I SETTE COLLI
Roma fu costruita sopra sette colli, la cui identificazione più antica riporta il Palatino, il Germalo. la propaggine del Palatino verso il Tevere, la Velia (verso l'Esquilino), il Fagutale, l'Oppio ed il Cispio (oggi tutti compresi nell'Esquilino) e la Suburra (in direzione del Quirinale).
Con l'espansione di Roma l'urbanistica mutò ed ecco i sette colli riportati da Cicerone e Plutarco:
Aventino - Campidoglio - Celio - Esquilino - Palatino - Quirinale - Viminale.
Un'altra sella montuosa collegava le pendici del Campidoglio con quelle del Quirinale e venne asportata nel II sec. per edificare il complesso del Foro di Traiano: il mons che compare nell'iscrizione della Colonna di Traiano e di cui questa mostrerebbe l'altezza originaria, sembra riferito a questa altura. Invece ai tempi di Costantino i sette colli comprendevano il Vaticano ed il Gianicolo, ma non il Quirinale ed il Viminale.
MONS PALATINUS
Il Palatino, uno dei sette colli di Roma insieme al Quirinale, Viminale, Campidoglio, Aventino, Celio ed Esquilino, era posto al centro dei sette colli e vicino, ma non adiacente, al Tevere. In tale posizione poteva controllare ed organizzare il sottostante punto di approdo, di passaggio, di mercato, che fu il Porto Tiberino con l'annesso Foro Boario.
Situato in felice posizione, sull'attraversamento naturale del Tevere (Isola Tiberina) e di incontro e scambio tra le genti che sin da epoca remota frequentavano la zona (area del Foro Boario), il colle Palatino costituì per questo un importante centro di aggregazione umana, forse il più adatto alla formazione di un insediamento stabile. Caratterizzato peraltro da pendici assai ripide e facilmente difendibili, a eccezione della parte nord-orientale, collegata da una sella alla Velia e tramite questa all’Esquilino il Palatino raggiunge un’altezza di circa 51 metri s.l.m. nel pianoro centrale e digrada verso il fiume con un pendio cui si attribuì il nome di Germalus.
Anticamente il Palatino era chiamato Palatium, secondo alcuni il nome deriverebbe da Pallantion, città dell’Arcadia da cui emigrarono il principe Evandro ed i suoi. Per altri deriverebbe da Pallante, antenato oppure figlio di Evandro. Per altri ancora deriverebbe da Pales, Dea dei pastori, oppure da Palatium, mitica città della Sabina. Fatto sta che in età imperiale il termine Palatium iniziò ad indicare il palazzo imperiale.
Il Palatino rappresentava il centro della romanità e in questa funzione veniva contrapposto all’Aventino: i due colli si fronteggiano come si fronteggiavano le due componenti della società romana: i patrizi che facevano capo al Palatino e i plebei che avevano il loro centro sull’Aventino.
Nel Quaternario i vulcani laziali, eruttando, depositarono sul terreno strati di sabbia, argilla e ghiaia che formarono i tufi su si posarono detriti di limo e argilla di origine fluviale e lacustre.
Si formò così un colle alto circa 50 m sul livello del mare, il Palatino, la cui cima era pianeggiante, mentre a sud degradava verso il Foro Boario ed il Tevere con un pendio che prese il nome di Germalus; il Palatium era collegato al retrostante colle Esquilino tramite una sella ed una piccola altura, la Velia.
Le acque avevano scavato ampie vallate su tre dei quattro lati del colle e l’intero promontorio era circondato da ruscelli e corsi d’acqua; nella zona est del Palatino si trovava poi la palude del Velabro, posta tra il Foro Romano e il Tevere, spesso allagato nelle inondazioni del Tevere.
La storia romana iniziò sul versante del colle rivolto verso l’Aventino. Sul Germalus si trovava infatti il Lupercale, la mitica grotta in cui il Tevere aveva depositato il canestro coi due fatidici gemelli: Romolo e Remo. L’aspetto primitivo dell'antro venne ricostruito attorno al 7 a.c. dallo storico Dionigi di Alicarnasso, come una grotta in un fitto bosco di querce con sorgenti zampillanti dalle rocce.
La grotta era stata utilizzata già dal tempo degli Arcadi, che ne avevano fatto la sede del culto di Pan con un altare ed una statua dedicata a Fauno, in onore del quale avvenivano ogni febbraio riti sacrificali ancora vivi ai tempi di Dionigi: una delle feste più importanti dell’epoca era infatti la cerimonia dei Lupercalia, legata alla lupa di Roma.
I sacerdoti-lupi, avvolti in pelli di capra, compivano il periplo della collina frustando tutti coloro che capitavano a tiro ed in particolare le donne, in quanto tale rituale era considerato favorevole alla fecondità.
Il loro punto di partenza era la grotta, la loro meta un recinto sacro con un’antichissima statua bronzea della lupa che allattava i gemelli. L’importanza del Lupercale è testimoniata dai numerosi restauri avvenuti in ogni epoca, ma in particolare in quella augustea, quando l’imperatore vi collocò alcune statue dei membri della sua famiglia.
Il Palatino, soprattutto bell’area sud-ovest, era legato soprattutto alla fondazione della città da parte di Romolo e questa memoria influì su tutti i culti che vi si praticavano. In età repubblicana si consolidarono tanto la tradizione della Roma Quadrata sul Palatino, quanto l’individuazione dei suoi simboli, e cioè un altare, un mundus collegato ad un’entrata, forse un pozzo o un tunnel sotterraneo.
In età augustea questa area fu quella che Augusto incluse nella corte occidentale davanti alla sua casa e si trovavano un tempietto, un puteus e di una fontana circolare. Che questa fosse una tradizione antica lo si ricava dal noto passo di Verrio Flacco (Fest. 310, L) e dall’altrettanto noto passo di Solino (Solin. I,17). Proprio quest’ultimo sottolinea la contiguità della Roma Quadrata con il Tugurium Faustuli o Casa Romuli, cioè con il luogo in cui si credeva collocata la capanna dove erano stati allevato i gemelli.
Nella zona prosperarono vari elementi della storia del fondatore della città: il fico Ruminale o delle mammelle, alla cui ombra la lupa aveva allattato i fatidici gemelli, spostato chissà come nel Foro all’epoca di Tarquinio Prisco, e l’Auguratorio, dove il fondatore aveva tratto per la prima volta gli auspici, e l’albero sorto dalla lancia che Romolo aveva scagliato sull’Aventino. Con Numa Pompilio vennero creati i Salii, sacerdoti che custodivano in un apposito edificio il lituo, il bastone augurale in realtà di retaggio etrusco, ma anche di Remo è rimasta una traccia: nel luogo in cui oltrepassò il fossato di fondazione, e dunque sul punto in cui morì, sorgeva un tempio dedicato a Marspiter, il Dio custode del Palatino, monito e ricordo di quanto era avvenuto a colui che aveva osato sfidare il fondatore.
Altri culti antichi con relativi templi avevano sede sul colle della fondazione: quello della Dea Pales, il cui nome deriva probabilmente dalla stessa radice di Palatium, festeggiata il 21 aprile, in primavera. In questo giorno vi erano infatti le Parilia o Palilia, anniversario della fondazione della città, il che fa pensare che il nome del colle derivasse proprio dalla Dea.
Non dimentichiamo che i primi Romani furono pastori, che avevano come moneta di scambio la pecus, cioè le pecore, da cui venne il termine pecunia, denaro, perchè era ricco chi possedeva tante pecore.
Alcune iscrizioni indicano poi i culti delle divinità Remureina, Fertor Resius (inventore del diritto della guerra), Anabestas, Apollo, Vesta e la Fortuna Respicens, cui Servio Tullio, fondatore del culto, era particolarmente legato: il tempio che costruì in onore della divinità verso la metà del VI sec. rimase miracolosamente rimasto fino all’epoca tarda, nonostante le distruzioni e gli incendi.
Al V sec. risale invece un sacello dedicato a Giunone. Nella zona del Velabro erano numerosissimi gli altari ed i templi dedicati a divinità minori, solitamente legate agli inferi o al culto delle acque, come Acca Larentia, Larunda, Volupia, Agerona, Aio Locuzio. Altro sacello era quello dei Lari. Nel 294 a.c. venne costruito un tempio della Vittoria dedicato da Lucio Postumio Megello, anche si narrò che il tempio primevo fosse stato dedicato alla Dea da Evandro.
Contemporaneamente venne edificato il tempio di Giove Invitto sul Clivo Palatino e, per volere di Marco Attilio Regolo, quello di Giove Statore, nonchè il tempio del Divo Romolo. Come si vede l'usanza di divinizzare i re non venne dall'oriente come si crede, perchè il Divo Iulio aveva già il precedente di Romolo.
Un po' più tardo il culto di Cibele, la Magna Mater, Dea originaria dell’Anatolia, introdotta a Roma nel 205 a.c. durante la II guerra punica su consulenza dei libri Sibillini per la vittoria su Anninbale. La pietra aniconica della Dea era in realtà un nero frammento di meteorite, come la Kaaba araba, o la pietra nera della Diana Taurica, che venne collocata nel tempio della Vittoria.
L’anno seguente venne costruito il tempio in onore di Cibele proprio accanto ai luoghi che celebravano la nascita e i fondatori della città, del resto Enea aveva trovato ospitalità dopo la fuga proprio in un santuario della Grande Madre. L’edificio sacro venne terminato nel 191, con la dedica e l'inaugurazione dei Ludi Megalensi.
Davanti al tempio un'area ospitava manifestazioni teatrali in onore della Dea tra il 4 ed il 10 aprile, poi si costruì un teatro greco al disotto del tempio, ostacolato dall’opposizione di Publio Scipione Nasica per l'eccessiva grecizzazione dei costumi.
Il Palatino divenne un lussuoso quartiere residenziale nel VI sec. a.c., con la reggia prima e i palazzi imperiali poi. In età tardo-repubblicana e nel corso del I sec. a.c. gli aristocratici pagarono prezzi assurdi per un piccolo appezzamento di terreno del colle dove poter edificare una domus, solo gli uomini di alto rango militare o civile potevano permetterselo.
Gli scavi hanno indicato due grandi fasi edilizie: la prima, tra il III ed il II sec. a.c. con la ricostruzione degli edifici arcaici secondo forme tradizionali, col cemento per i muri, il cocciopesto per i pavimenti e lo stucco per le pareti decorate al I stile. La seconda fase va invece dalla metà del I sec. a.c. fino ai primi decenni del principato e vede anch’essa la ricostruzione degli edifici di epoca precedente, ma ora molto più grandi con l'aggiunta di ambienti di rappresentanza, terme, giardini e peristili.
LA STORIA
Gli antichi ritenevano che i primi abitanti del luogo fossero gli Aborigeni e che, sessant’anni prima della guerra di Troia, nel 1253, gli Arcadi fossero giunti sulle rive del Tevere sotto la guida del principe
Evandro e di suo figlio Pallante (due nomi effettivamente presenti nel pantheon arcadico). I Greci avrebbero fondato una città di pastori chiamata Pallanteum, precedente a quella costruita da Romolo. Circondata da una cinta di mura e dotata di una roccaforte, vi si praticavano i culti di Pan e Nike, rispettivamente nella grotta del Lupercale e sulla sommità del pianoro.
Dopo gli Arcadi sarebbe giunto Eracle seguito dagli Elei e, molto più tardi, venne Enea e i Troiani sfuggiti dall’assedio di Troia. Una figlia di Ascanio, chiamata Rhome, avrebbe consacrato un tempio sul Palatino.
- Resti di capanne sono stati rinvenuti in varie zone del monte e sono state fatte risalire, insieme alle mura poste alla base del Palatino, all’epoca in cui Romolo avrebbe fondato Roma secondo la leggenda.
Non per nulla si è cercato sul Palatino, anzi sul Cermalo, corrispondente all’angolo S-O del Palatino, le tracce della fondazione della città e della casa Romuli. Gli scavi dell’archeologo Paolo Brocato sulla vetta del Palatino attestano che il sito, abitato fin dal sec. IX, nel lungo arco di tempo che va dalla fine dell’età del bronzo (900 a.c.) alla tarda repubblica (sec. I a.c.) passò attraverso sette diverse fasi di evoluzione.
Alla fase più antica, risalente al periodo laziale IIB-III (900-750 a.c., tarda età del bronzo - prima età del ferro), quindi anteriore a Romolo, appartengono i resti di una capanna protourbana trovati nell’angolo S-O del Palatino, anticamente detto Cermalus o Germalus, nome la cui etimologia viene connessa da Varrone
al termine germanus, fratello, alludendo ai due fratelli della leggenda.
Della capanna rimane solo una piccola parte della base del perimetro di forma ovale e la base di due dei quattro pali di legno che sostenevano il tetto, la planimetria risulta molto simile a quella di un edificio di Lanuvium della stessa epoca, ma anche le capanne di Satricum, città dei Volsci, hanno per lo più lo stesso aspetto con pianta prevalentemente ovale e tetto a spioventi di rami intrecciati coperti di paglia.
- Secondo Varrone Roma venne fondata verso la metà dell’VIII sec., nel 754 a.c., quando Romolo la edificò sul Palatino, seguendo dei rituali che sarebbero perdurati nel tempo e rimasti in vigore (almeno per la fondazione delle colonie) fino a 1000 anni dopo.
Dalla cima dell’Aventino osservò il volo dei dodici avvoltoi che avevano indicato il vincitore della sfida tra i due fratelli ed il luogo in cui la città avrebbe dovuto sorgere. Quindi, con un aratro trainato da una vacca e da un bue, tracciò la fossa di fondazione lasciando il terreno libero per le porte. Infine, avrebbe edificato le mura, scavato il fossato e delimitato il pomerio.
Tacito descrive la forma originaria della Roma Quadrata (la città inaugurata): una pianta quadrangolare con i vertici all’Ara Massima di Ercole nel foro Boario, all’Ara di Conso presso il Circo Massimo, alle Curiae Veteres, nell’angolo nord-orientale del colle, ed infine al santuario dei Lari, ai piedi della Velia.
Secondo alcune fonti antiche esistevano fortificazioni e mura, risalenti a Romolo, che presero il posto di un villaggio precedente del IX sec. Oggi alcuni le ritengono ricostruzioni fantasiose, mentre altri mentre altri le credono veridiche, tanto più che sul lato settentrionale del colle sono stati rinvenuti i resti di quattro strati di mura precedenti a quelle dei Tarquini, lunghe circa 40 metri.
Il muro originario era costituito da grosse schegge di tufo misto a terra. Sotto la soglia di una delle porte è stato ritrovato un deposito di fondazione con il corredo di una fanciulla, interpretato come sacrificio umano, ma c'è la smania di attribuire sacrifici umani ai pagani, e potrebbe significare altro.
ETA' REGIA
Agli inizi del VII sec. la prima cinta di mura venne rafforzata e in parte sostituita con un’altra, composta da due cortine di muratura a secco riempite d’argilla. Anche in corrispondenza di queste mura è stata rinvenuta la sepoltura di un bambino con il suo corredo. A quest’epoca risalirebbe anche lo scavo del fossato esterno, che nel VI sec., con la costruzione della nuova fascia muraria, scomparve, riempito quasi completamente per consentire il raddoppio delle possenti mura di blocchi di tufo rosso.
Alla fine del secolo venne cancellato per consentire il nuovo piano urbanistico dei Tarquini. Le porte che si aprivano sulle mura erano quattro, ma solo di due conosciamo il nome: la porta Mugonia sulla strada che andava dal Palatino a Velia poi ribattezzata Via Sacra, e la porta Romana o Romanula in direzione del Velabro. La terza doveva trovarsi in corrispondenza delle Scalae Caci.
I Tarquinii, i re etruschi dal 616 al 509 a.c. modificarono profondamente la città. Fino al 578 a.c. sedette sul trono di Roma Tarquinio Prisco, con edifici in pietra rivestiti da terrecotte decorative, mentre i templi e le strade sono tra i più belli ed imponenti di tutto il Mediterraneo.
Viene realizzata la Cloaca Maxima, e l' iscrizione del Lapis Niger testimonia la diffusione del latino come lingua ufficiale, nonostante la rilevante presenza degli Etruschi.
Intorno alla metà del VI sec. il re Servio Tullio suddivise l'accresciuta urbe in quattro parti, e sul Palatino si costruirono muri di terrazzamento squadrati che consentissero stabilità ai nuovi edifici con nuove fognature. Vennero allestiti spazi pubblici e il sistema viario dell’età arcaica venne modificato sostituendo gli antichi fondi stradali in ciottoli di fiume con blocchi di tufo. La viabilità che si snodava attorno al colle, aveva come via più importante la Via Sacra, oltre alle Scalae Graecae e le Scalae Caci. Sulla sommità della collina si trovavano i templi più importanti.
LA REPUBBLICA
Ma la repubblica segnò la trasformazione della collina in un quartiere residenziale della classe dirigente romana: tra coloro che vi abitarono possiamo ricordare M.Valerio Massimo, console nel 505 a.c., Tiberio Sempronio Gracco, padre dei famosi tribuni, Licinio Crasso, console nel 95, Cicerone, il poeta lirico Catullo, Q.Ortensio Ortalo, famoso oratore, la cui casa fu poi acquistata da Augusto. Fra i tanti palazzi ricordiamo: la casa di Livia. Risale al I secolo a.c. ed è una delle più belle e meglio conservate, pur essendo relativamente modesta rispetto ai futuri palazzi imperiali: lì vissero l'imperatore Augusto e sua moglie Livia.
L'IMPERO
Con Augusto dunque il Palatino divenne la reggia e la corte del princeps, oltre a luogo di culto, come il tempio di Apollo circondato da biblioteche in lingua greca e luoghi di riunione. Attorno agli anni Quaranta del I sec. a.c. Ottaviano comprò gli immobili dell’antica villa di Ortensio, con l’intento di unire in un unico
complesso più proprietà, ovvero la villa della moglie Livia e del primo marito Tiberio Claudio Nerone, quella che era stata la casa di Quinto Lutezio Catulo e quella acquisita da Antonio dopo la sconfitta. Vi erano inoltre le dimore di parenti, amici e liberti.
Il tutto si sviluppava attorno al tempio di Apollo, e qui l'imperatore fece edificare la sua reggia, disposta su terrazze digradanti, circondata da 12000 mq di portici e giardini. Non lussuosissima ma di buon gusto, con i
pavimenti a tessere che formavano disegni geometrici, le pareti secondo il II stile pompeiano, i saloni per i ricevimenti con tarsie marmoree e stucchi lavorati. Infine, vi era una quartiere più appartato, detto Siracusa, dove l’imperatore soleva recarsi per studiare o meditare indisturbato.
"Ottaviano Augusto, il quale sembra aver avuto la sua privata abitazione sulla falda che guarda il foro Boario nella contrada ad capita bubula, ove probabilmente furono effigiate le teste dei toro e della vacca aggiogati all'aratro che da quel luogo incominciò a solcare il confine della primitiva città. Augusto pertanto che al dire di Svetonio, vi stette in poco vasta abitazione e senza verun ornamento, allorchè gli fu dato il pontificato massimo la rese pubblica in parte; quindi fortuitamente incendiata la ristabilì, e la fece pubblica in tutto: infine dopo la vittoria Aziaca comperò col danaro parecchie case vicine, e per comodo pure del publico la ingrandì fabricandovi il famoso tempio ad Apollo col portico, e la celebre biblioteca palatina, entro la quale vedessi il gran colosso di Apollo in bronzo alto 50 piedi, e recitavano lor versi i massimi poeti di quell'età, decretando intanto il Senato, che innanzi alla porta della sua casa si piantasser due lauri, e sovra di essa porta si ponesse una corona di quercia col motto ob cives servatos." (Lanciani)
Augusto fu il primo imperatore che eresse il suo palazzo nel Palatino, altri imperatori ne seguirono l'esempio, infatti poi Tiberio vi fece una grande aggiunta, facendo sorgere così il palazzo di Tiberio o Domus Tiberiana. "Salito Tiberio sul trono congiunse altri fabricati alla casa di Augusto dalla parte, che dal foro Boario s'innoltra verso il Campidoglio"
Gaio Caligola accrebbe ancora il palazzo Augustale, prolungandolo sino al Foro, e, facendovi un ponte, unì il Campidoglio col Palatino. Nello stesso settore del Palatino c’era anche la casa di Caligola (Domus Gai), il cui vestibolo era stato ricavato dall’antico Tempio di Castore e Polluce, in seguito restituito agli antichi culti dall’imperatore Claudio.
"Caligola vi fece ancora grandissimi accrescimenti, innalzandovi un tempio a se stesso con la statua di Giove Olimpico, nella qual'era l'immagine sua, e perciò la vestiva ogni giorno di vesti consimili a quelle, che in quel giorno indossava: e col teatro, e co' portici, e con altre delizie lo protese sull'angolo del monte che sovrasta alla chiesa di S. Maria liberatrice, ed anche sul lato orientale del medesimo. Anzi per alcune magnifiche gradinate venendo al piano, tempio de' Castori in vestibolo del nuovo palazzo, e dalla parte più vicina al Campidoglio lo congiunse a quel monte gettando un ponte sovra il tempio di Augusto, e fabricando nell'intermonzio del Campidoglio medesimo un appendice alla regia così smisurata. Ma soppraggiunto Claudio demolì quegli immani fabbricati, e rese a' Castori il tempio."
Nerone poi, non bastandogli il Palatino, occupò anche il Celio e l'Esquilino. Questo nuovo edifizio ebbe il nome di Domus Aurea di Nerone, per i suoi ricchi, e preziosi ornamenti. Aveva il proprio ingresso dirimpetto alla via Sacra, verso il Tempio della Pace, e l'Arco di Tito, e nel vestibolo era il celebre colosso di marmo alto 120 piedi, rappresentante Nerone, che di poi dette il nome di Colosseo all'Anfiteatro Flavio, che gli fu edificato incontro. Conteneva questo stupendo palazzo moltissimi giardini, diversi bagni, e stagni vastissimi circondati da edifizj, che sembravano piccole Città. Innumerabili erano le sale, e le carriere, decorate di colonne, di statue, di gemme, e di pietre preziose. Severo, e Celere stimatissimi Architetti posero tutta la loro cura per renderlo singolarissimo; e Amulio eccellente pittore impiegò tutta la sua vita a dipingerlo.
"Nerone però si pose ad ingrandirlo pazzamente, e non solo occupò gli edifizj publici, ma le case altresì de' privati: i quali ingrandimenti essendosi insiem col palazzo originale quasi tutti incendiati, li ristabilì un altra volta più vasti, e fece il vestibolo della casa detta aurea in quel luogo ove poi furono il tempio della Pace e la basilica di Costantino; e li protese anche sopra l'Esquilie, di maniera che fu pubblicato quel motto: è tempo, Romani che cerchiate a Vej un asilo! -Vejas migrate Quirites!."
Poi fu la volta della Domus Flavia di Vespasiano e Tito Imperatori che fecero demolire tutta quella fabbrica, che rimaneva fuori del Palatino; ed infatti le Terme, l'Arco di Tito, il Colosseo, e il Tempio della Pace furono fabbricati dai medesimi sopra queste rovine.
Abborrendosi poi da diversi Imperadori l'eccesso di tante ricchezze, ed un lusso così fuori misura, furono tolte da questo palazzo le cose le più preziose, ed applicate per maggior ornamento al Tempio di Giove Capitolino.
Venne poi la Domus Severiana di Settimio Severo. Antonino Pio per la medesima ragione avendo chiuso tutto il resto, non volle abitare, che la sola casa Tiberiana. Presentemente non vi rimangono, che vestigi di magnifici portici, muraglie rovinate, e un gran numero di archi, ornati di verdura, che fanno una bellissima veduta pittoresca.Alla fine dell'età imperiale la collina era ormai un unica, immensa reggia, e il nome Palatium, o Palatino, passò ad indicare il palazzo imperiale.
"I successori di Nerone l'accrebbero fino a Vespasiano, il quale demolì tutti gli accrescimenti Neroniani, e costruì quelle fabriche, delle quali abbiamo parlato, o parleremo in appresso. Sembra che Domiziano lo accrescesse, ma ne' confini del monte. Nerva che non volle danneggiare que' sontuosi edifizj li rese pubblici al popolo. Trajano gli tolse molte ricchezze donandole a Giove Capitolino. Settimio Severo gli fece un nuovo ingresso magnifico dalla parte del Celio. Sotto l'imperador Commodo arse un altra volta; e poichè nomossi Casa Commodiana è da credere che fosse dal medesimo risarcito. Di altri impedori, che l'aumentassero grandemente, o che gli mutassero aspetto non abbiamo memoria. Ai tempi di Teodorico era cadente per la vecchiezza, e per le vicende. E trovandosi per ultima memoria certa della sua esistenza che sul principio del secolo VIII vi fosse coronato Eraclio imperadore, dal silenzio posteriore principalmente dopo Costantino Papa ci si fa credere, che circa la metà del secolo IX fosse totalmente abbandonato, e perisse."
Il Palatino era collegato ai giardini di Mecenate sull’Esquilino dalla Domus Transitoria che Nerone fece costruire in seguito e della quale ci sono rimasti alcuni resti archeologici tra i quali il famoso ninfeo sotto il grande triclinio dei palazzi imperiali.
Nel 64 d.c. vicino al Circo Massimo divampò un incendio che si propagò rapido devastando tutto il Palatino, che Nerone riedificò da capo. Con la costruzione della Domus Aurea gran parte del complesso venne inglobata nella nuova residenza imperiale per consentire la realizzazione di un nucleo collegato all’Esquilino, dove si trovava l’edificio.
Vespasiano, il fondatore della dinastia Flavia, continuò ad abitare sul Palatino, nei giardini appartenuti a Sallustio; tuttavia continuò a tenere in gran considerazione il palazzo, ordinando che le porte rimanessero sempre aperte in modo tale da dimostrare che il popolo ne era il legittimo proprietario. Opero decorazioni con statue e colonne, costruì magazzini, mercati e restaurò i vecchi edifici.
Sotto Domiziano, il figlio di Vespasiano, vi fu un nuovo incendio, per cui il palazzo fu riedificato e abbellito sontuosamente.
I resti della Domus Flavia, cioè il palazzo di Domiziano, sono ancora visibili sulla sommità del colle, mentre sulle pendici c’erano magazzini, quartieri di servizio ed edifici amministrativi. Il palazzo era
diviso in tre grandissimi quartieri: la Domus Tiberiana, collocata sotto gli attuali giardini, la Domus Flavia e Augustana a sud-est e l’area della Vigna Barberini sopra il Colosseo. Il complesso era circondato da peristili con giardini, fontane e sale, i più famosi dei quali erano quello dello stadio e gli Adonea, i giardini di Adone.
Da Nerva a Commodo sappiamo che Nerva rese accessibile a tutti il palazzo, sottolineando il gesto
facendovi affiggere la scritta “Palazzo Pubblico”, mentre poco si sa di Traiano. Il suo successore Adriano realizzò ampliamenti e terrazzamenti ed edificò l’ Athenaeum, un’università ricavata sull’ingresso monumentale del foro romano. Marco Aurelio e Lucio Vero vennero educati nei quartieri della Domus Tiberiana, mentre il loro successore Comodo, che trasferì la sua abitazione sul Celio, impiantò nel palazzo bettole e ritrovi licenziosi.
Con la dinastia dei Severi il Palatino e Roma tutta si adornarono di nuove costruzioni, anche per l’incendio del 191, che raggiunse le biblioteche del palazzo, spingendo Settimio Severo a edificare la Domus Severiana, di ben 24000 mq. Restaurò inoltre molti edifici commerciali sulle pendici del colle e costruì il Settizodio.
I suoi successori, Caracalla e Geta, temendo per la propria sicurezza, chiusero le porte di comunicazione, mentre Elagabalo si propose di costruire edifici ben visibili a tutti dall’alto del colle, con terme pubbliche e giardini, costruì un tempio al Sole e lastricò la piazza attorno al tempio con marmi preziosi.
L’ultimo dei Severi, Alessandro, decorò le aree scoperte e le strade, edificò appartamenti dedicati alla madre Iulia Mamaea, uccelliere con volatili esotici, e restituì il tempio di Eliogabalo a Giove.
Nei secoli seguenti si succedettero vari imperatori che regnarono in genere pochi anni e che
non modificarono l’aspetto del Palatino, eccezion fatta per i Tetrarchi, Massenzio e Costantino.
Goti e Vandali: con il trasferimento della capitale a Costantinopoli il Palatino perse la propria importanza nell’impero. Nel V secolo molte aree caddero in disuso e il palazzo era limitato ai quartieri centrali della Domus Flavia; anche la residenza imperiale fu coinvolta dai saccheggi subiti nel 410 dai Goti e nel 455 dai Vandali.
La schola Praecoum fu utilizzata come immondezzaio, come le botteghe di fronte al tempio di Cibele, altri quartieri in direzione del Foro Romano e anche la Vigna Barberini e gli edifici sottostanti.
Nel 500 alcune funzioni del palazzo furono ripristinate grazie a Teodorico, che attuò restauri e costruì un anfiteatro nel giardino a forma di stadio che Domiziano aveva fatto realizzare.
L’antica dimora imperiale, in cui si stabilì l’amministrazione bizantina, venne utilizzata fino al VII sec. dagli imperatori in visita a Roma, mentre i quartieri bassi vennero sommersi dal fango lasciato dalle inondazioni del Tevere. La rovina del Palatino iniziò nel VIII secolo con la fine del ducato di Roma e l’abbandono definitivo del palazzo.
Dall’antichità al Medioevo: dopo il declino del ducato bizantino di Roma e lo spostamento della sede del papa al Laterano il Palatino cessò di esistere, anche se nei secoli IX e X sorse qualche villaggio vicino alle chiese. Alcuni degli edifici rimanenti, compresa la casa delle Vestali, vennero trasformate in abitazioni e il colle destò l’interesse delle famiglie De Imiza, De Papa e Stefaneschi. Inoltre ci fu il restauro di alcune
chiese come S. Anastasia. In seguito furono fondati un monastero nella Vigna Barberini ed una chiesa nei pressi del Settizodio. Sulle pendice settentrionale del Palatino sorgeva il Cartularium o Testamentum, un archivio contenente i documenti relativi ai possedimenti ecclesiastici.
L’imperatore Ottone III scelse invece il Palatino come luogo di residenza, a memoria della dimora degli antiche Cesari. Nel XII secolo il colle fu dominato da una sola grande famiglia e da alcuni enti ecclesiastici, mentre nel Basso Medioevo si spopolò lasciando spazio a orti, vigne e campi.
Nei monumenti non utilizzati come abitazioni si praticavano grandi scassi alla ricerca di travertini da trasformare in calce.
L’importanza simbolica del Palatino rinacque con l’affermarsi della casata dei Frangipane, i quali si stabilirono nei pressi della Via Sacra e costruirono torri e fortezze a controllo delle vie principali, nelle quali sarà inglobato anche l’Arco di Tito.
L’ultima grande trasformazione del Palatino prima degli scavi che crearono il paesaggio di natura e rovine attuale fu attuata da papa Paolo III, che nel 1536 sistemò la zona del Campo Vaccino e dopo aver abbattuto le costruzioni sorte nella zona piantò un viale di olmi tra gli Archi di Tito e di Settimio Severo, ricalcando con tale percorso l’antica via dei trionfi.
Egli dopo aver acquistato terreni e vigne creò lussuosi horti sulla sommità del Palatino. Commissionò i
progetti per la realizzazione di giardini, scalinate con fontane e ninfei ricchi di specie arboree europee e americane.
Nel 1731 i Borboni si impossessarono dei giardini che iniziarono un lento declino: abbandonati dai proprietari che risiedevano a Napoli, gli edifici vennero occupati dai contadini che utilizzarono i giardini per le coltivazioni. Infine passarono a Napoleone III e al Regno d’Italia.
GLI SCAVI
I primi scavi sul Palatino avvennero nel Medioevo per recuperare materiali edilizi per nuove costruzioni, scalpellando i marmi per toglierne gli ornamenti, o calcinandoli per farne calce, o procurare statue e oggetti artistici ai collezionisti.
Ma le distruzioni iniziarono molto prima, quando i cristiani vollero sbarazzarsi di colpo di tutti i pagani, fossero persone o beni artistici.
I non cristiani furono obbligati a convertirsi pena la confisca dei beni e la morte, i beni artistici vennero fatti a pezzi, o deturpati, o bruciati o sepolti.
IN VIGNA RONCONI sul colle palatino
" essendosi crepata la vasca, dove si pestava il vino, e il detto Ronconi facendo levare il lastrico vecchio ... si scoprì un Ercole compagno di quelli del cortile Farnese ... ne vi mancava se non una mano. Nella base vi erano le seguenti lettere {AYIIIIIIOY EPrON). Il duca Cosimo di Toscana la comprò per scudi ottocento facendola trasferire a Fiorenza » Vacca, Mem. 77.
Uguale origine hanno le celeberrime Sabine (Danaidi?) e la Thusnelda già di casa Capranica, descritte da Ulisse Aldovrandi nel 1551, incise in rame da Girolamo Porro nel 1576, e delle quali io credo aver trovato tracce assai più antiche in alcune rarissime incisioni della scuola di Marcantonio. La Thusnelda apparisce ancora in un rame del Cabinet des Estampes V, X, 40 ; tav. 385, sotto il titolo di " Vetnria Martii Coriolani mater in hortis mediceis » .
Per tutto il Rinascimento e fino all’800 si cercò nei sotterranei di palazzi, case e templi. Si tentò di identificare i monumenti ancora visibili con quelli di cui parlavano le fonti antiche. Nell’800, gli architetti dell’accademia di Francia studiarono e ricostruirono parte delle rovine del colle.
Sia Napoleone III sia l’amministrazione pontificia si occuparono delle rovine dei monumenti romani, con la differenza che Napoleone comprava e il papato vendeva. La maggior parte delle opere del Louvre sono state vendute dai vari papi.
LE CAPANNE SUL PALATINO
Nell’angolo sud-occidentale del Palatino si trovano i resti dei più antichi luoghi della storia di Roma, legati alle leggende sulla fondazione di Roma. Qui si trova la cosiddetta Casa Romuli, ovvero l’abitazione di Romolo presso cui sarebbe sorta anche la casa di Augusto. Trattasi di una delle capanne dell’età del ferro (IX secolo a.c.) i cui resti già visibili nel 1907, vennero definitivamente portati alla luce nel 1948.
Oggi si vedono le fondamenta scavate nel tufo e circondate da un canaletto di drenaggio per l’acqua, da cui si desumono capanne ovali o rettangolari, con asse maggiore di 4,90 m e uno minore di 3,60. Sette pali, sei lungo il perimetro e uno al centro sorreggevano il tetto e le pareti di paglia e fango. La porta d’ingresso si trovava su uno dei lati minori, larga poco più di un m e provvista di cardini. L’ingresso aveva una tettoia e una finestra si apriva su uno dei lati maggiori.
Gli abitanti delle capanne bevevano dalle cisterne di tufo scavate nella collina e coperte a falsa cupola.
Nella stessa zona sono stati rinvenuti anche i resti delle Scalae Caci, di alcune mura di terrazzamento del colle (IV secolo) e del teatro di Longino, di molto posteriore (154 a.c.).
Del tempio della Magna Mater sono rimaste diverse tracce tra le capanne e la Domus Tiberiana, come testimonia la statua rinvenuta con dedica alla M(ater) D(eum) M(agna) I(daea), compreso il basamento del II secolo. In seguito all’incendio del 111 a.c. il tempio venne restaurato ed arricchito con le colonne in peperino che ancora oggi giacciono accanto al podio. Di età augustea sono i capitelli corinzi ed il frontone, applicati forse durante il restauro del 3 d.c.
Accanto al tempio della Magna Mater si trova un sacello, edificato una prima volta da Augusto ed una seconda da Adriano, solitamente interpretato come Auguraculum. A nord delle Scalae Caci si trova un terzo santuario, identificato con il tempio che Postumio Megello dedicò alla Vittoria nel 294 a.c.
Il tempio di Apollo: tornato alla luce dagli scavi tra il 1865 al 1937, posto tra la Casa di Augusto e la Domus Flavia e ritenuto a lungo il tempio di Giove Vincitore. Sorgeva al centro di un piazzale circondato da un portico detto delle Danaidi, dalle statue cioè che vi erano esposte, rappresentanti le figlie del mitico re di Egitto.
Nonostante la relativa scarsezza di resti, è stata possibile accertare che la costruzione era in marmo di Luni e conteneva tre statue di culto, di Latona, Apollo e Diana, scolpite rispettivamente da Timotheos, Scopas e Kephistodos. Oggi resta un nucleo di opera cementizia, in gran parte spogliato del rivestimento originario in blocchi di tufo e tracce del pavimento marmoreo, delle colonne e dei capitelli corinzi.
La base della seconda conteneva le dorate custodie dei libri sibillini e con esse il loro prezioso contenuto. Secondo alcuni autori, qui sarebbe sorta la cosiddetta Roma Quadrata e un arco a forma di Giano dotato di quattro ingressi (Tetrastylum).
Vi erano poi due biblioteche, che insieme al tempio stesso ospitarono il Senato in età imperiale. Qui sono state ritrovate delle splendide lastre in terracotta a rilievo (stile Campana) con raffigurazioni di stile arcaico.
BIBLIO
- Andrea Carandini - Palatino, Velia e Sacra via. Paesaggi urbani attraverso il tempo, «Quaderni di Workshop di Archeologia Classica» 1 - Fabrizio Serra Editore - Pisa-Roma - 2004 -
- Filippo Coarelli - Palatium: il Palatino dalle origini all'impero - Edizioni Quasar - Roma - 2012 -- Tito Livio - Storia di Roma - VII - Mondadori - Milano -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma, Vol. I, Cap. IV - La città Palatina ed i Sette colli - Milano - Dall'Oglio - 1961 -
Situato in felice posizione, sull'attraversamento naturale del Tevere (Isola Tiberina) e di incontro e scambio tra le genti che sin da epoca remota frequentavano la zona (area del Foro Boario), il colle Palatino costituì per questo un importante centro di aggregazione umana, forse il più adatto alla formazione di un insediamento stabile. Caratterizzato peraltro da pendici assai ripide e facilmente difendibili, a eccezione della parte nord-orientale, collegata da una sella alla Velia e tramite questa all’Esquilino il Palatino raggiunge un’altezza di circa 51 metri s.l.m. nel pianoro centrale e digrada verso il fiume con un pendio cui si attribuì il nome di Germalus.
IL PALATINO ALLE ORIGINI (By https://www.katatexilux.com/) |
Il Palatino rappresentava il centro della romanità e in questa funzione veniva contrapposto all’Aventino: i due colli si fronteggiano come si fronteggiavano le due componenti della società romana: i patrizi che facevano capo al Palatino e i plebei che avevano il loro centro sull’Aventino.
Nel Quaternario i vulcani laziali, eruttando, depositarono sul terreno strati di sabbia, argilla e ghiaia che formarono i tufi su si posarono detriti di limo e argilla di origine fluviale e lacustre.
Si formò così un colle alto circa 50 m sul livello del mare, il Palatino, la cui cima era pianeggiante, mentre a sud degradava verso il Foro Boario ed il Tevere con un pendio che prese il nome di Germalus; il Palatium era collegato al retrostante colle Esquilino tramite una sella ed una piccola altura, la Velia.
Le acque avevano scavato ampie vallate su tre dei quattro lati del colle e l’intero promontorio era circondato da ruscelli e corsi d’acqua; nella zona est del Palatino si trovava poi la palude del Velabro, posta tra il Foro Romano e il Tevere, spesso allagato nelle inondazioni del Tevere.
IL PALATINO IN ETA' IMPERIALE |
Nella valle che avrebbe in seguito condotto al Foro scorreva un ruscello che in età monarchica venne confluito nella Cloaca Maxima, mentre dalle pendici del colle sgorgavano sorgenti come quella presso il Lupercale o la fonte di Giuturna. Il terreno era coperto da boschi e macchie di querce, lecci, faggi, cipressi, fichi, mirti, allori e cornioli, come l'acqua preziosi per l'insediamento umano.
La storia romana iniziò sul versante del colle rivolto verso l’Aventino. Sul Germalus si trovava infatti il Lupercale, la mitica grotta in cui il Tevere aveva depositato il canestro coi due fatidici gemelli: Romolo e Remo. L’aspetto primitivo dell'antro venne ricostruito attorno al 7 a.c. dallo storico Dionigi di Alicarnasso, come una grotta in un fitto bosco di querce con sorgenti zampillanti dalle rocce.
I sacerdoti-lupi, avvolti in pelli di capra, compivano il periplo della collina frustando tutti coloro che capitavano a tiro ed in particolare le donne, in quanto tale rituale era considerato favorevole alla fecondità.
Il loro punto di partenza era la grotta, la loro meta un recinto sacro con un’antichissima statua bronzea della lupa che allattava i gemelli. L’importanza del Lupercale è testimoniata dai numerosi restauri avvenuti in ogni epoca, ma in particolare in quella augustea, quando l’imperatore vi collocò alcune statue dei membri della sua famiglia.
Il Palatino, soprattutto bell’area sud-ovest, era legato soprattutto alla fondazione della città da parte di Romolo e questa memoria influì su tutti i culti che vi si praticavano. In età repubblicana si consolidarono tanto la tradizione della Roma Quadrata sul Palatino, quanto l’individuazione dei suoi simboli, e cioè un altare, un mundus collegato ad un’entrata, forse un pozzo o un tunnel sotterraneo.
In età augustea questa area fu quella che Augusto incluse nella corte occidentale davanti alla sua casa e si trovavano un tempietto, un puteus e di una fontana circolare. Che questa fosse una tradizione antica lo si ricava dal noto passo di Verrio Flacco (Fest. 310, L) e dall’altrettanto noto passo di Solino (Solin. I,17). Proprio quest’ultimo sottolinea la contiguità della Roma Quadrata con il Tugurium Faustuli o Casa Romuli, cioè con il luogo in cui si credeva collocata la capanna dove erano stati allevato i gemelli.
Nella zona prosperarono vari elementi della storia del fondatore della città: il fico Ruminale o delle mammelle, alla cui ombra la lupa aveva allattato i fatidici gemelli, spostato chissà come nel Foro all’epoca di Tarquinio Prisco, e l’Auguratorio, dove il fondatore aveva tratto per la prima volta gli auspici, e l’albero sorto dalla lancia che Romolo aveva scagliato sull’Aventino. Con Numa Pompilio vennero creati i Salii, sacerdoti che custodivano in un apposito edificio il lituo, il bastone augurale in realtà di retaggio etrusco, ma anche di Remo è rimasta una traccia: nel luogo in cui oltrepassò il fossato di fondazione, e dunque sul punto in cui morì, sorgeva un tempio dedicato a Marspiter, il Dio custode del Palatino, monito e ricordo di quanto era avvenuto a colui che aveva osato sfidare il fondatore.
Altri culti antichi con relativi templi avevano sede sul colle della fondazione: quello della Dea Pales, il cui nome deriva probabilmente dalla stessa radice di Palatium, festeggiata il 21 aprile, in primavera. In questo giorno vi erano infatti le Parilia o Palilia, anniversario della fondazione della città, il che fa pensare che il nome del colle derivasse proprio dalla Dea.
PALAZZO DI TIBERIO |
Alcune iscrizioni indicano poi i culti delle divinità Remureina, Fertor Resius (inventore del diritto della guerra), Anabestas, Apollo, Vesta e la Fortuna Respicens, cui Servio Tullio, fondatore del culto, era particolarmente legato: il tempio che costruì in onore della divinità verso la metà del VI sec. rimase miracolosamente rimasto fino all’epoca tarda, nonostante le distruzioni e gli incendi.
Al V sec. risale invece un sacello dedicato a Giunone. Nella zona del Velabro erano numerosissimi gli altari ed i templi dedicati a divinità minori, solitamente legate agli inferi o al culto delle acque, come Acca Larentia, Larunda, Volupia, Agerona, Aio Locuzio. Altro sacello era quello dei Lari. Nel 294 a.c. venne costruito un tempio della Vittoria dedicato da Lucio Postumio Megello, anche si narrò che il tempio primevo fosse stato dedicato alla Dea da Evandro.
Contemporaneamente venne edificato il tempio di Giove Invitto sul Clivo Palatino e, per volere di Marco Attilio Regolo, quello di Giove Statore, nonchè il tempio del Divo Romolo. Come si vede l'usanza di divinizzare i re non venne dall'oriente come si crede, perchè il Divo Iulio aveva già il precedente di Romolo.
Un po' più tardo il culto di Cibele, la Magna Mater, Dea originaria dell’Anatolia, introdotta a Roma nel 205 a.c. durante la II guerra punica su consulenza dei libri Sibillini per la vittoria su Anninbale. La pietra aniconica della Dea era in realtà un nero frammento di meteorite, come la Kaaba araba, o la pietra nera della Diana Taurica, che venne collocata nel tempio della Vittoria.
PALAZZO DI SETTIMIO E SEPTIZONIO |
Davanti al tempio un'area ospitava manifestazioni teatrali in onore della Dea tra il 4 ed il 10 aprile, poi si costruì un teatro greco al disotto del tempio, ostacolato dall’opposizione di Publio Scipione Nasica per l'eccessiva grecizzazione dei costumi.
Il Palatino divenne un lussuoso quartiere residenziale nel VI sec. a.c., con la reggia prima e i palazzi imperiali poi. In età tardo-repubblicana e nel corso del I sec. a.c. gli aristocratici pagarono prezzi assurdi per un piccolo appezzamento di terreno del colle dove poter edificare una domus, solo gli uomini di alto rango militare o civile potevano permetterselo.
Gli scavi hanno indicato due grandi fasi edilizie: la prima, tra il III ed il II sec. a.c. con la ricostruzione degli edifici arcaici secondo forme tradizionali, col cemento per i muri, il cocciopesto per i pavimenti e lo stucco per le pareti decorate al I stile. La seconda fase va invece dalla metà del I sec. a.c. fino ai primi decenni del principato e vede anch’essa la ricostruzione degli edifici di epoca precedente, ma ora molto più grandi con l'aggiunta di ambienti di rappresentanza, terme, giardini e peristili.
LA DOMUS AUGUSTANA SUL PALATINO |
LA STORIA
Gli antichi ritenevano che i primi abitanti del luogo fossero gli Aborigeni e che, sessant’anni prima della guerra di Troia, nel 1253, gli Arcadi fossero giunti sulle rive del Tevere sotto la guida del principe
Evandro e di suo figlio Pallante (due nomi effettivamente presenti nel pantheon arcadico). I Greci avrebbero fondato una città di pastori chiamata Pallanteum, precedente a quella costruita da Romolo. Circondata da una cinta di mura e dotata di una roccaforte, vi si praticavano i culti di Pan e Nike, rispettivamente nella grotta del Lupercale e sulla sommità del pianoro.
Dopo gli Arcadi sarebbe giunto Eracle seguito dagli Elei e, molto più tardi, venne Enea e i Troiani sfuggiti dall’assedio di Troia. Una figlia di Ascanio, chiamata Rhome, avrebbe consacrato un tempio sul Palatino.
- Resti di capanne sono stati rinvenuti in varie zone del monte e sono state fatte risalire, insieme alle mura poste alla base del Palatino, all’epoca in cui Romolo avrebbe fondato Roma secondo la leggenda.
Non per nulla si è cercato sul Palatino, anzi sul Cermalo, corrispondente all’angolo S-O del Palatino, le tracce della fondazione della città e della casa Romuli. Gli scavi dell’archeologo Paolo Brocato sulla vetta del Palatino attestano che il sito, abitato fin dal sec. IX, nel lungo arco di tempo che va dalla fine dell’età del bronzo (900 a.c.) alla tarda repubblica (sec. I a.c.) passò attraverso sette diverse fasi di evoluzione.
Alla fase più antica, risalente al periodo laziale IIB-III (900-750 a.c., tarda età del bronzo - prima età del ferro), quindi anteriore a Romolo, appartengono i resti di una capanna protourbana trovati nell’angolo S-O del Palatino, anticamente detto Cermalus o Germalus, nome la cui etimologia viene connessa da Varrone
al termine germanus, fratello, alludendo ai due fratelli della leggenda.
Della capanna rimane solo una piccola parte della base del perimetro di forma ovale e la base di due dei quattro pali di legno che sostenevano il tetto, la planimetria risulta molto simile a quella di un edificio di Lanuvium della stessa epoca, ma anche le capanne di Satricum, città dei Volsci, hanno per lo più lo stesso aspetto con pianta prevalentemente ovale e tetto a spioventi di rami intrecciati coperti di paglia.
- Secondo Varrone Roma venne fondata verso la metà dell’VIII sec., nel 754 a.c., quando Romolo la edificò sul Palatino, seguendo dei rituali che sarebbero perdurati nel tempo e rimasti in vigore (almeno per la fondazione delle colonie) fino a 1000 anni dopo.
Dalla cima dell’Aventino osservò il volo dei dodici avvoltoi che avevano indicato il vincitore della sfida tra i due fratelli ed il luogo in cui la città avrebbe dovuto sorgere. Quindi, con un aratro trainato da una vacca e da un bue, tracciò la fossa di fondazione lasciando il terreno libero per le porte. Infine, avrebbe edificato le mura, scavato il fossato e delimitato il pomerio.
Tacito descrive la forma originaria della Roma Quadrata (la città inaugurata): una pianta quadrangolare con i vertici all’Ara Massima di Ercole nel foro Boario, all’Ara di Conso presso il Circo Massimo, alle Curiae Veteres, nell’angolo nord-orientale del colle, ed infine al santuario dei Lari, ai piedi della Velia.
Secondo alcune fonti antiche esistevano fortificazioni e mura, risalenti a Romolo, che presero il posto di un villaggio precedente del IX sec. Oggi alcuni le ritengono ricostruzioni fantasiose, mentre altri mentre altri le credono veridiche, tanto più che sul lato settentrionale del colle sono stati rinvenuti i resti di quattro strati di mura precedenti a quelle dei Tarquini, lunghe circa 40 metri.
Il muro originario era costituito da grosse schegge di tufo misto a terra. Sotto la soglia di una delle porte è stato ritrovato un deposito di fondazione con il corredo di una fanciulla, interpretato come sacrificio umano, ma c'è la smania di attribuire sacrifici umani ai pagani, e potrebbe significare altro.
ETA' REGIA
Agli inizi del VII sec. la prima cinta di mura venne rafforzata e in parte sostituita con un’altra, composta da due cortine di muratura a secco riempite d’argilla. Anche in corrispondenza di queste mura è stata rinvenuta la sepoltura di un bambino con il suo corredo. A quest’epoca risalirebbe anche lo scavo del fossato esterno, che nel VI sec., con la costruzione della nuova fascia muraria, scomparve, riempito quasi completamente per consentire il raddoppio delle possenti mura di blocchi di tufo rosso.
Alla fine del secolo venne cancellato per consentire il nuovo piano urbanistico dei Tarquini. Le porte che si aprivano sulle mura erano quattro, ma solo di due conosciamo il nome: la porta Mugonia sulla strada che andava dal Palatino a Velia poi ribattezzata Via Sacra, e la porta Romana o Romanula in direzione del Velabro. La terza doveva trovarsi in corrispondenza delle Scalae Caci.
I Tarquinii, i re etruschi dal 616 al 509 a.c. modificarono profondamente la città. Fino al 578 a.c. sedette sul trono di Roma Tarquinio Prisco, con edifici in pietra rivestiti da terrecotte decorative, mentre i templi e le strade sono tra i più belli ed imponenti di tutto il Mediterraneo.
Viene realizzata la Cloaca Maxima, e l' iscrizione del Lapis Niger testimonia la diffusione del latino come lingua ufficiale, nonostante la rilevante presenza degli Etruschi.
Intorno alla metà del VI sec. il re Servio Tullio suddivise l'accresciuta urbe in quattro parti, e sul Palatino si costruirono muri di terrazzamento squadrati che consentissero stabilità ai nuovi edifici con nuove fognature. Vennero allestiti spazi pubblici e il sistema viario dell’età arcaica venne modificato sostituendo gli antichi fondi stradali in ciottoli di fiume con blocchi di tufo. La viabilità che si snodava attorno al colle, aveva come via più importante la Via Sacra, oltre alle Scalae Graecae e le Scalae Caci. Sulla sommità della collina si trovavano i templi più importanti.
LA REPUBBLICA
Ma la repubblica segnò la trasformazione della collina in un quartiere residenziale della classe dirigente romana: tra coloro che vi abitarono possiamo ricordare M.Valerio Massimo, console nel 505 a.c., Tiberio Sempronio Gracco, padre dei famosi tribuni, Licinio Crasso, console nel 95, Cicerone, il poeta lirico Catullo, Q.Ortensio Ortalo, famoso oratore, la cui casa fu poi acquistata da Augusto. Fra i tanti palazzi ricordiamo: la casa di Livia. Risale al I secolo a.c. ed è una delle più belle e meglio conservate, pur essendo relativamente modesta rispetto ai futuri palazzi imperiali: lì vissero l'imperatore Augusto e sua moglie Livia.
L'IMPERO
Con Augusto dunque il Palatino divenne la reggia e la corte del princeps, oltre a luogo di culto, come il tempio di Apollo circondato da biblioteche in lingua greca e luoghi di riunione. Attorno agli anni Quaranta del I sec. a.c. Ottaviano comprò gli immobili dell’antica villa di Ortensio, con l’intento di unire in un unico
complesso più proprietà, ovvero la villa della moglie Livia e del primo marito Tiberio Claudio Nerone, quella che era stata la casa di Quinto Lutezio Catulo e quella acquisita da Antonio dopo la sconfitta. Vi erano inoltre le dimore di parenti, amici e liberti.
Il tutto si sviluppava attorno al tempio di Apollo, e qui l'imperatore fece edificare la sua reggia, disposta su terrazze digradanti, circondata da 12000 mq di portici e giardini. Non lussuosissima ma di buon gusto, con i
pavimenti a tessere che formavano disegni geometrici, le pareti secondo il II stile pompeiano, i saloni per i ricevimenti con tarsie marmoree e stucchi lavorati. Infine, vi era una quartiere più appartato, detto Siracusa, dove l’imperatore soleva recarsi per studiare o meditare indisturbato.
"Ottaviano Augusto, il quale sembra aver avuto la sua privata abitazione sulla falda che guarda il foro Boario nella contrada ad capita bubula, ove probabilmente furono effigiate le teste dei toro e della vacca aggiogati all'aratro che da quel luogo incominciò a solcare il confine della primitiva città. Augusto pertanto che al dire di Svetonio, vi stette in poco vasta abitazione e senza verun ornamento, allorchè gli fu dato il pontificato massimo la rese pubblica in parte; quindi fortuitamente incendiata la ristabilì, e la fece pubblica in tutto: infine dopo la vittoria Aziaca comperò col danaro parecchie case vicine, e per comodo pure del publico la ingrandì fabricandovi il famoso tempio ad Apollo col portico, e la celebre biblioteca palatina, entro la quale vedessi il gran colosso di Apollo in bronzo alto 50 piedi, e recitavano lor versi i massimi poeti di quell'età, decretando intanto il Senato, che innanzi alla porta della sua casa si piantasser due lauri, e sovra di essa porta si ponesse una corona di quercia col motto ob cives servatos." (Lanciani)
Augusto fu il primo imperatore che eresse il suo palazzo nel Palatino, altri imperatori ne seguirono l'esempio, infatti poi Tiberio vi fece una grande aggiunta, facendo sorgere così il palazzo di Tiberio o Domus Tiberiana. "Salito Tiberio sul trono congiunse altri fabricati alla casa di Augusto dalla parte, che dal foro Boario s'innoltra verso il Campidoglio"
Gaio Caligola accrebbe ancora il palazzo Augustale, prolungandolo sino al Foro, e, facendovi un ponte, unì il Campidoglio col Palatino. Nello stesso settore del Palatino c’era anche la casa di Caligola (Domus Gai), il cui vestibolo era stato ricavato dall’antico Tempio di Castore e Polluce, in seguito restituito agli antichi culti dall’imperatore Claudio.
"Caligola vi fece ancora grandissimi accrescimenti, innalzandovi un tempio a se stesso con la statua di Giove Olimpico, nella qual'era l'immagine sua, e perciò la vestiva ogni giorno di vesti consimili a quelle, che in quel giorno indossava: e col teatro, e co' portici, e con altre delizie lo protese sull'angolo del monte che sovrasta alla chiesa di S. Maria liberatrice, ed anche sul lato orientale del medesimo. Anzi per alcune magnifiche gradinate venendo al piano, tempio de' Castori in vestibolo del nuovo palazzo, e dalla parte più vicina al Campidoglio lo congiunse a quel monte gettando un ponte sovra il tempio di Augusto, e fabricando nell'intermonzio del Campidoglio medesimo un appendice alla regia così smisurata. Ma soppraggiunto Claudio demolì quegli immani fabbricati, e rese a' Castori il tempio."
Nerone poi, non bastandogli il Palatino, occupò anche il Celio e l'Esquilino. Questo nuovo edifizio ebbe il nome di Domus Aurea di Nerone, per i suoi ricchi, e preziosi ornamenti. Aveva il proprio ingresso dirimpetto alla via Sacra, verso il Tempio della Pace, e l'Arco di Tito, e nel vestibolo era il celebre colosso di marmo alto 120 piedi, rappresentante Nerone, che di poi dette il nome di Colosseo all'Anfiteatro Flavio, che gli fu edificato incontro. Conteneva questo stupendo palazzo moltissimi giardini, diversi bagni, e stagni vastissimi circondati da edifizj, che sembravano piccole Città. Innumerabili erano le sale, e le carriere, decorate di colonne, di statue, di gemme, e di pietre preziose. Severo, e Celere stimatissimi Architetti posero tutta la loro cura per renderlo singolarissimo; e Amulio eccellente pittore impiegò tutta la sua vita a dipingerlo.
"Nerone però si pose ad ingrandirlo pazzamente, e non solo occupò gli edifizj publici, ma le case altresì de' privati: i quali ingrandimenti essendosi insiem col palazzo originale quasi tutti incendiati, li ristabilì un altra volta più vasti, e fece il vestibolo della casa detta aurea in quel luogo ove poi furono il tempio della Pace e la basilica di Costantino; e li protese anche sopra l'Esquilie, di maniera che fu pubblicato quel motto: è tempo, Romani che cerchiate a Vej un asilo! -Vejas migrate Quirites!."
Poi fu la volta della Domus Flavia di Vespasiano e Tito Imperatori che fecero demolire tutta quella fabbrica, che rimaneva fuori del Palatino; ed infatti le Terme, l'Arco di Tito, il Colosseo, e il Tempio della Pace furono fabbricati dai medesimi sopra queste rovine.
Abborrendosi poi da diversi Imperadori l'eccesso di tante ricchezze, ed un lusso così fuori misura, furono tolte da questo palazzo le cose le più preziose, ed applicate per maggior ornamento al Tempio di Giove Capitolino.
Venne poi la Domus Severiana di Settimio Severo. Antonino Pio per la medesima ragione avendo chiuso tutto il resto, non volle abitare, che la sola casa Tiberiana. Presentemente non vi rimangono, che vestigi di magnifici portici, muraglie rovinate, e un gran numero di archi, ornati di verdura, che fanno una bellissima veduta pittoresca.Alla fine dell'età imperiale la collina era ormai un unica, immensa reggia, e il nome Palatium, o Palatino, passò ad indicare il palazzo imperiale.
"I successori di Nerone l'accrebbero fino a Vespasiano, il quale demolì tutti gli accrescimenti Neroniani, e costruì quelle fabriche, delle quali abbiamo parlato, o parleremo in appresso. Sembra che Domiziano lo accrescesse, ma ne' confini del monte. Nerva che non volle danneggiare que' sontuosi edifizj li rese pubblici al popolo. Trajano gli tolse molte ricchezze donandole a Giove Capitolino. Settimio Severo gli fece un nuovo ingresso magnifico dalla parte del Celio. Sotto l'imperador Commodo arse un altra volta; e poichè nomossi Casa Commodiana è da credere che fosse dal medesimo risarcito. Di altri impedori, che l'aumentassero grandemente, o che gli mutassero aspetto non abbiamo memoria. Ai tempi di Teodorico era cadente per la vecchiezza, e per le vicende. E trovandosi per ultima memoria certa della sua esistenza che sul principio del secolo VIII vi fosse coronato Eraclio imperadore, dal silenzio posteriore principalmente dopo Costantino Papa ci si fa credere, che circa la metà del secolo IX fosse totalmente abbandonato, e perisse."
Il Palatino era collegato ai giardini di Mecenate sull’Esquilino dalla Domus Transitoria che Nerone fece costruire in seguito e della quale ci sono rimasti alcuni resti archeologici tra i quali il famoso ninfeo sotto il grande triclinio dei palazzi imperiali.
Nel 64 d.c. vicino al Circo Massimo divampò un incendio che si propagò rapido devastando tutto il Palatino, che Nerone riedificò da capo. Con la costruzione della Domus Aurea gran parte del complesso venne inglobata nella nuova residenza imperiale per consentire la realizzazione di un nucleo collegato all’Esquilino, dove si trovava l’edificio.
Vespasiano, il fondatore della dinastia Flavia, continuò ad abitare sul Palatino, nei giardini appartenuti a Sallustio; tuttavia continuò a tenere in gran considerazione il palazzo, ordinando che le porte rimanessero sempre aperte in modo tale da dimostrare che il popolo ne era il legittimo proprietario. Opero decorazioni con statue e colonne, costruì magazzini, mercati e restaurò i vecchi edifici.
Sotto Domiziano, il figlio di Vespasiano, vi fu un nuovo incendio, per cui il palazzo fu riedificato e abbellito sontuosamente.
I resti della Domus Flavia, cioè il palazzo di Domiziano, sono ancora visibili sulla sommità del colle, mentre sulle pendici c’erano magazzini, quartieri di servizio ed edifici amministrativi. Il palazzo era
diviso in tre grandissimi quartieri: la Domus Tiberiana, collocata sotto gli attuali giardini, la Domus Flavia e Augustana a sud-est e l’area della Vigna Barberini sopra il Colosseo. Il complesso era circondato da peristili con giardini, fontane e sale, i più famosi dei quali erano quello dello stadio e gli Adonea, i giardini di Adone.
Da Nerva a Commodo sappiamo che Nerva rese accessibile a tutti il palazzo, sottolineando il gesto
facendovi affiggere la scritta “Palazzo Pubblico”, mentre poco si sa di Traiano. Il suo successore Adriano realizzò ampliamenti e terrazzamenti ed edificò l’ Athenaeum, un’università ricavata sull’ingresso monumentale del foro romano. Marco Aurelio e Lucio Vero vennero educati nei quartieri della Domus Tiberiana, mentre il loro successore Comodo, che trasferì la sua abitazione sul Celio, impiantò nel palazzo bettole e ritrovi licenziosi.
Con la dinastia dei Severi il Palatino e Roma tutta si adornarono di nuove costruzioni, anche per l’incendio del 191, che raggiunse le biblioteche del palazzo, spingendo Settimio Severo a edificare la Domus Severiana, di ben 24000 mq. Restaurò inoltre molti edifici commerciali sulle pendici del colle e costruì il Settizodio.
I suoi successori, Caracalla e Geta, temendo per la propria sicurezza, chiusero le porte di comunicazione, mentre Elagabalo si propose di costruire edifici ben visibili a tutti dall’alto del colle, con terme pubbliche e giardini, costruì un tempio al Sole e lastricò la piazza attorno al tempio con marmi preziosi.
L’ultimo dei Severi, Alessandro, decorò le aree scoperte e le strade, edificò appartamenti dedicati alla madre Iulia Mamaea, uccelliere con volatili esotici, e restituì il tempio di Eliogabalo a Giove.
Nei secoli seguenti si succedettero vari imperatori che regnarono in genere pochi anni e che
non modificarono l’aspetto del Palatino, eccezion fatta per i Tetrarchi, Massenzio e Costantino.
Goti e Vandali: con il trasferimento della capitale a Costantinopoli il Palatino perse la propria importanza nell’impero. Nel V secolo molte aree caddero in disuso e il palazzo era limitato ai quartieri centrali della Domus Flavia; anche la residenza imperiale fu coinvolta dai saccheggi subiti nel 410 dai Goti e nel 455 dai Vandali.
La schola Praecoum fu utilizzata come immondezzaio, come le botteghe di fronte al tempio di Cibele, altri quartieri in direzione del Foro Romano e anche la Vigna Barberini e gli edifici sottostanti.
Nel 500 alcune funzioni del palazzo furono ripristinate grazie a Teodorico, che attuò restauri e costruì un anfiteatro nel giardino a forma di stadio che Domiziano aveva fatto realizzare.
L’antica dimora imperiale, in cui si stabilì l’amministrazione bizantina, venne utilizzata fino al VII sec. dagli imperatori in visita a Roma, mentre i quartieri bassi vennero sommersi dal fango lasciato dalle inondazioni del Tevere. La rovina del Palatino iniziò nel VIII secolo con la fine del ducato di Roma e l’abbandono definitivo del palazzo.
Dall’antichità al Medioevo: dopo il declino del ducato bizantino di Roma e lo spostamento della sede del papa al Laterano il Palatino cessò di esistere, anche se nei secoli IX e X sorse qualche villaggio vicino alle chiese. Alcuni degli edifici rimanenti, compresa la casa delle Vestali, vennero trasformate in abitazioni e il colle destò l’interesse delle famiglie De Imiza, De Papa e Stefaneschi. Inoltre ci fu il restauro di alcune
chiese come S. Anastasia. In seguito furono fondati un monastero nella Vigna Barberini ed una chiesa nei pressi del Settizodio. Sulle pendice settentrionale del Palatino sorgeva il Cartularium o Testamentum, un archivio contenente i documenti relativi ai possedimenti ecclesiastici.
L’imperatore Ottone III scelse invece il Palatino come luogo di residenza, a memoria della dimora degli antiche Cesari. Nel XII secolo il colle fu dominato da una sola grande famiglia e da alcuni enti ecclesiastici, mentre nel Basso Medioevo si spopolò lasciando spazio a orti, vigne e campi.
Nei monumenti non utilizzati come abitazioni si praticavano grandi scassi alla ricerca di travertini da trasformare in calce.
L’importanza simbolica del Palatino rinacque con l’affermarsi della casata dei Frangipane, i quali si stabilirono nei pressi della Via Sacra e costruirono torri e fortezze a controllo delle vie principali, nelle quali sarà inglobato anche l’Arco di Tito.
L’ultima grande trasformazione del Palatino prima degli scavi che crearono il paesaggio di natura e rovine attuale fu attuata da papa Paolo III, che nel 1536 sistemò la zona del Campo Vaccino e dopo aver abbattuto le costruzioni sorte nella zona piantò un viale di olmi tra gli Archi di Tito e di Settimio Severo, ricalcando con tale percorso l’antica via dei trionfi.
Egli dopo aver acquistato terreni e vigne creò lussuosi horti sulla sommità del Palatino. Commissionò i
progetti per la realizzazione di giardini, scalinate con fontane e ninfei ricchi di specie arboree europee e americane.
Nel 1731 i Borboni si impossessarono dei giardini che iniziarono un lento declino: abbandonati dai proprietari che risiedevano a Napoli, gli edifici vennero occupati dai contadini che utilizzarono i giardini per le coltivazioni. Infine passarono a Napoleone III e al Regno d’Italia.
GLI SCAVI
I primi scavi sul Palatino avvennero nel Medioevo per recuperare materiali edilizi per nuove costruzioni, scalpellando i marmi per toglierne gli ornamenti, o calcinandoli per farne calce, o procurare statue e oggetti artistici ai collezionisti.
Ma le distruzioni iniziarono molto prima, quando i cristiani vollero sbarazzarsi di colpo di tutti i pagani, fossero persone o beni artistici.
I non cristiani furono obbligati a convertirsi pena la confisca dei beni e la morte, i beni artistici vennero fatti a pezzi, o deturpati, o bruciati o sepolti.
IN VIGNA RONCONI sul colle palatino
" essendosi crepata la vasca, dove si pestava il vino, e il detto Ronconi facendo levare il lastrico vecchio ... si scoprì un Ercole compagno di quelli del cortile Farnese ... ne vi mancava se non una mano. Nella base vi erano le seguenti lettere {AYIIIIIIOY EPrON). Il duca Cosimo di Toscana la comprò per scudi ottocento facendola trasferire a Fiorenza » Vacca, Mem. 77.
Uguale origine hanno le celeberrime Sabine (Danaidi?) e la Thusnelda già di casa Capranica, descritte da Ulisse Aldovrandi nel 1551, incise in rame da Girolamo Porro nel 1576, e delle quali io credo aver trovato tracce assai più antiche in alcune rarissime incisioni della scuola di Marcantonio. La Thusnelda apparisce ancora in un rame del Cabinet des Estampes V, X, 40 ; tav. 385, sotto il titolo di " Vetnria Martii Coriolani mater in hortis mediceis » .
Per tutto il Rinascimento e fino all’800 si cercò nei sotterranei di palazzi, case e templi. Si tentò di identificare i monumenti ancora visibili con quelli di cui parlavano le fonti antiche. Nell’800, gli architetti dell’accademia di Francia studiarono e ricostruirono parte delle rovine del colle.
Sia Napoleone III sia l’amministrazione pontificia si occuparono delle rovine dei monumenti romani, con la differenza che Napoleone comprava e il papato vendeva. La maggior parte delle opere del Louvre sono state vendute dai vari papi.
LE CAPANNE SUL PALATINO
Nell’angolo sud-occidentale del Palatino si trovano i resti dei più antichi luoghi della storia di Roma, legati alle leggende sulla fondazione di Roma. Qui si trova la cosiddetta Casa Romuli, ovvero l’abitazione di Romolo presso cui sarebbe sorta anche la casa di Augusto. Trattasi di una delle capanne dell’età del ferro (IX secolo a.c.) i cui resti già visibili nel 1907, vennero definitivamente portati alla luce nel 1948.
Oggi si vedono le fondamenta scavate nel tufo e circondate da un canaletto di drenaggio per l’acqua, da cui si desumono capanne ovali o rettangolari, con asse maggiore di 4,90 m e uno minore di 3,60. Sette pali, sei lungo il perimetro e uno al centro sorreggevano il tetto e le pareti di paglia e fango. La porta d’ingresso si trovava su uno dei lati minori, larga poco più di un m e provvista di cardini. L’ingresso aveva una tettoia e una finestra si apriva su uno dei lati maggiori.
Gli abitanti delle capanne bevevano dalle cisterne di tufo scavate nella collina e coperte a falsa cupola.
Nella stessa zona sono stati rinvenuti anche i resti delle Scalae Caci, di alcune mura di terrazzamento del colle (IV secolo) e del teatro di Longino, di molto posteriore (154 a.c.).
Del tempio della Magna Mater sono rimaste diverse tracce tra le capanne e la Domus Tiberiana, come testimonia la statua rinvenuta con dedica alla M(ater) D(eum) M(agna) I(daea), compreso il basamento del II secolo. In seguito all’incendio del 111 a.c. il tempio venne restaurato ed arricchito con le colonne in peperino che ancora oggi giacciono accanto al podio. Di età augustea sono i capitelli corinzi ed il frontone, applicati forse durante il restauro del 3 d.c.
Accanto al tempio della Magna Mater si trova un sacello, edificato una prima volta da Augusto ed una seconda da Adriano, solitamente interpretato come Auguraculum. A nord delle Scalae Caci si trova un terzo santuario, identificato con il tempio che Postumio Megello dedicò alla Vittoria nel 294 a.c.
Il tempio di Apollo: tornato alla luce dagli scavi tra il 1865 al 1937, posto tra la Casa di Augusto e la Domus Flavia e ritenuto a lungo il tempio di Giove Vincitore. Sorgeva al centro di un piazzale circondato da un portico detto delle Danaidi, dalle statue cioè che vi erano esposte, rappresentanti le figlie del mitico re di Egitto.
Nonostante la relativa scarsezza di resti, è stata possibile accertare che la costruzione era in marmo di Luni e conteneva tre statue di culto, di Latona, Apollo e Diana, scolpite rispettivamente da Timotheos, Scopas e Kephistodos. Oggi resta un nucleo di opera cementizia, in gran parte spogliato del rivestimento originario in blocchi di tufo e tracce del pavimento marmoreo, delle colonne e dei capitelli corinzi.
La base della seconda conteneva le dorate custodie dei libri sibillini e con esse il loro prezioso contenuto. Secondo alcuni autori, qui sarebbe sorta la cosiddetta Roma Quadrata e un arco a forma di Giano dotato di quattro ingressi (Tetrastylum).
Vi erano poi due biblioteche, che insieme al tempio stesso ospitarono il Senato in età imperiale. Qui sono state ritrovate delle splendide lastre in terracotta a rilievo (stile Campana) con raffigurazioni di stile arcaico.
BIBLIO
- Andrea Carandini - Palatino, Velia e Sacra via. Paesaggi urbani attraverso il tempo, «Quaderni di Workshop di Archeologia Classica» 1 - Fabrizio Serra Editore - Pisa-Roma - 2004 -
- Filippo Coarelli - Palatium: il Palatino dalle origini all'impero - Edizioni Quasar - Roma - 2012 -- Tito Livio - Storia di Roma - VII - Mondadori - Milano -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma, Vol. I, Cap. IV - La città Palatina ed i Sette colli - Milano - Dall'Oglio - 1961 -
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