VIENE LA FESTA DEL MARTE ROMANO
Viene la festa del Marte
romano, il primo di marzo,
questo, per gli avi nostri,
fu l'inizio dell'anno,
e per le vie, per le case
della città, con la solita
processione, si spargono
i regali dovunque.
L'omaggio dite voi, Pieridi,
con cui si onori Neera;
mia, ma se m'ingannassi,
cara a me tuttavia.
Seduce il canto le belle,
ed il danaro le avare :
ella, come ben degna,
goda de' versi miei.
Ma gialla avvolga il libretto
niveo la pergamena,
a cui abbia la pomice
rasi i candidi peli,
e della carta sottile
ricopra gli ultimi bordi,
sí che mostri l'artistica
etichetta il tuo nome,
e fra un margine e l'altro
siano dipinte le punte:
ché adornata in tal modo
si deve mandar l'opera.
Voi, ve ne prego per l'ombra
Castalia e i laghi di Pieria,
che m'avete ispirato
questi versi, recatevi
alla sua casa, e porgetele
come sarà, che non mai
se ne stinga il colore
l'elegante libretto.
Da lei ne avrò, per risposta,
se ci siam cari a vicenda,
o meno, o se caduto
le son tutto dal cuore.
Ma prima, come si merita,
fatele un monte d'auguri,
e con tono sommesso
dite queste parole :
"L'ora fratello, ex promesso,
ti manda, o casta Neera,
questo, e prega che accetti
il modesto regalo,
e giura che tu gli sei
piú cara delle sue viscere,
tanto se gli sarai
moglie quanto sorella.
Moglie però sarà meglio:
di tale nome a lui morto
la smorta acqua di Dite
toglierà la speranza."
CON GLI OCCHI AZZURRI
Con gli occhi azzurri come il mare azzurro
l'amorosa Asclepia
apre le vele al mare dell'amore.
LA COPPA
Rabbrividí la coppa di piacere
appena la toccò la fresca bocca
di Zenòfila.
Oh lei beata! Potessi io le labbra
di Zenòfila avere sulle mie,
e sentirmi cosí, tutta di un fiato,
bevere l'anima.
Q. ORAZIO FLACCO (65 - 8 a.c.)
LALAGE
Chi ha mente pura, senza colpa in cuore,
non s'armi d'arco né d'avvelenate
saette, o Fusco, se pel gran calore
di Libia s'incammina o per le ingrate,
inospiti caucasiche montagne
o pel paese che l'Idaspe irriga.
Guarda me: passeggiavo le campagne
mie di Sabina, sciolto da ogni briga,
e canticchiando non so piú che cosa
della mia Lalage. Ed un lupo enorme
come non vide ancor la bellicosa
Daunia ne' suoi querceti, né l'informe
deserto d'Africa che sa i leoni...
mi fugge innanzi bench'io sia senz'armi.
Portami quindi dove i campi proni
muoion di sete, ove i segreti carmi
non s'odon di ruscelli e la verzura
le case non allieta; portami ove
sulla desolazion della natura
incombon cieli grigi e nebbie e piove:
là sotto il freddo dell'eterna brina,
là dove il suolo per l'arsura stride,
amerò Lalage, la chiacchierina,
che dolcemente parla e dolce ride.
CATULLO (87 - 54a.c.)
Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
i brontolii dei vecchi troppo seri
valutiamoli tutti un soldo!
I soli posson tramontare e ritornare:
per noi, quando una volta la breve luce tramonti,
c'è un'unica perpetua notte da dormire.
Dammi mille baci, poi cento,
poi mille altri, poi ancora cento,
poi sempre altri mille, poi cento.
Poi, quando ne avrem fatti molte migliaia,
li mescoleremo, per non sapere,
o perché nessun malvagio possa invidiarli,
sapendo esserci tanti baci.
Il passero, delizia della mia ragazza,
con cui suole giocare, e tenerlo in seno,
ed a lui bramoso dare la punta del dito
ed eccitare focosi morsi,
quando alla mia splendida malinconia
piace scherzare a non so che di caro
e piccolo sollievo del suo dolore,
credo perché allora s'acquieti il forte ardore:
teco potessi come lei giocare
ed alleviare le tristi pene del cuore!
Chiedi quanti tuoi baciamenti, Lesbia,
mi sian sufficienti e di più.
Quanto grande il numero di sabbia libica
giace nella Cirene produttrice di laserpizio
tra l'oracolo dell'infuocato Giove
ed il sacro sepolcro dell'antico Batto;
o qunte stelle, quando la notte tace,
vedono i furtivi amori degli uomini:
che tu baci con altrettanti baci
è sufficiente e di più per il pazzo Catullo,
e che i curiosi non possano contare
né gettare il malocchio con mala lingua.
Misero Catullo, smetti di impazzire,
e ciò che vedi esser perso consideralo perduto.
Un tempo ti rifulsero candidi soli,
quando vagavi dove guidava una ragazza
da noi amata quanto nessuna sarà amata.
Lì, quando si compivan quei tanti giochi,
che tu volevi nè lei non voleva,
davvero ti rifulsero candidi soli.
Ora lei non vuol più: tu pure impotente non volere,
non inseguire chi fugge, non viver misero,
ma sopporta con mente ostinata, resisti.
Addio ragazza, ormai Catullo resiste,
non ti cercherà né, restia, ti pregherà.
Ma tu soffrirai, quando senza valore sarai pregata.
Malvagia, guai a te, che vita ti rimane?
Chi ora ti avvicinerà? A chi sembrerai carina?
Chi ora amerai? Di chi dirai di essere?
Chi bacerai? A chi morderai la boccuccia?
Ma tu, Catullo, ostinato resisti.
Anonima - PERVIRGILIUM VENERIS (III sec. d.c.)
Ami domani chi non amò mai: domani ami chi amò.
Ecco la nuova primavera, la primavera dei canti;
di primavera è nato il mondo,
di primavera concordano gli amori,
di primavera sposano gli uccelli e la foresta
spiega la sua chioma dalle piogge fecondatrici.
Domani la congiungitrice degli amori
tra le ombre degli alberi intreccia
verdi capanne con ramoscelli di mirto.
Domani detta Dione le sue leggi dall’altissimo trono.
Ami domani chi non amò mai. Domani ami chi amò.
TIBULLO (50 circa - 18 circa a.c.)
SEMPRE, PER PRENDERMI, O AMORE
Sempre, per prendermi, o Amore,
mi mostri un viso allettante,
ma con me disgraziato
sei poi duro, intrattabile.
Perché con me questa tua
ferocia? O forse è gran vanto
ordir lacci ad un uomo,
per un dio? Mi si tendono
agguati : già, di nascosto,
Delia, l'astuta, compiace
nel silenzio notturno
a non so quale giovane.
Dice, e lo giura, di no :
ma come le si può credere?
Anche con il marito
nega tutto di me.
Io le insegnai, disgraziato,
come ingannare i guardiani,
io stesso : ahi, ahi, son vittima
ora dell'arte mia.
Apprese allora che cosa
fingere per dormir sola;
come aprir l'uscio senza
fare stridere i cardini.
Le diedi allora erbe e succhi
per cui sparissero i lividi
che coi morsi s'imprimono
a vicenda gli amanti.
Ma tu, perché ella non pecchi
affatto, incauto marito
d'una bugiarda giovane,
custodisci anche me.
Bada che non intrattenga
parlando a lungo dei giovani,
né che, sciolto il vestito,
stia col seno scoperto,
né che t'inganni coi cenni,
né che col dito bagnato
nel vino tracci dei
segni sopra la tavola.
Se esce assai spesso, e se si reca
ai riti della dea Bona,
dice lei, da cui gli uomini
sono esclusi, apri gli occhi.
Io solo, se me la affidi,
le terrò dietro agli altari:
non avrò da temere
per i miei occhi, allora.
lo spesso, con il pretesto
di esaminarne i gioielli
e il sigillo, ricordo,
le ho toccato la mano.
Spesso t'ho fatto venire
sonno col vino : io bevevo
vino misto con l'acqua,
sobriamente, per vincere.
T'ho — lo confesso, perdonami —
offeso non di proposito :
lo ha voluto l'Amore :
chi prenderebbe le armi
contro gli dei? Son io quello,
non mi vergogno di dirlo,
contro cui tutta notte
la tua cagna abbaiava.
SULPICIA (I sec. a.c.)
L'AMORE ALFINE È VENUTO
L'amore alfine è venuto,
ed occultarlo al pudore
piú che aprirlo a qualcuno
mi sarebbe vergogna.
Pregata dalle mie Muse,
me lo portò Citerea,
ed ella lo depose
entro le nostre braccia.
Venere fu di parola:
e se diranno che alcuno
di suoi non ne ebbe, quello
racconti i miei piaceri.
Non voglio confidar nulla
a buste con il sigillo,
perché nessuno prima
del mio caro lo legga:
piace il peccare, ma secca
il fare un viso contrito;
si dica ch'eravamo
degni l'una dell'altro.
IBICO (VI sec. a.c.)
COME IL VENTO DEL NORD
A primavera, quando
l'acqua dei fiumi deriva nei canali
e lungo l'orto sacro delle vergini
ai meli cidonii apre il fiore,
ed altro fiore assale i tralci della vite
nell'ombra delle foglie;
in me Eros,
che mai alcuna età mi rasserena,
come il vento del nord rosso di fulmini,
rapido muove: cosí, torbido
spietato arso di demenza,
custodisce tenace nella mente
tutte le voglie che avevo da ragazzo.
NUOVAMENTE EROS
Ora io trepido quando si avvicina,
come cavallo che uso alle vittorie,
a tarda giovinezza, contro voglia
fra carri veloci torna a gara.
PAOLO SILENZIARIO (500 circa - 575 circa)
AD UN CAPELLO È APPESA...
Tolto un capello alla sua chioma d'oro
Dòride m'ha legato
come si lega in guerra un prigioniero.
Ne ridevo dapprima:
— Che cosa sarà mai
spezzare cosí fragile catena? —
Poi mi mancò la forza, e piansi, e preso
e ribattuto fui come tra vincoli
di duro acciaio.
Or a un capello è appesa la mia vita,
e a sua voglia la donna mi conduce.
IL PIANTO DI LAIDE
Che dolce cosa il sorriso di Laide,
e quel suo pianto che muto le scende
dalle mobili ciglia!
In lacrime anche ieri, e non sapevo
perché: chinato
aveva il capo sopra una mia spalla.
Io la baciavo. Come rugiadose
stille di fonte
cadeva il pianto sulle nostre labbra
congiunte. "Ma perché?"
"Temo che tu mi lasci", mi rispose.
ANTOLOGIA PALATINA
L'Antologia Palatina è una raccolta di epigrammi greci compilata a Bisanzio intorno alla metà del X sec.
RUFINO
Mando mille auguri di felicità alla mia dolce Speranza,
io, Rufino, se senza di me può esser felice.
Non ce la faccio più, lo giuro sui tuoi occhi,
a sopportare la solitudine e il letto dove tu non ci sei.
Scorrono sempre le lacrime quando vado a Coresso,
oppure al tempio della grandissima Artemide.
Ma domani la patria mi accoglierà, e volerò ai tuoi occhi,
per farti ancora mille e poi mille auguri.
Fino a quando, Prodice, verrò da te a piangere,
fino a quando ti supplicherò, crudele, senz'essere udito?
Ma ecco che ti spuntano in testa capelli bianchi,
e subito mi darai quello che a Priamo dà Ecuba.
Se dirigi le frecce verso ambedue, sei un dio, Amore,
se inclini verso una parte soltanto, non sei un dio.
Atena ed Era dai sandali d'oro videro un giorno Meonide
e dal profondo del cuore gridarono ad una voce:
"Non ci spoglieremo più, ci basta il giudizio di Paride:
non è bello essere due volte sconfitte in bellezza".
Hai la bellezza di Afrodite, la bocca della Persuasione,
la freschezza delle Ore primaverili, la voce della Musa Calliope,
la mente e la saggezza di Temi, le mani di Atena.
Con te, mia File, le Grazie diventano quattro.
Ho visto Prodice sola, per buona fortuna,
e l'ho pregata e le toccavo le divine ginocchia:
"Salva - dicevo - un uomo vicino alla morte,
donagli il soffio di vita che sta fuggendo".
Pianse sentendo queste parole ma poi,
asciugate le lacrime, con le sue dolci mani mi buttò fuori.
Chi t'ha buttata fuori di casa, nuda, chi t'ha frustata?
Chi può avere un cuore tanto di pietra? Non t'ha guardata?
Forse, arrivando all'improvviso, ha trovato un altro amante?
ma, figlia mia, è quello che fanno tutte.
Tranne che d'ora in poi quando hai qualcuno dentro e lui è fuori,
metti il paletto, che non ti capiti un'altra volta.
Odio la donna facile, odio la donna troppo pudica:
l'una dice di sì con troppa lentezza, l'altra di fretta.
Un uomo butta fuori una donna perché le ha scoperto un amante,
come non fosse un amante anche lui, ma un allievo di Pitagora,
e tu per questo, bambina, piangi e ti sciupi il volto,
e soffri il freddo alla porta di un pazzo furioso?
Asciugati gli occhi, non piangere: un altro ne troveremo,
che non sia capace di vedere ed usare la frusta.
Le due etere Lembio e Cercurio sono ormeggiate nel porto di Samo.
Fuggite tutti, ragazzi, le corsare d'amore:
chiunque le accosti finisce sommerso e risucchiato da loro.
Una ragazza dai piedi argentei faceva il bagno,
spruzzando i candidi seni, mele dorate;
le natiche ben tornite palpitavano di un movimento armonioso,
era la loro pelle più insinuante dell'acqua.
E con la mano distesa teneva celata
la vasta fessura, non tutta, quanto era possibile.
Giocavo al gioco dell'asta con Filippa dai cigli neri,
e l'ho fatta ridere dal profondo del cuore:
"Dodici volte ho colpito, e domani ancora di più
o almeno altre dodici: so che ne sono capace".
Venne al mio invito e ancora ridendo le dissi:
"Ti avessi chiamata, quando ti sei svegliata, stanotte!".
Il tempo non ha ancora spento la tua bellezza;
restano ancora residui intatti della giovinezza passata;
restano le grazie che non invecchiano e lo splendore
e il sorriso del seno, e le rose non sono sparite.
Quanti ne ha bruciato allora il tuo sguardo divino...
Spesso ho desiderato, Talia, di possederti di notte,
e soddisfare così l'ardente passione dell'anima.
Ora che sei qui con me, il corpo dolcissimo nudo,
io soccombo sfinito al bisogno di sonno.
Povero cuore, che fai? Svegliati e non desistere,
ti troverai a rimpiangere questa suprema fortuna.
Gli occhi d'oro, le guance di cristallo, la bocca più dolce
di una corolla di rosa purpurea, candido collo, e seni fulgidi,
e piedi più bianchi dei piedi d'argento di Teti;
se tra i capelli balena già qualche spina,
non farò attenzione ai capelli bianchi.
Io, proprio io sono stato chiamato a giudicare tre culi:
loro m'avevano scelto e mi mostrarono il loro nudo splendore.
L'una fioriva della bianca dolcezza dei glutei,
suggellata da fossette rotonde,
l'altra si apriva e la sua carne di neve diventava vermiglia,
più rossa di una rosa purpurea;
la terza era come mare in bonaccia,
percorso da tacite ondate,
la morbida pelle scossa da uno spontaneo tremore.
Se il giudice delle dee avesse visto quei culi,
non avrebbe voluto vedere quelle altre.
Rodope, Melite e Rodoclea contesero
chi delle tre aveva la fica più bella,
e mi scelsero a giudice: come le dee famose,
stettero davanti a me, nude, stillando nettare.
Quella di Rodope splendeva in mezzo alle cosce
come una corolla di rosa, attraversata da Zefiro;
Quella di Rodoclea era come cristallo,
come una statua nel tempio, appena scolpita,
di delicata fattura. Ma io, sapendo quello
che passò Paride per la sua scelta,
mi affrettai ad incoronare tutt'e tre le divine.
Non abbracciare una donna né troppo magra,
né troppo grassa: scegline una intermedia.
All'una manca la carne, l'altra ne ha troppa:
tu non prendere il troppo né il troppo poco.
Dove sono, Melissa, gli incanti dorati e le bellezze
della tua immagine, che tanto furono celebri?
Dov'è l'orgoglio, l'alterigia, il portamento superbo,
il lusso dei gioielli dorati ai tuoi piedi?
Ora i capelli sono poveri e secchi, ai piedi pelle di capra;
ecco dove finisce il lusso delle cortigiane.
Ora dici "ciao", ora che se n'è andato il tuo viso,
sciagurato, che era più liscio del marmo;
ora scherzi con me, ora che sono caduti i capelli
che s'agitavano sul tuo collo orgoglioso.
Non venire più da me, non cercarmi, superbo:
non accetto le spine al posto della rosa di un tempo.
Non te lo dicevo, Prodice, "Invecchiamo", non te lo dicevo
la fine dell'amore verrà ben presto"?
Ecco adesso le rughe, la canizie, il corpo logoro,
e la bocca non possiede più le grazie di prima.
Forse qualcuno adesso ti cerca, superba, ti adula,
ti supplica? Come a una tomba ti passiamo davanti.
Amore che dà dolci doni mi ha dato a te come schiavo,
Boopi, sottomettendo al giogo del desiderio un toro
che serve di sua volontà e ben volentieri,
uno schiavo assoluto che mai chiederà, fino alla vecchiaia, alla canizie,
la libertà che gli sarebbe amarissima.
E che il malocchio non colpisca le nostre speranze.
Piuttosto delle donne altere scegliamo le schiave,
noi che non abbiamo gioia dei piaceri rubati.
Le une hanno pelle olezzante, portamento superbo,
e il loro amplesso sfiora sempre il pericolo.
Le altre hanno pelle e grazia naturale, facile letto,
e non richiedono spese inaccessibili.
Il mito Pirro, figlio di Achille, che al letto di Ermione
preferì quello di Andromaca, ed era schiava.
Non vado più pazzo per gli uomini, ma per le femmine,
ora per me il disco si è mutato nel crotalo;
invece dell'incarnato naturale dei giovani
mi piacciono i fiori di cipria e di rossetto.
Potrà dunque essere che il delfino pascoli sull'Erimanto boscoso,
e le cerve veloci sopra le onde del mare canuto.
Dolce è il bacio di Europa, anche se tocca appena le labbra,
dolce anche se sfiora appena la bocca;
non è alle labbra che s'accosta, ma preme la bocca,
e dal profondo rapisce l'anima intera.
Dov'è Prassitele? Dove sono le mani di Policleto che alla loro arte davano vita?
Chi saprà riprodurre i capelli profumati di Melite,
o gli occhi ardenti, o la luce del candido collo?
Dove può esservi chi la modelli, chi la scolpisca?
A questa bellezza dovremmo consacrare un santuario,
come alle statue degli immortali.
Facciamo il bagno, Prodice, e coroniamoci il capo di fiori,
e prendiamo per il vino coppe più grandi.
È breve il tempo della letizia,
poi per il resto ce lo impedirà la vecchiaia e la fine, la morte.
STRATONE (III sec. d.c.)
"Cominciamo da Zeus", secondo il precetto di Arato,
ma non disturberò quest'oggi voi Muse:
se amo i ragazzi e sto insieme ai ragazzi
che avranno mai a che fare le Muse con questo?
MELEAGRO
Se troppe volte scotti l'anima che ti gira intorno,
ti fuggirà, Amore: anche lei ha le ali.
Il tuo bacio è un vischio, Timario, gli occhi una fiamma;
Il cuore me lo dice, che sfugge al desiderio di Eliodora,
e mi riconduci incatenato, tuo supplice.
Ma sei traditore e malvagio, nascondi i tuoi misteri,
e i miei adesso li vuoi portare alla luce.
DIOSCORIDE
ASCLEPIADE
Zeus, fa' venire la neve, la grandine, il buio, la folgore,
scuoti sopra la terra le nubi scure; se mi uccidi,
cesserò allora, ma se lasci ch'io viva
e mandi anche cose peggiori di queste, farò baldoria.
Mi trascina il mio e tuo signore,
al quale obbedisti quando in forma di pioggia d'oro
penetrasti la stanza di bronzo.
Su di te, lucerna, ha giurato tre volte Eraclea
In forma d'aquila Zeus venne a Ganimede,
in forma di cigno alla bionda madre di Elena.
Sono cose inconfrontabili; c'è a chi sembra migliore l'una,
a chi l'altra, e quanto a me, tutt' e due.
CALLIMACO (III sec. a.c.)
Quattro sono le Grazie: alle tre un'altra s'è aggiunta,
modellata da poco, stillante ancora profumo:
è la splendida Berenice, ammirata da tutti,
senza di lei le Grazie non sarebbero Grazie.
MACEDONIO
Ho sognato una notte che tenevo stretta fra le mie braccia
la ragazza che è tutta un sorriso. Mi accontentava in ogni cosa,
mi permetteva di accostarmi al suo corpo con ogni carezza.
Però Amore invidioso mi ha teso un agguato notturno,
ed ha disperso il nostro amplesso, interrompendomi il sonno.
Sì, neppure nel sogno Amore mi lascia godere
il frutto del dolcissimo abbraccio.
Perché sguainare la spada? Lo giuro sulla tua testa,
Cerco l'amore con l'aiuto dell'oro. Non è con l'aratro,
Ridi, e il tuo riso è un nitrito che prelude all'amplesso;
mi fai un lieve cenno; ma inutilmente mi provochi.
Ho giurato e spergiurato che a chi rifiuta l'amore
mai avrei rivolto uno sguardo d'amore.
Gioca da sola a baciare; schiocca da sola le labbra nude,
che non s'incontrano con altre labbra.
Io me ne vado per un'altra strada.
Tante altre ci sono migliori di te, al servizio dell'amorosa Afrodite.
PAOLO SILENZIARIO
La mia immagine, che Amore audace aveva impresso un tempo
nella calda profondità del tuo cuore, ahimè, l'hai sputata via;
ed io non me lo aspettavo, e serbo in me intatta l'impronta del tuo splendore.
Barbara, la mostrerò al sole ed al dio dei morti,
e contro di te chiederò giustizia a Minosse.
Si è spenta la fiamma del fuoco e io più non soffro,
"Addio", stavo per dirti, ma poi torno indietro
Sono lunghi e sonori i baci di Galatea, morbidi quelli di Demo, Doride morde.
Quella che un tempo impazzava in mezzo alle donne,
Ieri Ermonassa, mentre, ubriaco di vino,
Ho i suoi seni nelle mie mani, sulla bocca la bocca,
Cleofantide tarda, e già il terzo lume
La bella Menecratide, immersa nel sonno diurno,
giaceva col braccio piegato intorno alle tempie.
Audacemente entrai nel suo letto e già avevo compiuto con gioia
metà della strada d'amore, quand'essa si risvegliò dal sonno
e con le candide mani mi tirava tutti i capelli sul capo;
dopo fu la lotta, e il compimento dell'impresa d'amore,
ma la ragazza, piena di lacrime, disse:
"Sciagurato, hai fatto ciò che volevi,
per cui tante volte ho rifiutato l'oro che la tua mano mi offriva:
ma ora tu te ne vai e abbraccerai un'altra donna:
siete insaziabili operai di Afrodite".
AGAZIA SCOLASTICO
Anche tu senti il desiderio, Filinna? Anche tu soffri,
e ti consumi con gli occhi essiccati dal pianto?
Oppure hai un sonno dolcissimo e delle mie pene
non hai pensiero, né preoccupazione nessuna?
Presto, anche tu, sciagurata, avrai la stessa esperienza,
e vedrò le tue guance bagnarsi di lacrime fitte.
Afrodite è maligna in tutto, ma almeno una cosa ha di buono:
detesta le donne orgogliose.
Piango per tutta la notte; poi, quando arriva l'alba
Quella che un tempo andava superba del suo splendore,
Ti porto questo velo, mia sposa,
Afrodite in persona e gli amabili amori si vendicheranno
Tre volte brigante potrebbe chiamarsi amore a ragione:
TUDICIO GALLO
ALCEO
VARI
LALAGE
Chi ha mente pura, senza colpa in cuore,
non s'armi d'arco né d'avvelenate
saette, o Fusco, se pel gran calore
di Libia s'incammina o per le ingrate,
inospiti caucasiche montagne
o pel paese che l'Idaspe irriga.
Guarda me: passeggiavo le campagne
mie di Sabina, sciolto da ogni briga,
e canticchiando non so piú che cosa
della mia Lalage. Ed un lupo enorme
come non vide ancor la bellicosa
Daunia ne' suoi querceti, né l'informe
deserto d'Africa che sa i leoni...
mi fugge innanzi bench'io sia senz'armi.
Portami quindi dove i campi proni
muoion di sete, ove i segreti carmi
non s'odon di ruscelli e la verzura
le case non allieta; portami ove
sulla desolazion della natura
incombon cieli grigi e nebbie e piove:
là sotto il freddo dell'eterna brina,
là dove il suolo per l'arsura stride,
amerò Lalage, la chiacchierina,
che dolcemente parla e dolce ride.
CATULLO (87 - 54a.c.)
CATULLO |
i brontolii dei vecchi troppo seri
valutiamoli tutti un soldo!
I soli posson tramontare e ritornare:
per noi, quando una volta la breve luce tramonti,
c'è un'unica perpetua notte da dormire.
Dammi mille baci, poi cento,
poi mille altri, poi ancora cento,
poi sempre altri mille, poi cento.
Poi, quando ne avrem fatti molte migliaia,
li mescoleremo, per non sapere,
o perché nessun malvagio possa invidiarli,
sapendo esserci tanti baci.
Il passero, delizia della mia ragazza,
con cui suole giocare, e tenerlo in seno,
ed a lui bramoso dare la punta del dito
ed eccitare focosi morsi,
quando alla mia splendida malinconia
piace scherzare a non so che di caro
e piccolo sollievo del suo dolore,
credo perché allora s'acquieti il forte ardore:
teco potessi come lei giocare
ed alleviare le tristi pene del cuore!
Chiedi quanti tuoi baciamenti, Lesbia,
mi sian sufficienti e di più.
Quanto grande il numero di sabbia libica
giace nella Cirene produttrice di laserpizio
tra l'oracolo dell'infuocato Giove
ed il sacro sepolcro dell'antico Batto;
o qunte stelle, quando la notte tace,
vedono i furtivi amori degli uomini:
che tu baci con altrettanti baci
è sufficiente e di più per il pazzo Catullo,
e che i curiosi non possano contare
né gettare il malocchio con mala lingua.
Misero Catullo, smetti di impazzire,
e ciò che vedi esser perso consideralo perduto.
Un tempo ti rifulsero candidi soli,
quando vagavi dove guidava una ragazza
da noi amata quanto nessuna sarà amata.
Lì, quando si compivan quei tanti giochi,
che tu volevi nè lei non voleva,
davvero ti rifulsero candidi soli.
Ora lei non vuol più: tu pure impotente non volere,
non inseguire chi fugge, non viver misero,
ma sopporta con mente ostinata, resisti.
Addio ragazza, ormai Catullo resiste,
non ti cercherà né, restia, ti pregherà.
Ma tu soffrirai, quando senza valore sarai pregata.
Malvagia, guai a te, che vita ti rimane?
Chi ora ti avvicinerà? A chi sembrerai carina?
Chi ora amerai? Di chi dirai di essere?
Chi bacerai? A chi morderai la boccuccia?
Ma tu, Catullo, ostinato resisti.
Anonima - PERVIRGILIUM VENERIS (III sec. d.c.)
Ami domani chi non amò mai: domani ami chi amò.
Ecco la nuova primavera, la primavera dei canti;
di primavera è nato il mondo,
di primavera concordano gli amori,
di primavera sposano gli uccelli e la foresta
spiega la sua chioma dalle piogge fecondatrici.
Domani la congiungitrice degli amori
tra le ombre degli alberi intreccia
verdi capanne con ramoscelli di mirto.
Domani detta Dione le sue leggi dall’altissimo trono.
Ami domani chi non amò mai. Domani ami chi amò.
TIBULLO (50 circa - 18 circa a.c.)
SEMPRE, PER PRENDERMI, O AMORE
Sempre, per prendermi, o Amore,
mi mostri un viso allettante,
ma con me disgraziato
sei poi duro, intrattabile.
Perché con me questa tua
ferocia? O forse è gran vanto
ordir lacci ad un uomo,
per un dio? Mi si tendono
agguati : già, di nascosto,
Delia, l'astuta, compiace
nel silenzio notturno
a non so quale giovane.
Dice, e lo giura, di no :
ma come le si può credere?
Anche con il marito
nega tutto di me.
Io le insegnai, disgraziato,
come ingannare i guardiani,
io stesso : ahi, ahi, son vittima
ora dell'arte mia.
Apprese allora che cosa
fingere per dormir sola;
come aprir l'uscio senza
fare stridere i cardini.
Le diedi allora erbe e succhi
per cui sparissero i lividi
che coi morsi s'imprimono
a vicenda gli amanti.
Ma tu, perché ella non pecchi
affatto, incauto marito
d'una bugiarda giovane,
custodisci anche me.
Bada che non intrattenga
parlando a lungo dei giovani,
né che, sciolto il vestito,
stia col seno scoperto,
né che t'inganni coi cenni,
né che col dito bagnato
nel vino tracci dei
segni sopra la tavola.
Se esce assai spesso, e se si reca
ai riti della dea Bona,
dice lei, da cui gli uomini
sono esclusi, apri gli occhi.
Io solo, se me la affidi,
le terrò dietro agli altari:
non avrò da temere
per i miei occhi, allora.
lo spesso, con il pretesto
di esaminarne i gioielli
e il sigillo, ricordo,
le ho toccato la mano.
Spesso t'ho fatto venire
sonno col vino : io bevevo
vino misto con l'acqua,
sobriamente, per vincere.
T'ho — lo confesso, perdonami —
offeso non di proposito :
lo ha voluto l'Amore :
chi prenderebbe le armi
contro gli dei? Son io quello,
non mi vergogno di dirlo,
contro cui tutta notte
la tua cagna abbaiava.
SULPICIA (I sec. a.c.)
L'AMORE ALFINE È VENUTO
L'amore alfine è venuto,
ed occultarlo al pudore
piú che aprirlo a qualcuno
mi sarebbe vergogna.
Pregata dalle mie Muse,
me lo portò Citerea,
ed ella lo depose
entro le nostre braccia.
Venere fu di parola:
e se diranno che alcuno
di suoi non ne ebbe, quello
racconti i miei piaceri.
Non voglio confidar nulla
a buste con il sigillo,
perché nessuno prima
del mio caro lo legga:
piace il peccare, ma secca
il fare un viso contrito;
si dica ch'eravamo
degni l'una dell'altro.
IBICO (VI sec. a.c.)
COME IL VENTO DEL NORD
A primavera, quando
l'acqua dei fiumi deriva nei canali
e lungo l'orto sacro delle vergini
ai meli cidonii apre il fiore,
ed altro fiore assale i tralci della vite
nell'ombra delle foglie;
in me Eros,
che mai alcuna età mi rasserena,
come il vento del nord rosso di fulmini,
rapido muove: cosí, torbido
spietato arso di demenza,
custodisce tenace nella mente
tutte le voglie che avevo da ragazzo.
NUOVAMENTE EROS
Ora io trepido quando si avvicina,
come cavallo che uso alle vittorie,
a tarda giovinezza, contro voglia
fra carri veloci torna a gara.
PAOLO SILENZIARIO (500 circa - 575 circa)
ORAZIO FLACCO |
Tolto un capello alla sua chioma d'oro
Dòride m'ha legato
come si lega in guerra un prigioniero.
Ne ridevo dapprima:
— Che cosa sarà mai
spezzare cosí fragile catena? —
Poi mi mancò la forza, e piansi, e preso
e ribattuto fui come tra vincoli
di duro acciaio.
Or a un capello è appesa la mia vita,
e a sua voglia la donna mi conduce.
IL PIANTO DI LAIDE
Che dolce cosa il sorriso di Laide,
e quel suo pianto che muto le scende
dalle mobili ciglia!
In lacrime anche ieri, e non sapevo
perché: chinato
aveva il capo sopra una mia spalla.
Io la baciavo. Come rugiadose
stille di fonte
cadeva il pianto sulle nostre labbra
congiunte. "Ma perché?"
"Temo che tu mi lasci", mi rispose.
ANTOLOGIA PALATINA
L'Antologia Palatina è una raccolta di epigrammi greci compilata a Bisanzio intorno alla metà del X sec.
RUFINO
Mando mille auguri di felicità alla mia dolce Speranza,
io, Rufino, se senza di me può esser felice.
Non ce la faccio più, lo giuro sui tuoi occhi,
a sopportare la solitudine e il letto dove tu non ci sei.
Scorrono sempre le lacrime quando vado a Coresso,
oppure al tempio della grandissima Artemide.
Ma domani la patria mi accoglierà, e volerò ai tuoi occhi,
per farti ancora mille e poi mille auguri.
Fino a quando, Prodice, verrò da te a piangere,
fino a quando ti supplicherò, crudele, senz'essere udito?
Ma ecco che ti spuntano in testa capelli bianchi,
e subito mi darai quello che a Priamo dà Ecuba.
Se dirigi le frecce verso ambedue, sei un dio, Amore,
se inclini verso una parte soltanto, non sei un dio.
Atena ed Era dai sandali d'oro videro un giorno Meonide
e dal profondo del cuore gridarono ad una voce:
"Non ci spoglieremo più, ci basta il giudizio di Paride:
non è bello essere due volte sconfitte in bellezza".
Hai la bellezza di Afrodite, la bocca della Persuasione,
la freschezza delle Ore primaverili, la voce della Musa Calliope,
la mente e la saggezza di Temi, le mani di Atena.
Con te, mia File, le Grazie diventano quattro.
Ho visto Prodice sola, per buona fortuna,
e l'ho pregata e le toccavo le divine ginocchia:
"Salva - dicevo - un uomo vicino alla morte,
donagli il soffio di vita che sta fuggendo".
Pianse sentendo queste parole ma poi,
asciugate le lacrime, con le sue dolci mani mi buttò fuori.
Chi t'ha buttata fuori di casa, nuda, chi t'ha frustata?
Chi può avere un cuore tanto di pietra? Non t'ha guardata?
Forse, arrivando all'improvviso, ha trovato un altro amante?
ma, figlia mia, è quello che fanno tutte.
Tranne che d'ora in poi quando hai qualcuno dentro e lui è fuori,
metti il paletto, che non ti capiti un'altra volta.
Odio la donna facile, odio la donna troppo pudica:
l'una dice di sì con troppa lentezza, l'altra di fretta.
Un uomo butta fuori una donna perché le ha scoperto un amante,
come non fosse un amante anche lui, ma un allievo di Pitagora,
e tu per questo, bambina, piangi e ti sciupi il volto,
e soffri il freddo alla porta di un pazzo furioso?
Asciugati gli occhi, non piangere: un altro ne troveremo,
che non sia capace di vedere ed usare la frusta.
Le due etere Lembio e Cercurio sono ormeggiate nel porto di Samo.
Fuggite tutti, ragazzi, le corsare d'amore:
chiunque le accosti finisce sommerso e risucchiato da loro.
Una ragazza dai piedi argentei faceva il bagno,
spruzzando i candidi seni, mele dorate;
le natiche ben tornite palpitavano di un movimento armonioso,
era la loro pelle più insinuante dell'acqua.
E con la mano distesa teneva celata
la vasta fessura, non tutta, quanto era possibile.
Giocavo al gioco dell'asta con Filippa dai cigli neri,
e l'ho fatta ridere dal profondo del cuore:
"Dodici volte ho colpito, e domani ancora di più
o almeno altre dodici: so che ne sono capace".
Venne al mio invito e ancora ridendo le dissi:
"Ti avessi chiamata, quando ti sei svegliata, stanotte!".
Il tempo non ha ancora spento la tua bellezza;
restano ancora residui intatti della giovinezza passata;
restano le grazie che non invecchiano e lo splendore
e il sorriso del seno, e le rose non sono sparite.
Quanti ne ha bruciato allora il tuo sguardo divino...
Spesso ho desiderato, Talia, di possederti di notte,
e soddisfare così l'ardente passione dell'anima.
Ora che sei qui con me, il corpo dolcissimo nudo,
io soccombo sfinito al bisogno di sonno.
Povero cuore, che fai? Svegliati e non desistere,
ti troverai a rimpiangere questa suprema fortuna.
Gli occhi d'oro, le guance di cristallo, la bocca più dolce
di una corolla di rosa purpurea, candido collo, e seni fulgidi,
e piedi più bianchi dei piedi d'argento di Teti;
se tra i capelli balena già qualche spina,
non farò attenzione ai capelli bianchi.
Io, proprio io sono stato chiamato a giudicare tre culi:
loro m'avevano scelto e mi mostrarono il loro nudo splendore.
L'una fioriva della bianca dolcezza dei glutei,
suggellata da fossette rotonde,
l'altra si apriva e la sua carne di neve diventava vermiglia,
più rossa di una rosa purpurea;
la terza era come mare in bonaccia,
percorso da tacite ondate,
la morbida pelle scossa da uno spontaneo tremore.
Se il giudice delle dee avesse visto quei culi,
non avrebbe voluto vedere quelle altre.
Rodope, Melite e Rodoclea contesero
chi delle tre aveva la fica più bella,
e mi scelsero a giudice: come le dee famose,
stettero davanti a me, nude, stillando nettare.
Quella di Rodope splendeva in mezzo alle cosce
come una corolla di rosa, attraversata da Zefiro;
Quella di Rodoclea era come cristallo,
come una statua nel tempio, appena scolpita,
di delicata fattura. Ma io, sapendo quello
che passò Paride per la sua scelta,
mi affrettai ad incoronare tutt'e tre le divine.
Non abbracciare una donna né troppo magra,
né troppo grassa: scegline una intermedia.
All'una manca la carne, l'altra ne ha troppa:
tu non prendere il troppo né il troppo poco.
Dove sono, Melissa, gli incanti dorati e le bellezze
della tua immagine, che tanto furono celebri?
Dov'è l'orgoglio, l'alterigia, il portamento superbo,
il lusso dei gioielli dorati ai tuoi piedi?
Ora i capelli sono poveri e secchi, ai piedi pelle di capra;
ecco dove finisce il lusso delle cortigiane.
Ora dici "ciao", ora che se n'è andato il tuo viso,
sciagurato, che era più liscio del marmo;
ora scherzi con me, ora che sono caduti i capelli
che s'agitavano sul tuo collo orgoglioso.
Non venire più da me, non cercarmi, superbo:
non accetto le spine al posto della rosa di un tempo.
Non te lo dicevo, Prodice, "Invecchiamo", non te lo dicevo
la fine dell'amore verrà ben presto"?
Ecco adesso le rughe, la canizie, il corpo logoro,
e la bocca non possiede più le grazie di prima.
Forse qualcuno adesso ti cerca, superba, ti adula,
ti supplica? Come a una tomba ti passiamo davanti.
Amore che dà dolci doni mi ha dato a te come schiavo,
Boopi, sottomettendo al giogo del desiderio un toro
che serve di sua volontà e ben volentieri,
uno schiavo assoluto che mai chiederà, fino alla vecchiaia, alla canizie,
la libertà che gli sarebbe amarissima.
E che il malocchio non colpisca le nostre speranze.
Piuttosto delle donne altere scegliamo le schiave,
noi che non abbiamo gioia dei piaceri rubati.
Le une hanno pelle olezzante, portamento superbo,
e il loro amplesso sfiora sempre il pericolo.
Le altre hanno pelle e grazia naturale, facile letto,
e non richiedono spese inaccessibili.
Il mito Pirro, figlio di Achille, che al letto di Ermione
preferì quello di Andromaca, ed era schiava.
Non vado più pazzo per gli uomini, ma per le femmine,
ora per me il disco si è mutato nel crotalo;
invece dell'incarnato naturale dei giovani
mi piacciono i fiori di cipria e di rossetto.
Potrà dunque essere che il delfino pascoli sull'Erimanto boscoso,
e le cerve veloci sopra le onde del mare canuto.
Dolce è il bacio di Europa, anche se tocca appena le labbra,
dolce anche se sfiora appena la bocca;
non è alle labbra che s'accosta, ma preme la bocca,
e dal profondo rapisce l'anima intera.
Dov'è Prassitele? Dove sono le mani di Policleto che alla loro arte davano vita?
Chi saprà riprodurre i capelli profumati di Melite,
o gli occhi ardenti, o la luce del candido collo?
Dove può esservi chi la modelli, chi la scolpisca?
A questa bellezza dovremmo consacrare un santuario,
come alle statue degli immortali.
Facciamo il bagno, Prodice, e coroniamoci il capo di fiori,
e prendiamo per il vino coppe più grandi.
È breve il tempo della letizia,
poi per il resto ce lo impedirà la vecchiaia e la fine, la morte.
STRATONE (III sec. d.c.)
"Cominciamo da Zeus", secondo il precetto di Arato,
ma non disturberò quest'oggi voi Muse:
se amo i ragazzi e sto insieme ai ragazzi
che avranno mai a che fare le Muse con questo?
Non cercare nelle mie pagine Priamo accanto all'altare,
i lutti di Medea o quelli di Niobe,
Iti nelle sue stanze o gli usignoli nel bosco:
questo già a profusione l'hanno scritto gli antichi,
ma il dolce Amore misto alle amabili grazie, e Dioniso:
a questi l'austerità non si addice.
L'appendice dei ragazzi può avere una triplice forma,
Diodoro: te ne dirò tutti i nomi.
Quando non l'ha ancora toccata nessuno si chiama cosino,
pisello quando comincia ad essere florida,
quando vibra nella mano lucertola,
quando è adulta, sai bene come si chiama.
Mi piace la floridezza dei dodici anni,
però più ancora è desiderabile il ragazzo di tredici;
chi ne ha quattordici, è il fiore degli amori più dolci,
chi è all'inizio dei quindici dà ancora un piacere più grande;
sedici anni è l'età degli dei,
diciassette non sono io che li cerco, ma è Zeus medesimo.
Se qualcuno li ama più vecchi, non è per il suo piacere,
quello che cerca è già "a lui così disse in risposta".
Amo i ragazzi pallidi, ed anche i rosei,
ed i biondi: ciò non per tanto mi piacciono anche i moretti.
Non disprezzo gli occhi chiari, però più di tutti
amo lo splendore lucente degli occhi neri.
Culo e oro hanno lo stesso valore numerico:
me ne sono accorto contando per caso.
La vergine non ha sfintere, e non è semplice il suo bacio,
non è profumata la pelle, non ha quel dolce linguaggio postribolare,
né quello sguardo schietto, e quanto più impara diventa peggiore.
Sono frigide tutte di dietro, e ciò che più conta,
non c'è dove posare la mano insinuante.
Passando per i negozi di fiori, ho visto un ragazzo che intrecciava una ghirlanda con grappoli.
Mi ha ferito, non ho potuto passare avanti, mi sono fermato e gli ho chiesto piano:
"A quanto mi vendi il tuo fiore?". Divenne più rosso delle sue rose e chinandosi mormorò:
"Tira di lungo, che non ti veda mio padre". Per la forma ho comprato i fiori,
e tornato a casa ho dedicato le corone agli dei, supplicando di averlo.
Adesso sei bello, Diodoro, maturo per chi ti ama:
se anche ti sposi, noi non ti abbandoneremo.
Se anche ti è spuntata la prima peluria e sulle tempie spirali bionde di riccioli,
non per questo abbandono il mio amore:
che siano capelli, o barba, è mia anche questa bellezza.
Ieri notte avevo Filostrato, ma non ce l'ho fatta,
benché (come dirlo?) lui fosse disposto a tutto.
Amici, non tenetemi più per amico, gettatemi giù da una torre:
sono come il piccolo Astianatte, senza asta.
Euclide è innamorato e ha perso il padre. Lui fortunato!
anche prima suo padre era buono,
gli dava tutto ciò che voleva; adesso è un morto benigno.
Invece io amo in segreto,
ho un destino maligno e un padre immortale.
Mai accoppiare alla luce del sole nascente il ca...ne voglioso al toro;
potrebbe accadere che, quando si sono inumiditi i frutti della feconda Demetra,
si bagni la villosa virilità giovanile.
Tutta la notte, con gli occhi bagnati di lacrime,
ho cercato di dare riposo al cuore insonne,
per l'angoscia che mi ha colpito alla partenza del mio compagno -
sì, mi ha lasciato solo, per tornare alla sua Efeso, Teodoro ieri -
e se non torna indietro subito,
non posso più sopportare il letto deserto.
Se anche voglio passare oltre, quando incontro un bel ragazzo,
passo oltre, ma appena dopo mi volto indietro.
Mai accoppiare alla luce del sole nascente il ca...ne voglioso al toro;
potrebbe accadere che, quando si sono inumiditi i frutti della feconda Demetra,
si bagni la villosa virilità giovanile.
Tutta la notte, con gli occhi bagnati di lacrime,
ho cercato di dare riposo al cuore insonne,
per l'angoscia che mi ha colpito alla partenza del mio compagno -
sì, mi ha lasciato solo, per tornare alla sua Efeso, Teodoro ieri -
e se non torna indietro subito,
non posso più sopportare il letto deserto.
Se anche voglio passare oltre, quando incontro un bel ragazzo,
passo oltre, ma appena dopo mi volto indietro.
Se un ragazzo sbaglia quando non è ancora il tempo della ragione,
l'infamia colpisce piuttosto l'amico che lo corrompe;
se un giovane si sottomette a chi l'età l'ha ormai passata,
questo è due volte più turpe per chi cede.
C'è un'età quando per entrambi non è più brutto,
Meride, e non lo è ancora:
è l'età che tu ed io abbiamo in questo momento.
Com'è buona Nemesi, la dea per la quale giuriamo,
sputando nel petto e temendo il suo lento arrivo.
Tu non l'hai vista inseguirti;
hai pensato che avresti avuto per sempre la tua bellezza.
Adesso è perduta. È venuta la dea dall'ispida collera e io,
già tuo servo, ora tiro di lungo senza darti un'occhiata.
Quando mi viene incontro, mi basta il suo viso incantevole,
non mi volto a guardarlo indietro quando è passato.
Così guardiamo anche la statua ed il tempio del dio,
e non ci giriamo verso la stanza di dietro.
Siamo insieme sulla strada giusta, Difilo:
bada che resti sempre com'era all'inizio.
Tutt'e due abbiamo avuto in sorte qualcosa di alato,
a te la bellezza, a me l'amore: cose fuggevoli entrambe.
Messe insieme resistono, ma se si lasciano senza sorveglianza
ecco che volano via, se ne vanno.
Se ti vanti della tua bellezza, sappi che anche la rosa fiorisce,
ma una volta appassita si getta via con la spazzatura;
il fiore e la bellezza hanno in sorte il medesimo tempo,
e il tempo, invidioso, entrambi li fa appassire.
Ape nata dalla carcassa di un bue, dove hai visto il mio miele
che voli sul fulgido viso del mio ragazzo?
Vuoi smetterla di ronzare e di toccare con le zampette
che raccolgono fiori la sua pelle purissima?
Va' alla malora, a cercare i favi di miele, o ti mordo;
anch'io ho un pungiglione: l'amore.
Andando di notte, dopo cena, a fare bagordi,
io, il lupo, ho trovato un agnello alla porta di casa,
il figlio del mio vicino Aristodico, e l'ho abbracciato e baciato
offrendogli tutti i miei giuramenti. Adesso che cosa gli porto in dono?
Non posso ingannarlo, non è degno di lui lo spergiuro all'italiana.
Prima ci baciavamo a vicenda sul viso e godevamo i preliminari,
Difilo: eri ancora un bambino. Ora ti supplico
"per quelli di dietro, che non ci saranno domani":
ogni cosa si deve svolgere nell'età giusta.
Ti brucerò con la torcia, porta, e brucerò chi sta dentro,
poi, ubriaco, scapperò presto in fuga e attraversando l'Adriatico
che ha il colore del vino, e peregrinando,
m'acquatterò a una porta che la notte si apre.
Dammi un momento la destra
(non perché voglia smettere di ballare,
anche se quel bel ragazzo m'ha preso in giro);
se disgraziatamente non fosse accanto a suo padre,
non invano m'avrebbe visto ubriaco.
Da quale tempio arriva questo stuolo d'amori
questo fulgore abbagliante? amici, io non ci vedo.
Chi di loro è schiavo, chi è libero? io non so dirlo.
Il loro padrone è un uomo? no, non può essere.
Ma se lo è, è molto più grande di Zeus,
che ebbe il solo Ganimede, ed è il dio che sappiamo.
E allora lui che ne ha tanti?
Sciocco, non te lo dice il nome stesso,
se lo si riporta alla parola autentica dalla quale deriva?
Si dice pederasta, Dioniso, non vitellonerasta:
puoi forse fare qualche obiezione al riguardo?
Io mi occupo dei giochi Pitici, tu degli Olimpici:
quelli che io scarto tu li ammetti alle gare.
Forse qualcuno in futuro, ascoltando questi miei scherzi,
penserà che siano mie tutte queste pene d'amore;
ma io offro versi all'uno e all'altro fra quanti amano i bei ragazzi,
,giacché un dio mi ha infuso quest'arte.
MELEAGRO
Se troppe volte scotti l'anima che ti gira intorno,
ti fuggirà, Amore: anche lei ha le ali.
Eccomi a terra; calpestami pure sul collo, demonio selvaggio.
Per gli dei, ti conosco, e per quanto pesante, so reggerti;
conosco le frecce infuocate: ma se dai fuoco al mio cuore
non potrai bruciarlo: è già tutta cenere.
Bevi vino forte, amante infelice, e Dioniso che fa scordare,
darà riposo alla fiamma per il ragazzo; bevi,
e vuotando la coppa, scaccia dal tuo cuore la pena odiosa.
Il tuo bacio è un vischio, Timario, gli occhi una fiamma;
come guardi bruci, come tocchi incateni.
Il cuore me lo dice, che sfugge al desiderio di Eliodora,
sapendo già prima le lacrime e le gelosie.
Sì, ma di fuggire non ho la forza.
Sfacciato, me lo dice, ma pure dicendolo, l'ama.
Dolce è mischiare al vino il soave liquore delle api,
dolce amare i bei ragazzi quando si è belli,
come Alessi ama Cleobulo dalla tenera chioma;
insieme fanno il vino mielato di Afrodite, immortale.
Cleobulo è un fiore soave,
Sopoli tutt'al contrario ha un colorito asprigno;
entrambi portano i fiori sacri per Afrodite.
Da ciò la mia passione per i ragazzi.
Gli amori intrecciano in me un viluppo di miele ed agro.
Amore ha fatto per te, Afrodite,
cogliendo con le sue mani fior di ragazzi,
una corona che inganna l'anima.
Vi ha intrecciato Diodoro, giglio soave,
ed Asclepiade, la dolce primula;
poi vi ha aggiunto Eraclito,
simile ad una rosa in mezzo alle spine,
e Dione, fiorente come un pollone di vite.
Vi unì ancora Terone, dai capelli di croco dorato,
ed ancora Uliade, virgulto di timo, e colse infine,
virgulto d'olivo perenne, germoglio amatissimo della virtù,
Topino dalla tenera chioma.
Isola fortunata fra tutte la sacra Tiro,
che possiede una selva
fragrante di bei ragazzi, fiori devoti alla dea dell'amore.
Io, lo svolazzo che annuncia l'ultimo giro,
guardiano fedelissimo delle pagine scritte,
dico che Meleagro ha compiuto la sua fatica
raccogliendo in questo libro i versi di tutti i poeti,
e che con questi fiori ha intrecciato una corona
che resterà perenne, in onore di Diocle.
Io, ricurvo e piegato come il dorso di un drago,
sorveglio qui il termine della bella raccolta.
Il vento è tempestoso, ma mi strappa, Topino,
ai bagordi e mi porta da te Amore dal pianto soave.
È tempestoso il soffio del desiderio; tu accogli nel seno
chi ha navigato il mare della divina Afrodite.
Versa in onore di Eliodora, che per me è Afrodite,
e la Persuasione, e la Grazia dal dolce parlare!
Solo lei per me è divina, ed io voglio bere
il suo amabile nome mischiato al vino puro.
Un dolce canto, Pan ne sia testimone,
trai dalla tua cetra, Zenofila, un dolce canto:
Pan ne sia testimone. Dove sfuggirti?
Da tutte le parti gli Amori mi circondano
e non mi lasciano respirare un istante.
Le tue forme mi gettano addosso il desiderio,
il tuo canto, la grazia... che dico?
Tutto: ardo nel fuoco.
Le Muse che suonano dolcemente la cetra,
il saggio discorso con la Persuasione,
l'amore che regge le redini della bellezza,
ti assegnano lo scettro dei desideri, Zenofila,
giacché a te le tre Grazie hanno concesso tre grazie.
Lo giuro su Amore, preferisco sentire al mio orecchio
la voce di Eliodora che la cetra di Apollo.
È la rosa la corona di Dionisio,
oppure lui stesso è la rosa della propria corona?
Io credo che la corona sia vinta.
L'ornamento sfiorisce sul capo della bella Eliodora,
ma, ornamento dell'ornamento, lei stessa risplende.
È fiorita la primula,
è fiorito il narciso bisognoso di pioggia,
è fiorito il giglio in montagna.
Fiore maturo in mezzo ai fiori,
è fiorita l'amorosa Zenofila,
dolce rosa della Persuasione.
Prati sciocchi, perché sorridete del vostro splendente tappeto?
La ragazza vale di più delle corone olezzanti.
Gli Amori stessi hanno visto la tenera Irene,
mentre uscivano dalle stanze della dea Afrodite:
fiore divino dai piedi alla testa, come scolpito nel marmo,
e tutto ricolmo di grazie virginee.
E allora scoccarono molte frecce sui giovani
dalle corde purpuree dei loro archi.
Farò una ghirlanda di primule e di soavi narcisi,
assieme al mirto ed ai gigli ridenti, e al dolce croco:
aggiungerò anche il giacinto purpureo
ed anche le rose propizie all'amore,
perché, sulla fronte profumata di Eliodora,
una corona adorni la splendida chioma.
Penso che un giorno Eliodora,
che parla così dolcemente,
vincerà in grazia anche le Grazie medesime.
Chi mi ha portato Zenofila e le sue dolci chiacchiere?
Chi mi ha portato una delle tre Grazie?
Veramente si può dire che mi ha fatto la grazia,
recandomi in dono grazioso la Grazia medesima.
Lo scafo di Timario, un tempo vascello veloce,
non lo fa navigare Afrodite, per quanto remi;
sono curve le spalle sul dorso, come l'asta sull'albero;
i bianchi capelli come stragli mollati; i seni flaccidi, come vele allentate;
tutto il ventre è segnato e attraversato da rughe;
sotto, la barca fa acqua, e la salsedine invade la stiva;
il rollio fa tremare i ginocchi.
Povero chi, ancora vivo, attraversa lo stagno d'Acheronte
a bordo di questa vecchia carcassa.
La ruota di Nico, capace di attirare un uomo oltremare,
di fare uscire dalle stanze i ragazzi, cesellata in oro,
tagliata in ametista trasparente, ti viene consacrata,
Afrodite, in dono prezioso,
legata al centro con morbida lana purpurea d'agnello:
è questa l'offerta della maga di Larisa.
Le tre Grazie, tripla corona, circondano il letto di Zenofila,
simbolo di una tripla bellezza.
L'una ha infuso al suo corpo il desiderio,
l'altra alla sua figura la seduzione,
la terza dolcezza alla sua parola.
Tre volte felice la donna alla quale Afrodite ha ornato il letto,
la Persuasione il discorso, Amore la dolce bellezza!
A Zenofila Amore ha dato bellezza,
Afrodite il filtro che rende dolce l'amplesso,
le Grazie hanno dato la grazia.
Sì, per i riccioli seducenti di Timo,
per la pelle fragrante di Demo che toglie il sonno,
per gli amabili giochi di Iliade e per la fiaccola insonne
che ha visto tante mie gozzoviglie, solo un po' di respiro,
Amore, è rimasto sulle mie labbra;
se vuoi anche questo, dillo: lo esalerò volentieri.
No, per i capelli di Timo, per il sandalo di Eliodora,
per il vestibolo tutto olezzante della piccola Demo,
per il sorriso florido di Anticlea dai grandi occhi,
per le corone di fiori freschi di Dorotea,
non contiene più armi, Amore, la tua faretra:
dentro di me sono tutte quante le frecce.
Il tenero Diodoro, mentre appiccava l'incendio al cuore dei giovani,
è stato preso dagli occhi voraci di Timario
e colpito dall'arma dolce-amara d'Amore;
Questo è un nuovo prodigio; brucia il fuoco acceso dal fuoco.
Splende una dolce bellezza; guarda come dagli occhi scaglia le fiamme.
Forse Amore ha creato un fanciullo armato di folgori?
Salve, Topino, che porti agli uomini il raggio dei desideri!
Benigno verso di me, rifulgi sopra la terra.
Amore è alato e tu sei veloce nel correre.
Quanto a bellezza è uguale. Perdiamo,
Eubio, per via delle frecce.
Acclamate, ragazzi. Arcesilao porta Amore,
legato con le purpuree catene di sua madre Afrodite.
Anche lo stesso Amore alato è stato preso nel cielo,
dal fascino dei tuoi occhi, Timario.
Astro mattinale, messaggero dell'alba, salute!
Ma tu arriva veloce, stella del vespro,
riportando in segreto quella che mi rapisci.
Ho bevuto schietta follia e ubriaco di belle parole
mi metto in marcia, ben armato di furia. Bagorderò.
Che m'importa dei tuoni e dei fulmini?
Se Zeus li scaglia ho un'arma impenetrabile, Amore.
Farò baldoria; sono tutto ubriaco.
Ragazzo, prendi questa corona bagnata dalle mie lacrime.
Non farà invano la lunga strada; è notte fonda,
ma Temisone per me è una grandissima luce.
- Il dado è tratto: accendi la luce ed andiamo. -
- Che faccia di bronzo! Sei ubriaco. -
- Che te n'importa? Voglio fare baldoria. -
- Baldoria? Ma dove corri, mio cuore? -
- Che serve pensare in amore? Fammi luce, fa' presto. -
- Dov'è finito lo studio? -
- Alla malora la lunga fatica della sapienza.
Io so soltanto che Amore catturò anche la mente di Zeus. -
Sopporterò la tua audacia, Bacco, su te stesso lo giuro;
su, comincia il bagordo e tu che sei dio governa il cuore mortale;
nato nel fuoco ami anche il fuoco d'amore, su, comincia il bagordo e tu che sei dio governa il cuore mortale;
e mi riconduci incatenato, tuo supplice.
Ma sei traditore e malvagio, nascondi i tuoi misteri,
e i miei adesso li vuoi portare alla luce.
In te, Topino, è la corda alla quale si attacca la mia vita,
in te è il respiro che ancora mi resta.
Per i tuoi occhi, ragazzo, che sanno parlare anche ai sordi,
per i tuoi sopraccigli splendenti,
ti giuro che se mi getti uno sguardo corrusco,
vedo l'inverno; se tu mi guardi teneramente,
fiorisce la primavera soave.
Coraggiosamente sopporterò nel mio petto
il dolore acuto e il legame delle dure catene.
Non ora soltanto, Nicandro, ho appreso i colpi d'Amore,
tante volte mi sono accostato al desiderio.
Tu, Adrastea, puniscilo come si merita per il suo animo ostile e tu,
Nemesi, la più amara fra gli immortali.
Il vento del Sud, propizio ai naviganti, ha rapito,
amanti infelici, Andragato, la metà del mio cuore.
Tre volte beate le navi, tre volte felici le onde,
quattro volte felice il vento che porta il ragazzo.
Fossi un delfino e potessi portarlo sulle mie spalle
fino a vedere Rodi, ricca di bei ragazzi!
Ricche navi che attraversate l'Ellesponto,
accogliendo nel vostro seno il bel soffio di Borea,
se mai vedete Fanio guardare al mare azzurro
sulle rive dell'isola di Cos riferitele queste parole,
splendide navi: che il desiderio non mi porta per mare,
ma mi conduce per una strada a piedi.
Se le direte, messaggere benigne, questa parola,
subito Zeus spirerà sulle vostre vele il suo divino favore.
Afrodite nega di avere mai partorito Amore,
dopo aver visto tra i giovani Antioco,
una seconda immagine del Desiderio.
Coltivate, voi giovani, l'amore nuovo,
sappiate che questo ragazzo è Amore più potente d'Amore.
Solo una bellezza conosco:
il mio occhio bramoso sa solo vedere Topino;
sono cieco per tutto il resto.
Rappresenta tutto per me:
forse gli occhi adulatori vedono quello che vuole l'anima?
Il bel Dionisio, Grazie, conservatelo bello, se sceglie me,
di stagione in stagione; se sceglie un altro e mi abbandona,
gettatelo come una bacca marcia, nella spazzatura.
Il mio amore rimanga con me soltanto;
se va con altri, Afrodite, detesto un amore diviso.
Prassitele ha scolpito in marmo pario una statua d'Amore,
riproducendo l'aspetto del figlio di Afrodite, ma adesso
Amore, il più bello fra tutti gli dei, ha plasmato Prassitele
a sua immagine, una statua vivente; in tal modo l'uno
sparge i suoi incanti tra gli uomini, l'altro nell'etere,
e i desideri governano insieme la terra e i beati.
Felice la sacra città dei Meropi, che ha educato il nuovo Amore,
il figlio di un dio, il re dei giovani.
L'antico scultore Prassitele modellò una statua di delicata fattura,
ma senza vita, un'immagine muta della bellezza,
dando forma alla pietra: il nuovo scultore,
artefice magico d'esseri vivi,
mi ha plasmato nell'anima Amore, il re dei furfanti.
Il nome è lo stesso, le opere assai più grandi,
perché non ha trasformato la pietra, ma lo spirito.
Possa benignamente plasmarmi il carattere,
così da avere dentro di me un tempio d'Amore.
DIOSCORIDE
Abbiamo giurato ad Amore un giuramento comune,
che dava a Sosipatro la fedeltà costante di Arsinoe.
Lei è bugiarda, sono vuoti i suoi giuramenti, lui invece
ha conservato saldo il desiderio. Ma non è chiara
la potenza divina. Possa tu udire, Imeneo,
alle porte di Arsinoe lamenti di lutto,
che rinfacciano il tradimento.
Atenio mi ha cantato del cavallo famoso:
era in fiamme Troia tutta ed io bruciavo con essa.
Non ho sofferto le decennali fatiche dei Greci;
in quel solo giorno io e i Troiani siamo insieme periti.
La seducente Aristonoe, divino Adone,
mi ha ferito battendosi il petto al tuo santuario.
Se per me fa altrettanto, anche a costo ch'io muoia
niente scuse: prendimi come compagno nella tua traversata.
Non prendere fronte a fronte la donna che aspetta un bambino,
non cercare l'amore nella posizione feconda;
c'è come un'onda nel mezzo, e non è poca fatica in quello stato
per lei remare, e per te muoverti.
Girala piuttosto, e godi del culo rosato,
e fa' conto che sia l'Afrodite dei maschi.
Ho disteso sul letto Doride, che ha il culo di rosa,
e sono stato, tra i suoi freschi fiori, immortale.
Mi teneva stretto tra le sue gambe stupende
e correva perfettamente la gara d'amore.
Guardava con occhi languidi, e come foglie nel vento,
tremavano scintillando nel fremito del suo corpo,
finché entrambi versammo la nostra forza,
e Doride rimase stesa, con le membra allentate.
Mi fanno impazzire le labbra di rosa,
e le parole ornate che struggono l'anima,
e sono il vestibolo della bocca divina,
e le pupille che brillano sotto le ciglia folte,
e sono reti che prendono il mio cuore,
e la coppia dei candidi seni, desiderabili,
più dolci delle corolle di tutti i fiori.
Ma perché mostro gli ossi ai cani?
La bocca intemperante ha sempre
i suoi testimoni: le canne di Mida.
MARCO ARGENTARIO
Luna dalle corna dorate, lo vedi cosa succede?
E voi stelle lucenti che l'Oceano accoglie dentro il suo grembo,
vedete come la dolce Ariste se ne è andata,
lasciandomi solo, e dopo cinque giorni non riesco a ritrovarla, la strega?
E tuttavia le darò ancora la caccia,
mandandole dietro i segugi d'amore, i cani d'argento.
Fai tutto ciò che fa l'ape amica dei fiori,
lo so, Melissa, l'ho bene in testa presente:
stilli il miele dalle labbra baciando,
ma quando chiedi colpisci col pungiglione maligno.
Da siciliana che eri, Antigone,
sei divenuta una del Lago Salato,
ed ecco: io sono Parsi.
Lascia il vestito a rete, civetta, non muovere i fianchi
camminando a quel modo, Lisidice.
Il peplo che indossi non ti chiude nelle sue pieghe, si vedono
e non si vedono tutte le tue nudità.
Se ti sembra carino, anch'io ti posso mostrare
qualcosa ritto sotto un velo sottile.
Si dice tra le ragazze che Menofila è cosa dell'altro mondo,
capace com'è di gustare qualunque lascivia.
Statele accanto, astronomi: la volta celeste del suo palato
racchiude le costellazioni del Ca...ne e dei Gemelli.
Vedrai la scarna Dioclea, un'Afrodite di pelle e ossa,
ma tutta bella dei suoi buoni costumi.
Non ci sarà molto in mezzo a noi:
sul fragile petto giacerò vicino,
vicinissimo alla sua anima.
ASCLEPIADE
TIBULLO |
scuoti sopra la terra le nubi scure; se mi uccidi,
cesserò allora, ma se lasci ch'io viva
e mandi anche cose peggiori di queste, farò baldoria.
Mi trascina il mio e tuo signore,
al quale obbedisti quando in forma di pioggia d'oro
penetrasti la stanza di bronzo.
Eravamo d'accordo che veniva stanotte la celebre Nico;
su Demetra l'aveva giurato, e non viene e la guardia è passata.
È dunque spergiura? Se è così, servi, spegnete la lampada.
Su di te, lucerna, ha giurato tre volte Eraclea
che sarebbe venuta, e non viene; se sei divina,
punisci l'ingannatrice, e quando gioca assieme ad un altro amante,
spegniti, e non farle più luce.
Ma è vero quello che dicono,
che i giuramenti d'amore non arrivano mai all'orecchio degli immortali.
Ora arde di passione per un ragazzo, e dell'infelice
non fa più caso né conto, come dei Megaresi.
In forma d'aquila Zeus venne a Ganimede,
in forma di cigno alla bionda madre di Elena.
Sono cose inconfrontabili; c'è a chi sembra migliore l'una,
a chi l'altra, e quanto a me, tutt' e due.
Lisidice ti consacra, Afrodite, lo sprone equestre,
ornamento delle sue belle gambe,
con cui tante volte ha montato a cavallo,
e mai le sue cosce, mosse agilmente,
si sono macchiate di sangue:
senza bisogno di pungoli compiva la corsa:
per questo appende l'oggetto dorato alla porta del tempio.
Bevi, Asclepiade. Perché piangere? Che ti succede?
Non te soltanto ha catturato la dura Afrodite,
non contro te soltanto arma l'arco e le frecce Amore amaro.
Perché, ancora vivo, giacere sotto la cenere?
Beviamo la forte bevanda di Bacco:
il tempo è breve come un dito:
o forse aspettiamo di vedere la lampada che ci mandi a dormire?
beviamo, non c'è l'amore tra poco riposeremo nella lunga notte.
Piccolo Amore inesperto, volato via dalla madre,
non volo via però dalla casa di Damide;
resto là senza gelosia, amando ed amato,
non sto con molti, ma in armonia con uno soltanto.
Questo che rimane del mio cuore, lasciatelo, Amori,
vi supplico in nome degli dei che abbia riposo;
oppure non colpitemi più con le frecce, ma con le folgori,
e riducetemi tutto a carbone e cenere.
Su, su, colpitemi, Amori: sfinito d'angoscia,
questo voglio da voi, se ancora voglio qualcosa.
Restate là, corone, appese a questa porta,
e non scuotete troppo in fretta le foglie che ho bagnato di lagrime
- scende la pioggia dagli occhi degli amanti.
Ma quando la porta verrà spalancata, e lo vedrete,
versate sulla sua testa il mio pianto, che lo bevano meglio i biondi capelli.
Dorcio, che ama i ragazzi, come un ragazzo tenero
lancia il rapido dardo dell'Afrodite volgare,
fiammeggiando il desiderio dagli occhi e dalle spalle il petaso...
il manto mostra le cosce nude.
Non è arciere, non è selvaggio, è bambino il mio Amore,
sta con Afrodite ed ha un piccolo libro dorato,
balbetta per l'anima di Diaulo gli incanti che per Antigene ha creato Filocrate.
Amore ha trovato come unire il bello al bello,
non lo smeraldo con l'oro, che non fioriscono allo stesso modo,
non l'ebano con l'avorio, il nero col bianco,
bensì Cleandro con Eubioto, fiori di Persuasione ed Affetto.
ASCLEPIADE O POSIDIPPO
La frusta purpurea, le redini scintillanti ti offre Plangone,
nel portico dai bei cavalli, dopo aver vinto al trotto la focosa Filenide,
quando nella sera cominciano a nitrire i puledri.
Adorata Afrodite, concedi alla sua vittoria gloria infallibile
e rendi questo dono perpetuo.
CALLIMACO (III sec. a.c.)
Possa tu dormire, Conopio, come mi fai dormire,
davanti a questa porta gelata, malvagia!
Possa dormire come fai dormire il tuo amante,
che non ha avuto da te neppure un'ombra di compassione!
I vicini hanno pietà, tu neanche un'ombra.
Ma quando i capelli saranno bianchi, ti ricorderai tutto questo.
Ha giurato Callignoto a lonide che non avrà nessun altro,
né uomo né donna, più caro di lei; l'ha giurato.
Ma è vero quello che dicono, che i giuramenti d'amore
non arrivano mai all'orecchio degli immortali.
Ora arde di passione per un ragazzo, e dell'infelice
non fa più caso né conto, come dei Megaresi.
modellata da poco, stillante ancora profumo:
è la splendida Berenice, ammirata da tutti,
senza di lei le Grazie non sarebbero Grazie.
Se Teocrito, quel bel brunetto, mi odia, odialo tu quattro volte,
Zeus, e quattro volte amalo se mi ama.
Zeus celeste, in nome di Ganimede dai bei capelli,
anche tu hai amato: non dico altro.
Se di mia volontà, Archino, ho fatto baldoria,
fammi mille rimproveri, se contro la mia volontà,
perdona l'audacia. Mi hanno costretto il vino e l'amore;
l'uno mi trascinava, l'altro non mi lasciava la mente savia.
Ma arrivando non ho gridato chi ero, ho solo baciato la soglia:
se questa è una colpa, va bene, confesso.
Versa, e ripeti: "Per Diocle": l'acqua non tocca le coppe sacre per lui.
È bello il ragazzo, è troppo bello, per l'acqua,
e se qualcuno non è di questo parere,
sarei contento d'essere il solo a conoscere le cose belle.
MACEDONIO
Ho sognato una notte che tenevo stretta fra le mie braccia
la ragazza che è tutta un sorriso. Mi accontentava in ogni cosa,
mi permetteva di accostarmi al suo corpo con ogni carezza.
Però Amore invidioso mi ha teso un agguato notturno,
ed ha disperso il nostro amplesso, interrompendomi il sonno.
Sì, neppure nel sogno Amore mi lascia godere
il frutto del dolcissimo abbraccio.
Perché sguainare la spada? Lo giuro sulla tua testa,
amore mio, che non è per fare niente contro Afrodite,
ma per mostrarti come Ares, per quanto aspro,
si piega ai voleri della morbida dea dell'amore.
Questa spada mi guida nel cammino del mio desiderio
e non ho bisogno di specchi, perché mi ci vedo riflesso,
bello come lo è sempre chi ama; ma se tu mi scordi,
ecco che la spada affonderà nel mio fianco.
Cerco l'amore con l'aiuto dell'oro. Non è con l'aratro,
né con la vanga che si compie il lavoro delle api,
ma con la rugiada di primavera; l'oro allo stesso modo
è il servitore sottile della dolce Afrodite.
Ridi, e il tuo riso è un nitrito che prelude all'amplesso;
mi fai un lieve cenno; ma inutilmente mi provochi.
Ho giurato e spergiurato che a chi rifiuta l'amore
mai avrei rivolto uno sguardo d'amore.
Gioca da sola a baciare; schiocca da sola le labbra nude,
che non s'incontrano con altre labbra.
Io me ne vado per un'altra strada.
Tante altre ci sono migliori di te, al servizio dell'amorosa Afrodite.
PAOLO SILENZIARIO
La mia immagine, che Amore audace aveva impresso un tempo
nella calda profondità del tuo cuore, ahimè, l'hai sputata via;
ed io non me lo aspettavo, e serbo in me intatta l'impronta del tuo splendore.
Barbara, la mostrerò al sole ed al dio dei morti,
e contro di te chiederò giustizia a Minosse.
Si è spenta la fiamma del fuoco e io più non soffro,
ma muoio ghiacciato dalla dea signora di Pafo.
Già s'insinua nelle mie carni e più ancora nelle ossa e nel cuore,
con l'ansia che tutto consuma, Amore amaro.
La fiamma dei sacrifici, quando tutte le offerte sono bruciate,
non più alimentata, si raffredda da sola.
"Addio", stavo per dirti, ma poi torno indietro
e ritiro la mia parola e ti resto accanto. Temo non meno
la lontananza angosciosa da te che la notte amara dell'Acheronte.
La tua luce è come quella del giorno, ma il giorno è muto
e tu invece mi rechi una parola più dolce
del canto delle Sirene; ad essa sono sospese
tutte quante le speranze della mia anima.
Sono lunghi e sonori i baci di Galatea, morbidi quelli di Demo, Doride morde.
Chi è la più seducente? Non è l'orecchio che giudica i baci: e a Doride
darò il mio voto quando avrò gustato le sue labbra asprigne.
Mio cuore, come ti sei smarrito! conosci i morbidi baci di Demo,
e la dolcezza rugiadosa della sua bocca. Rimani a quelli;
ben meritata è la sua vittoria, e se qualcuno ha gusti diversi,
non mi strapperà mai da Demo.
Quella che un tempo impazzava in mezzo alle donne,
scuotendo lascivamente le nacchere d'oro,
ora la possiede la vecchiaia, ed una implacabile
malattia; gli amanti che un tempo venivano
tanto a pregarla, ora hanno schifo di lei:
la luna s'è eclissata e non c'è più congiunzione.
Ieri Ermonassa, mentre, ubriaco di vino,
intrecciavo corone intorno alla sua porta,
mi ha gettato l'acqua da un calice e mi ha sciupato i capelli,
che con tanto tempo e fatica avevo acconciato.
Ma l'acqua mi ha infiammato ancora di più,
perché il calice aveva in sé il fuoco segreto della sua dolcissima bocca.
Ho i suoi seni nelle mie mani, sulla bocca la bocca,
e nella follia incontenibile divoro il suo candido collo.
Ma non ho posseduto tutto ancora l'amore;
ancora mi affanno a inseguire la vergine che mi rifiuta il suo letto.
Solo per metà appartiene ad Afrodite,
e l'altra ad Atena: io tra le due sto in mezzo e mi consumo.
Cleofantide tarda, e già il terzo lume
comincia ad abbassarsi lentamente ed a spegnersi.
Oh si spegnesse col lume anche la fiamma del cuore,
e non bruciasse più nell'insonne passione.
Quante volte ha giurato su Afrodite che sarebbe venuta la sera,
ma non ha riguardo per gli uomini né per gli dei.
La bella Menecratide, immersa nel sonno diurno,
giaceva col braccio piegato intorno alle tempie.
Audacemente entrai nel suo letto e già avevo compiuto con gioia
metà della strada d'amore, quand'essa si risvegliò dal sonno
e con le candide mani mi tirava tutti i capelli sul capo;
dopo fu la lotta, e il compimento dell'impresa d'amore,
ma la ragazza, piena di lacrime, disse:
"Sciagurato, hai fatto ciò che volevi,
per cui tante volte ho rifiutato l'oro che la tua mano mi offriva:
ma ora tu te ne vai e abbraccerai un'altra donna:
siete insaziabili operai di Afrodite".
AGAZIA SCOLASTICO
Anche tu senti il desiderio, Filinna? Anche tu soffri,
e ti consumi con gli occhi essiccati dal pianto?
Oppure hai un sonno dolcissimo e delle mie pene
non hai pensiero, né preoccupazione nessuna?
Presto, anche tu, sciagurata, avrai la stessa esperienza,
e vedrò le tue guance bagnarsi di lacrime fitte.
Afrodite è maligna in tutto, ma almeno una cosa ha di buono:
detesta le donne orgogliose.
Piango per tutta la notte; poi, quando arriva l'alba
e mi porta la grazia di un po' di riposo,
mi garriscono intorno le rondini e mi riportano a piangere,
allontanando da me il dolce sonno.
Scrutano gli occhi e non vedono,
perché il pensiero di Rodante torna di nuovo
a sconvolgermi l'anima.
Smettetela, chiacchierone gelose!
non sono stato io a tagliare la lingua di Filomela;
andate a piangere Iti sui monti,
a lamentarvene sulle rocce che offrono nido alle upupe,
lasciatemi dormire un poco: forse mi verrà un sogno
a riportare Rodante tra le mie braccia.
Quella che un tempo andava superba del suo splendore,
e scuoteva i riccioli ben pettinati, altezzosa,
quella che si vantava delle mie pene,
adesso ha perduto la grazia di allora ed è tutta piena di rughe.
Le cascano i seni, le pendono le sopracciglia,
si spegne lo sguardo, le labbra balbettano solo suoni decrepiti.
È la canizie la Nemesi del desiderio: arrivando più presto,
giustamente punisce le donne orgogliose.
Ti porto questo velo, mia sposa,
splendente di ricami dorati; mettilo sui tuoi capelli,
e, gettandolo sopra le spalle,
fa' in modo che avvolga il petto candido;
sì, soprattutto il tuo petto, che si dispieghi là tutto
e protegga i seni: lo indosserai finché ancora sarai ragazza;
ma pensa già al letto nuziale, e ad una prospera fioritura di figli,
perché io possa allora donarti una cintura d'argento,
ed un velo trapunto di pietre preziose.
Afrodite in persona e gli amabili amori si vendicheranno
del mio odio struggendomi il cuore vuoto.
Se prendo ad amare i ragazzi,
mi auguro di non avere successo,
di non cadere in errori più grandi di prima.
Bastano quelli commessi per donne,
e quelli li accetto ma i ragazzi li lascio a quel pazzo di Pittalaco.
Tre volte brigante potrebbe chiamarsi amore a ragione:
non dorme la notte, è audace, toglie di dosso i vestiti.
Una pietra sola risplende dei multiformi misteri di Bacco,
e sopra gli amorini alati vendemmiano in coro.
FILODEMO
Sessant'anni compie Carito, eppure ancora
resta nerissima la cascata dei suoi capelli,
sul petto ancora i seni marmorei restano eretti
senza che una fascia li cinga; la pelle è senza rughe e profumata d'ambrosia,
stillante di seduzione e di grazie innumerevoli.
Voi che non sfuggite ai desideri violenti d'amore,
venite qui, scordatevi pure i suoi anni.
Tutte le volte che ho osato, di giorno o di sera
gettarmi tra le braccia di Cidille, so bene
che mi apro una strada verso l'abisso,
so bene che getto tutti i dadi con la mia vita per posta.
Ma a che serve saperlo? È un temerario l'amore che ci trascina,
e non conosce mai neppure l'ombra della paura.
Chi ti vede risplendere, signora, di neri capelli e poi invece bionda
sempre la stessa grazia balena nelle due forme,
e anche se fossero bianchi i capelli,
Amore vivrebbe tra loro.
Da' da bere, Filenide, l'olio alla lampada,
testimone taciturna dei nostri misteri, e poi vattene.
Ad Amore non piacciono i testimoni viventi;
e chiudi a chiave la porta. E tu baciami, Xanto;
e tu impara, letto d'amore,
tutto il resto che appartiene alla divina Afrodite
Io so, mia cara, dare tutto il mio amore a chi mi ama,
e anche mordere chi mi morde, a mia volta.
Non irritare me che ti amo troppo, non provocare
le Muse: la loro ira è pesante. Questo gridavo
e ripetevo, ma come le onde del mare Ionio,
così tu davi ascolto alle mie parole.
Ora piangi e urla come un cane a tua volta,
io riposo nel seno della mia Naiade.
- Buon giorno. -
- Buon giorno. -
- Come ti chiami? -
- E tu? -
. Troppa fretta, non chiederlo. -
- E neanche tu. -
- Ma hai qualcuno?
- Volta a volta chi m'ama. -
- Vorresti cenare con me questa sera? -
- Se vuoi. -
- Va bene, ma... quanto? -
- Prima, niente. -
- È strano. -
- Dopo l'amore darai quello che credi. -
- È giusto, ma dove stai? Ti mando a prendere. -
- Indovinalo. -
- Ma quando vieni? -
- All'ora che vuoi. -
- Voglio subito. -
- Andiamo. -
ERATOSTENE SCOLASTICO
che si serbano ad un affetto più duraturo.
Non sono belli i ragazzi; detesto i loro peli,
quegli odiosi peli che crescono con tanta fretta.
Come vidi Melita, il pallore mi prese.
Insieme con lei c'era il marito, e così dissi tremando:
"Posso togliere il catenaccio dalla tua porta,
e liberare la spranga della mia porta,
e penetrare la soglia umida oltre il vestibolo,
facendo entrare fino in fondo la chiave?".
Disse ridendo e guardando il marito in tralice:
"Sta' lontano dal mio vestibolo, o perdi gli arnesi!".
NICARCO
Una bella donna alta mi affascina, Similo,
sia che tocchi il fiore degli anni, o sia più matura.
La giovane mi abbraccerà, ma l'anziana,
sia pure vecchia e rugosa, Similo, saprà succhiarmi.
Non devo morire? E allora cosa m'importa
d'arrivare al regno dei morti con la podagra, o di corsa?
Ci sarà chi mi porta; lasciatemi essere zoppo:
non è una buona ragione per rinunciare ai bagordi.
Non ascoltare tua madre, Filumena: se me ne vado,
una volta che ho messo piede fuori città,
non badare agli scherni; a tua volta scherniscili,
e datti da fare per superarmi in guadagni.
Smuovi anche i sassi, trattati bene,
e scrivimi presto a quale riva di piacere sei giunta.
Insomma, amministra tutto per bene,
e se ti rimane qualcosa, pensa anche a me
che giorno per giorno devo pagare l'affitto.
Se aspetti un bambino, tienilo,
non preoccuparti: troverà il padre da grande.
ANTIPATRO DI TESSALONICA
Omero ha sempre detto tutto benissimo,
ma soprattutto quando ha chiamato "aurea" la dea Afrodite.
Le sei caro se porti soldi: allora non c'è portinaio tra i piedi,
né cane: sta legato nell'atrio.
Ma se vieni diversamente, c'è Cerbero.
Avidità di ricchezza, quale delitto commetti a danno dei poveri!
C'era una volta l'età dell'oro, poi quella d'argento, di bronzo:
al giorno d'oggi Afrodite è tutto questo insieme: venera l'uomo dell'oro,
bacia l'uomo del bronzo, non scappa mai via dagli uomini
che hanno argento. È come Nestore.
E credo che Zeus scese da Danae non come pioggia d'oro,
bensì portando cento monete.
Si è fatto giorno, Crisilla, e ormai da tempo
il canto del gallo ha portato l'alba invidiosa.
Va' alla malora, il più odioso fra tutti gli uccelli,
che mi spingi fuori di casa, in mezzo alle sciocchezze dei giovani.
Diventi vecchio, Titone: perché così presto, nell'alba,
scacci dal letto Aurora, la tua compagna.
PALLADA
Hai sposato la figlia di Vittoria e Guerrino,
Zenone: per forza hai la guerra nella tua casa.
Va' a cercarle un amante,
Pacifico: avrà compassione,
e ti libererà dalla figlia di Guerrino, Guerrina.
Questo e nient'altro è la vita: la vita è piacere.
Alla malora le angosce. È breve il tempo per vivere.
Presto, il vino, le danze, le corone di fiori, le donne.
Voglio star bene oggi, giacché è oscuro il domani
il seno di Afrodite e le caviglie di Teti.
Beato chi ti guarda, tre volte di più chi ti ascolta,
un semidio chi ti ama, un dio chi ti possiede.
Quattro sono le Grazie, due le Afroditi, dieci le Muse,
perché Dercilide è tutto: Musa, Grazia, Afrodite.
TUDICIO GALLO
Io, Lide, sono capace di soddisfare in una volta tre uomini:
uno sopra, uno sotto e il terzo dietro.
Accolgo amanti di uomini e donne, e violenti:
se vuoi venire con altri due, vieni pure.
La povertà e l'amore sono i miei guai;
facilmente sopporto la povertà,
ma non posso sopportare la fiamma d'amore.
Ho amato, ho baciato, ho avuto successo, mi ama.
Ma chi eri e come è successo, lo sa soltanto la dea.
DIOTIMO DI MILETO
Vecchia, cara nutrice, perché abbai quando m'accosto,
e rendi due volte più aspro il mio dolore?
Porti una bella ragazza, ed io seguo i suoi passi,
ma bada, cammino per la mia strada,
solo guardandola, la dolce figura.
Perché avere invidia degli occhi, sciagurata?
Perfino gli dei possiamo guardare.
LEONIDA
Melo e Satira, figlie mature di Antigenida,
ancelle fedeli delle Muse Pimpleidi,
consacrano a loro, Melo il flauto agile
E dunque piange senza ragione: teme soltanto la pietra che incombe,
ma più che una volta non può morire.
Io, ancor vivo, sono distrutto dall'assillo amoroso,
ed ho vicina nel mio sfinimento la morte.
ALCEO
Odio Amore: perché non piomba violento sopra le fiere,
ma colpisce sempre con le sue frecce il mio cuore?
Bella gloria che un dio fulmini un uomo! Quale trofeo,
se mi uccide, ricava dalla mia testa?
Se salvi i naufraghi in mare, Afrodite benigna,
salva anche me che sto morendo, naufrago in terra.
CILLACTORE
È dolce fare l'amore. Chi può negarlo?
Ma quando richiede soldi, diventa amaro come l'elleboro. |
Ciò che dà più profitto a una giovane donna non proviene dall'arte, ma dalla natura.
STATILIO FLACCO
Flacco mi donò - argentea testimone fedele delle notti amorose -
alla sua Nape infedele, e adesso mi consumo al letto della spergiura,
a vedere tutte le vergogne che compie,
mentre te, Flacco, ti consumano insonne le angosce,
infelice: entrambi bruciamo, l'uno lontano dall'altra.
Amore bambino, giocando a dadi nell'alba
in braccio ad Afrodite, si è giocato il mio cuore.
ARTEMONE
Tu possedesti Delo cinta dal mare, figlio di Leto,
figlio del grande Zeus, che a tutti dai vaticini;
ma un secondo Apollo attico, Echedemo, possiede
la terra di Cecrope: in lui risplende l'amore
nel fiore dei dolci capelli, e la sua patria,
Atene, signora di terra e di mare,
con la bellezza di lui ora tiene schiava la Grecia.
RIANO
Buona nutrice di giovani è Trezene; non si sbaglia a lodare
fosse pure anche l'ultimo dei suoi ragazzi.
Ma tanto di più brilla Empedocle, quanto fra gli altri fiori
rifulge in primavera la splendida rosa.
GETULICO
Tu che proteggi gli scogli del mare, ti offro in sacrificio, modesto, queste focacce;
domani attraverserò il vasto mare Ionio correndo verso il seno della mia Idotea.
Splendi propizia sulle mie vele e sul mio amore, Afrodite, signora dei letti e delle rive.
ONESTO
Non mi attira il matrimonio con la vergine né con la vecchia,
dell'una ho compassione, dell'altra rispetto.
Né l'uva acerba, né passa: la bellezza matura è quella
che più si conviene al letto d'Amore.
POSIDIPPO
indissolubile. Io voglio avere un affetto saldo,
ma tu rifiuti chi t'ama e il tempo non ti addolcisce,
e neppure le prove della nostra comune saggezza.
Abbi pietà, signore, poiché il destino t'ha fatto mio Dio,
in te sta il compiersi della mia vita e della mia morte.
Versa due coppe per Nanno e per Lide, e poi una per l'amante d'amore Mimnermo,
e per il saggio Antimaco, e dopo versa per me la quinta, la sesta, Eliodoro,
per tutti quelli che amano, la settima per Esiodo, per Omero l'ottava, la nona per le Muse,
la decima per la Memoria. Bevo la coppa piena all'orlo; per il resto gli amori ...
DIOSCORIDE
Sono sfuggito al tuo peso, Teodoro, ma appena ho detto:
"Sono sfuggito al mio destino amarissimo",
uno più amaro mi ha catturato.
Servendo Aristocrate in mille modi,
aspetto il mio terzo padrone.
Libagioni ed incensi, demoni mescolati alla coppa,
che governate il compiersi dei miei affetti, voi chiamo a testimoni,
perché su voi tutti ha giurato, divini poteri, il bel moretto, Ateneo.
Una volta un fortunato maestro, che dava lezioni ad un ragazzo tenero,
lo teneva nel mezzo, piegandolo sulle ginocchia, toccandogli con la mano i coglioni.
Per caso venne il padrone di casa a cercare il ragazzo,
e lui prontamente lo girò sulla schiena sgambettandolo
e stringendo con le mani la gola. Ma il padrone, che conosceva bene la lotta,
gli disse: "Basta, così il ragazzo lo strangoli".
EDILO
Il vino, i brindisi infidi, l'amore soave di Nicagora
hanno addormentato Aglaonice. Ancora stillanti di profumo,
le spoglie del suo desiderio di vergine sono consacrate ad Afrodite;
ed i sandali, e la delicata fascia che cingeva il suo seno,
testimoni del sonno e della violenza.
Il croco, le corone d'edera scura di Alesso
che spirano ancora profumi,
sono qui dedicati al dolce Priapo,
che guarda con occhi lascivi i doni,
ricordo della festa notturna.
Leontide ha vegliato fino alla splendida stella mattinale,
godendo il bellissimo Stenio; in ricordo di questa notte
offre ad Afrodite la cetra che ha suonato in grazia alle Muse.
CRINAGORA
Infelice, quale parola dirti per prima, quale per ultima?
Guarda: sta piangendo la rosa, amica d'amore,
perché la vede altrove, non più sul mio petto.
FRONTONE
Scrittore di commedie, credi che la giovinezza sia un #Tesoro#;
mentre invece è rapida più del #Fantasma# a sparire;
il tempo farà di te #L'odiato# e poi il #Contadino#
e allora darai la caccia alla #Donna rapata.#
SCITINO
sei teso come dovessi non smettere mai;
ma quando Nemeseno tutto mi si abbandonava,
dandomi tutto quello che voglio, parevi un morto.
Ora puoi tenderti, romperti, piangere: non serve a niente:
dalla mia mano non otterrai compassione.
ARCHIA
Piccolo Amore, distruggimi a regola d'arte. Su, vuota
la faretra contro di me, non lasciare altre frecce.
Colpirai me soltanto, e se devi mirare a qualche altro,
ti troverai a non avere più neanche una freccia.
"Bisogna fuggire l'Amore."
Fatica inutile: a piedi non posso sfuggire
a chi m'insegue implacabile, ed ha le ali.
Armati d'arco, Afrodite, e vattene tranquillamente
a cercare un altro bersaglio:
non ho più posto per le ferite.
Vorrei quando sono con te,
cara la mia citarista, imitarti:
toccare in alto e farti vibrare nel mezzo.
Se qualcuno mi biasima perché, al servizio di Amore,
cammino tenendo sugli occhi il vischio dei cacciatori,
pensi a Zeus, ad Ades, al signore del mare,
che tutti furono schiavi di desideri possenti.
Se loro sono dei, e ci dicono di seguire gli dei
che colpa ho io se apprendo gli insegnamenti divini?
- Salve, ragazza. -
- Salve. -
- Chi è quella che ti precede?
- Che te ne importa? -
- So io. -
- La nostra padrona -
- Posso sperare? -
- Che vuoi? -
- Una notte. -
- Che offri? -
- Denaro. -
- Abbi fede. -
- Questo. -
- Non se ne fa niente. -
PARMENIONE
Sei balzato su Danae, Zeus, in forma di pioggia d'oro,
perché la ragazza cedesse ai doni, e non perché avesse paura.
Zeeus ha avuto Danae grazie all'oro ed anch'io te, grazie all'oro:
più di Zeus non posso dare.
CAPITONE
La bellezza senza grazia non possiede, dà solo piacere
come senza l'amo l'esca vaga sull'acqua.
LUCILLIO O POLEMONE
O cancelli del tutto l'amare, Amore,
oppure vi aggiungi l'essere amato;
o sciogli o comunichi il desiderio.
DIONISIO
Genuino, se m'ami, possa tu avere la stessa sorte del vino di Chio,
solo molto più dolce; se mi preferisci un altro,
ti ronzino intorno zanzare nate da una botte d'aceto.
VARI
1- Per appiccare un incendio sapiente al cuore dei giovani,
metterò Amore in testa alle mie parole,
perché Amore sa bene come ardere con le parole.
2 - Stenelaide, la preziosa che infiamma l'intera città
succhiando l'oro a chi la desidera,
nuda mi si è coricata accanto, in sogno,
per tutta la notte, e mi si è data gratis, finché è venuta l'aurora.
Non pregherò più quella barbara,
non piangerò su me stesso visto che il sogno può darmi di queste delizie.
BIBLIO
- Carlo Carena - Poesia latina dell'età imperiale . Milano - Guanda - 1957 -
- Augusto Rostagni - Poeti alessandrini - Torino - F.lli Bocca - 1916 -
- Gian Franco Gianotti e Adriano Pennacini - Storia e forme della letteratura in Roma antica - Torino - Loescher - 1982 -
- Gian Biagio Conte & Emilio Pianezzola - Storia e testi della letteratura latina - Le Monnier - 1995 -
- Concetto Marchesi - Storia della letteratura latina - Milano - Principato - 1986 [1927] -
BIBLIO
- Carlo Carena - Poesia latina dell'età imperiale . Milano - Guanda - 1957 -
- Augusto Rostagni - Poeti alessandrini - Torino - F.lli Bocca - 1916 -
- Gian Franco Gianotti e Adriano Pennacini - Storia e forme della letteratura in Roma antica - Torino - Loescher - 1982 -
- Gian Biagio Conte & Emilio Pianezzola - Storia e testi della letteratura latina - Le Monnier - 1995 -
- Concetto Marchesi - Storia della letteratura latina - Milano - Principato - 1986 [1927] -
0 comment:
Post a Comment