LE ORIGINI DI ROMA - LA FONDAZIONE




La difesa di Roma, fino alla costruzione, nel VI sec. a.c., delle mura serviane, era basata sull'aggregazione di Etruschi, Latini, Sabini che abitavano i colli intorno al Palatino, nucleo centrale della città, ma ogni colle provvedeva da sè alla sua difesa militare, affidata più agli uomini che alle fortificazioni. I colli avevano però irte palizzate di legno, fossati e terrapieni tra Porta Collina e l'Esquilino, per una lunghezza di circa 7 km (60 stadi).

Si deduce che la popolazione preponderante fossero latini, ma che vi fossero effettivamente anche i troiani della leggenda, perchè Troia leggenda non fu, ed effettivamente i suoi scampati dovettero cercare rifugio sulle rive del Mediterraneo, e dove se non in un territorio già multietnico per cui non affetto da xenofobia?



SECONDO VARRONE

E' nota là dissensione, che fin dapprincipio insorse fra i due fratelli del luogo, sul quale meglio conveniva fabbricare la città: Roniulo scelse il Palatino e Remo un colle non lontano dal Tevere, che da lui poi fu detto Remuria, circa trenta stadi distante da Roma. L' autore però dell' Origine della Gente Romana dice che
 "Remuria stava cinque miglia lungi da Roma, differenza di poco momento: "Cum igitur - dice egli al capo XX. II. - inrer se Romiilus, et Remus de condenda e tractarent in qua ipsi parìter renurent Romulusque locii, qui sibi idoneus videretur, in monte Palatino designar et Romamque appellari vellet; contraque ìtem Remus in allo colle qui erat a Palatlo milìiìnis qunque enimdomque Incum ex suo nomine Remuriam appellaret " etc.

Dove fosse Remuria non è difficile indovinarlo, poiché all' epoca della quale qui trattasi i confini degli Etrusci estendevansi fino alla riva destra del Tevere, ed il Gianicolo, e il Vaticano erano loro territorio, e perciò Remo non poteva pretendere di edificarla nel territorio straniero; a settentrione di Roma sulla riva sinistra, gli Antemnati trovavansi a tre miglia circa distanti da Roma, al confluente dell' Aniene e del Tevere, e per conseguenza il loro territorio dovea estendersi più in oltre delle tre miglia; ma neppur da quella parte potè stare Remuria;

Gli augurj, ai quali i due fratelli ebbero ricorso, onde deciflere tale questione, furono o dubbiosi, o dalla ambizione di Romulo stesso corrotti, il quale colla morte del fratello restato arbitro del suo divisamento, e non resta pertanto altro sito, che di porre Remuria a mezzogiorno di Roma, perchè possa stare presso al Tevere, e sulla riva sinistra dei fiume; e siccome lo stato de' luoghi allora dovea essere più difficile alle comunicazioni, per conseguenza le tre miglia e tre quarti di Dionisio sarebbero appena tre nello stato attuale de' luoghi a' quali più in retta linea può pervenirsi.

Ora dal Palatino alla Basilica di S. Paolo sono circa tre miglia di strada attualmente, e presso di quella antica Basilica si erge a sinistra della via un colle tagliato a picco non lungi dal Tevere capace certamente di contenere una città quanto il Palatino: è perciò da conchiudersi con molta probabilità esser quello il colle, sul quale Remo voleva edificar la città, e che chiamossi Remuria; il quale forse si avvicinò di più al fiume prima che la direzione della strada attuale non ne avesse fatto tagliare una parte, e che il fiume stesso non fosse in un letto regolare ridotto.



SECONDO TITO LIVIO

Livio Uh. I. e. IV, "Ita solus potitus imperìo Romulus: condita urbs condìtoris nomine appellati. Palatium primiim in quo ipse erat educatus muniit " dando campo ai grammatici di dedurre la etimologia del nome latino porta che si dava, e si dà ancora alle aperture lasciate nel muro.
Tito Livio nel primo Uh cap. XIII. parlando de' Latini soggiogati da Anco Marzio dice:
"quihus ut iingeretur Pur lutto Avintinum ad Murciae dalae sedes."
Simmaco pure la chiama Murcia nella lettera XXIX. del libro X.
Ma in edizioni più antiche meno corrette si legge invece di Murciae, Martiae e Martia pur si legge in Claudiano, Scrittore contemporaneo di Simmaco (de laud. Stiliconis Uh. 11. v. 4o4) alle Curie Vecchie ed al Sacello dei Lari.

IL PALATINO ALLE ORIGINI  (By https://www.katatexilux.com/)

SECONDO TACITO

Questo solco girando in tal maltempi della decadenza avea cangiato di nome o piuttosto i copisti cangiarono. Tacito nel passo citato: max ad Curuis veteres...
Che le Curie antiche fossero sul Palatino è certo dal racconto stesso di Tacito, e si trae ancora dal catalogo di Vittore, il quale nella Regione X. o del Palatino cita F'icus Curiarium, e Curia Vetiis, e dalla Notizia fine Impero, che nella stessa Regione cita Curiam Aedem. Cosa fossero lo mostra Varrone, il quale dice nel IV de Lingua Latina.
"Curiae duorum generum nam, et ubi curarent sacerdotes res divinas ut Curiae Veteres"
che poi stessero in altro lato del Palatino, il quale guarda il Celio si giudica da questo stesso racconto di Tacito,



SECONDO PLUTARCO E VITTORE

Roma non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo, origine divina, tale da offrire agli occhi degli uomini, qualcosa di grande e di inesplicabile
(Plutarco, Vita di Romolo, 1,8)

Plutarco però nel capo IX. della vita di Romulo tiene una tradizione diversa, e ad una parte dell'Aventino attribuisce la scelta di Remo. Con Plutarco si accorda Publio Vittore, che fra i luoghi rimarchevoli della Regione XIII, Aventina cita Remuria. In siffatta discrepanza di opinioni di autori egualmente colloco la città sul colle da lui delimitato.

Egli lo avea scelto a preferenza, perchè ivi avea ricevuto la sua educazione, e perchè essendo stato di già una volta abitato, era men difficile a popolarsi di nuovo; e finalmente la posizione sua era più forte, come quello, che essendo intieramente isolato, veniva esternamente coperto, e difeso da tre lati da altre colline, e verso il Tevere una vasta palude detta il Velabro lo rendeva inaccessibile alle incursioni nemiche.

Nel segnare il recinto segui il rito Etrusco, formando coll'aratro un solco, rimandando indentro verso la città la terra smossa, ed alzando, e portando l'aratro stesso dove voleva che fosse una porta: la quale circostanza diede mendevoli, solo può dirsi, che confondessero due luoghi dello stesso nome, cioè che Remonia, o Remurìa appellandosi il luogo, nel quale Remo divisava edificare la città, e Remuria o Remonia egualmente appellandosi il luogo, nel quale egli prese gli auguri sull'Aventino, e nel quale venne sepolto; Dionisio, l'Autore della Origo Gentis Romanae, Plutarco, e Vittore più non li distinsero.

Per la qual cosa sembra potersi credere, che Remo volesse edificare la città nella Remuria trenta stadi distante da Roma; ma che poi dentaria ancora sì appellasse il luogo sull'Aventino, nel quale egli prese gli auguri; nome che quel luogo conservò fino alla decadenza dell' Imperio.

Plutarco nella vita di Romulo descrive con particolarità le cerimonie usate nella fondazione di Roma .
" Romulo dopo aver sepolto nella Remonia Remo insieme con quelli ch'aveano allevato edificò la città chiamando uomini dalla Etruria, i quali con certe leggi e lettere sacre potessero, ed insegnassero tutto, come in una iniziazione. Imperciocchè nelle vicinanze del Comizio fu scavata una fossa, nella quale vennero deposte le primizie di tutte le 5 cose delle quali fassi uso, e che sono buone secondo le leggi, e necessarie per la natura.

E finalmente ognuno dovè gittarvi un poco di terra donde veniva, e mescolarla insieme; e questa fossa chiamarono Mundiis, nome che davano ancora all' Olimpo. Quindi come intorno al centro un circolo disegnarono intorno il III recinto della città.

Il fondatore attaccando ad un aratro un vomere di bronzo, e legando insieme un bue ed una vacca, lo condusse, scavando intorno ai confini un solco profondo e quelli che Io seguivano doveano aver cura di rimandare in dentro la terra di maniera a non lasciarne indizio di fuori, il che per sincope chiamarono pomerio, cioè dietro, o fuori il muro.

Dove poi pensarono di fare una porta alzando il vomere, e l'aratro lasciarono una interruzione: perla qual cosa credono sacro tutto il muro, ad eccezione delle porte; imperciocchè se si 5, credessero sacre ancor queste non sarebbe scarza superstizione il ricevere, o rigettare, queste,5 o quelle cose necessarie, e non pure per mantenere le comunicazioni fra que' di dentro e que' di fuori, il solco venne cominciato in quella parte del Palatino che é volta al Foro Boario, concordemente si posero nella Valle Marzia quindi voltò Murtia, e Murcia chiamano gli Scrittori più antichi la Valle, nella quale giacque il Circo fra il monte Palatino e l'Aventino, V epitome di Festo, nella quale si legge
"Murcia Deae sacellum erat sub monte Aventino, qui antea Mui cus vocahatur".

LE PRIME COSTRUZIONI  (By https://www.katatexilux.com/)

SECONDO ANTONIO NIBBY (storico archeologo dell'800)

Romulo nipote di Numìtore Re di Albalonga, allora metropoli de' Latini.
Questa varietà di opinioni sopra un soggetto di tanta importanza portò alcuni moderni ad un sistema men giusto, e questi decisero essere la fondazione di Roma affatto incerta; ed andarono anche più oltre, che avendo osservato nella storia della fondazione stessa frammischiati avvenimenti poco verosimili, dedussero la conseguenza essere quella storia una mera favola.

A dire il vero ne sembra un raziocinio di questa natura un poco strano, e che coloro, i quali in questa guisa ragionano, portino la critica di là dai giusti limiti; ed è veramente quasi ridicolo il pretendere noi , che sì lontani viviamo da questi secoli remoti, volere intieramente tacciar di favola ed impostura quello, che come vero fu ricevuto da scrittori gravissimi rivuti pochi secoli dopo.

Per la qual cosa speriamo andare esenti dalla taccia di temerari, e di creduli, se per conciliare insieme le diverse credenze degli antichi storici, ci curiamo, che nel sito, dove poi Roma esistè fosse in origine una borgata, stabilita ivi o dai Siculi, o dagli Aborigeni, o dai Latini.


IL SITO DI ROMA O ROMA STESSA

Tuttavia da questo luogo non si può decidere se Dionisio intenda soltanto parlare del sito di Roma , o di Roma stessa . Noi propendiamo piuttosto per la prima opinione; ma ciò non esclude il supporre nel sito di Roma qualche popolazione, tanto più che era rimasta la tradizione di una città stabilita da Giano Re degli Aborigeni sul mente poi da lui detto Giauicolo e di un' altra città da Saturno fondata sul Monte Capitolino, perciò detto Saturnio; tradizione, che ci fu conservata da Virgilio nell' ottavo della Eneide, quando fa dire da Evandro al suo Eroe Trojano:
"Haec duo praeferea disjectis oppida nniris , Beliquias vetenimque vides monumenta vironim . Hanc Janus pater hanc Suturnus condidit arcem; Janiculuin huic, illi fuerat Saturnia nomen."

L' autore dell' origine della Gente Romana  II. e III. sebbene faccia venir Giano da Atene, pure afferma avere egli fabbricato una città sul Gianicolo, ed aver re^tiiato soj^ra gb' Aborigeni, i naturali del paese ; e che durante il suo regno venne negli stessi luoghi  Saturno, il quale edificò non lungi dal Gianicolo una rocca detta perciò Saturnia, dove attese a civilizzare i selvaggi abitatori del Lazio .

Qui però è da osservarsi, che l'opinione di avere Evandro con una colonia di Arcadi occupato il Palatino è nello stesso tempo antichissima e generale, e per conseguenza dee dirsi che una città nel sito dove poi Romulo edificò la sua è di antichissima data, e rimonta ai tempi anteriori alla guerra di Troja.


ROMOLO E REMO

Dionisio parlando della fondazione di Roma dice che essa venne fondata da Romulo il II anno dopo il ripristinamenio di Numitore sul trono di Alba, cioè quattrocento trentadue .anni dopo la presa di Troja, anno I della VII Olimpiade, nella quale vinse allo Stadio Daicle Messenio, ed era il I anno del decennio dell' Arconte Charopo in Atene, poi alle avventure che si dicono avere accompagnato la sua nuova origine, la esposizione de' gemelli reali, l'allattamento della lupa, l'educazione data ai fanciulli da Faustolo ecc. noi non osiamo crederle intieramente e tenerle per vere, ma non ci sembrano neppure affatto impossibili.

E quantunque per un momento vogliamo crederle mera invenzione de' posteri, onde rendere straordinaria la origine di una città pervenuta all'alto grado di Regina delle Nazioni, non segue da ciò, che questa città stessa non venisse fondata, o a meglio dire ristabilita da coloro, ai quali quasi concordemente si attribuisce.

Supposta adunque vera la narrazione, che Romulo e Remo, dopo avere rimesso Numitore loro avo sul trono di Albalonga, fondassero, di nuovo edifìcassero la città, osserviamo ciò che del suo primo recinto.
Ciò coinciderebbe coll'anno 761.avanti l'Era Volgare; ma noi crediamo uniformarci al sentimento di Varrone, che stabilisce tal fatto nell'anno III della VI Olimpiade, cioè 753 anni avanti 1' era volgare e imperciocché è questo il sentimento oggi seguito da' migliori cronologi. ci hanno lasciato gli antichi scrittori.



IL RECINTO MURARIO

La parola vallum della quale Dionisio fa uso, ci fa dubitare se piuttosto che di mura, i! recinto di Romulo non fosse di palizzate, od altra fortificazione di simil natura.
Laonde se si voglia determinare l'andamento di questo recinto primitivo descritto in siffatta guisa da Tacito, seguendo l'aspetto attuale de' luoghi, pare che il principio del solco fosse
- sul colle Palatino di là da S Teodoro,
- verso il Velabro, quasi ad eguale distanza fra S. Teodoro e S. Anastasia, ma più verso questa ultima chiesa:
- quindi seguendo il pendio discese al Circo Massimo, dove presso le prime Mete fu l'ara di Conso;
- e di là in linea retta costeggiando il monte pervenne all' angolo che è verso la chiesa di S.Gregorio, - dove voltando cinse ancora quel lato, nel quale a' tempi di Tacito erano le Curie Vecchie;
- e finalmente voltando all'arco di Costantino,
- salendo l'erto del monte, dove trovasi l' arco di Tito,
- andò pel Sacello de' Lari a raggiungere il principio del solco,
- rivolgendo per 1' ultima volta dove è oggi la chiesa di S. Maria Liberatrice.

Questo primo recinto di Roma ebbe circa un miglio di estensione. Ma la città non tardò ad accrescersi e l'asilo aperto da Romulo nell' Intermonzio del Campidoglio, e le guerre, che se l'Asilo stesse sul Monte Capitolino, seguirono il ratto delle Sabine, fecero necessario un accrescimento nelle mura.

(Antonio Nibby - 1821)



SIR AVILLIAM GELL - Membro dell' Accademia Romana dell'Archeologia della Società Reale e della Società degli Antiquari di Londra -

- Illustrate con testo e note da A. Nibby
- Publico Professore di Archeologia nell'Aerchiginnasio Romano -
- Membro ordinario dell'Accademia Romana di Archeologia -
- Corrispondente dell' Accademia Reale Ercolanese - Roma - 1820.-

- Non è questo il luogo da discutere la gran questione della origini di Roma, da chi o quando fu essa fondata imperciocchè gli antichi scrittori stessi, che erano di noi molto più vicini all'avvenimento, e che aveano un gran numero di memorie e di documenti che a noi mancano, non furono affatto di accordo.

Nulladimeno nella varietà delle leggende seguite dagli antichi, possono determinarsi tre punti, o per dir meglio classificarsi le opinioni diverse a tre: di coloro, che assegnano la fondazione di Roma al secolo, che precedette la guerra di Troja

- A questa prima classe può ridursi il sentimento di coloro, che ascrivevano la fondazione di Roma ai Pelasgi, nazione nomade, i quali le imposero il nome, che porla, per la forza delle loro armi.

- A questa classe stessa appartiene ancora la opinione di quelli, che crederono fondatore di Roma Evandro Arcade 60 anni prima della guerra Troiana: Dionisio. osservarsi, che Virgilio segue una genealogia riguardo ad Evandro diversa da quella di Dionisio, e Pausania, e fa Evandro discendere da un Fallante, e al nome di questo attribuisce quello dato alla città a lai edificata.

 Ci basterà riferire le opinioni, che a questa seconda classe appartengono, secondo Plutarco, il quale diligentemente le raccolse ed abbrevionne il racconto.

Narra Plutarco, nella vita di Romolo  che dopo la presa di Troja una mano di Troiani fu dal vento battuta sulle coste della Toscana, e prese terra verso la imboccatura del Tevere; dove le donne non potendo soffrire il mare, vennero consigliate da una di loro, che le altre sorpassava in dignità dì stirpe, ed in prudenza, ad ardere i vascelli. Il consiglio venne adottato, ed arsi i vascelli, dapprima gli uomini n' ebbero mal animo, poi costretti dalla necessità si stabilirono sul Palatino, colle, che sovrastava al Tevere, dove trovandosi felici pel consiglio adottato dalla donna in ricompensa vollero, che col suo nome fosso chiamata, e perciò la dissero Roma.

- Altri poi credettero Roma, che diede nome alla città una figlia di Italo, e di Leucania.
- Altri ne fecero una figlia di Telefo di Ercole, moglie di Enea, o di Ascanio.
- Alcuni poi supposero, che la città venisse eretta da Romano figlio di Ulisse e di Circe.
- Altri da Romo di Ematione mandato da Diomede da Tioja.
- Altri da Romo Re de' Latini, che ne discacciò i Tirreni.

- Coloro, che a Romulo ne attribuirono la fondazione non furono sopra Romulo stesso di accordo facendolo chi figlio di Enea, e di Dexitea di Forbante, chi di Roma moglie di Latino, di Telamaco, e figlia di quella Roma Trojana di sopra rammentata, chi di Emilia figlia di Enea, e Lavinia, congiuntasi con Marte.

- Properzio poi nella prima Elegia del quarto libro mostra Roma edificata ai tempi di Enea senza nominarne il fondatore Romulo nipote di Numìtore Re di Albalonga, allora metropoli de' Latini. 

- Si pensa che in origine vi fosse una borgata, stabilita ivi o dai Siculi, o dagli Aborigeni. Tuttavia da questo luogo non si può decidere se Dionisio intenda soltanto parlare del sito di Roma, o di Roma stessa.

- La tradizione riporta di una città stabilita da Giano Re delli Aborigeni sul monte poi da lui detto Gianicolo e di un' altra città da Saturno fondata sul Monte Capitolino, perciò detto Saturnia.

- Virgilio nell'VIII della Eneide, fa dire da Evandro al suo Eroe Trojano :
"sebbene faccia venir Giano da Atene, pure afferma avere egli fabbricato una città sul Gianicolo, ed aver regnato sopra gli Aborigeni, in tutto il paese; e che durante il suo regno venne negli stessi luoghi Saturno, il quale edificò non lungi dal Gianicolo una rocca detta perciò Saturnia, dove attese a civilizzare i selvaggi abitatori del Lazio." -



SECONDO DIONIGI DI ALICARNASSO

Siamo nel 7 a.c., 194ma Olimpiade, 745 anni dalla fondazione di Roma, nel consolato di Claudio Nerone e di Gneo Calpurnio Pisone. Dionigi di Alicarnasso scrive di essere sbarcato in Italia nel 30 a.c., dopo la battaglia di Azio e di essere vissuto a Roma, imparando il latino. Qui ha raccolto il materiale per la sua opera sulla storia di Roma leggendo Catone, Fabio Massimo Servilliano, Valerio Anziate, Licinio Macro ed esaminando le tradizioni conservate dalle famiglie romane come gli Elii, i Galii, i Calpurnii ed altri.

Popolazioni preromane: 
Questi, a detta di Dionigi e non solo, furono gli antenati dei romani:
  • gli Aborigeni che cacciarono i Siculi,
  • i Peloponnesiaci di Enotro provenienti dall'Arcadia, 
  • i Pelasgi, 
  • gli Arcadi di Evandro, 
  • gli Eraclei, anche essi provenienti dal Peloponneso, 
  • i Troiani di Enea.

Gli Aborigeni

Gli Aborigeni, autoctoni per alcuni e nomadi secondo altri, occuparono la regione compresa fra il Tevere e il Liri. Al tempo della guerra di Troia furono governati dal re Latino, dal quale presero il nome di Latini per poi chiamarsi Romani quando Romolo fondò la città. All'epoca se era riconosciuto il valore e la grandezza del re, il suo popolo prendeva il suo nome. Da allora i romani divennero il più potente popolo della terra e concedevano ospitalità a chiunque la chiedesse. Non a caso fu anche il più civile dell'antichità.

Altri ritenevano che gli antenati fossero coloni Liguri, mentre Catone e Sempronio Tudditano pensavano fossero emigranti Greci molte generazioni prima della guerra di Troia, ma semmai dovevano essere Arcadi, i primi Greci a sbarcare in Italia sotto la guida di Enotro, della dinastia regnante nel Peloponneso.

Genealogia di Enotro:
  • Da Foroneo nacque Niobe, 
  • Da Niobe e da Zeus nacque Pelasgo. 
  • Da Ezeio nacque Licaone 
  • da Licaone Deianira. 
  • Da Deianira e Pelasgo nacque un altro Licaone.
  • Da questi nacque Enotro, diciassette generazioni prima della guerra di Troia. L'antica Italia venne poi chiamata "Enotria" che significa terra dei vini, oppure c'entra il re Enotro? La cosa è dibattuta.
Licaone, il secondo, aveva diviso l'Arcadia fra i ventidue figli, ma a Enotro non piacque la parte di regno assegnatagli, e neppure a suo fratello Peucezio piacque la sua, per cui radunarono gli uomini e vennero in Italia. Peucezio occupò il territorio iapigio mentre Enotro raggiunse le coste del Mar Tirreno, che allora si chiamava Ausonio.


Gli Enotri

Enotro si stabilì in territori disabitati formando la regione Enotria e chiamandosi Enotri. In seguito assunsero altri nomi dal re in carica: Ezei, Licaoni e Itali. Pertanto l'Italia deriva dagli Itali del re Italo e gli Aborigeni risalivano agli Enotri.
Questi ultimi da buoni montanari Arcadi occuparono le zone montuose, ma pian piano scesero e si diffusero per tutto il Lazio. Varrone scrive che le città più vicine a Roma erano nel reatino ad una giornata di cammino. Dionisio ne cita Palatio, Tribula, Suesbula, Suna, Mefula, Orvinio, Carsula, e fuori dal reatino: Marruvio, Vazia, Tiora, Lista. Sembra che a Tiora vi fosse un oracolo Aborigeno, un Pico (Picchio) ispirato dalla divinità.

Gli Aborigeni avevano già cacciato gli Umbri, e per ampliare il territorio si batterono con i Siculi, una schiera consacrata di giovani. Era il Ver Sacrum, per cui quando la popolazione era cresciuta e il cibo scarseggiava un gruppo di giovani si trasferiva oltre il mare, cioè fondavano colonie.


I Pelasgi

L'ostilità fra Aborigeni e Siculi divenne una lunga guerra, finchè giunse un gruppo di Pelasgi proveniente dalla Tessaglia che si allearono con gli Aborigeni contro i Siculi. I Pelasgi erano una stirpe greca nomade originaria del Peloponneso trasferiti in Tessaglia dove dopo sei generazioni erano stati cacciati da altri nomadi.
Fuggirono per le isole greche e alcuni, su indicazione di un oracolo, giunsero in Italia sulla foce del Po, nella zona di Spina, dove vissero finchè non furono sconfitti dai barbari.

MURA PELASGICHE
Altri Pelasgi si scontrarono con gli Umbri quindi raggiunsero il territorio degli Aborigeni. Inizialmente si batterono ma quando compresero di essere nel luogo indicato dall'oracolo cessarono le ostilità.
Gli Aborigeni, saputo dell'oracolo e della comune origine greca, si unirono ai Pelasgi.

Poi si batterono uniti contro Umbri e dei Siculi conquistando molte città fra le quali Agilla (Cere), Pisa, Saturnia, Also e altre degli Etruschi.
I Pelasgi si spinsero anche in Campania, dove fondarono diverse città. I resti pelasgici sono conservati a tutt'oggi, riscontrabili nelle ciclopiche mura poligonali, dette appunto pelasgiche, e pure da alcune acropoli sopravvissute, come a Norba o ad Artena, visibili in varie regioni ma soprattutto nel Lazio.

Pelasgi ed Aborigeni costrinsero infine i Siculi ad abbandonare i loro territori ed a migrare verso sud fino alla Sicilia, verso la metà del XIII secolo a.c.

I Pelasgi ebbero poi siccità ed epidemie, sempre secondo Diodoro,  per l'inadempienza di un voto di decime fatto in precedenza. Si stabilì che l'oracolo richiedeva anche la decimazione dei bambini ma molti Pelasgi si ribellarono combattendo fra di loro fino a distruggere la loro civiltà. Sopravvisse Crotone, nel territorio Umbro, poi colonia dei Romani con il nome di Cortona e gran parte dei territori abbandonati dai Pelasgi fu occupata dai Tirreni, cioè dagli Etruschi.


I Tirreni

Per alcuni autori i Tirreni erano autoctoni, e Dioniso ne sostiene la tesi, poichè Tirreni e Pelasgi erano etnie distinte con lingue diverse e sostiene che i Tirreni fossero coloni dei Lidi. Per altri si trattava di una popolazione immigrata dalla Lidia, guidati da un capo di nome Tirreno, discendente di Zeus. Per altri Tirreno era figlio di Eracle o di Telefo. I Tirreni si auto denominavano Rasenna, mentre i Romani li chiamavano Etruschi o Tusci.

Sessanta anni prima della guerra di Troia (1243 a.c. circa) si verificò un'altro ver sacro greco nell'Italia centrale, proveniente dalla città arcadica di Pallantio e guidata da Evandro, figlio di Hermes e di una ninfa arcadica, detta Temide dai Greci e Carmenta dai Romani. Carmenta divenne una Dea romana.

Fauno, re degli aborigeni, non solo li accolse ma gli fece scegliere la terra, segno che all'epoca fosse piuttosto spopolata, e scelsero un colle su cui fondarono un piccolo villaggio, che chiamarono Palatium in ricordo della città natale Pallantio, insomma fondarono il Palatino.


Gli Arcadi

Gli Arcadi sul Palatino eressero templi a Nike, Demetra e Poseidone e consacrarono a Pan la grotta che i Romani chiamavano Lupercale e istituirono un rito che i Romani chiamarono Lupercali. Agli Arcadi venne attribuita una maggiore civiltà che si riversò sugli aborigeni, l'introduzione in Italia dell'alfabeto greco e degli strumenti musicali a corda.


Gli Argei

ERACLE
Pochi anni dopo giunsero i Greci al seguito di Eracle, reduce dalla conquista dell'Iberia. Parte di loro lasciarono Eracle stabilendosi sul Campidoglio.

Probabilmente a questo insediamento risaliva secondo alcuni il culto di Giano - Saturno sul Palatino, ma Dionisio sostiene fosse antecedente.

Eracle avrebbe istituito il rito degli Argei, i fantocci gettati nel Tevere, per sostituire gli antichi sacrifici umani in onore di Saturno, ma per altri sembra che gli Argei fossero gli Eraclei, cacciati dalla popolazione che istituì a ricordo il rito dei 24 manichini di giunco, detti Argei, che ogni anno venivano gettati nel Tevere.

Comunque la penisola prese il nome di Italia dal re Italo, che secondo Antioco di Siracusa era di stirpe enotra e seppe conquistare o annettere vasti territori. L'Italia era considerata sacra a Crono - Saturno, dispensatore di doni e ricchezze.

Una delle 12 fatiche di Eracle era di condurre le mandrie di Gerione da Eriteia ad Argo. Al ritorno giunse nel territorio di Pallantio, dove sostò per pascere la mandria. Mentre riposava il ladrone Caco rubò le vacche nascondendole nella grotta dove abitava.

Eracle scoprì la grotta dai loro muggiti e uccise Caco, poi offrì a Giove un sacrificio che divenne un rituale per i Romani. Carmenta predisse la divinizzazione dell'eroe e così fu, e l'altare su cui sacrificarono, nei pressi del Foro Boario, fu detto " Ara Massima ". In Campania fondò Ercolano per l'appunto a lui intitolata, poi passò in Sicilia.

Secondo altri Eracle sarebbe arrivato nella penisola non conducendo una mandria ma a capo di un esercito per instaurare un nuovo governo. Si scontrò con i Liguri e vinse. Poi lasciò parte dei suoi che si stabilirono in alleanza con Evandro e Fauno.

Secondo alcuni lasciò in Italia due figli: Pallante, avuto da Lavinia figlia di Evandro, e Latino, avuto da una fanciulla resa schiava che poi cedette a Fauno che la sposò. Pallante morì ancora adolescente mentre Latino divenne re degli Aborigeni.



ENEA

Genealogia di Enea:
  • Dardano e Batea (figlia di Teucro) generarono Erittonio.
  • Erittonio e Calliroe (figlia di Scamandro) generarono Troo.
  • Da Troo e Acellaride (figlia di Eumede), nacque Assaraco.
  • Da Assaraco e Clitodora (figlia di Laomedonte), nacque Capi.
  • Da Capi e dalla Naiade Ieromneme, nacque Anchise.
  • Da Anchise ed Afrodite nacque Enea.
Due generazioni dopo, quando Latino regnava da trentacinque anni, giunsero a Laurento Enea ed i Troiani suoi compagni, presso la foce del Tevere. Accolti dagli Aborigeni i profughi ottennero un territorio dove fondando Lavinio e insieme agli Aborigeni, si chiamarono Latini. Poi fondarono Albalonga e  altri centri detti dei Prisci Latini.


I Miti di Enea:
ENEA
  1. Alla caduta di Troia Enea tentò di organizzare una resistenza, non avendo successo organizzò e coprì la fuga dei vecchi, delle donne e dei bambini, quindi abbandonò al nemico la città ormai deserta e si allontanò con famigliari, amici e vari oggetti sacri rifugiandosi sull'Ida. 
  2. Ai Troiani si unirono i cittadini di centri minori minacciati dai Greci. Infine gli Achei proposero che Enea e i suoi partissero dalla Troade recando con se le ricchezze che avevano salvato e consegnando le fortezze.
  3. Enea accettò e mandò il figlio Ascanio in una terra chiamata Dascilite con un manipolo di alleati. Enea, allestita la flotta, riunì gli altri figli, il padre, gli oggetti di culto e fece rotta verso la penisola Calcidica, abitata da un popolo amico.
  4. Sofocle nel Laocoonte dice che Enea fuggì per ordine di Anchise che aveva previsto la caduta della città.
  5. Per Menecrate di Xanto Enea tradì e fu ricompensato dagli Achei con l'immunità.
  6. Secondo alcuni si sarebbe invece fermato in Arcadia, per altri avrebbe fondato Capua.
  7. Per i Romani Enea giunse senz'altro in Italia. 

Follia Saturnia

Ma appena s’accorse la cara consorte di Giove che ella era posseduta da tale peste e l’onore non bloccava la follia saturnia affronta Venere con tali parole:

Davvero enorme gloria e ricchi bottini riportate sia tu che il tuo fanciullo, grande e memorabile potenza, se una donna, da sola, fu vinta dall'inganno di due dei! Né proprio mi inganno che tu temendo le nostre mura abbia stimato sospette le case della grande Cartagine. Ma quale sarà la regola o dove adesso, con sì grave rivalità? Perché piuttosto non concludiamo eterna pace e nozze pattuite? Hai ciò che con tutto il cuore cercasti: brucia Didone amante ed ha tirato la follia fin al midollo. Guidiamo dunque questo comune popolo con uguali protezioni; possa servire a marito frigio e affidare alla tua destra i Tirii in dote.”

Capì che le aveva parlato con mente ipocrita, per volgere il regno d’Italia alle spiagge libiche, così di rimando Venere rispose:

“ Chi pazza rifiuterebbe tali cose o preferirebbe contendere in guerra con te? Purché la sorte favorisca l’evento che tu ricordi. Ma sono mossa incerta per i fati, se Giove voglia che ci sia una sola città per i Tirii e gli esuli da Troia, o approvi che i popoli si mischiano o uniscano alleanze. Tu da consorte, per te è possibile pregando tentarne il cuore. Va’ avanti, seguirò”.

Allora così riprese la regale Giunone:

Per me sarà questo impegno. Ora in che modo si possa concludere quello che incombe, ascolta, ti insegnerò. Enea e insieme la molto infelice Didone si preparano ad andare a caccia nel bosco, quando il Sole di domani alzerà i primi inizi e ricoprirà di raggi il mondo. Su di essi io dall’alto rovescerò una oscurante nube, con mista grandine, mentre i battitori s’affannano e cingono le gole con la rete e muoverò tutto il cielo col tuono. Scapperanno i compagni e saranno coperti di opaca notte: Didone ed il capo troiano giungeranno alla stessa spelonca. Presenzierò, e se la tua volontà mi è garantita, li unirò si stabile unione e la dichiarerò sua. Qui ci sarà Imeneo.

Senza opporsi alla richiedente annuì e Citerea rise per gli inganni inventati.


Il viaggio di Enea

Enea in Tracia fondò Eneia lasciandovi parte dei suoi seguaci. Poi andò a Delo, a Citera, a Zacinto, nella Leucade, ad Azio, ad Ambracia, fondando templi ad Afrodite. A Butroto e consultò l'oracolo di Dodana, qundi  traversò lo Ionio.

Parte delle navi di Enea sbarcò in Puglia a Santa Maria di Leuca, poi passarono lo Stretto di Messina e in Sicilia sbarcarono a Trapani. Incontrarono altri profughi Troiani, guidati da Elimo ed Egesto. Una parte del seguito di Enea si fermò in Sicilia. Enea costeggiando il mare giunse al porto di Palinuro, poi all'isola Leucosia, a Miseno, a Procida, a Gaeta, e a Laurento ove fondarono un insediamento che chiamarono Troia.

Giunti sulla costa laziale si verificarono i segni dell'oracolo: sgorgò una fonte e mangiarono le mense, cioè le focacce sulle quali avevano posato il cibo. Vollero sacrificare agli Dei ma la scrofa incinta destinata al sacrificio fuggì ed Enea la seguì come indicato dall'oracolo finchè  l'animale si lasciò cadere su un altura arida.

Il giorno successivo, confermando la profezia, la scrofa partorì trenta maialini e trenta giorni dopo i Troiani fondarono Albalonga. Enea sacrificò la scrofa nel luogo ove poi sorse il suo tempio di Lavinio. La scrofa era Troia, o Ilio, un nome dell'antica Dea Madre.


Re Latino

Latino all'arrivo dei Troiani piantò un accampamento davanti a quello nemico per la battaglia ma durante la notte sia Enea che Latino ebbero un sogno in cui gli Dei li spingevano alla pace. Allora Enea, chiarita la sua posizione di profugo, chiese a Latino di potersi stabilire nel territorio, dichiarandosi disposto a battersi in caso di rifiuto.

Il patto fu che gli Aborigeni concessero ai Troiani tutta la terra intorno alla collina indicata dal presagio mentre i Troiani si impegnarono ad aiutarli nella guerra contro i Rutuli ed in ogni altra guerra. Il patto fu suggellato con scambio di ostaggi e i Rutuli vennero sconfitti, quindi i Troiani completarono la costruzione di Lavinio, secondo Dionisio circa due anni dopo la caduta di Troia, nel 1181 a.c. secondo la cronologia di Eratostene.

Il nome derivò da Lavinia, figlia di Latino, per altri da Lavinia figlia di Anio, re dei Delii del gruppo di Enea, in qualità di indovina, che sarebbe stata la prima a morire di malattia nella nuova città. Latino concesse Lavinia in matrimonio ad Enea e i due popoli si fusero chiamandosi Latini.


Morte di Enea

Enea regnò tre anni sui soli Troiani, durante il quarto anno morì Latino ed Enea ebbe il regno unito dei due popoli. Frattanto i Rutuli si erano di nuovo ribellati, sotto la guida di Tirreno, o Turno, cugino di Amita, moglie di Latino, perchè Enea gli era stato preferito nelle nozze di Lavinia.

Nella guerra erano morti sia Latino che Tirreno. Tre anni dopo Mesentio, re dei Tirreni, si alleò coi Rutuli e marciò contro Lavinio. In questa guerra morì Enea e poichè il suo corpo non fu ritrovato si credette che fosse stato assunto fra gli Dei ed i Latini gli eressero un monumento che ai tempi di Dionisio era ancora visitabile: l'Heeron di Enea a Pratica di Mare, rinvenuto in recenti scavi archeologici.


Ascanio

Ad Enea, 7 anni dopo la caduta di Troia, successe Eurileonte che durante la fuga aveva preso il nome di Ascanio. Mesentio, secondo Livio re di Cere, protrasse  l'assedio finchè i Latini chiesero la resa ma le pretese erano inaccettabili, così in un'improvvisa sortita notturna ebbero la meglio sui Tirreni che a loro volta proposero la resa. Mesentio ottenne di potersi allontanare con il suo esercito e divenne alleato dei Latini. Secondo Catone anche Mesentio morì durante la guerra.

Trenta anni dopo la fondazione di Lavinio Ascanio fondò Albalonga,  fra un lago ed un monte dove si produceva (ai tempi di Dionisio) l'ottimo " vino albano ". Quando ad Albalonga furono trasportate le immagini degli Dei e gli oggetti sacri che Enea aveva collocato a Lavinio, durante la notte immagini ed oggetti tornarono a Lavinio. I Latini vi lasciarono allora trecento persone per prendersi cura delle reliquie.

A Roma, lungo la via che conduce alle Carine, un piccolo tempio della Velia  si conservano le effigi degli Dei dei troiani che un'epigrafe definisce Penati. Sono due giovanetti seduti che impugnano lance, collocati ad Ilio da Dardano e posti in salvo da Enea. Dionisio aggiunge che " gli oggetti sacri portati in Italia da Enea sono i simulacri dei Grandi Dei.... e il favoloso Palladio che si dice custodito dalle sacre vergini nel tempio di Hestia, dove si conserva anche il fuoco perpetuo ".


Silvio

Ascanio morì nel 38° anno del suo regno e gli succedette il fratello Silvio, nato a Lavinia dopo la morte di Enea. Quando Enea morì, Lavinia, temendo di essere invisa ad Ascanio, si nascose aiutata da un guardiano di porci amico di Latino di nome Tirreno (Tyrrens o Tyrrus) nella foresta; da qui il nome di Silvio, nato nella selva.

Lavinia e Silvio tornarono fra la gente ed alla morte di Ascanio suo figlio Iulo contese il regno con Silvio. Il popolo votò per Silvio ed a Iulo toccò la carica sacerdotale, onore poi ereditato costantemente dai suoi discendenti (la Gens Iulia). Silvio regnò per trentuno anni, gli succedette il figlio Enea (Enea Silvio) che regnò per 29 anni.

Ecco la versione di Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso dei re Latini di Albalonga:
  • Enea
  • Ascanio, figlio di Enea e Creusa, regnò 38 anni.
  • Silvio, fratello minore di Ascanio, figlio di Enea e Lavinia, regnò 29 anni.
  • Enea Silvio, figlio di Silvio, regnò 31 anni.
  • Latino Silvio, regnò 51 anni.
  • Alba regnò 39 anni.
  • Atys (in Tito Livio) o Capeto (in Dionigi) per 26 anni. 
  • Capys per 28
  • Capeto II per 26
  • Tiberino Silvio, per 8, morì in battaglia cadendo nel fiume Albula che da lui si chiamò Tevere.  
  • Agrippa regnò per 41 anni, 
  • Romolo Silvio (in Tito Livio) o Allodio (in Dionigi) per 19 anni. Dispotico e odiato, imitò fulmini e tuoni per regnare col terrore, infine fu travolto da un'alluvione. 
  • Aventino, dette i nome al colle Aventino, per 37 anni.  
  • Proca, per 23 anni.  
  • Amulio che dopo aver usurpato il potere che spettava al fratello Numitore, regnò per 42 anni.
  • Numitore. Dopo che Amulio fu ucciso dai nipoti (Romolo e Romos li chiamava Dionisio), Numitore riprese il potere.


LA FONDAZIONE DI ROMA

Un anno dopo i gemelli dedussero una colonia e fondarono Roma, nel 432 simo anno dopo la caduta di Troia, primo anno della settima Olimpiade e primo anno dell'arcontato di Caropo ad Atene. Erano passate sedici generazioni, i Latini fondarono la colonia sul Palatino dove avevano abitato i Peloponnesiaci e gli Arcadi e vi posero le prime mura. Nacque così Roma e il suo capo fu Romolo,  il 17° discendente di Enea.



LA VERSIONE DI TITO LIVIO

"Comincio dunque dalla caduta di Troia a cui, come è noto, seguì lo sterminio di quasi tutti i suoi abitanti; ma su due di essi, Enea e Antenore, gli Achei non esercitarono in alcun modo il diritto di guerra sia per un antico vincolo di ospitalità sia perché erano sempre stati fautori della pace e della restaurazione di Elena. È anche risaputo che Antenore, dopo varie vicende, giunse nella parte più interna del mare Adriatico con un gran numero di Eneti.

Questi erano stati cacciati dalla Paflagonia in seguito ad una rivolta e stavano cercandosi una sede e un capo dopo aver perso, sotto Troia, il loro re Pilemene. Troiani ed Eneti si insediarono nel posto in cui erano sbarcati, dopo aver cacciato gli Euganei che abitavano tra il mare e le Alpi, dandogli il nome di Troia. Dunque questo territorio ha un nome che richiama  Troia, mentre quei popoli, nel loro insieme, si chiamarono Veneti. 

Enea, travolto dalla stessa rovina e in fuga dalla patria, era guidato dal fato a ben più fatali eventi: prima sbarcò in Macedonia; poi, alla ricerca di una nuova sede, si trasferì in Sicilia e da lì diresse la sua flotta verso l’agro Laurente. Anche questo luogo ricevette il nome di Troia. Dopo lo sbarco, i Troiani, com’è naturale per gente che dalle sue lunghe peregrinazioni aveva salvato solo le armi e le navi, depredavano il territorio circostante.

Il re Latino e gli Aborigeni che allora occupavano quella regione, accorsero in armi da città e campagne, per respingere la violenza degli stranieri. A questo punto la tradizione dà due versioni. Alcuni sostengono che Latino, una volta sconfitto in battaglia, abbia prima sancito la pace e poi stretto rapporti di parentela con Enea. Invece secondo un’altra versione, quando già il due eserciti erano schierati e poco prima del segnale della battaglia, Latino sarebbe avanzato assieme ai maggiorenti del suo popolo e avrebbe chiamato a colloquio il capo degli invasori. 

Latino volle sapere chi fossero, da dove venissero, perchè si fossero allontanati dallo loro patria e soprattutto che cosa speravano di ottenere sbarcando nell’agro Laurente. Seppe che quella era una moltitudine di Troiani che a guidarla era Enea, figlio di Anchise e di Venere; che erano fuggiti dalla loro patria e dalla loro città in fiamme; che cercavano un luogo dove stabilirsi e fondare una città. Allora ebbe parole di ammirazione per la nobiltà di quel popolo e del suo capo. Dopo aver apprezzato la loro disponibilità sia a vivere in pace che a combattere, porse la destra per stabilire un segno di futura amicizia. 

Tra i due comandanti fu stretto un patto e i due eserciti si scambiarono la formula del saluto. Enea fu ospite di Latino il quale, a questo punto, sancì il patto pubblico con un accordo domestico, facendogli sposate la propria figlia. Ciò confermò nei Troiani la speranza di porre finalmente termine al loro vagabondare in una sede sicura. Fondarono una città che Enea chiamò, dal nome della moglie, Lavinio. Da questo nuovo matrimonio nacque un figlio maschio, che i genitori chiamarono Ascanio.
In seguito, Aborigeni e Troiani dovettero affrontare insieme una guerra. Il re dei Rutuli Turno, cui era stata promessa in sposa Lavinia prima dell'arrivo di Enea, poiché non accettava che lo straniero gli fosse stato preferito, mosse guerra a Enea e a Latino. 

Nessuna delle due parti poté rallegrarsi dell'esito di quello scontro: i Rutuli furono vinti, ma Troiani e Aborigeni, benché vincitori, persero Latino, il loro comandante.
Allora Turno e i Rutuli sfiduciati ricorsero alle floride risorse degli Etruschi e del loro re Mesenzio, signore dell'allora ricca città di Cere.

Questi, poiché già sin dagli inizi non aveva gradito la fondazione della nuova città e pensava che la crescita della potenza troiana fosse una minaccia per i popoli vicini, non esitò ad allearsi militarmente con i Rutuli. Enea, terrorizzato da una simile guerra, per accattivarsi il favore degli Aborigeni e perché tutti risultassero uniti non solo sotto la stessa guida ma anche sotto lo stesso nome, chiamò Latini l'uno e l'altro popolo; né d'allora in poi gli Aborigeni si dimostrarono inferiori ai Troiani quanto a devozione e lealtà. 

Ed Enea, forte di questi sentimenti e dell'affiatamento che cresceva tra i due popoli col passare dei giorni, nonostante l'Etruria avesse una tale disponibilità di mezzi da raggiungere con la sua fama non solo la terra ma anche il mare per tutta l'Italia dalle Alpi allo stretto di Sicilia, fece scendere in campo le sue truppe pur potendo respingere l'attacco dalle mura. 
Lo scontro fu il secondo per i Latini. Per Enea, invece, rappresentò l'ultima impresa da mortale. Comunque lo si voglia considerare, uomo o Dio, è sepolto sulle rive del fiume Numico e la gente lo chiama Giove Indigete.

Ascanio, il figlio di Enea, non era ancora maturo per comandare; tuttavia il potere rimase intatto finché egli non ebbe raggiunto la pubertà. Nell'intervallo di tempo, lo Stato latino e il regno che il ragazzo aveva ereditato dal padre e dagli avi gli vennero conservati sotto la tutela della madre (tale di Lavinia il carattere).

Non mi metterò a discutere - e chi infatti potrebbe dare come certa una cosa così antica? - se sia stato proprio questo Ascanio o uno più vecchio di lui, nato dalla madre Creusa quando Ilio era ancora in piedi e compagno del padre nella fuga di là, quello stesso Julo dal quale la famiglia Giulia sostiene derivi il proprio nome.

Questo Ascanio, quali che fossero la madre e la patria d'origine, in ogni caso era figlio di Enea. Poichè la popolazione di Lavinio era in eccesso, lasciò alla madre, o alla matrigna, la città ricca e fiorente, e per conto suo ne fondò sotto il monte Albano una nuova che, dalla sua posizione allungata nel senso della dorsale montana, fu chiamata Alba Longa. Tra la fondazione di Lavinio e la deduzione della colonia di Alba Longa passarono circa trent'anni. 

Ciò nonostante, specie dopo la sconfitta degli Etruschi, la sua potenza era a tal punto in crescita che neppure dopo la morte di Enea nè sotto la reggenza di una donna e i primi passi del regno di un ragazzo, tanto Mesenzio e gli Etruschi quanto nessun'altra popolazione limitrofa osarono intraprendere iniziative militari. Il trattato di pace stabilì che per Etruschi e Latini il confine sarebbe stato rappresentato dal fiume Albula, il Tevere attuale.

Quindi regnò Silvio, figlio di Ascanio, nato nei boschi per un caso fortuito. Egli generò Enea Silvio che a sua volta mise al mondo Latino Silvio. Da quest'ultimo vennero fondate alcune colonie chiamate dei Prischi Latini. In seguito il nome Silvio rimase a tutti coloro che regnarono ad Alba Longa. Da Latino nacque Alba, da Alba Atys, da Atys Capys, da Capys Capeto e da Capeto Tiberino il quale, essendo annegato durante l'attraversamento del fiume Albula, diede a esso il celebre nome passato ai posteri. 


Quindi regnò il figlio di Tiberino, Agrippa, il quale trasmise il potere al figlio Romolo Silvio. Questi, colpito da un fulmine, tramandò di mano in mano il regno ad Aventino il quale fu sepolto sul colle che oggi è parte di Roma e che porta il suo nome. Quindi regnò Proca. Egli generò Numitore e Amulio. A Numitore, che era il più grande, lasciò in eredità l'antico regno della dinastia Silvia.

Ma la violenza poté più che la volontà del padre o la deferenza per la primogenitura: dopo aver estromesso il fratello, salì al trono Amulio. Questi commise un crimine dietro l'altro: i figli maschi del fratello li fece uccidere, mentre a Rea Silvia, la femmina, avendola nominata Vestale (cosa che fece passare come un'onorificenza), tolse la speranza di diventare madre condannandola a una verginità perpetua.

Ma, come penso, l’origine di una così grande città ed il principio dell’impero più grande dopo la potenza degli Dei erano dovuti al Fato. La Vestale violata, dopo aver dato alla luce due gemelli, sia che lo pensasse veramente, sia che un Dio come responsabile della colpa fosse più onesto, proclamò solennemente Marte padre della sua prole illegittima.

Ma né gli Dei, né gli uomini potevano liberare lei o i figli della crudeltà del re; la sacerdotessa venne imprigionata in catene, (il re) ordinò di gettare i figli nella corrente del fiume. Per un qualche caso voluto dal Fato, il Tevere, straripato oltre agli argini in placidi stagni, non poteva essere raggiunto fino al suo corso naturale e dava la speranza a coloro che portavano i bambini che essi potessero annegare pur nell’acqua tranquilla.

Così, pensando di aver eseguito l’ordine del re, deposero i bambini nello stagno più vicino, dove ora c’è il fico Ruminale, che raccontano fosse chiamato Romulare. Vi erano, a quei tempi, vaste pianure desolate in quei luoghi. Perdura la tradizione che, quando l’esigua quantità d’acqua lasciò in secco il letto del fiume dove erano stati deposti i bambini, una lupa assetata dai monti che sono tutti intorno cambiò percorso seguendo i vagiti dei bambini. 

E che essa con tanta mansuetudine offrì ai bambini il seno disteso che un pastore del gregge del re la trovò mentre lambiva con la lingua i bambini - raccontano che si chiamasse Faustolo; e che da lui furono consegnati, perché li allevasse, alla moglie Larenzia, nella sua dimora. Ci sono persone che pensano che Larenzia, per aver venduto il proprio corpo, fu chiamata Lupa fra i pastori; da questo fatto fu dato spazio alla incredibile leggenda.

Così nati e così allevati, appena crebbero in età, percorrevano i boschi cacciando, non rimanendo oziosi nelle stalle o nel curare il bestiame. Poi, fattisi robusti nel corpo e nell’animo, non cacciavano solo le fiere, ma attaccavano i briganti carichi di bottino, dividevano ciò che avevano catturato con i pastori e, assieme a loro, mentre la schiera di giovani aumentava di giorno in giorno, attendevano alle occupazioni serie ed agli svaghi.

Si dice che già allora sul Palatino si celebrasse il nostro Lupercale e che il monte fosse chiamato Pallanzio (in seguito Palatino) da Pallanteo, città dell'Arcadia; là Evandro, il quale, originario di quella stirpe di Arcadi, aveva occupato la zona molto tempo prima, pare avesse introdotto importandola dall'Arcadia l'usanza che dei giovani corressero nudi celebrando con giochi licenziosi Pan Liceo, che i Romani in seguito chiamarono Inuo.

Mentre erano intenti a questo spettacolo, dato che la ricorrenza era ben nota, si dice che i banditi, per la rabbia di aver perso il bottino, organizzarono un'imboscata: Romolo si difese energicamente e Remo, invece, lo catturarono e lo consegnarono al re Amulio, accusandolo per giunta del furto. 

Soprattutto gli imputavano di aver compiuto delle incursioni nelle terre di Numitore e di aver raccolto un gruppo di giovinastri per darsi alle razzie come in tempo di guerra. Per questi motivi Remo viene consegnato a Numitore perché lo punisca. Già sin dall'inizio Faustolo aveva supposto che i bambini allevati in casa sua fossero di sangue reale: infatti sapeva che dei neonati erano stati abbandonati per volere del re e anche che il periodo in cui li aveva presi con sé coincideva con quel fatto; però non aveva voluto che la cosa si venisse a sapere quando ancora non era il momento giusto (a meno che non si fossero presentate l'occasione propizia o una necessità urgente).


Fu quest'ultima ipotesi a verificarsi per prima: spinto dalla paura, rivelò la cosa a Romolo. Per caso anche Numitore, mentre teneva prigioniero Remo e aveva saputo che erano fratelli gemelli, considerando la loro età e il carattere per niente servile, era stato toccato nell'intimo dal ricordo dei nipoti; e a forza di fare domande, arrivò a un punto tale che poco ci mancò riconoscesse Remo.

Così venne architettato un doppio complotto ai danni del re. Romolo lo assale, però non col suo gruppo di ragazzi, infatti non sarebbe stato all'altezza di un vero proprio colpo di forza, ma con altri pastori cui era stato ordinato di arrivare alla reggia in un momento prestabilito e secondo un altro percorso; dalla casa di Numitore, invece, Remo accorre in aiuto con un'altra schiera di uomini che era riuscito a procurarsi. Così trucidano il re.

Numitore, durante le prime fasi della sommossa, spargendo la voce che i nemici avevano invaso la città e stavano assaltando la reggia, aveva così attirato la gioventù albana a presidiare la rocca e a tenerla con le armi; quando vide venire verso di sé i giovani esultanti, reduci dalla strage appena compiuta, convocata sùbito l'assemblea, rivelò i delitti commessi dal fratello nei suoi confronti, la nobile origine dei nipoti, la loro nascita, il modo in cui erano stati allevati, il sistema con cui erano stati riconosciuti, e infine l'uccisione del tiranno, della quale dichiarò di assumersi la piena responsabilità.

Dopo che i due giovani, entrati con le loro truppe nel mezzo dell'assemblea, ebbero acclamato re il nonno, l'intera folla, con un grido unanime, confermò al re il titolo legittimo e l'autorità. Così, affidata Alba a Numitore, Romolo e Remo furono presi dal desiderio di fondare una città in quei luoghi in cui erano stati esposti e allevati.

Inoltre la popolazione di Albani e Latini era in eccesso, a questo si erano anche aggiunti i pastori e tutti insieme certamente nutrivano la speranza che Alba Longa e Lavinio sarebbero state piccole nei confronti della città che stava per essere fondata. Su questi progetti si innestò poi un tarlo ereditato dagli avi, cioè la sete di potere, e di lì nacque una contesa fatale dopo un inizio abbastanza tranquillo.

Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli Dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione e così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l'Aventino.

Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo; dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l'uno e l'altro contemporaneamente; gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti.

Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette e quindi Romolo, al colmo dell'ira, l'avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: "Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura".

In questo modo Romolo si impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore. In primo luogo fortifica il Palatino, sul quale lui stesso era stato allevato. Offre sacrifici in onore degli altri Dei secondo il rito albano, e secondo quello greco in onore di Ercole, così com'erano stati istituiti da Evandro.


ROMOLO TRACCIA IL SOLCO DELLA NUOVA CITTA'
Altre versioni:
  • Cefalone di Gergis sosteneva invece che Roma era stata fondata da un figlio di Enea di nome Romos.
  • Per Ellanico e Damaste di Sigeo sarebbe stata fondata dallo stesso Enea e chiamata con il nome di una donna del suo popolo che aveva incendiato le navi per porre fine alle peregrinazioni. 
  • Secondo Aristotele i fondatori furono gli Achei reduci da Troia capitati lì per una tempesta, le loro prigioniere troiane avrebbero incendiato le navi per evitare di essere deportate in schiavitù, costringendoli a stanziarsi. 
  • Per Callia di Siracusa invece la città fu fondata dai tre figli di Latino e di una donna di nome Roma.
  • Secondo Xenagora Romos, Anteo ed Ardea furono figli di Odisseo e Circe e fondatori eponimi di altrettante città.
  • Dionisio di Calcide dice che fu fondata da un Romos figlio di Ascanio. 
  • Per altri Romos sarebbe stato figlio di Italo e di Leucaria, figlia di Latino.
  • Negli autori latini Dionisio legge che i fondatori della città sarebbero stati figli o nipoti di Enea, consegnati da Enea a Latino come ostaggi ricevettero dagli Aborigeni una parte del regno. 
  • Altre fonti latine riferiscono che Roma sarebbe stata fondata dai figli di Enea quindi abbandonata e ricolonizzata da Romolo e Remo, ci sarebbero state dunque due fondazioni, la prima ai tempi di Enea e la seconda quindici generazioni dopo.

Le date:
  • Timeo colloca la fondazione di Roma 38 anni prima della prima Olimpiade (813 a.c.), 
  • Cincio Alimento nel IV anno della XII (728 a.c.), 
  • Fabio Pittore nel I dell'VIII (747 a.c.).
  • Porcio Catone a 432 anni dopo la caduta di Troia, I anno della VII Olimpiade (751 a.c.).
  • Polibio nel II anno della VII Olimpiade, datazione accettata da Dionisio che ne spiega i motivi tramite l'analisi dei documenti ufficiali: le tavole custodite dai sacerdoti e le " liste dei censori".
ROMA QUADRATA

Re Amulio

Amulio divenuto re volle eliminare la discendenza di Numitore. Fece uccidere Egesto, figlio di Numitore, simulando un agguato dei briganti, quindi nominò la nipote Rea Silvia (o Ilia) vestale con voto di castità per evitare futuri discendenti. Numitore si rese conto del crimine e delle intenzioni del fratello ma decise di aspettare momenti migliori per vendicarsi.


Le Vestali

Dionisio dice che le vestali dovevano rimanere senza marito per almeno cinque anni. Successivamente erano tenute alla castità fino ad almeno ai 30 anni, età in cui potevano abbandonare il sacerdozio, pena la morte per seppellimento da vive
Invece quattro anni dopo Rea Silvia fu violentata, secondo alcuni da uno dei suoi vecchi pretendenti, secondo altri dallo stesso Amulio mascherato ma per i più da un Dio che dopo averle predetto due figli straordinari se ne sarebbe tornato in cielo avvolto da una nube. Dio che nei miti successivi divenne Marte.

Amulio intentò allora un processo accusando Numitore (di aver stuprato la figlia?... Non si sa). Comunque Numitore riuscì ad ottenere un rinvio e nel mentre Rea Silvia partorì i gemelli. Amulio ottenne la condanna a morte di Rea Silvia e l'abbandono dei neonati alla corrente del fiume.


Le versioni:
  • Per alcuni Rea Silvia fu immediatamente posta a morte, per altri detenuta in una prigione segreta avendo ottenuto la grazia per intercessione della figlia di Amulio.  
  • Per Fabio Pittore i due neonati furono condannati ad essere abbandonati nelle acque del Tevere, in una cesta e in un punto acquitrinoso perchè il fiume era straripato ed impediva di avvicinarsi ad un punto più profondo.


ROMOLO E REMO

Dopo aver galleggiato per un tratto la cesta si arenò ed i neonati furono soccorsi dalla lupa che li allattò. Arrivò un pastore che rimase stupefatto dalla mansuetudine della lupa ed andò a chiamare i suoi compagni. I pastori ravvisarono nell'insolito spettacolo i segni di un prodigio. La lupa si allontanò tranquillamente nascondendosi in un bosco che si diceva sacro a Pan.

Dionisio narra che nel luogo (il Lupercale) si conservava ai suoi tempi un " complesso bronzeo di antica fattura " di una lupa che allatta due bambini, quello collocato dagli edili Ogulnii nel 295 a.c. Un fulmine nel 65 a.c. danneggiò i gemelli e la lupa fu interrata in quanto sconsacrata dal fulmine. Probabilmente è la Lupa Capitolina (Museo dei Conservatori), forse etrusca del VI secolo a.c. cui vennero aggiunti i gemelli nel XV sec. dal Pollaiolo.


La versione che Dionisio riprende da Fabio Pittore:

I gemelli furono adottati dai pastori, fra i quali Faustolo, guardiano di porci che sapendo del processo di Rea Silvia capì chi erano i gemelli. Così li portò alla moglie che aveva perduto un bimbo appena nato e li chiamò Romolo e Romos.

ROMOLO E REMO
A diciotto anni i gemelli fecero una rissa con i pastori di Numitore per l'utilizzo di pascoli comuni, vinsero ma i pastori per vendicarsi, attaccarono di notte le loro greggi.

Romolo si trovava a Cenina a svolgere riti sacrificali, Romos tentò di difenersi con i pochi abitanti del villaggio ma venne catturato.

Faustolo racconta allora a Romolo le sue vere origini, per pazientare e organizzare un esercito con cui sconfiggere  Amulio.

Romolo raduna tutti gli abitanti del villaggio ed ordina di entrare inosservati in Albalonga aspettando gli ordini nel foro.  Romos venne condannato da Amulio lasciando l'esecuzione a Numitore; questi colpito dal portamento del giovane lo interroga e Romos rivela di essere stato abbandonato insieme ad un fratello gemello ed adottato da un pastore. Numitore ora sa chi è, lo libera, chiama anche Romolo e organizzano l'attacco ad Amulio.

Intanto Faustolo porta come prova la cesta che aveva contenuto i neonati, ma  interrogato dalle guardie reali al momento di entrare in città viene fermato e condotto davanti a Amulio. Viene a galla la verità ma Amulio sembra contento e vuole a corte i due gemelli.

Faustolo insospettito tace che i giovani si trovino presso Numitore e propone di accompagnare gli uomini di Amulio alla loro capanna. Amulio acconsente ordinandone segretamente la cattura. Quindi manda a chiamare Numitore per imprigionarlo ma il messo avverte Numitore sul tranello. I gemelli attaccano finalmente la reggia  e l'usurpatore viene sconfitto e ucciso.


La versione di Dionisio: 

I gemelli verrebbero salvati da Numitore che riuscì a sostituirli con altri neonati, quindi li affidò in adozione a Faustolo. La lupa non è un animale ma il soprannome della moglie di Faustolo che un tempo si era prostituita. Una volta svezzati i bambini sarebbero cresciuti a Gabii, ricevendo un'educazione di tipo greco. La contesa fra i pastori sarebbe stata un espediente di Numitore per ottenere i figli del mandriano di Amulio e quindi aprire le ostilità.


I Nuovi Re

I Versione:

Numitore riprese la corona e decise di fondare una nuova città per i nipoti donando loro le terre in cui erano stati allevati, alla guida della popolazione che voleva seguirli, sia plebei che nobili troiani. Così con animali e schiavi si mescolarono con quanti vivevano presso il Palatino ed il Campidoglio. Ma presto fra Romolo e Romos e  i rispettivi sostenitori nacque la discordia per il luogo dove costruire la città, optando Romolo per il Palatino e Romos per altro luogo col nome di Remoria.

Numitore propose di affidarsi agli auspici, così Romolo si recò sul Palatino e Romos sull'Aventino. Il primo che avesse visto presagi favorevoli avrebbe vinto. Romolo mandò a chiamare il fratello dicendo di aver visto qualcosa ma mentre i suoi inviati lo raggiungevano Romos avvistò sei avvoltoi. Mentre discutevano apparvero sul Palatino dodici avvoltoi e Romolo concluse di essere il prescelto suscitando l'ira del gemello.

Avendo visto lo stesso presagio l'uno pretendeva la vittoria per la precedenza, l'altro per il maggior numero di uccelli visti. Nel combattimento che seguì persero la vita Faustolo che voleva separarli e Romos. Romolo fece seppellire il fratello nel luogo dove avrebbe voluto erigere la propria città. Un leone di pietra che ai tempi di Dionisio si trovava nel foro era ritenuto il monumento funebre di Faustolo. Romolo disperò ma venne consolato da Lucrezia (Acca Larenzia, la madre adottiva) e riuniti i supestiti della battaglia iniziò la costruzione della città.

II versione:

Non ci sarebbero stati combattimenti e Romos avrebbe accettato la supremazia di Romolo ma in segno di spregio avrebbe saltato il muro che si stava costruendo. Il sovrintendente ai lavori, di nome Celerio, lo avrebbe ucciso con un colpo di vanga per vendicare l'offesa.


Da Varrone sul Pomoerium

Il pomoerium era uno spazio sacro che poteva stare all’interno o all’esterno delle mura di una città. Probabilmente di origine etrusca, fu usato da Etruschi e Romani per fondare le città. Aggiogavano un manzo e una giovenca a un aratro cui si faceva incidere il solco che delimitava la città, all’inizio non troppo grande.

Quando la città si espandeva si aggiungevano altri pomoerium, perché solo al loro interno potevano agire gli auruspici. Lo delimitavano con le colonne, mai mura perché era simbolico e sacro. A volte fu trasferito fuori le mura, come il pomoerim di Iside, perché culto inviso ad alcuni imperatori romani.



ROMOLO

Compiuti i sacrifici e i riti di purificazione, Romolo chiamò il popolo e tracciò un solco quadrangolare con un aratro tirato da un toro e da una mucca, poi tutti iniziarono a costruire. La giornata fu celebrata dai Romani nelle Parilia, all'inizio della primavera.
ROMOLO
  • Romolo dunque, con tremila fanti e trecento cavalieri, fondò Roma dopo 432 anni dalla distruzione di Troia.
  • Seguì l'assemblea dei Romani che approvò l'ordinamento proposto da Romolo e lo riconfermò re di Roma.
  • Romolo prima di accettare consultò gli auspici e da sinistra venne un lampo, fatto molto positivo. 
  • Stabilì che anche i suoi successori dovessero essere confermati dagli auspici. L'usanza si conservò in età repubblicana per le cariche maggiori ma cadde in disuso in epoca imperiale. 
  • Secondo l'ordinamento di Romolo: vennero create tribù, ognuna divisa in dieci curie. I capi si chiamano tribuni e curioni.
  • La popolazione viene divisa fra patrizi e plebei.
  • Compiti dei patrizi erano gli uffici religiosi, le magistrature, l'amministrazione della giustizia e gli affari pubblici. I plebei dovevano coltivare la terra, allevare il bestiame, ecc. 
  • Istituto della clientela: a ciascun plebeo viene accordato di scegliersi un patrizio come patrono. Anche la clientela sarebbe per Dionisio usanza di origine greca. 
  • I patroni erano impegnati ad assistere e difendere i propri clienti in sede legale e a spiegare loro le leggi.
  • I clienti dovevano provvedere la dote per le figlie dei patroni se questi si trovavano in condizioni di scarsa disponibilità economica ed a pagare per loro il riscatto in caso di rapimento, dovevano inoltre pagare multe e sanzioni sofferte dal patrono e compartecipare alla spesa delle loro campagne elettorali.
  • Patroni e clienti erano legati da stretti vincoli di fedeltà tanto che i loro rapporti duravano per molte generazioni.
  • La concordia che derivò dagli ordinamenti di Romolo sia all'interno della città sia verso le colonie greche ed altre città amiche durò 630 anni durante i quali le contese fra cittadini furono risolte in via politica e senza spargimenti di sangue, finché il tribunato di Gaio Gracco non distrusse l'armonia del governo. (si capisce che Dioniso era patrizio e poco obiettivo)
  • Romolo costituì un Senato di cento membri scegliendoli fra i patrizi.
  • Al senatore che considerava il migliore delegava l'amministrazione della città durante le sue assenze.
  • Costituì un corpo scelto di 300 armati adibito alla guardia personale e all'emergenza, detti celeres per la velocità o, secondo Valerio Anziate, per il nome del loro primo comandante, Celere. 
  • Assegnò al re le funzioni sacerdotali più eminenti, la custodia del diritto ed il giudizio per i reati più gravi, demandando ai senatori quelli di minore entità. 
  • Al re spettava la convocazione del Senato e delle assemblee popolari e la facoltà di esprimere per primo la propria opinione. 
  • Al consenso dei senatori riservò il compito di discutere e sottoporre a votazione le proposte del re. Solo le decisioni approvate dalla maggioranza venivano varate, come avveniva a Sparta.
  • All'assemblea popolare demandò l'elezione dei magistrati, la ratifica delle leggi e, quando lo diceva il re, la disamina delle questioni belliche in sintonia con il Senato. 
  • La gerarchia militare risultò composta, nell'ordine, da tribuni militari, centurioni, decurioni, e comandanti della cavalleria.
  • Prese provvedimenti per incrementare le nascite pur tollerando l'esposizione dei nati storpi purché deliberata da diverse persone. Per i trasgressori delle leggi fissò diverse condanne fra cui la confisca della metà dei beni. 
  • Concesse asilo politico a chiunque lo richiedesse purché fosse di condizione libera. Per nobilitare questa istituzione che evidentemente attirava a Roma gente di ogni sorta la supportò con significati religiosi e costruì un tempio nel quale chi chiedeva asilo doveva rifugiarsi.
Per Dionisio la migliore fra le istituzioni introdotte da Romolo era l'uso di fondare colonie nelle città conquistate, usanza conservata dai Romani e causa della loro supremazia. Al termine del regno di Romolo Roma contava 46000 fanti e 1000 cavalieri. Al contrario delle città greche che rischiavano tutto in una sola battaglia,  Roma, usufruendo delle risorse delle colonie, seppe riprendersi anche in gravissime contingenze, ad esempio nel corso delle guerre puniche.


La Religione

La politica religiosa di Romolo, sempre secondo Dioniso, si basava dunque sulla temperanza, sulla giustizia e sull'idea che le leggi giuste favoriscano la concordia fra i cittadini. Promosse le pratiche religiose con la costruzione dei templi, la regolamentazione del culto e bandì da Roma i miti ritenuti indecenti e sconvenienti per la natura divina.
ARA DEGLI DEI MANI
  • Nella religione romana sono esclusi riti orgiastici ed altri eccessi tipici dei culti greci e barbari.
  • La religione romana prevede miti e rituali più semplici e meno equivocabili di quelli greci.
  • Creazione di sessanta sacerdoti per le tribù popolari oltre a quelli gentilizi (citazione da Varrone),
  • Romolo stabilì che i sacerdoti gentilizi fossero due, nominati fra i cittadini illustri che superassero i cinquanta anni e restassero in carica a vita, esentati dai doveri militari e civili.
  • Le cariche sacerdotali erano estese alle famiglie dei sacerdoti per quei riti che prevedevano di essere celebrati da donne o fanciulli. Dionisio ritiene che questa istituzione abbia origini greche. 
  • Un aruspice per ogni tribù interpretava i responsi divini.
  • Istituzione della mensa comune in occasione delle festività religiose e confronto con i banchetti comuni che si svolgevano a Sparta. Ammirazione di Dionisio per la semplicità delle pratiche rituali e per come i Romani seppero conservarle pressoché inalterate fino ai suoi tempi.


Leggi sulla famiglia
  • La moglie entrava a far parte della famiglia del marito anche in senso economico e religioso. 
  • La moglie ereditava i beni del marito al pari dei figli. Il marito era giudice delle colpe di lei e poteva punirla con la morte in caso di adulterio o se la sorprendeva a bere vino. Queste leggi matrimoniali sopravvissero per secoli. Spurio Carvilio, 520 anni dopo fu il primo a rompere il matrimonio, causa la sterilità della moglie. (secondo Livio e Valerio Massimo il primo ripudio risale a L. Annio nel 307 a.c., Gellio e Plutarco concordano sul nome Carvilio ma non sulla data).
  • Assoluto potere del padre sul figlio, fino alla morte del padre indipendentemente dalla condizione del figlio. Si ricordavano esempi di personaggi importanti pubblicamente castigati dai padri. Non mancarono in questo senso gli eccessi, come quello di Manlio Torquato che nel corso della guerra contro i Latini, fece uccidere il figlio perchè aveva disobbedito all'ordine di non ingaggiare combattimenti isolati.
  • Al padre romano era concesso anche di vendere il figlio. Il potere paterno era dunque maggiore di quello del padrone sullo schiavo, infatti uno schiavo venduto se affrancato dal nuovo padrone guadagnava la libertà, mentre il figlio tornava sotto l'autorità paterna e poteva essere venduto nuovamente. Solo dopo la terza vendita se affrancato dall'acquirente era libero anche dal padre. Questa norma che veniva ascritta a Romolo fu riportata trecento anni dopo dai decemviri nelle dodici tavole. Nelle leggi di Numa si leggeva che il potere di vendere i figli cessava quando i figli si sposavano.
  • Tutti i lavori manuali e sedentari, considerati indegni, erano affidati agli schiavi o agli stranieri mentre i liberi cittadini potevano occuparsi solo di agricoltura e di guerra. In tempo di pace si occupavano dei campi recandosi ogni otto giorni ai mercati per vendere i propri prodotti, in tempo di guerra partecipavano alle spedizioni e condividevano i bottini.
Romolo amministrò spesso personalmente la giustizia. Compariva nel foro con un grande apparato al fine di incutere timore. I littori del suo seguito somministravano pubblicamente le pene ai condannati.

Queste leggi possono apparire molto severe, ma ponevano tuttavia un limite agli abusi. Sarà coll'impero che le leggi diverranno sempre più eque e democratiche, soprattutto verso donne, bambini e schiavi. Purtroppo questo patrimonio venne praticamente perduto nel medioevo, per essere riacquisito in epoca moderna da ogni parte del mondo. .


BIBLIO

- Lorenzo Quilici - Roma primitiva e le origini della civiltà laziale - Roma - Newton Compton - 1979 - Andrea Carandini - Remo e Romolo: dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani - (775/750-700/675 a. C. circa) -
- Raymond Bloch - Tite-Live et les premiers siècles de Rome - 1965 -
Andrea Carandini - La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà - Einaudi - Torino - 1997 -
Andrea Carandini - La leggenda di Roma - vol. I - Dalla nascita dei gemelli alla fondazione della città - Mondadori - Fondazione Valla - Milano - 2006 -
- Tito Livio - Storia di Roma dalla sua fondazione - Biblioteca Universale Rizzoli - Milano - 1989 -
- Raymond Bloch - Les Origines de Rome - 1946 -
Andrea Carandini - Roma. Il primo giorno - Roma-Bari - Laterza - 2007 -



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