Marcia, e cioè nella stretta valle tra l'Esquilino ed il Celio, ricca di acqua e di vegetazione.
La sua collocazione sull'Esquilino sembra confermata dal fatto che. il bosco era amministrato da una grande società di pompe funebri, i cui membri si chiamavano appunto Ubitiìiarii; e che dal bosco si provvedevano tutte le cose necessarie ai funerali, dalla cassa all'incinerazione.
La sua collocazione sull'Esquilino sembra confermata dal fatto che. il bosco era amministrato da una grande società di pompe funebri, i cui membri si chiamavano appunto Ubitiìiarii; e che dal bosco si provvedevano tutte le cose necessarie ai funerali, dalla cassa all'incinerazione.
LUCUS LORETUM
Loretum: in realtà sono due, il maius e il minus, entrambi sull'Aventino, e il nome fa riferimento alla presenza di alberi di alloro, che secondo Servio erano particolarmente usati per scopi religiosi. Varrone, ne fa derivare il nome da una selva di lauri poi recisa.
Due luci sono anche registrati nell'elenco della celebre base Capitolina, dove alla reg. XIII, che comprende appunto l'Aventino, nel versante dell'Aventino che guarda la piazza dei Cerchi sono ricordati il Loretum majus ed il Loretum minus, dove il majus stava sull'altopiano del colle e il minus sul pendio.
Alcuni autori citano un lucus Dianae, annesso al celebre tempio della Dea sull'Aventino e la grande somiglianza di questo tempio con quello di Diana Nemorense, fa credere che avessero in comune anche un lucus, ma non se ne trova traccia. Nonostante la notizia di Varrone circa il taglio della selva, almeno sino ai tempi di Servio, devono essersi mantenuti parecchi alberi di alloro, riferendo questi che dal Loretum si traessero i rami di lauro necessari ai sacra.
Se poi questi alberi riuscirono a conservarsi fino ai tempi di Augusto, a maggior ragione saranno stati rispettati nei secoli successivi, quando l'alloro divenne l'albero prediletto della famiglia Giulia, e poi, per imitazione, anche dei successivi imperatori.
LUCUS MARICAE
Nella fase primitiva c'era solo un lucus, privo di tempio, probabilmente con un altare graminaceo degli inizi del VII sec.a.c.. Seguirono poi i templi in muratura. Un santuario dedicato alla ninfa Marìca stava sulla sponda del fiume Garigliano in prossimità della città romana di Minturnae, sulla costa meridionale del Lazio.
Il Lucus Maricae, ovvero il bosco sacro a lei dedicato, era invece sulla sponda opposta, dove oggi sorge la pineta della località turistica Baia Domizia, in Campania. In questo bosco che un tempo doveva essere paludoso trovò rifugio il console Gaio Mario, nell'88 a.c., per salvarsi dai sicari inviati da Silla che volevano ucciderlo..
LUCUS MARVORTIANUS
Cioè il bosco sacro di Marte, lo riporta Rufo collocandolo presso la Minerva Vetus, che però non sappiamo dove sia. Marvor era il Marte più antico, il figlio della grande Madre, ovvero di Juno quando era una Grande madre, Dio della guerra ma pure dei giardini.
Cioè il bosco sacro di Marte, lo riporta Rufo collocandolo presso la Minerva Vetus, che però non sappiamo dove sia. Marvor era il Marte più antico, il figlio della grande Madre, ovvero di Juno quando era una Grande madre, Dio della guerra ma pure dei giardini.
Lucus Mephitis, il bosco, forse di mirto, sacro a Mefite, probabilmente dedicato a questa divinità per via di esalazioni solforose che potrebbero aver avuto luogo anche in questa zona.
Varrone menziona il bosco di Mefite prima di quello di Giunone Lucina che deve collocarsi sul Cispio dopo il lucus Poetelius, cosi è probabile che il bosco di Mefite stesse tra il Poetelio ed il lucus di Giunone Lucina, dove ora comincia la via Urbana.
La Dea Mefite era un antichissimo culto della Dea delle acque sulfuree, soprattutto venerata nell'Italia centrale, dove rappresentava il lato mortifero della Dea, come colei che fa nascere, nutre e fa morire. Spesso le acque solfuree con i loro densi vapori e l'assenza di vegetazione all'intorno, venivano considerate l'ingresso al mondo dei morti, pertanto la Mefite era Dea della morte e dell'oltretomba, ma protettrice del viaggio nel mondo degli inferi.
LUCUS PERMAGNUS
Lucus Permagnus inter viam Saliam et Tiberini. Così è chiamato da Festo il bosco in cui il giorno 19 luglio si celebravano le Lucana. Se il bosco non era consacrato a nessuna divinità speciale, è da supporre che le Lucana venissero celebrate in onore delle selve in genere, o meglio di quelle incognite divinità che gli antichi credevano presenti nei più segreti recessi delle boscaglie, numi senza volto e senza nome, cioè energie della natura, come geni, ninfe, satiri, amorini e centauri. Sebbene le Lucana vengano pure registrate nei Calendari, non si hanno altre notizie di questo lucus. Si suppone comunque che fosse posto tra la via Salaria ed il Tevere.
Lucus Permagnus inter viam Saliam et Tiberini. Così è chiamato da Festo il bosco in cui il giorno 19 luglio si celebravano le Lucana. Se il bosco non era consacrato a nessuna divinità speciale, è da supporre che le Lucana venissero celebrate in onore delle selve in genere, o meglio di quelle incognite divinità che gli antichi credevano presenti nei più segreti recessi delle boscaglie, numi senza volto e senza nome, cioè energie della natura, come geni, ninfe, satiri, amorini e centauri. Sebbene le Lucana vengano pure registrate nei Calendari, non si hanno altre notizie di questo lucus. Si suppone comunque che fosse posto tra la via Salaria ed il Tevere.
LUCUS PISAURENSIS
Lucus Pisaurensis: Annibale degli Abbati Olivieri Giordani nel pubblicare i Marmora Pisaurensia (1737) annunciò di avere appena scoperto a circa un miglio da Pesaro il complesso votivo di un antichissimo luogo di culto che identificò in un bosco sacro: il lucus Pisaurensis.
LUCUS PISONIS
Lo ricorda Cicerone: "domus ubi ad lucum Pisonis Liciniana conducta est", da cui però non si ricava nessuna indicazione topografica. Questo lucus non è ricordato altrove. Le parole di Cicerone : « tuam in Carinis mundi habitatores Lamiae conduxerunt », che nella medesima lettera seguono a breve distanza le già citate, si riferiscono evidentemente ad un'altra casa diversa dalla domus Liciniana, e non si può quindi in base ad esse collocare, come alcuni hanno fatto, il lucus Pisonis nelle Carine.
Lo ricorda Cicerone: "domus ubi ad lucum Pisonis Liciniana conducta est", da cui però non si ricava nessuna indicazione topografica. Questo lucus non è ricordato altrove. Le parole di Cicerone : « tuam in Carinis mundi habitatores Lamiae conduxerunt », che nella medesima lettera seguono a breve distanza le già citate, si riferiscono evidentemente ad un'altra casa diversa dalla domus Liciniana, e non si può quindi in base ad esse collocare, come alcuni hanno fatto, il lucus Pisonis nelle Carine.
LUCUS POETELIUS
Lucus Poetelius o Poetelinus, è indicato sul Cispio dopo il secondo sacello del lucus Esquilinus (quarto della intera regione), nominato da Varrone presso a poco nell'altura dove ora sorge la basilica di Santa Maria Maggiore. D'altronde non possiamo collocare il Poetelius nell'altra parte del Cispio, perchè lì stava il lucus di Giunone Lucina ed il sacello che nel documento viene indicato come vicino al tempio di questa Dea.
Lucus Poetelius o Poetelinus, è indicato sul Cispio dopo il secondo sacello del lucus Esquilinus (quarto della intera regione), nominato da Varrone presso a poco nell'altura dove ora sorge la basilica di Santa Maria Maggiore. D'altronde non possiamo collocare il Poetelius nell'altra parte del Cispio, perchè lì stava il lucus di Giunone Lucina ed il sacello che nel documento viene indicato come vicino al tempio di questa Dea.
È menzionato da Livio e da Plutarco a proposito del giudizio contro M. Manlio. Da prima i comizi si erano radunati nel Campo Marzio, ma poi, avendo Manlio additato il Campidoglio, che dal Campo Marzio si scorgeva, e da lui salvato nella precedente invasione gallica, i tribuni consolari, temendo che il popolo a tale ricordo si commovesse, trasportarono la sede del giudizio in luogo da cui il Campidoglio non fosse visibile, scegliendo il bosco Petelino. Tito Livio dice che il bosco si trovava extra portam Flumentanam, cioè presso il Forum Olitorium, tra l'odierno ponte Rotto e ponte Quattro Capi.
LUCUS QUERQUETULANUS
LUCUS ROBIGINIS
Lucus Robiginis: situato lungo la via Clodia, corrispondente alla località chiamata "Tomba di Nerone", era dedicato a Robigo, divinità della ruggine dei campi, che veniva invocata e alla quale si sacrificava un cane proprio in questo bosco il 25 aprile. Una processione usciva da Roma, e si recava al bosco dove il flamen Quirinali sacrificava un cane. La festa doveva essere ancora sentita in epoca tarda se a partire dal IV secolo si tentò di cristianizzarla, invece di abolirla semplicemente,
La cristianizzazione definitiva nella festa delle rogazioni maggiori dedicate a S. Marco avvenne nel IX secolo con papa Leone III, ma le processioni cristiane per la benedizione dei campi, a sostituire non solo i Robigalia, ma anche gli Ambarvalia e feste simili, erano già cominciate nel IV secolo e approvate anche dagli imperatori franchi. Festo descrive una altro lucus della Dea Rubigine sul Pincio.
Delle Robigalia si ha forse un ricordo nella processione cristiana di s. Marco, che ha il medesimo scopo d' invocare sulle biade le celesti benedizioni, affinchè vengano preservate dalla ruggine e da ogni altro danno e si pratica nello stesso giorno delle antiche Robigalia, cioè il 25 aprile. La processione cristiana alla quale interveniva il Papa seguiva in Roma quasi lo stesso itinerario dell'antica processione pagana; percorreva la stessa parte della città, usciva fuori le mura dalla medesima porta, ed attraversava lo stesso ponte Milvio.
LUCUS SATURNI
Dedicato ovviamente al Dio Saturno e menzionato da Rufo che lo pone nella regione del Circo Massimo che giungeva fino alle pendici dell'Aventino.
LUCUS SEMELES O STIMULAE
Lucus Semeles o Stimulae: l'incertezza sul nome ci viene dal sesto libro dei Fasti di Ovidio, era situato ai piedi dell'Aventino. Ovidio si mostra incerto se il lucus si dovesse chiamare di Semele oppure di Stimula per cui, almeno ai suoi tempi, un solo bosco di questo nome esisteva in Roma. La posizione topografica si evince da Ovidio e da un passo di Livio.
Questi, che menziona il bosco a proposito dello scandalo dei baccanali dell'anno 5t)8-186, lo dice situato presso il Tevere. Ma altri, fondandosi sui seguenti versi di Ovidio:
"Nonium Leucothae, nondum puer illa Palaemon Vorticibus densis Tibrydis ora tenent Lucus erat." lo collocano alla foce del Tevere, presso Ostia. Ubicazione errata perchè Ovidio stesso poco dopo afferma, dicendo, a proposito dei baccanali, che nel bosco:
"clamor Aventini saxa propinqua ferii" poichè l'Aventino era limitrofo al bosco.Quindi il lucus si deve collocare immediatamente al di sotto del colle, sulla riva sinistra del Tevere. Se poi il propinqua significasse non una contiguità, ma una vicinanza, si potrebbe situare il lucus anche sulla riva destra del fiume, ma in luogo non troppo distante dall'Aventino e quindi, sempre nelle adiacenze di Ripa Grande, dalla parte ove ora sorge l'Ospizio di S. Michele.
LUCUS STRENUAE
Lucus Strenuae: sorgeva presso il tempio di Strenua all'inizio della via sacra; secondo Simmaco (Lettere, X, 35) da questo bosco si prendevano i rami degli alberi di buon augurio per il nuovo anno (arbores felices: tutti gli alberi che portavano frutti o, secondo altri, che portavano frutti bianchi o comunque non neri).
Sorgeva dove le Carine confluivano nella via Ceriolense, in quella specie di rialzo che trovasi di fronte alle terme di Tito. del lucus Strenuae, non lungi dall'anfiteatro Flavio. Il lucus Strenuae compare nelle più antiche tradizioni romane, come spiega Simmaco, il quale a Tito Tazio fa risalire l'uso di prendere dal boschetto di Strenua i rami di un albero felice come simbolo di augurio per il nuovo anno, usanza ancora vigente ai suoi tempi.
LUCUS VESTAE
Connesso con un boschetto sacro, in qualità di culto antichissimo. il Lucus Vestae: così si chiamava il bosco sacro dedicato a Vesta presso la casa delle Vestali, sulla Via Nova, sotto la pendice del Palatino; e dal quale, come racconta Cicerone, la voce del Dio Aius Locutius si sarebbe fatta sentire annunciando l'invasione del Galli del 390 a.e.v..
Il Lucus si ridusse per i vari ingrandimenti fatti alla casa e le ultime vestigia andarono in fiamme nel Grande incendio di Roma del 64.Sia Cicerone che Livio lo menzionano a proposito della nota leggenda della, misteriosa voce che preannunziò la prossima invasione dei Galli, e che fu dai Romani attribuita ad Ajus Looutius o Loquens. Tito Livio narra che questa voce si fece udire nella via Nova, mentre Cicerone precisa che la voce fu intesa nel lucus Vestae, del quale così definisce i confini : "qui a Palatii radice in Novam viam devexus est".
La via Nova via, della quale si è scoperto un buon tratto, passava sulle pendici del Palatino, un po' al di sopra della casa delle Vestali.
La via Nova via, della quale si è scoperto un buon tratto, passava sulle pendici del Palatino, un po' al di sopra della casa delle Vestali.
Stando alle parole di Cicerone, il lucus Vestae era situato, ai suoi tempi, al di là della Nova via, che divideva il sacro boschetto dal tempio.
Sembra strano che il lucus rimanesse diviso del tempio, in modo che le Vestali, per accedervi, fossero obbligate a traversare la strada. Ma d'altronde il tempio di Marica era diviso dal bosco sacro addirittura da un fiume. Quindi la posizione del lucus doveva essere tra la casa delle Vestali ed il declivo del Palatino.
BIBLIO
- Giuseppe Ragone - Dentro l'àlsos. Economia e tutela del bosco sacro nell'Antichità Classica in Il sistema uomo-ambiente tra passato e presente - Bari - 1998 -
- Julien Ries - Saggio di definizione del sacro - in Grande dizionario delle Religioni (a cura di Paul Poupard) - Assisi - Cittadella-Piemme -- AA.VV. - Les bois sacrés - Actes du Colloque International, du Centre J. Bérard - Napoli - 1993 -
- Servio - Ad Aeneidem -
- Giorgio Stara-Tedde - I boschi sacri dell'antica Roma - Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma - 1905 -
articolo fantastico bravissimi
RispondiEliminabravi ma non c'era quello che mi interessava
RispondiEliminaNon è un semplice articolo ma una documentatissima monografia.
RispondiEliminaBravissimi.
E il Lucus castorum ? Tacito historie libro II . Comunque il vs articolo e ottimo.
RispondiElimina.
RispondiEliminaUn aspetto che tutti ignorano, persino i più 'smaliziati' eruditi accademici, è che il nome LUCA, di incerta etimologia, secondo l'attuale stato dell'arte, non era riferito ad una persona fisica, bensì ad un insieme di persone (teologi, sacerdoti ed altre figure), vale a dire il 'LUCOS', luogo in cui questi personaggi si riunivano per celebrare i loro culti misterici e per discutere dei vari aspetti dei loro culti. Una frase rivelatrice appare in un lavoro di un padre della chiesa del II secolo: "..Dio, attraverso Luca, fece conoscere agli uomini una MOLTEPLICITA' di vangeli", da cui si arguisce che l'autore si stava rivolgendo ad un'insieme di persone (i cosiddetti 'evangelisti' ed altri), visto che 'Luca' scrisse UN SOLO vangelo!..
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Grazie. Ottimo. Vorrei sapere se è stato fatto uno studio sui boschi sacri presenti in Puglia
RispondiEliminaMolto bello e ben curato !
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