Nome: Caius Sulpicius Gallus
Nascita: -
Morte: -
Interessi: Astronomia
Gaio Sulpicio Gallo (... – ...) è stato un console romano, noto anche per i suoi interessi astronomici.
Lo troviamo nelle fonti per la prima volta nel 170 a.c., quando fu scelto dai delegati delle popolazioni iberiche presso il Senato romano come uno dei quattro patroni che avrebbero dovuto rappresentarli nel processo contro i magistrati romani accusati di prevaricazione nei loro confronti. Il che dimostra quanta stima avessero in lui, come onestà e come abilità giuridica.
Nel 222 a.c. i comandanti romani Marco Claudio Marcello e Gneo Cornelio Scipione avevano conquistato l'intera zona macedonica, ma Gaio Sulpicio, nominato Pretore urbano nel 169 a.c., l’anno successivo, nel 168, nominato tribuno militare, partecipò alla battaglia di Pidna sotto il console Lucio Emilio Paolo, e, nominato console nel 166, sconfisse definitivamente i Liguri consolidando definitivamente la conquista.
Nello stesso anno del 166, per la vittoria sui Liguri gli venne decretato il trionfo. Nel 164 a.c. fu inviato dal Senato in Grecia, a Pergamo, insieme a Gaio Manio Sergio, con una delicata missione: dirimere una disputa sorta tra Megalopoli e Sparta per questioni territoriali e, soprattutto, indagare sul comportamento di Eumene II e Antioco IV, sospettati di preparare un attacco contro Roma.
Le sue qualità morali sono lodate da Marco Tullio Cicerone nel "De amicitia". Tuttavia si sa che egli ripudiò la moglie solo per aver saputo che si era intrattenuto fuori casa a capo scoperto, visto che solo il marito doveva godere della bellezza di sua moglie, se ella si faceva guardare dagli altri il suo comportamento era sospetto. Ma certi maschilismi Cicerone li apprezzava non poco.
L'ASTRONOMIA DI SULPICIO
Sopra ogni cosa Gaio Sulpicio venne ricordato dalle fonti per i suoi interessi astronomici. Si racconta che alla vigilia della battaglia di Pidna abbia predetto un’eclissi lunare, evitando che le truppe fossero intimorite dal fenomeno.
Sulpicio Gallo preannuncia l'imminente eclissi di luna:
(Tacito - Tito Livio) "Caius Sulpicius Gallus, tribunus militum secundae legionis, qui praetor superiore anno fuerat, consulis permissu ad contionem militibus vocatis, ..."
"Caio Sulpicio Gallo, tribuno dei soldati della II legione, che era stato l'anno prima pretore, con il permesso del console, chiamati i soldati a parlamento, annunciò loro che la notte seguente, perchè qualcuno non lo prendesse come un prodigio, dall'ora II fino alla IV la luna si sarebbe oscurata; questo poichè accadeva per l'ordine naturale ed in certi tempi definiti, lo si poteva sapere e predire in anticipo.
E così, come ad esempio nessuno si meraviglia che la luna splenda ora con un disco pieno, ora invecchiando con un corno sottile, conoscendosi con certezza il sorgere e il tramontare del sole e della luna, così non dovevano ritenere un prodigio che essa si oscurasse immergendosi nell'ombra della terra.
La notte che precedette le none di settembre, all'ora indicata, quando la luna si oscurò, parve ai romani quasi divina la scienza di Gaio Gallo, colpì invece i Macedoni, come tristo prodigio che indicava la caduta del regno e la rovina. Si ebbero grida ed urla nei campi dei Macedoni, fino a quando la luna non riprese il suo chiarore."
Secondo la testimonianza di Plinio aveva anche scritto un libro sull’argomento delle eclissi e si era occupato delle dottrine astronomiche pitagoriche.
RICOSTRUZIONE PLANETARIO ANTIKYTHERA |
IL PLANETARIO DI ARCHIMEDE
Nel 166 a.c. ebbe l’occasione di esaminare il planetario di Archimede, mostratogli dal suo collega di consolato Marco Claudio Marcello. Questi, nipote del Marco Claudio Marcello conquistatore di Siracusa, lo aveva infatti ereditato dal nonno, che l’aveva portato a Roma come bottino di guerra.
Informazioni su quest'oggetto sono fornite da Cicerone, il quale scrive che nell'anno 212 a.c., quando Siracusa fu saccheggiata dalle truppe romane, il console Marco Claudio Marcello portò a Roma un apparecchio costruito da Archimede che riproduceva la volta del cielo su una sfera e un altro che prediceva il moto apparente del sole, della luna e dei pianeti, equivalente quindi a un moderno planetario.
Le notizie più attendibili sullo strumento progettato da Archimede le dobbiamo a questo console romano. Egli ne lasciò infatti una descrizione che è in parte riferita da Cicerone a proposito della Sapienza, nel De re publica:
"tutta la cura che si porrà nello studio delle cose oneste e degne di essere apprese, sarà giustamente lodata. Così nell'astronomia fece Gaio Sulpicio, per quanto ho sentito dire, e nella geometria Sesto Pompeo, che io stesso conobbi, e molti nella dialettica e più ancora nel diritto civile; le quali arti tutte hanno di mira la ricerca del vero.."
Del famoso planetario di Archimede si persero le tracce negli anni successivi.
Cato Maior " De Senectute": "Vedevamo Gaio Gallo, amico di tuo padre, Scipione, struggersi nello sforzo di misurare quasi il cielo e la terra. Quante volte la luce del giorno lo sorprese a tracciare disegni iniziati di notte, quante volte la notte quando aveva iniziato al mattino! Come gli piaceva predirci con largo anticipo le eclissi di sole e di luna!"
La sua dottrina astronomica fu poi tenuta in gran conto, soprattutto per misurare le distanze tra gli astri e la terra. E' attestata la familiarità di Gaio col padre di Scipione e probabilmente anche col figlio.
Un ingranaggio probabilmente identificabile come appartenuto al planetario di Archimede è stato rinvenuto nel luglio del 2006 a Olbia. Secondo una ricostruzione il planetario, che sarebbe stato tramandato ai discendenti del conquistatore di Marcello, potrebbe essere andato perso nel sottosuolo cittadino di Olbia (probabile scalo del viaggio) prima del naufragio della nave che trasportava Marco Claudio Marcello (console 166 a.c.) in Numidia.
Cicerone scrisse che già il filosofo Posidonio aveva realizzato un globo che mostrava i moti del Sole, delle stelle e dei pianeti come appaiono in cielo. E che pure Archimede aveva concepito un modello che imitava i movimenti dei corpi celesti.
Una recente analisi, basata su scansioni ai raggi-X del meccanismo, fatta da Michael Wright, curatore dell Istituto di Ingegneria meccanica al Museo delle Scienza di Londra, ha portato all'individuazione dell'esatta posizione di ogni ingranaggio.
Wright ha trovato prove che il meccanismo di Antikythera sarebbe stato in grado di riprodurre accuratamente il moto del sole e della luna, usando un modello epiciclico elaborato da Ipparco, e dei pianeti Mercurio e Venere, usando un modello epiciclico elaborato da Apollonio di Perga. Ha inoltre dichiarato che il meccanismo deve essere stato costruito mediante l'ausilio di antichi attrezzi, anche se la realizzazione di una ruota metallica dentata implica l'utilizzo di lame sofisticate ed un altissima abilità. In suo onore un cratere lunare porta il suo nome.
http://www.filosofiscienza.it/pdf/mathesis12.pdf
Da Olbia un frammento del planetario di Archimede
di GIOVANNI PASTORE
"Nel luglio del 2006, durante uno scavo d’emergenza nella piazza del Mercato civico nell’abitato di Olbia, fu raccolto un frammento di una ruota dentata con denti che parvero allora di profilo triangolare. Dopo lunghi e approfonditi studi, sono emerse tre novità principali: il frammento risale alla fine del III o
inizio del II secolo a.c.; il profilo dei piccoli denti è risultato curvo, non triangolare; il materiale di cui è composto non è bronzo ma ottone.
PLANETARIO ANTIKYTHERA |
Attualmente è il più antico ingranaggio della storia e non stupisce, quindi, che stia suscitando un grandissimo interesse nella comunità scientifica internazionale.
Dopo il ritrovamento Calcolatore di Antikythera, avvenuto nel 1902, per cinquant’anni non si è capito cosa fosse. Nel 1951 Derek John De Solla Price (1922-1983) cominciò, per la prima volta, a studiare il meccanismo nei dettagli anche con radiografie ai raggi gamma e, dopo circa 20 anni di ricerche, riuscì a capire come funzionava definendolo un calcolatore astronomico, cioè un planetario meccanico, il più antico calcolatore analogico conosciuto della storia. Aveva la funzione di riprodurre le fasi lunari e il moto del Sole e della Luna fra le costellazioni dello zodiaco.
Questo planetario è menzionato anche da Ovidio (I sec. a.c.) nei Fasti (VI, 263-283), da Lattanzio (IV sec. d.c.) nelle Divinae institutiones (II, 5, 18) e in un epigramma di Claudiano (IV sec. dc.)
intitolato In sphaeram Archimedis. In particolare, Claudiano aggiunge che lo strumento era racchiuso in una sfera stellata di vetro.
I planetari meccanici ad ingranaggi, come quello di Antikythera o di Archimede, funzionavano come un calcolatore portatile a programma fisso nel senso che si inserivano i dati, i giri della manovella corrispondenti ai giorni, e la macchina, che era già “programmata nell’hardware” per quegli algoritmi di calcolo, dava direttamente le informazioni attinenti, cioè le posizioni del Sole e della Luna rispetto alle costellazioni (e forse anche le posizioni degli altri pianeti).
I planetari ad ingranaggi, come pure le calcolatrici meccaniche, sono sistemi a logica fissa dove cioè il software, e quindi gli algoritmi di calcolo, è insito nella macchina stessa (hardware). Per modificare tali algoritmi bisogna sostituire le leve e gli ingranaggi. Invece, nei sistemi a logica programmabile, come i moderni planetari elettronici o gli attuali computer, è possibile modificare gli algoritmi di calcolo utilizzati per la simulazione del moto dei corpi celesti modificando solo il software, pur restando inalterato l’hardware.
Nel planetario di Antikythera il moto del Sole e della Luna è rappresentato da due lancette che ruotano a differenti velocità sul quadrante anteriore su cui sono riportate le costellazioni dello zodiaco. Purtroppo non è rimasta alcuna descrizione dettagliata dei meccanismi che animavano il planetario di Archimede in quanto la sua opera Sulla costruzione della Sfera, in cui descriveva i principi seguiti nella costruzione, è andata perduta. Notizie dell’esistenza di quest’opera ci pervengono da Pappo.
RICOSTRUZIONE DEL PLANETARIO ( MUSEO DI SIRACUSA) |
Con grande stupore, invece, dal restauro è emersa una evidenza inaspettata e ben più importante: il profilo dei denti dell’ingranaggio non è risultato triangolare, ma curvo, e per di più straordinariamente simile, nella forma e nelle dimensioni, a quello dei denti degli ingranaggi moderni.
La perfezione dell’ingranamento, senza giochi eccessivi e interferenze, si raggiunge negli ingranaggi moderni il cui profilo coniugato è il risultato di studi matematici accurati e profondi.
I denti triangolari degli ingranaggi come quelli del Calcolatore di Antikythera. e dell’astrolabio bizantino, invece, permettono ugualmente l’ingranamento, ma in modo molto grossolano per l’eccessivo gioco fra i denti in presa e per problemi di interferenza, che provocano impuntamenti nella rotazione.
Al computer è stato ricostruito il profilo della corona dentata del reperto e a questo sono stati sovrapposti, comparativamente, sia il profilo triangolare di una identica ruota e sia il profilo moderno di una analoga ruota dentata avente gli stessi elementi caratteristici (modulo, numero dei denti, diametro primitivo).
Il reperto di Olbia presenta anche un dente rotto con inizio rottura a metà altezza, proprio dove comincia ad essere rilevante la sollecitazione di flessione, prova inconfutabile che l’ingranaggio faceva parte di un meccanismo che ha lavorato. Recentemente è stata eseguita l’analisi chimica spettrografica del materiale ed è emersa un’altra sorpresa inattesa.
Il frammento metallico che si pensava fosse bronzo, una lega di rame e stagno molto diffusa e utilizzata nell’antichità, così come quello degli ingranaggi di Antikythera o degli altri meccanismi antichi, è risultato invece ottone, una lega di rame e zinco.
L’ottone era molto più prezioso del bronzo, ma più appropriato per la costruzione di organi molto sollecitati come le ruote dentate, per le sue migliori proprietà meccaniche e tecnologiche, così come infatti è avvenuto per la costruzione della maggior parte degli strumenti scientifici fin dal tardo Medioevo.
Il reperto evidenzia anche una straordinaria precisione costruttiva, nonostante sia stato realizzato manualmente in un mondo in cui la tecnologia meccanica era di livello molto basso rispetto a quello attuale, e comunque insufficiente per un meccanismo così complesso cinematicamente, per la mancanza all’epoca di speciali attrezzature, macchine utensili e strumenti di misura, elementi indispensabili per eseguire una corretta lavorazione metalmeccanica.
A questo punto è sorto spontaneo il sospetto che a costruire questo ingranaggio, compreso tutto il meccanismo di cui faceva parte, sia stata una mente geniale, il cui pensiero scientifico, dall’astronomia alla matematica e alla scienza dei materiali, era avanti di secoli, se non addirittura di millenni, rispetto al suo tempo. Dalle fonti al momento disponibili, un uomo che corrispondeva a questa descrizione era Archimede di Siracusa, il matematico e inventore più stimato del suo tempo. Data la pregevole fattura del reperto, le piccole dimensioni e tutte le conoscenze scientifiche che la sua realizzazione presuppone, è ovvio pensare che fosse un frammento del tanto celebrato planetario di Archimede, anche perché il meccanismo o parte di esso non è mai stato ritrovato.
Dal momento che la pertinenza di questi congegni doveva essere fortemente elitaria e che dopo la conquista della Sardegna nel 238 a.c. Roma vi invia merci, milizie e la migliore aristocrazia con funzioni di governo, è facile intuire che gli esponenti in sede locale erano intenti a dispiegare il maggiore apparato possibile di esibizione del rango in termini di mezzi, uomini e beni di prestigio.
In questo quadro è del tutto plausibile individuare in uno di questi aristocratici provenienti da Roma e residente ad Olbia, o anche solo di passaggio da o per le province occidentali, il possessore del dispositivo esibito in loco sfruttandone le capacità previsionali di fenomeni celesti come segno di conoscenza superiore del cosmo, se non proprio di rapporto privilegiato con esso o, se del caso, per prevenire momenti di sbigottimento del popolo per fenomeni astrali ritenuti segno di sciagura.
In un mondo in cui dominava la superstizione e con conoscenze scientifiche molto limitate e solo patrimonio di pochi, per qualunque individuo del mondo antico un congegno del genere avrebbe avuto un valore incalcolabile.
ARCHIMEDE |
Nella stessa direzione va la constatazione che esso fu dismesso in seguito alla cessata funzionalità dovuta all’uso prolungato, e ciò non sarebbe avvenuto se, a Olbia o altrove, da ultimo fosse stato detenuto da chi non lo sapeva usare.
Va perciò presupposto il possesso e l’uso da parte di esperti della materia che, come detto sopra, sono personaggi del vertice della società o studiosi ad essi legati.
Da approfondite ricerche storiche e comparando i dati con le scarse fonti letterarie disponibili risulta che proprio Marco Claudio Marcello, nipote dell’omonimo generale romano conquistatore di Siracusa, è stato l’ultimo possessore conosciuto del Planetario di Archimede.
Mostrato con orgoglio dal possessore e motivo di vanto tale che la famiglia, nella figura dell’omonimo nipote di Marcello, lo detiene ancora funzionante nel 166 a.c., secondo quanto scritto da Cicerone che fa riferimento all’opera, ora perduta, di Gaio Sulpicio Gallo che aveva potuto osservarlo grazie alla cortesia del suo collega di consolato. È noto che Marco Claudio Marcello, nipote dell’omonimo generale, è stato inviato da Roma in Spagna nel 152 ac. e in Numidia nel 148 a.c., dove, nel viaggio di andata, naufragò.
È evidente che in tali occasioni sicuramente avrà fatto scalo ad Olbia, e non avrebbe potuto non portare con sé il Planetario di Archimede da ostentare quale status symbol del potere personale oltre che familiare e, più in generale, dell’intera Roma.
Il planetario sicuramente poteva essere utilizzato anche per prevedere le eclissi e così impressionare e intimorire i nemici, o per rassicurare i soldati romani che gli eventi imminenti non erano nefasti, come fece per esempio Gaio Sulpicio Gallo che previde un’eclissi lunare alla vigilia della battaglia di Pidna, ed evitò che le truppe romane fossero intimorite dal fenomeno. A questo proposito, visto che il console Gaio Sulpicio Gallo è proprio l’autore dell’opera citata da Cicerone, è quanto meno molto probabile che la sua previsione di eclisse fosse basata sui dati ottenuti direttamente tramite il planetario in possesso di Marcello.
Alla luce dello scenario ipotizzato e considerata la perfetta concordanza tra le evidenze scientifiche e le risultanze storiche, letterarie e archeologiche, non sembra per nulla azzardato concludere che quel frammento che sinora abbiamo affermato far parte di un ipotetico Calcolatore di Olbia fosse invece parte integrante del Planetario di Archimede. Evidentemente il Planetario, in occasione di uno scalo ad Olbia, forse durante una esibizione in onore delle autorità locali, ha subito danni irreparabili ed è finito così, in tutto o in parte, nel sottosuolo cittadino.
Tale evento ha dato un notevole contributo alla conoscenza del genio di quello che possiamo considerare il più grande scienziato del periodo ellenistico. Ci permette, inoltre, di comprendere ancor più il motivo che avrebbe indotto Marcello, comandante dell’esercito romano durante l’assedio di Siracusa, ad ordinare ai suoi soldati di salvare la vita dell’illustre scienziato siracusano, probabilmente affinché anche Roma potesse usufruire dei servizi di cotanto genio. Con la sua morte gran parte della sua sapienza è andata perduta per sempre.
I Pitagorici, infatti, tranne alcuni (come proprio Archimede, anche se molte delle sue opere sono andate perdute), tramandavano solo oralmente le loro conoscenze e solo a pochi iniziati e ciò ha portato alla perdita di gran parte del loro sapere.
CICERO SCOPRE LA TOMBA DI ARCHIMEDE |
Queste conclusioni servono poi a suffragare quanto da più scrittori sostenuto nelle loro opere letterarie, a partire da Cicerone, circa l’esistenza del Planetario di Archimede e della fama di tale dispositivo ancora dopo molti secoli dalla sua scomparsa, a testimonianza del valore che il mondo romano assegnava alle meraviglie scientifiche prodotte dagli scienziati di origine greca.
Infine, i tanti riferimenti esistenti nella letteratura latina, suffragati dalle risultanze delle nostre ricerche, ci permettono di raccogliere una maggiore evidenza delle forme di esibizione del rango che le élites di Roma adottavano per l’acquisizione di prestigio agli occhi sia dei Romani stessi che dei popoli di recente annessione al nascente impero.
Anche se di piccole dimensioni, il reperto di Olbia è di notevole valore archeologico e scientifico in quanto va a retrodatare di più di un secolo le conoscenze tecnico-scientifico-astronomiche che il Calcolatore astronomico di Antikythera già presupponeva.
Il fatto, poi, che l’Ingranaggio di Olbia risulta essere, come già detto, ancora più evoluto rispetto a quello di Antikythera, apre una luce nuova e inattesa. In particolare si evidenzia la grande levatura scientifica dello scienziato siracusano. La rivoluzione iniziata da Archimede in matematica e geometria indubbiamente è stata necessaria per quelli che, successivamente, hanno inventato il Calcolatore di Antikythera. La sua morte segnò l’inizio di un rapido declino delle grandi invenzioni e della scienza d’età ellenistica.
Probabilmente altre apparecchiature del genere sono state prodotte e sono andate, forse definitivamente, perdute, in particolare nell’incendio della Biblioteca di Alessandria (e non solo), o sono ancora nascoste nel sottosuolo o in fondo al mare oppure, cosa ancora più frustrante, giacciono in qualche deposito museale perché non riconosciute.
Se un gruppo di pescatori di spugne non si fosse imbattuto nel relitto della nave di Antikythera circa un secolo fa, quel calcolatore sarebbe ancora in fondo al mare a disintegrarsi lentamente per la corrosione, ma, una volta ripescato, se il meccanismo non avesse “trovato” un archeologo che era anche un fisico, quale il De Solla Price, tacerebbe ancora anonimo in un deposito del museo di Atene.
Così pure se un avveduto archeologo, come Rubens D’Oriano, non avesse dato la giusta importanza ad un apparentemente insignificante e ossidato frammento metallico, non avremmo potuto conoscere quanto questo studio ci ha rivelato.
BIBLIO
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - XLIII - XLVI - (epitome) -
- Polibio - Storie - XXXI - 1 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia - II -
- Cicerone - De amicitia -
- Cicerone - De re publica - I -
- Cicerone - Tusculanae disputationes -
- Cato Maior - De senectute -
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