I FRATELLI ARVALI



RICOSTRUZIONE 3D DEL TEMPIO DEGLI ARVALI (Magliana vecchia)

FRATES ARVALES


"Nei conti di camera del triennio 1552-1554 si trovano registrate le seguenti partite.
« A frate Giovangiac. dal Piombo se. 25 boi. 20 per pagarli a Fabritio de Giacotti {sic) per alcuni suoi epitaffi ch'ha venduti a N. S. condotti alla vigna ". Si tratta del celebre notaio Fabrizio Galletti, il principe dei tabellioni del cinquecento, i protocolli del quale lo mostrano in relazione d'affari con tutta la prelatura e con tutto il patriziato romano. Il Galletti possedeva due vigne, cioè due luoghi di scavo: la prima al quinto miglio della via Campana, nel sito dell' Augusteo degli Arvali (vigna Ceccarelli): la seconda fuori di porta san Giovanni. »

- Gli epitaffi venduti a Giulio II nel febbraio 1552 non possono credersi provenienti dal sacro recinto degli Arvali alla Magliana, perchè gli scavi del Galletti « via Campana in loco cui nomen Affoga l'asino, ubi lucus Fratrum fuit » i quali fruttarono la scoperta dei piedistalli CIL. VI, 968, 1000, 1012, 1026, 1053 e 1093 e delle statue Vacca, Mem. 98, ebbero luogo soltanto nel 1570. È dunque probabile che si tratti di titoli sepolcrali della Latina o della Castrimeniese, scavati nella vigna fuori la porta s. Giovanni. (30 marzo)."

(RODOLFO LANCIANI)

Secondo la tradizione, il collegio degli Arvali era stato istituito da Romolo il fondatore e primo re di Roma, e ne facevano parte i dodici figli del pastore Faustolo, colui che aveva raccolto e allevato i due gemelli allattati dalla lupa. Per questo motivo i sacerdoti si sarebbero chiamati fratres, o "fratelli". Noi pensiamo invece che il termine non si riferisse ai due figli di Rea, ma al rapporto di fratellanza tra di loro, come usava nell'antica religione italica, dove i "Fratelli" giuravano col sangue il segreto del rito.

In realtà il sodalizio degli Arvali iniziò prima della fondazione della stessa Urbe, poiché i membri fondatori furono non i figli di Faustolo ma i 12 figli di Acca Larenzia, divinità italica (Dea Lupa) antecedente agli Dei romani. In seguito i dodici vennero scelti tra i membri dell’aristocrazia, presieduti da un Maestro eletto annualmente e rinnovantesi al suo interno per cooptazione. Poi ne divenne membro fisso l’imperatore che ne “suggeriva” anche gli avvicendamenti.

La loro sede era da sempre situata nel tempio di Dia, con annesso bosco sacro, a cinque miglia da Roma, circa nell’attuale quartiere della Magliana. In questo tempio erano conservati, incisi su lastre di pietra, gli Atti dei Fratelli Campestri. Tra i loro compiti vi era la celebrazione del Giro dei Campi o Ambarvali, un rito propiziatorio delle messi agricole e a protezione dei venti nocivi – descritti da Catone, Tibullo e Virgilio – ed una festa mobile che si svolgeva in tre giorni verso la fine di Maggio.

Questa leggenda è citata anche da Plinio il vecchio nella sua "Historia naturalis" dove riferisce che le insegne di quel sacerdozio erano costituite, fin dalle origini, da una grande ghirlanda di spighe e da bende bianche. Le spighe erano l'emblema della Bona Dea, la Dea Madre, poi assimilata anche a Cerere, mentre le bende bianche erano il simbolo della purezza e della fedeltà alla Dea, ai suoi riti e ai suoi fratelli. Sicuramente le bende immacolate vennero fin da empi molto antichi poste sulla fronte, o sul polso, o sul collo del sacerdote.

Nel 493 a.c, i Romani costruirono un grande tempio dedicato alla dea Cerere, all'interno del quale, i sacerdoti Arvali celebravano i loro riti e le loro funzioni, coltivando il culto della Dea che andava a sostituire l'antica Dia.       
(Dea Flora e Dea Fortuna tra le divinità del Lucus Diae)



LA SACRALITA' DEL NUMERO 12

« Aruorum sacerdotes Romulus in primis instituit seque duodecimum fratrem appellavit inter illos ab Acca Larentia nutrice sua genitos... » (Plinio il vecchio.)
« Romolo per primo istituì i sacerdoti Arvali e chiamò se stesso dodicesimo fratello tra quelli generati da Acca Larentia, sua nutrice... »

FLORA ERA COLLOCATA ALL'INTERNO
DEL TEMPIO DEGLI ARVALI
Dunque erano fratelli perchè figli di Acca Larentia, l'antica Dea Lupa.
 "Gli Arvales erano infatti un antico collegio sacerdotale di dodici membri, che secondo l'antica tradizione rappresentavano i dodici figli di Acca Larentia, e si suppone siano i dodici mesi dell'anno" (Plin., Nat. Hist., XVIII, 6; Gell., VII, 7,8) ma su questo avremmo da ridire. 

Non fa venire in mente il Cristo coi dodici apostoli? E anche di questo si è parlato dei dodici segni zodiacali, ma c'è un però, ed è che al tempo degli antichi Arvali, e pure al tempo di Gesù Cristo tra gli ebrei, c'era per entrambi il calendario lunare.

Per il popolo ebreo sussiste anche oggi, e come allora l'anno consta (tranne eccezioni) di 13 mesi, mentre a Roma in origine c'era un calendario lunare diviso in 10 mesi con inizio alla luna piena di marzo, istituito da Romolo nel 753 a.c.. Questo calendario era di dieci mesi e i loro nomi erano: Martius, Aprilis, Maius, Iunius, Quintilis, Sextilis, September, October, November, December. Tanto è vero che Dicembre non è il decimo ma il dodicesimo mese.

Ma c'è di più, anche i Salii erano un antichissimo collegio sacerdotale romano, e si dividevano in Salii Palatini, con 12 sacerdoti, e Salii Quirinali, anch'essi di 12 sacerdoti, e 12 furono le tavole della Legge istituite da Romolo, e 12 sono le ore antimeridiane e pomeridiane, 12 erano i principali Dei dell'Olimpo, 12 le fatiche di Ercole ecc.

Diciamo che fin dai tempi più antichi i numeri sacri, o fondamentali, furono il tre e i multipli di tre, quindi il tre, il sei, il nove e il 12. Ovunque la Dea Madre fu triplice, poi sostituita  da tre Dei (vedi gli Dei di Romolo: Giove, Marte e Quirino, sostituita poi dalla Triade Giove, Giunone, Minerva. Anche la religione cattolica ha una trinità pur essendo monoteista.



SACRIFICI INCRUENTI

I Fratelli Arvali si definivano “figli della madre terra “, pertanto tutti fratelli, e nei loro rituali, oltre ad onorare la Dea Cerere, compivano sacrifici anche per il Dio Bacco, e si crede avvenisse nella speranza di una buona produzione delle messi e delle viti. I sacrifici, come usava in tempi più antichi, erano incruenti e avvenivano con l'offerta dei prodotti della terra che venivano bruciati o sparsi al vento nei campi o versati in terra dei liquidi, come acqua, latte o vino.

La ragione dei riti arvali erano comunque misteriche, o almeno anticamente lo erano. La prima Dea cui si rivolsero alle origini fu la Dea Dia, e Dia era la Dea Madre da cui derivò per estensione il termine Dius. Avevano anche il loro anno liturgico, che era anche l'anno di carica dei dignitari del collegio, ed andava da una festa delle sementi all'altra (ex Saturnalibus primis ad Saturnalia secunda).

L'arcaico sacerdozio, sorto sul Palatino, conta nei documenti solo una breve menzione di Varrone (De lingua latina, V, 8), e di Masurio Sabino (presso Gellio, VI, 7,8), mentre ne troviamo parecchie iscrizioni lapidarie con gran parte della storia e degli atti del collegio, dai primi tempi dell'impero fino alla metà del sec. III. Questi scritti sono un'ampia serie di documenti epigrafici, di dediche ma anche funerarie, riesumate per caso o per scavi sistematici, iniziati nel sec. XVI, e compiuti nel secolo passato nel luogo ove si estendeva il lucus Deae Diae, il bosco sacro, e dove i fratelli Arvali si adunavano per compiere i loro principali sacrifici. Un patrizio romano del IV secolo, Lucius Digitius Bassus, di Paestum, compare a Roma nell'epigrafe 33 come frater Arvalis ancora nel 145 d.c.



LE EPIGRAFI

Il luogo sacro era la moderna vigna Ceccarelli, posta sulla destra della via Portuense (via Campana), oltrepassato di poco il V miglio dove, nel 1570, si fecero le prime scoperte epigrafiche con le basi delle statue dedicate agli imperatori in qualità di fratelli Arvali. L'Istituto germanico di corrispondenza archeologica di Roma, negli anni 1867-69, riportò alla luce numerose tavole scritte e diversi resti degli antichi edifici arvalici. Altri frammenti tornarono in luce in scavi eseguiti dallo stesso Istituto nel 1882, oltre ad altre scoperte fortuite avvenute a Roma e oltre. Ma la maggior parte delle epigrafi venne rinvenuta nelle Catacombe di Santa Generosa.

Importante fu il ritrovamento di un frammento degli atti arvalici sotto la chiesa di S. Crisogono in Trastevere, e di un altro nelle demolizioni fatte per il risanamento del teatro di Marcello. Queste epigrafi si trovano in gran parte nel Museo Nazionale Romano delle Terme e in gran parte nel Museo Vaticano. Si tratta in tutto di circa cento resoconti dettagliati di adunanze degli Arvali, che vanno dall'anno 14 all'anno 241 d.c.



LE ORIGINI

Le origini degli Arvali secondo gli studiosi si collegano ad una primitiva religione riferita alla coltura dei campi (arva), per la cui buona riuscita si facevano cerimonie sacrificali. La Dea Dia, che essi veneravano, era forse la stessa Cerere. I solenni sacrifici dei fratelli Arvali si celebravano precisamente nei giorni delle antichissime Ambarvalia e nel sito medesimo che segnava il confine del primitivo territorio di Roma, cioè tra il V e il VI miglio della città (Strab., V, 3,2, p. 230).

POSIZIONE DELLE TERME DEGLI ARVALI
In queste cerimonie era interdetto l'uso del ferro mentre si veneravano le rozze antiche olle fittili, nonché il testo del celebre carme arvalico in lingua arcaica, divenuta incomprensibile agli stessi Romani dell'età imperiale. I sodali avevano la denominazione di fratres, esclusiva di questo collegio. Il loro numero era il dodici; ma nell'età imperiale venne anche superato, soprattutto per gli imperatori ed i membri della famiglia imperiale. L'ammissione nel collegio arvalico (cooptatio) aveva luogo o per libera elezione del collegio o per volontà imperiale (ex litteris imperatoris), cosa che avveniva spesso.

In realtà le ambarvalia erano le feste dei campi in cui i suddetti venivano aggirati a piedi nel loro perimetro, con processione solenne sacerdotale, sostituita poi da quella del capofamiglia e famiglia, per stabilire pubblicamente e religiosamente i confini e quindi la proprietà. Questa presa di possesso avveniva all'inizio nell'ereditare o acquistare un campo e ogni anno per ribadire o mutare la proprietà del padrone.
La stessa cosa si faceva anticamente per la città di cui si deambulava il perimetro primitivo per ristabilire il possesso della propria città. Quest'ultima cerimonia, che era pubblica ed eseguita dai sacerdoti addetti, appunto gli Arvali, che all'inizio facevano anche da testimoni alle proprietà private deambulandone i confini insieme al proprietario.
La deambulazione della città avveniva da parte di tutti gli uomini d'arme per ristabilire il senso della patria da difendere in caso di pericolo rinforzando la solidarietà tra i soldati. Pertanto il Sodalizio dei Fratelli Arvali, che all'inizio ratificò anche la proprietà privata, poi solo quella della polis, fu un primo stabilirsi del diritto pubblico e privato.



L'ORGANIZZAZIONE

Come quasi tutti i collegi, gli Arvali avevano a capo un magister eletto annualmente nel II giorno delle feste del maggio, ma che entrava in carica il 17 dicembre e vi rimaneva fino allo stesso giorno dell'anno seguente. Per lo stesso periodo di tempo era eletto un flamen, che assisteva il magister nei sacrifici. Se il magister non poteva presiedere delegava uno dei colleghi, che diventava in quell'occasione il promagister.

Come in tutti gli altri collegi sacerdotali maggiori, i fratelli Arvali erano assistiti nelle cerimonie sacre da speciali ministri. Quattro nobili fanciulli, con genitori viventi (patrimi et matrimi) assistevano alle cerimonie triduane in onore della Dea Dia, vestiti della pretesta fimbriata (ricinium). Considerati alla stregua di figli, prendevano parte ai banchetti e recavano dalla mensa alle are le fruges libatae dei sacerdoti, cioè servivano a tavola. Ma ogni membro del collegio aveva un calator personale, generalmente un servo manomesso, per assisterlo nelle cerimonie. 

Nei sacrifici piacolari nel bosco arvalico, il calator agiva in luogo del magister cui era addetto. Alcuni fra i servi appartenenti allo stato (servi publici) erano destinati a prestare servizio agli Arvali, come addetti al collegio, non ai singoli sacerdoti. Potevano essere trasferiti ad altri uffici della pubblica amministrazione. V'era infine un aedituus, custode del tempio collegiale della Dea Dia.



LUCUS DIAE

Il bosco sacro della Dea (lucus deae Diae) si trovava al quinto miglio della via Campana, in cima a un clivus del lato destro della via. Il principale edificio sacro che sorgeva nel bosco era il tempio della Dea Dia, situato sul declivio del colle. Sui suoi ruderi è costruito il villino della vigna attuale.

RIPRODUZIONE DEL TEMPIO DEGLI ARVALI
Era di forma circolare, come i templi più antichi, col fronte ad oriente, con davanti una mensa ad uso ara, su cui gli Arvali compivano i riti: avanti ad essa era un caespes, un'ara naturale, formata da zolle di terra con cespugli. Ai piedi del colle, sul limitare del lucus, v'era un'altra ara, sulla quale s'immolavano le porciliae piacolari, con il foculus, il tripode metallico su cui si immolava la vacca bianca.

C'era poi il Caesareum, dedicato agl'imperatori defunti e divinizzati, dove s'immolavano vittime in loro onore. Qui si riunivano a banchetto gli Arvali nel II giorno delle feste ambarvali. Questo Caesareum, come il tempio della Dea Dia, fu ricostruito nel II sec. dell'impero, o agl'inizi del III. Congiunto o vicino al Caesareum era il tetrastylum, entrambi ai piedi della collina, nel piano che si estende verso il Tevere, ove infatti furono trovate le statue imperiali che decoravano l'interno del Caesareum.

Nel tetrastylum, o portico a colonne rettangolari, erano i sabsellia su cui si adagiavano gli Arvali per banchettare, riunirsi e riposarsi, e i posti erano protetti dal sole e dalla pioggia per mezzo di tende (papiliones). V'era anche un circus, ove, dopo leepulae, avevano luogo le corse.



I FASTI DEL COLLEGIO

Le tavole marmoree, sulle quali venivano di anno in anno incisi i fasti del collegio, furono dapprima poste sullo stilobate del tempio della Dea Dia. Finito lo spazio si passò alle parti lisce nella parte inferiore di alcune tavole, poi si passò ad altri monumenti arvalici, e perfino sui sedili.

La redazione degli atti arvalici è più sobria nei primi tempi, poi, da Augusto a Domiziano, diviene poi più ricca di particolari nella relazione delle feste e delle cerimonie sacre. Sotto Gordiano III (circa a metà del sec. III) cessò l'incisione delle memorie arvaliche. Per ciascun atto registrato sono indicati i nomi dei fratelli Arvali presenti alla seduta o alla cerimonia.

Dopo l'abbandono del bosco arvalico, nel sec. IV, le tavole scritte andarono disperse. Ma poiché fu più a lungo rispettato il tempio, in confronto agli altri edifici minori, le tavole scritte fuori dell'imbasamento del tempio, e cioè posteriori agli Antonini (fine del sec. II), furono le prime ad andare disperse e a servire da materiale da costruzione nei luoghi più disparati di Roma e vicinanze. Fra le altre tavole marmoree scritte ne furono trovate, negli scavi degli anni 1867-1869, alcune contenenti parte del calendario romano e della serie dei consoli e dei pretori che furono in carica tra gli anni 2 a.c. e 37 d.c.



LE FESTE

Ogni anno, nel mese di gennaio, si promulgavano i giorni della festa annuale della Dea. I tre giorni delle feste arvaliche erano o il 17, 19, 20 o il 27, 29, 30 di maggio; i primi negli anni pari dell'era verroniana, i secondi nei dispari.



IL I e il II GIORNO

- Nel primo di quei giorni le feste si celebravano in città, nel secondo, parte nel bosco sacro e parte in città, nel terzo in città.

- Nel I giorno si eseguiva il sacrificio in casa del magister, oppure sul Palatino in aede divorum. In questa cerimonia si consacravano le messi aride e le verdi, cioè quelle dell'anno precedente e quelle della stagione; poi seguiva un banchetto.

- Nel II giorno si compivano tre cerimonie nel bosco sacro della via Campana, e una in città, in casa del magister. Nel bosco sacro s'immolavano due porciliae piacolari, in espiazione preventiva di ogni trasgressione alla sacra inviolabilità del luogo; seguiva il solenne sacrificio di una vacca bianca, fatto dal magister, quindi gli Arvali scendevano nel tetrastilo per riunirsi a banchetto.

- La cerimonia del pomeriggio era la più solenne, e ne abbiamo una descrizione dettagliata nelle due tavole con la relazione della festa degli anni 218 e 219. Si sacrificava una agna opima nel tempio della Dea, poi si faceva l'offerta dei thesauri o dei doni personali degli Arvali alla Dea, e si prestava il culto alle ollae.



IL CULTO DELLE OLLAE

Questo rito aveva origine dalla più remota antichità, si dice, quando l'uso dei metalli non era ancora introdotto nel Lazio. L'adorazione di questi vasi molto antichi e ormai malridotti ha fatto torcere il naso a molti, adducendo che allora le ollae erano importanti perchè ancora non c'erano i metalli, ma in Italia il rame è comparso al più tardi nel 3000 a.c., era davvero un culto così antico? E le rozze ollae (che non erano ermeticamente chiuse in una tomba) non si sarebbero sgretolate?

OLLA ROMANA
Dunque le olle non erano adorate perchè non ne avevano di meglio, cioè di metallo, anche perchè fare le olle di metallo non è consigliabile non solo per il costo ma per la conservazione del prodotto. Col metallo il freddo e il caldo si trasferiscono immediatamente all'interno.

Dunque le olle in questione erano adorate per il loro contenuto non per le olle stesse. E cosa contenevano? Semplice, le sementi per l'anno successivo. Non doveva essere facile convincere i contadini a mettere da parte il cerale per l'anno successivo, specie se l'annata non era andata bene e il cereale era poco. Ma quelle sementi erano la garanzia del prodotto dell'anno successivo e veniva conservato nel tempio, affinchè nessuno lo profanasse.

Le sementi erano dunque sacre e creavano un sodalizio, perchè se qualcuno aveva avuto un raccolto carente, qualcuno ne aveva avuto di più abbondante, e in ogni caso la redistribuzione della semina avveniva in egual modo, comunque fosse stata la consegna dei semi. Ecco il sodalizio dei semi ed ecco il sodalizio dei Fratelli Arvali.



IL RITO

Quindi solo i sacerdoti avevano ingresso al tempio dove era custodito il tesoro dei semi e solo i sacerdoti, chiusi nel tempio, leggevano cantando e danzando in ritmo di 3/4 (tripodatio) il celebre carme arvalico, per nostra fortuna trascritto per intero nella tavola dell'anno 218 e scoperta nel 1778 a Roma.



IL CARME ARVALE

Scritto in versi saturnii, che costituisce uno dei testi più antichi della lingua latina. Il carattere arcaico di questo testo si mantenne anche in epoche più tarde, in quanto i Romani ritenevano che ogni cambiamento nei particolari di un rito religioso ne avrebbe diminuito l'efficacia.

- Enos Lases iuuate
- neue lue rue Marmar sins (sers) incurrere in pleores
- satur fu, fere Mars, limen sali, sia berber.
- semunis alternei aduocapit conctos.
- enos Marmor iuuato
- triumpe, triumpe, triumpe, trium(pe tri)umpe.

Ogni saturnio, salvo l'ultimo, era ripetuto tre volte. 
L'interpretazione, data l'oscurità del testo, non è che approssimativa: 

"O Lari aiutateci! 
Non permettere, o Marte, che la morte e la rovina piombino sul popolo! 
Sii sazio, fiero Marte! Salta sulla soglia! Fermati, o barbaro (??)! 
Egli (Marte o il magister fratrum) invocherà alternativamente tutti i Semoni. 
O Marte, aiutaci! 
Triumphe...". 

- Nel v. 1 enos = nos(cfr. ἐμοί, μοί), ma v'è chi pensa ad enom (cfr. umbr. enom = tum). 
- Lases = Lares è forma anteriore al rotacismo. (Varrone - "In molte parole in cui gli antichi dicevano s, in seguito dicono r")
- Nel v. 2 lue, rue = luem, ruem (ruinam). 
- Marmar è raddoppiamento di Mars. 
- Sins = sinas (la terza volta si ha sers = seiris, siris,siveris). 
- In pleores = in plures. 
- Nel v. 3 fu è imper. della rad. *bhu- (cfr. fui, forem).Berber vien confrontato con βόρβορος, βεβρός, βάρβαρος. 
- Nel v. 4 semunis =Semones, divinità della sementa. 
- Alternei = vicissim. 
- Aduocapit (scil. Mars omagister fratrum) = aduocabit (cfr. falisco cupa = cubat), futuro singolare: il Marx (Lucili carmina, II, ad v. 1322) intende cunctos aduocapit, facendo del nom.cunctos l'equivalente di quisque. 
- Nel v. 5 Marmor è dittologia di Marmar. 
- Nel v. 6 triumpe, senza aspirazione, è esclamazione trionfale.

Altra interpretazione: 

- Aiutateci o Lari!
- Aiutateci o Lari!
- Aiutateci o Lari!
- O Marte non permettere che la dissoluzione si abbatta sul Popolo!
- O Marte non permettere che la dissoluzione si abbatta sul Popolo!
- O Marte non permettere che la dissoluzione si abbatta sul Popolo!
- Sii appagato, feroce Marte, balza al confine, prendi posizione!
- Sii appagato, feroce Marte, balza al confine, prendi posizione!
- Sii appagato, feroce Marte, balza al confine, prendi posizione!
- Invocherete uno dopo l'altro i Semoni, tutti!
- Invocherete uno dopo l'altro i Semoni, tutti!
- Invocherete uno dopo l'altro i Semoni, tutti!
- Aiutaci, Marte!
- Aiutaci, Marte!
- Aiutaci, Marte!
- Vittoria!
- Vittoria!
- Vittoria!
- Vittoria!
- Vittoria!

E ancora:

« - Lari aiutateci,
- Lari aiutateci,
- Lari aiutateci,
- non permettere, Marte, che rovina cada su molti.
- non permettere, Marte, che rovina cada su molti.
- non permettere, Marte, che rovina cada su molti.
- Sii sazio, crudele Marte. Balza oltre la soglia. Rimani lì.
- Sii sazio, crudele Marte. Balza oltre la soglia. Rimani lì.
- Sii sazio, crudele Marte. Balza oltre la soglia. Rimani lì.
- Invocate a turno tutti gli dei delle sementi.
- Invocate a turno tutti gli dei delle sementi.
- Invocate a turno tutti gli dei delle sementi.
- Aiutaci Marte.
- Aiutaci Marte.
- Aiutaci Marte.
- Trionfo, trionfo, trionfo, trionfo, trionfo. »

Noi interpretiamo questo come un'invocazione all'antico Marmar, il Dio Lupo figlio della Dea Lupa, cioè la cupidigia che distrugge le sementi messe da parte per la semina futura. Per questo gli si intima di non varcare il confine del tempio, affinchè le semenze non vengano toccate, nè dai topi, nè dagli uomini, nè dalle malattie. Infatti vengono poi invocati gli Dei delle sementi, i Semoni, affinchè aiutino a preservare i semi conservati nelle olle.



IL TERZO GIORNO

Seguiva un'altra refezione nel tetrastilo e poi avevano luogo le corse dei cavalli nel circo annesso al bosco sacro. Gli Arvali sul tramonto facevano ritorno in città e chiudevano la giornata con un terzo banchetto nella casa del magister.

Nel terzo giorno gli Arvali si radunavano ugualmente in casa del magister per una cena destinata a consumare il sacrificio offerto il giorno innanzi alla Dea Dia. Si distribuivano infine le sportulae o gettoni di presenza in denaro ai singoli intervenuti.



IL CULTO IMPERIALE

Il collegio degli Arvali compiva anche altri sacrifici, riferiti al culto degli imperatori e della famiglia imperiale. Il natalizio di Augusto si celebrava nei giorni 23 e 24 di settembre e i sacrifici erano offerti una volta sul Campidoglio e una volta sul Palatino. I sacrifici anniversari per il natale degl'imperatori viventi e per i membri della famiglia imperiale avevano luogo nel massimo tempio capitolino.

IL GIOVANE CESARE
Altri sacrifici votivi straordinari si celebravano dagli Arvali in occasione delle consecrationes degl'imperatori e delle imperatrici, il felice ritorno d'un imperatore da una lontana spedizione e così via.

Gli Arvali compivano sacrifici anche per solenni promesse votive, o annualmente per determinate ragioni, o straordinariamente per cause speciali.
Ordinariamente il 3 gennaio si soleva celebrare sul Campidoglio una cerimonia nella quale si scioglievano i voti fatti precedentemente e se ne promettevano nuovi per l'anno cominciato. 
Tali sacrifici votivi si facevano alle tre divinità capitoline per la salute dell'imperatore e per la felicità ed incolumità dello stato. In caso di morte d'un imperatore durante l'anno, i voti fatti per l'imperatore defunto al principio dell'anno erano rinnovati per la salute del nuovo principe dopo la sua assunzione al trono. 
I voti, oltre che alle tre maggiori divinità capitoline, erano fatti alla Salus publica, a Marte, alla Vittoria, a Vesta, a Nettuno e ad Ercole.



SACRIFICI ESPIATORI

Il collegio arvalico celebrava anche sacrifici espiatori (piacula) nel bosco sacro, ogniqualvolta si doveva compiere un atto reputato contrario alla tradizionale rigidità dei loro riti. Ma si compivano in ogni caso, poichè c'era quasi un'ossessione per il corretto procedimento dei riti, e credendo che un solo errore potesse scatenare l'ira degli Dei oppure annullare i benefici del rito, si faceva insieme a questo un rito piaculare per annullare gli effetti negativi di qualsiasi errore.

Inoltre, nel secondo giorno delle feste annuali, prima d'incominciare i sacrifici in onore della Dea Dia, si potavano gli alberi e si faceva la pulizia di tutto il bosco. Ma per far ciò si dovevano mettere le mani sulle piante sacre ed intangibili, e si dovevano adoperare strumenti di ferro, contrariamente alle antiche prescrizioni rituali, per cui gli Arvali espiavano questo con i piacula, cioè un sacrificio, consistente nell'immolazione di due porchette (porciliae), le cui carni venivano poi consumate dai sacerdoti.

Altri sacrifici espiatori erano fatti quando si incidevano col ferro sul marmo gli atti del compiuto anno del magistero, e ogniqualvolta fosse caduto un albero del bosco o per vecchiezza o perché abbattuto dal vento o dal fulmine.

Naturalmente il divieto di toccare ferro, che in realtà riguardava all'epoca l'intera popolazione, riguardava il divieto di fare guerra o di pubbliche esecuzioni, per non macchiare di sangue la purezza delle nuove sementi.

Il legno degli alberi e dei rami abbattuti serviva per fare il fuoco nei sacrifici arvalici. Altri sacrifici espiatorî si facevano nel bosco in casi straordinari, o per la caduta di un fulmine, o per essere caduta qualche parte di uno degli edifici sacri, o per altre cause diverse.

Questi sacrifici si facevano con l'immolazione di una porca, di una pecora e di un toro (suovetaurilia), seguita dall'uccisione di due vacche in onore della Dea Dia e di due ovini per ciascuna delle diverse deità venerate nel bosco sacro. Infine si immolavano altrettanti animali (verbeces), quanti erano gl'imperatori e le imperatrici divinizzati, venerati nel Caesareum.



IL DECLINO

Il Collegio dei Fratelli Arvalicaduto nell’oblìo al tempo di Augusto, venne da questi ricodificato e da allora l'imperatore ne fece parte di diritto, tanto che talora il numero dei fratres superò i 12., ma, a cominciare dalla metà del sec. III, con l'avvento del cristianesimo, andò sempre più declinando, fino a sparire, insieme con tutti gli altri culti nazionali pagani, alla fine del sec. IV.


GLI SCAVI

La topografia del santuario dei Fratres Arvales, sulla via Campana (nel quartiere della Magliana), è stata chiarita in parte da scavi recentissimi della École Française de Rome. Sono stati esplorati edifici già visti nel secolo scorso: un grande tempio circolare, probabilmente da identificare con il santuario di Dea Dia, e, in asse con questo, un grande propileo a piccoli ambienti voltati, con nicchie sulla facciata, nel quale si può forse riconoscere il tetrastylum ricordato nelle iscrizioni del collegio.



OGGI

I resti arvalici sono oggi privati, nonchè devastati, nonchè non visitabili, in compenso il Municipio di "Roma XV" è denominato "Arvalia Portuense" dai resti di un tempio d'età augustea sito in prossimità del Fiume Tevere. Ma quale tempio?

"La catacomba di Generosa fa parte di un complesso archeologico, ricco di testimonianze non solo cristiane, ma soprattutto pagane. Nel sopraterra infatti è stato individuato un recinto sacro (chiamato il boschetto sacro alla Magliana), comprendente l’antico collegio pagano dei fratres Arvales, associazione sacerdotale pagana, le cui origini risalgono all’epoca repubblicana romana, dedicata al culto della dea Dia, il cui tempio è stato individuato nello stesso recinto: gli Arvali registravano la loro vita religiosa e cultuale (gli Acta fratrium Arvalium) in tavole marmoree, molte delle quali sono giunte fino ai nostri tempi, grazie al loro riutilizzo come lastre di pavimentazione della basilica di Generosa.
La catacomba è posta all’interno di una collina, e si sviluppa su un solo livello. L’antico ingresso della catacomba, come per altre catacombe romane, era chiuso da una basilica, fatta costruire da Damaso nella seconda metà del IV secolo, i cui resti sono stati individuati da Giovanni Battista de Rossi nell’Ottocento. Nell’abside una fenestella confessionis permetteva di vedere il principale luogo di culto martiriale, mentre una porta laterale dava accesso alla catacomba.L’attuale ingresso alla catacomba è di recente costruzione, ed è costituito da una piccola struttura in mattoni chiusa da una porta di ferro."
Insomma la catacomba si visita, il complesso archeologico degli Arvali no.


BIBLIO

- Luigi Gaetano Marini - Gli atti e monumenti de' fratelli Arvali, Roma,1795 -
- M. St. De Rossi - Giornale Arcadico - LVIII - tav. IV - 1868 -
- H. Oldenberg - De sacris fratrum Arvalium quaestiones, in Dissertationes, Berlino 1875
- John Scheid - Romulus et ses frères - Le collège des frères arvales, modèle du culte public dans la Rome des empereurs - École Française de Rome - Roma 1990 -
- G. Gatti - Arvales - Dizionario epigrafico di antichità romane - E. De Ruggiero - I - 1886 -
- G. Henzen - Acta fratrum Arvalium quae supersunt - Berlino - 1874 -


3 comment:

Alex on 25 marzo 2019 alle ore 15:49 ha detto...

molto interessante e ben fatto ... che si collega al seminario e alla mostra che abbiamo organizzato al TRULLO il 29 e il 30 marzo a cui tutti sono invitati ... GIUSEPPE ALEX MARTE su fb

Unknown on 27 marzo 2019 alle ore 12:31 ha detto...

sono molto interessato a tutto quanto riguarda gli Arvali... leggo della mostra al Trullo: cosa riguarda?
fabrizio

Anonimo ha detto...

penso che l'area dovrebbe essere maggiormente tutelata dal Comune di Roma giacché la storia non può rimanere e versare nell'incuria e nella indifferenza totale

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