TABULARIUM CAPITOLINO



"Dietro ai Templi di Giove Tonante e della Concordia si vedono de' capitelli ed architravi dorici sotto il palazzo del Senatore. Sono gli avanzi del Tabulario. Resta di questo un triplice portico l'esteriore del quale era formato da grandi arcate di travertino che ancora sussistono rette dalle costruzioni di marmo d'Albano fatte nel 656 di Roma". (Agostino Ademollo)

Il Tabularium è un antico monumento del Campidoglio, nel centro di Roma, collocato sull'Asylum, la depressione tra l' Arx, dove oggi è l'Ara Coeli, e il Capitolium, e dove sorgeva il tempio di Giove Capitolino dietro al palazzo dei Conservatori, tra le due sommità del Campidoglio.

Non si hanno notizie da fonti letterarie  sull'edificio, desumibile però dalle strutture superstiti e dalle epigrafi. In età romana, forse flavio-traianea, il Tabularium subì un consistente intervento in seguito al quale la galleria inferiore venne occupata da un condotto idrico e venne abbandonata la scala verso il Foro, mentre il Tempio di Veiove fu dotato di una volta in muratura.

Come indica il nome, ospitava le TABULAE, le tavole, naturalmente di bronzo, su cui venivano incisi  gli atti pubblici più importanti, dai decreti del Senato ai trattati di pace, ma pure le leggi e i decreti. Era insomma l'archivio di stato, un archivio immenso e ordinato, inciso sul bronzo affinchè non si deteriorasse, il che la dice lunga sull'immensa organizzazione e lungimiranza romana, sempre intenta a tramandare la storia e dare ai romani chiari e indelebili punti di riferimento. I Romani badavano al presente ma lasciavano i valori concreti e i beni culturali per le generazioni future.

TEMPIO DI VEIOVIS IN PRIMO PIANO, SUL FONDO IL TABULARIO CAPITOLINO

LA STORIA

L'edificio fu costruito nel 78 a.c. dall'architetto Lucio Cornelio per conto del console Quinto Lutazio Catulo, incaricato dal Senato di restaurare gli edifici distrutti dall'incendio dell'83 a.c., come risulta da due iscrizioni. Lutazio Catulo fu console appunto nel 78 a.c. e la fine dei lavori dovrebbe risalire a quell'anno.

Una delle due iscrizioni, perduta ma tramandata da una trascrizione medievale, informa che l'edificio facesse anche da sostruzione al pendio collinare, mentre il Tabularium vero e proprio (e quindi l'archivio) era nel piano superiore. Simile ad essa ma più frammentaria è l'iscrizione incisa su blocchi squadrati di tufo tuttora conservata all'esterno del monumento, su Via di S. Pietro in Carcere.

Una terza iscrizione trovata alcuni decenni fa sulla via Prenestina e conservata all'ospedale Fatebenefratelli sull'Isola Tiberina riporta invece il nome dell'architetto del Tabularium, tale Lucio Cornelio, figlio di Lucio, della tribù Voturia, prefetto del genio e poi architetto di Quinto Lutazio Catulo.

A partire dal XII secolo, poi, il Tabularium diventò il nuovo Palazzo Senatorio utilizzato come prigioni delle stato papalino e sulla sua scalinata ebbero luogo le sentenze capitali eseguite pubblicamente come monito al popolo, e prigione restarono fino alla metà del 1800.

IL TABULARIUM IN EPOCA TARDO MEDIEVALE

DESCRIZIONE

L'edificio, la cui imponenete facciata ad archi domina il Foro Romano, quasi a costituire una sorta di fondale monumentale, si innalza su un alto basamento lungo ben 73,60 m, costruito in blocchi regolari di tufo dell'Aniene e di peperino, e serviva, oltre che ad una funzione difensiva, anche ad innalzare l'edificio stesso al livello dell'Asylum. E' lo stesso basamento che oggi sostiene l'odierno palazzo Senatorio, sede del Comune di Roma.

Il Tabularium chiudeva monumentalmente lo sfondo del Foro, tra i templi di Saturno e della Concordia, e su un lato di questo basamento anticamente era posto un ingresso, con una scala di 67 gradini, ancora integra, ma al tempo di Domiziano con la costruzione del Tempio di Vespasiano l'ingresso sul foro fu bloccato.

L'imponente edificio di età tardo-repubblicana sui cui resti si fonda il Palazzo Senatorio, aveva dunque l'ingresso sul basamento, successivamente sbarrato dal podio del Tempio di Vespasiano, oltre il quale iniziava una scala che conduceva ad alcuni ambienti (trasformati in prigione nel Medioevo), situati al primo piano, che ricevevano luce da strette finestre.

Nella parte superiore, infatti, si snodava una estesa galleria, suddivisa in diversi ambienti, che durante il Medio Evo fu purtroppo utilizzata per conservare il sale, rovinandone i begli affreschi e gli ornamenti sontuosi.

Ogni ambiente era rivestito da una volta a padiglione ed era in contatto con l’esterno grazie ad un’arcata incorniciata da semicolonne doriche di peperino, dotate di capitelli ed architravi in travertino. Originariamente queste aperture erano dieci, ma oggi ne sono rimaste aperte solo tre.

Restano anche tracce del sovrastante fregio dorico a metope e triglifi, al di sopra del quale vi era certamente un altro porticato con colonne corinzie di travertino, i cui frammenti, scoperti ai piedi della facciata, sono ora disposti nell'area antistante il Portico degli Dei Consenti.

L'esistenza di un piano superiore è confermata dal fatto che pochi e insufficienti sono gli ambienti al livello della prima galleria, alle spalle dei quali vi è un massiccio di fondazione, destinato evidentemente a sostenere il piano superiore, la vera sede degli archivi.

Attualmente il Tabularium fa parte del complesso dei Musei Capitolini e vi si accede dalla Galleria Lapidaria che collega Palazzo Nuovo a Palazzo dei Conservatori. Il primo piano corrispondeva sul retro alla parete rocciosa della collina e si è ampiamente conservato ed è una lunga galleria divisa in settori, ognuno dei quali prendeva originariamente luce da una grande arcata, molte delle quali sono attualmente murate. Restano ancora oggi tre arcate, inquadrate da semicolonne doriche in peperino, mentre gli architravi e i capitelli sono in travertino. Del fregio dorico a metope e triglifi restano solo alcune tracce.

Al piano superiore, che corrispondeva al piano terra visto dalla parte del centro del colle, doveva sicuramente trovarsi un altro portico, composto da colonne in travertino in stile corinzio, delle quali sono stati trovati dei frammenti ai piedi della facciata e ora disposti vicino al Portico degli Dei Consenti. Un altro indizio è il massiccio di fondazione alle spalle dei soli cinque ambienti della galleria, che doveva evidentemente sostenere un piano superiore, forse collocabili sul lato nord verso l' Arx.

L'uso del loggiato con le semicolonne fece da modello per tutti gli edifici romani usati come sostruzione, dai santuari di Palestrina, Tivoli, Ferentino e Terracina, al teatro di Pompeo fino al loggiato a mare del Palazzo di Diocleziano a Spalato.

L'angolo sud-occidentale dell'edificio descrive una rientranza quadrangolare, per rispettare un edificio preesistente, scoperto nel 1939, il Tempio di Veiove, giovane divinità infera, dedicato nel 192 a.c., anche se l'edificio attuale si deve ad un rifacimento del I secolo a.c.

Il tempio presentava, su un podio in travertino, una cella più larga che profonda, con un pronao a quattro colonne, preceduto da una scalinata: sul pavimento del pronao vi è ancora una piccola ara di marmo mentre la grande statua di culto, priva della testa e delle mani, è conservata in uno degli ambienti del Tabularium.

Già nel Basso Medioevo il Tabularium fu sfruttato dalla famiglia baronale dei Corsi come roccaforte con alcune torri di rinforzo. Nel secolo XII l'edificio fu scelto come sede del Comune che lo trasformò in un palazzo fortificato, merlato e turrito. Già dal XII secolo quindi il Tabularium divenne il nuovo Palazzo Senatorio, adibito a carcere e nel 1536 fu trasformato dal progetto michelangiolesco di piazza del Campidoglio, sulla quale l'artista rivolse l'ingresso e la nuova facciata.

La riscoperta del monumento romano inizia nell'Ottocento, prima con gli scavi nel Foro Romano che rimisero in luce i templi di Vespasiano e Tito e della Concordia ai piedi del Tabularium, poi con gli sterri degli ambienti interni.

Negli anni a cavallo della metà del secolo, in seguito alla soppressione del tribunale senatorio e delle relative prigioni, vengono eseguiti grandi lavori di adattamento dell'edificio alle nuove esigenze amministrative. Vengono pertanto realizzati uffici nei piani superiori, ora nettamente separati dagli ambienti pertinenti al monumento romano: di questi ultimi faceva parte anche la galleria di Sisto IV, alla quale si accedeva esclusivamente dalla galleria sul fronte del Foro.

Alla fine degli anni Trenta si pensò di collegare i tre palazzi capitolini con una galleria sotterranea con grandiosi lavori di ristrutturazione, con l'apertura di due arcate della galleria sul Foro e la scoperta del Tempio di Veiove nella galleria di Sisto IV.

Il Tabularium ha modificato le pendici del colle realizzando un'unica struttura a rinforzo del pendio, costituito in quest'area da terreni argillosi, con vari terrazzamenti lungo il pendio del colle. La struttura è poi attraversata da una ripida scala che giunge fino al piano del Foro Romano, sul quale si apriva con una porta in travertino.

I muri, in opera cementizia, presentano verso l'esterno un rivestimento in blocchi sistemati alternativamente per testa e per taglio in pietra gabina o in tufo rosso.

II lato sud-ovest, su via del Campidoglio, presenta un muro pieno, in opera quadrata di pietra gabina, ben conservato tra le torri medioevali di Bonifacio IX e il contrafforte che chiude la galleria. Al centro del muro, inquadrata da due specchiature rettangolari incassate nella superficie, si apre una grande nicchia quadrangolare, della quale è stata ritrovata la soglia in travertino.

Scavi eseguiti nella sede stradale nei primi anni Ottanta hanno evidenziato le fondazioni di un poderoso muro in pietra gabina che fronteggiava il Tabularium al di là di una strada, già individuata nell'Ottocento per la presenza dei basoli ancora in situ e sicuramente preceduta da una strada di età repubblicana e forse da una ancora più antica. All'interno della nicchia è stato ricavato in tempi moderni l'accesso al Tabularium e alla grande galleria.

La galleria era coperta da volte a padiglione, delle quali rimane un unico esempio originale nell'ultima campata verso via di San Pietro in Carcere. Arcate separano la galleria da una serie di ambienti interni, tre su un lato, due sull'altro di una parete piena in blocchi di pietra gabina; su quest'ultima l'erosione eolica ha prodotto effetti molto particolari.

Al centro di essa una porta moderna permette l'accesso a un grande vano di fondazione, immediatamente alle spalle della galleria. I vani di fondazione dovevano essere originariamente chiusi su tutti i lati e forse interrati, perchè le pareti sono pn opera cementizia priva di fodera con i segni delle tavole della centina e i successivi getti di calcestruzzo.

Sterri eseguiti negli anni Trenta hanno riportato alla luce i resti di un edificio precedente al Tabularium, forse della seconda metà del II secolo a.c., di cui si conserva parte del pavimento in mosaico bianco e nero, da cui si accedeva, attraverso una soglia in travertino, a una terrazza con pavimento in scaglie di calcare bianco con inserzioni irregolari di pietre colorate. Saggi degli anni Ottanta hanno messo in luce una cisterna foderata in cocciopesto coperta da questo edificio.

Percorrendo la scala e attraversando uno stretto ambiente si giunge sulla passerella, montata in occasione dei recenti lavori, che sovrasta i resti del Tempio di Veiove.

Proprio sopra i consistenti resti del tempio fu realizzata, nel Medioevo, la rampa che dalla piazza saliva ai piani superiori del Palazzo Senatorio: questo ha preservato l'area dagli appetiti dei cavapietre e ha permesso di trovare, durante gli scavi degli anni Trenta, nella stessa cella dove era stata originariamente collocata, la grande statua di culto del dio.

Tornando indietro, si raggiunge di nuovo la galleria. Lo spazio di una campata è stato utilizzato nel XVIII secolo per una scala che univa i piani superiori e gli alloggi del Senatore con la galleria; grazie all'nterro che si era accumulato a ridosso del muro del Tabularium, era possibile uscire verso il Foro tramite la vicina arcata, unica rimasta aperta.

Due grandi frammenti delle trabeazioni del Tempio della Concordia e di quello di Vespasiano e Tito sono stati rimontati nell'Ottocento sulle pareti: essi sono frutto degli scavi realizzati all'inizio del secolo ai piedi del Tabularium.

Il frammento del Tempio della Concordia, pertinente al restauro del tempio operato da Tiberio, mostra eleganza e delicatezza degli intagli marmorei, tipiche del periodo Augustano. Il frammento del Tempio di Vespasiano e Tito, dalla magistrale plasticità dei rilievi, raffigura oggetti di culto e strumenti sacrificali, tra cui il bucranio, la patera, il copricapo, l'aspersorio, la brocca, il coltello.

L'ambiente dove è montato il cornicione del Tempio di Vespasiano e Tito era originariamente chiuso da un muro di fondo in corrispondenza dell'arco. Quest'ultimo è stato realizzato in epoca imprecisata per la collegare la galleria sul Foro con quella di Sisto IV; il collegamento è esistito fino ai lavori del 1939.

Nel successivo vano di fondazione è stata sistemata la statua di culto di Veiove, rinvenuta negli scavi del 1939. Di altezza doppia del vero, la statua, purtroppo acefala, è ricavata da un unico blocco di marmo bianco. Il Dio è giovane e nudo ma con la spalla e il braccio sinistri avvolti da un ampio mantello che, con pieghe larghe e piatte, arriva fino a terra.

Non è chiaro il carattere, per alcuni maligno, per altri benevolo, né il suo rapporto con Giove, a cui il Dio è legato sia dagli attributi, i fulmini e la capra, sia dal nome simile. E stata recentemente proposta una datazione della statua in età sillana, coeva quindi alla costruzione del Tabularium.

L'ultimo ambiente permette di ammirare da vicino il lato posteriore del podio del Tempio di Veiove attraverso due varchi nel muro del Tabularium, realizzati al momento dello scavo. Tornando indietro verso la galleria, è possibile osservare uno degli ambienti del fronte sud-est del Tabularium.

Questi ultimi, a due piani, si affacciavano su un corridoio di disimpegno chiuso da un muro in opera quadrata in parte ancora esistente; proprio a una piattabanda di questo corridoio appartiene l'iscrizione di Lutazio Catulo.

Il vano, del quale nel corso del recente restauro è stato possibile recuperare l'originario pavimento in scaglie di calcare bianco, presenta ancora gran parte dell'originario intonaco che copriva le pareti di tufo nonché l'originaria volta in muratura.

Simili i due vani affiancati sul lato nord, mentre in quello sul lato sud inizia una scala che permette di scendere verso la galleria inferiore. Quest'ultima corre lungo il fronte del Foro Romano, verso il quale si apre con finestre rettangolari; tramite una porta, poi obliterata, si raggiungeva un edificio del Foro.

In età flavia la galleria è stata occupata da un condotto idrico con copertura "a cappuccina", del quale rimangono alcuni tratti. È stata poi utilizzata, forse come magazzino, e di questa fase rimangono gli stipiti di due porte. Il pavimento attuale è stato portato a un livello inferiore di quello originario e la volta è stata probabilmente alzata: il corridoio doveva essere pertanto più angusto e particolarmente basso.

Del fronte nord-ovest del Tabularium, verso l'attuale piazza del Campidoglio, si conservano pochi resti, dai quali si deduce che esso, dopo la rientranza in corrispondenza del Tempio di Veiove, proseguiva parallelamente al fronte sud-est.


RODOLFO LANCIANI

« Il museo capitolino comprendeva i bronzi già lateranensi, la mano col globo detta « palla Sansonis », la Zingara o Camillo, il fanciullo che si cava la spina, la « lupa mater Romanorum » , la testa colossale di Domiziano, e l' Ercole Vittore del foro boario, della cui scoperta si ignora la data precisa. Sulla sua base fu incisa la memoria, Albertini, Opusc, p. 86 « Syxto IIII pont. max. regnante aeneum Herculis simulacrum aurea mala sinixtra gerentis in ruinis Herculis vict.

Alcune scolture del tempio di Ercole migrarono, si afferma, sino a Padova; così la « Notizia di opere di disegno », scrittura di un anonimo della prima metà del sec. XVI, edita dal Morelli, Bassano 1800, registra nella casa di Leonico Tomeo, contemporaneo di Sisto IV, un rilievo di « Ercole con la Virtù e Voluptà . . . , opera antica fatta in Roma da un tempio d' Ercole ornato tutto a quella foza » . Quando fra Giocondo si mise a comporre la collattanea, Egli ricorda finalmente d' aver veduto « in quadam fenestra fragmentum « LEGIONIS • X • BATAORVM, e CIL. 20501 « in sala Capitolii ubi redditur ius ».

« Andrea Fulvio così parla delle raccolte capitoline a p. 41 dell' aurea traduzione Ferrucci « Sono hoggi in piedi delle imagini antiche in Campidoglio, dinanzi alla casa de' Conservadorj una lupa di rame con Romolo e Remo, edificatori di Roma .... È ancora in piedi sotto al portico una grande Testa di rame che, secondo eh' é dicono, è quella di Commodo . . . con una mano et con un piede, et simigliantemente due grandissime statue di marmo, che, secondo si può per coniettura comprendere, l' uno rappresenta il Nilo, et 1' altro il Tigri-e . . . 

Dentro alla soglia, da mano destra, come l'huomo entra, si vede un simulacro di rame indorato et ignudo di Hercole ancoro senza barba ... la quale statua, al tempo mio, sotto le rovine dell' altare grande (ara Maxima) alla piazza del mercato de buoi è stata ritrovata. Sono ancora in piedi dentro à quel cortile, il capo et i piedi di un colosso di marmo et alcune altre reliquie et fragmenti che prima erano lungo il tempio della pace nella via Sacra.

Veggonvisi ancora alcun quadro di figurette di marmo, murate in una di quelle facciate, che sono di L. Vero Antonino quando egli trionfò de' Parti . . . levate et più addentro, ove i Conservatori danno udienza, vi sono due statue di bronzo, che rappresentano dui giovani (la Zingara e il Fanciullo dalla spina) . . . Vedonsi ancora alcune statue di marmo non molto grandi ma guaste e rotte, poste dentro à luoghi loro. 

È ancora dipinto nuovamente nel muro i gesti et i trionfi de' sette re di Roma, et nell' altra parte del Campidoglio inverso occidente non si vede altro se non rovine et rotture de monti ..." Relativamente alle Anitre oggi conservate nella sala dell' Udienza, il Fulvio dice a p. 127 « Essendo edificato in qual luogo (le Equina) la chiesa (di s. Maria in Aquiro) da Anastasio papa, furono ritrovate ne' fondamenti certe anitre di rame, che poco tempo fa si vedevano nel detto tempio ».


BIBLIO

- Pier Luigi Tucci - «Where high Moneta leads her steps sublime» - The Tabularium and the Temple of Juno Moneta - in Journal of Roman Archaeology - 18 - 2005 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore - Verona - 1984 -
- Aulo Gellio - Notti attiche - V -




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