ALTARE AD AIO LOCUTIO |
Nel 1820 si scoprì un'antichissima iscrizione su un'ara del Colle Palatino, con su scritto:
SEI•DEO•SEI•DEIVAE•SAC
G•SEXTIVS•C•F•CALVINVS PR
DE•SENATI•SENTENTIA
RESTITVIT
Si trattava della cosiddetta Ara Calvini, o ARA DEI IGNOTI, l'altare al Dio sconosciuto, un piccolo altare di forma arcaica in travertino, trovato in un angolo ovest del Palatino, vicino alla chiesa di Santa Anastasia, costruzione o restauro del pretore Caius Sextius Calvinus, votata dal senato. La forma delle lettere la fa risalire al 92 a.c. circa.
Teniamo conto però che Sesto Calvino senior fu un personaggio dell'epoca, che ottenne un trionfo per le sue vittorie in Gallia e che dette il suo nome anche alle Acquae Sextiae. Oggi la maggior parte degli studiosi pensa che fosse l'elargitore solo dell'iscrizione, mentre l'ara sarebbe stata istituita dal di lui figlio, omonimo, nel 92 a.c.
Dal medesimo sito emersero 4 colonne iscritte, datate al periodo giulio - claudio:
- Sulla prima colonna si legge "Marspiter," in arcaico: Padre Marte.
- Sulla seconda colonna si legge "Remureine," che si pensa significhi "In memoria di Remo."
- Sulla terza colonna si legge "anabestas," forse una Dea chiamata Anabesta, o riferito al greco anabasio (scalata) riferito a Remo che scala le mura di Roma.
- Sulla quarta colonna, con l'iscizione più lunga si legge: Ferter Resius / rex Aequeicolus / is preimus / ius fetiale paravit / inde p(opulus) R(omanus) discipleinam excepit.
"Ferter Resius, / re degli Aquicoli, / per primo / introdusse lo ius fetiale, / da qui il popolo romano / apprese questa disciplina."
IUS FETIALIS
Livio attribuisce ad Anco Marzio l'istituzione dei feziali, e spiega che lo ius fetiale giunse a Roma portato dagli Aequicoli. I Feziali, o Feciali, erano sacerdoti che avevano compito simile a quello degli araldi di guerra. Generalmente erano destinati a dichiarare la guerra ed a presiedere ai trattati di pace.
Livio attribuisce ad Anco Marzio l'istituzione dei feziali, e spiega che lo ius fetiale giunse a Roma portato dagli Aequicoli. I Feziali, o Feciali, erano sacerdoti che avevano compito simile a quello degli araldi di guerra. Generalmente erano destinati a dichiarare la guerra ed a presiedere ai trattati di pace.
Quando un popolo offendeva la Repubblica, il feciale si recava da questi a chiedere di riparare all'onta, in caso contrario concedeva 33 giorni per riparare all'offesa, trascorsi infruttuosamente, il feciale rompeva liberamente la pace. Quindi tornava allora sul territorio nemico, e vi lanciava una lancia insanguinata, dichiarando guerra con cerimonie religiose. Il brano di Ferter Resius sembra dunque spiegato.
Che Remureine significhi "in memoria di Remo" sembra di fantasia, e altrettanto fantasiosa appare la traduzione di Anabesta. Più credibile il Marspiter come Marte Padre, che con i feziali e con la guerra aveva a che vedere, anche se anticamente i feziali erano riferiti al tempio di Bellona, la Dea della guerra.
Ma tutto ciò ha a che vedere con l'ara Calvini? L'ara anzitutto è di epoca repubblicana, mentre le 4 colonne sembrano di epoca giulio-claudia. Sembra più un seppellimento di cose sacre, non inusuale tra i Romani, vedi Il Lapis Niger o il tempietto di Veiove. I Romani non distruggevano mai gli Dei o i simboli dimenticati, semmai li seppellivano sacralizzando il sito che diveniva intoccabile.
AIUS LOCUTIUS
Potrebbe trattarsi secondo alcuni del Dio Aio Locuzio. Lo nomina e rammenta Camillo quando vuole incitare i romani a non abbandonare Roma.
"Dal Senato fu inviato in qualità di dittatore contro i Veienti, che dopo vent'anni si erano ribellati, Furio Camillo. Egli li vinse prima in battaglia, quindi conquistò anche la loro città.
Presa Veio, vinse anche i Falisci popolo non meno nobile. Ma contro Camillo sorse un'aspra invidia, con il pretesto di un' ingiusta divisione del bottino, e per tale motivo fu condannato ed espulso dalla città.
Subito i Galli Senoni calarono su Roma e, sconfitto l’esercito romano a dieci miglia dall'Urbe, presso il fiume Allia, lo inseguirono e occuparono anche la città.
Nulla poté essere difeso tranne il colle Campidoglio; e dopo averlo a lungo assediato, mentre ormai i Romani soffrivano la fame, in cambio di oro i Galli levarono l'assedio e si ritrassero. Ma Camillo, che viveva da esiliato in una città vicina, portò il suo aiuto e sconfisse duramente i Galli.
Ma non solo: Camillo inseguendoli ne fece tale strage che recuperò sia l'oro ch'era stato loro consegnato, sia tutte le insegne militari da essi conquistate. Così riportando il trionfo per la terza volta entrò in Roma e venne chiamato "secondo Romolo" come fosse egli stesso fondatore della patria."
Camillo, secondo la leggenda, dissuase i Romani, scoraggiati dalla devastazione provocata dai Galli, dal migrare a Veio, convincendoli a ricostruire la città (390 a.c.):
"Abbiamo ordinato di costruire un tempio in onore di Aio Locuzio per la voce udita nella Via Nuova e proveniente dal cielo. La voce fu udita da Marcus Cecidio." e poi:
"Venne anche ricordata la necessità di espiare il prodigio di quella voce notturna che si era sentita annunciare la disfatta prima della guerra coi Galli ma che non era stata presa in considerazione, e fu ordinata l'edificazione di un tempio dedicato ad Aio Locuzio sulla Via Nuova." (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V, 2 e 32)
Aio Locuzio o Aio Loquente (in latino: Aius locutius o Aius Loquens) fu in effetti una divinità della mitologia romana. Il nome secondo alcuni deriva da Caius, trascritto Aius per errore, o da Alius, l'altro. Il significato sarebbe un po' diverso. nel primo caso: "un certo Caio che ha parlato", (usato come noi oggi quando parliamo di Tizio e Sempronio), nel secondo caso "l'altro che ha parlato". Locutius è comunque un sinonimo di parlatore.
" Non molto prima che la città fosse presa dai Galli, si udì una voce proveniente dal bosco sacro a Vesta, che dai piedi del Palatino scende verso la Via Nuova: la voce ammoniva che si ricostruissero le mura e le porte; se non si provvedeva, Roma sarebbe stata presa dai nemici. Di questo ammonimento, che fu trascurato allora, quando si era in tempo a evitare il danno, fu fatta espiazione dopo quella terribile disfatta: dirimpetto a quel luogo, fu consacrato ad Aio Loquente un altare, che tuttora vediamo protetto da un recinto. "
L'anno di Roma 364, un certo Cediiio, uomo plebeo, informò i tribuni che nell' atraversare di notte la città, una voce sovrumana, che usciva dal!'interno del tempio di Vesta, gli manifestò che Ron;a doveva in breve essere assalita dai Galli. Non si ascoltò tale informazione, data da un uomo senza credito. E Roma fu l'anno seguente presa dai Galli, e liberata che fu da Camillo, questi, per rimediare alla negligenza commessa, non curando quella voce notturna, eresse un tempio in onore del Dio Ajo Locu- zio, nello stesso sito in cui Cedizo l'aveva udita.
Che Remureine significhi "in memoria di Remo" sembra di fantasia, e altrettanto fantasiosa appare la traduzione di Anabesta. Più credibile il Marspiter come Marte Padre, che con i feziali e con la guerra aveva a che vedere, anche se anticamente i feziali erano riferiti al tempio di Bellona, la Dea della guerra.
Ma tutto ciò ha a che vedere con l'ara Calvini? L'ara anzitutto è di epoca repubblicana, mentre le 4 colonne sembrano di epoca giulio-claudia. Sembra più un seppellimento di cose sacre, non inusuale tra i Romani, vedi Il Lapis Niger o il tempietto di Veiove. I Romani non distruggevano mai gli Dei o i simboli dimenticati, semmai li seppellivano sacralizzando il sito che diveniva intoccabile.
AIUS LOCUTIUS
Potrebbe trattarsi secondo alcuni del Dio Aio Locuzio. Lo nomina e rammenta Camillo quando vuole incitare i romani a non abbandonare Roma.
CAIUS SEXTIUS CALVINUS |
Presa Veio, vinse anche i Falisci popolo non meno nobile. Ma contro Camillo sorse un'aspra invidia, con il pretesto di un' ingiusta divisione del bottino, e per tale motivo fu condannato ed espulso dalla città.
Subito i Galli Senoni calarono su Roma e, sconfitto l’esercito romano a dieci miglia dall'Urbe, presso il fiume Allia, lo inseguirono e occuparono anche la città.
Nulla poté essere difeso tranne il colle Campidoglio; e dopo averlo a lungo assediato, mentre ormai i Romani soffrivano la fame, in cambio di oro i Galli levarono l'assedio e si ritrassero. Ma Camillo, che viveva da esiliato in una città vicina, portò il suo aiuto e sconfisse duramente i Galli.
Ma non solo: Camillo inseguendoli ne fece tale strage che recuperò sia l'oro ch'era stato loro consegnato, sia tutte le insegne militari da essi conquistate. Così riportando il trionfo per la terza volta entrò in Roma e venne chiamato "secondo Romolo" come fosse egli stesso fondatore della patria."
Camillo, secondo la leggenda, dissuase i Romani, scoraggiati dalla devastazione provocata dai Galli, dal migrare a Veio, convincendoli a ricostruire la città (390 a.c.):
"Abbiamo ordinato di costruire un tempio in onore di Aio Locuzio per la voce udita nella Via Nuova e proveniente dal cielo. La voce fu udita da Marcus Cecidio." e poi:
"Venne anche ricordata la necessità di espiare il prodigio di quella voce notturna che si era sentita annunciare la disfatta prima della guerra coi Galli ma che non era stata presa in considerazione, e fu ordinata l'edificazione di un tempio dedicato ad Aio Locuzio sulla Via Nuova." (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V, 2 e 32)
Aio Locuzio o Aio Loquente (in latino: Aius locutius o Aius Loquens) fu in effetti una divinità della mitologia romana. Il nome secondo alcuni deriva da Caius, trascritto Aius per errore, o da Alius, l'altro. Il significato sarebbe un po' diverso. nel primo caso: "un certo Caio che ha parlato", (usato come noi oggi quando parliamo di Tizio e Sempronio), nel secondo caso "l'altro che ha parlato". Locutius è comunque un sinonimo di parlatore.
" Non molto prima che la città fosse presa dai Galli, si udì una voce proveniente dal bosco sacro a Vesta, che dai piedi del Palatino scende verso la Via Nuova: la voce ammoniva che si ricostruissero le mura e le porte; se non si provvedeva, Roma sarebbe stata presa dai nemici. Di questo ammonimento, che fu trascurato allora, quando si era in tempo a evitare il danno, fu fatta espiazione dopo quella terribile disfatta: dirimpetto a quel luogo, fu consacrato ad Aio Loquente un altare, che tuttora vediamo protetto da un recinto. "
(Marco Tullio Cicerone, De Divinatione, I, 101)
Altra versione
"Questo Dio," dice Cicerone " quando non era conosciuto da nessuno, parlava e si faceva sentire, ma dopo ch'egli è diventato celebre, ha pensato di tacere e di diventare muto".
Aio Locutius fu comunque l'autore dell'avvertimento misterioso che avvisò Roma dell'invasione dei Galli nel 390 a.c. Sembra che durante la notte avvertisse i Romani di ricostruire mura e porte o Roma sarebbe stata conquistata. Solo a pericolo concluso, i romani compresero e capirono l'aiuto giunto dal Dio. Così gli eressero un tempio, dove il Dio non aveva statue o raffigurazioni.
DIVINITA' DEI TERREMOTI
Secondo alcuni, non conoscendo con esattezza le cause dei terremoti, i Romani erano in dubbio su quale fosse la divinità alla quale offrire sacrifici per evitarli.
Per questo motivo in caso di terremoto si offrivano sacrifici "A un Dio o a una Dea" il cui rituale non comprendeva il nome di alcuna divinità.
RODOLFO LANCIANI |
Per questo motivo in caso di terremoto si offrivano sacrifici "A un Dio o a una Dea" il cui rituale non comprendeva il nome di alcuna divinità.
GENIUS LOCI
Secondo altri invece la formula "che tu sia un Dio o una Dea" era usata per i Genius loci, ignoti protettori di determinate località, un culto molto arcaico ma mai abbandonato dai romani.
Non è pertanto affatto da escludere che Aio Locuzio fosse considerato uno dei tanti Genii che si preoccupavano di proteggere Roma dalle invasioni barbariche, in quel momento molto sentite, in ricordo del sacco di Roma da parte dei Galli, proprio mentre Sestio Calvino combatteva nella Gallia Transalpina di Linguadoca.
Il pericolo gallico era sempre molto sentito a Roma, il ricordo della loro potenza e della loro ferocia risvegliava nei Romani il famoso Metus Gallicus, il terrore dei Galli, che sopravviverà fin tanto che Cesare non li sconfiggerà on 9 anni ininterrotti di guerre.
Si addice pertanto ad Aio Locutio l'essere un Dio Ignoto, ovvero un Genius Loci di Roma che parlò in senato per avvertire del pericolo, un Dio da tenere buono, chiunque fosse, perchè se aveva aiutato una volta avrebbe potuto farlo ancora. Avendo un tempio pubblico e un'ara, a spese dello stato gli toccavano dunque le offerte e i riti annuali destinati ad ogni culto pubblico riconosciuto dal Senato, cui spettava la decisione di ufficializzare o meno un culto religioso.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - V -
- Marco Tullio Cicerone - De Divinatione - I -
Non è pertanto affatto da escludere che Aio Locuzio fosse considerato uno dei tanti Genii che si preoccupavano di proteggere Roma dalle invasioni barbariche, in quel momento molto sentite, in ricordo del sacco di Roma da parte dei Galli, proprio mentre Sestio Calvino combatteva nella Gallia Transalpina di Linguadoca.
Il pericolo gallico era sempre molto sentito a Roma, il ricordo della loro potenza e della loro ferocia risvegliava nei Romani il famoso Metus Gallicus, il terrore dei Galli, che sopravviverà fin tanto che Cesare non li sconfiggerà on 9 anni ininterrotti di guerre.
Si addice pertanto ad Aio Locutio l'essere un Dio Ignoto, ovvero un Genius Loci di Roma che parlò in senato per avvertire del pericolo, un Dio da tenere buono, chiunque fosse, perchè se aveva aiutato una volta avrebbe potuto farlo ancora. Avendo un tempio pubblico e un'ara, a spese dello stato gli toccavano dunque le offerte e i riti annuali destinati ad ogni culto pubblico riconosciuto dal Senato, cui spettava la decisione di ufficializzare o meno un culto religioso.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - V -
- Marco Tullio Cicerone - De Divinatione - I -
- Robert Turcan - The Gods of Ancient Rome - Routledge - 1998, 2001 -
- Jorg Rupke - Communicating with the Gods - in: A Companion to the Roman Republic - Blackwell - 2010 -
- Carlo Prandi - Mito in Dizionario delle religioni - a cura di Giovanni Filoramo - Torino - Einaudi - 1993 -
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