Nome Latino: Marcus Valerius Martialis
Nascita: 40 d.c. ad Augusta Bilbilis (Spagna)
Morte: 104 d.c. ad Augusta Bilbilis (Spagna)
Personaggio: Scrittore, poeta
"La fortuna dà troppo a molti, ma abbastanza a nessuno". (Marziale)
Di lui scrisse Gaio Plinio Cecilio Secondo:
"Era un uomo ingegnoso, acuto e pungente, che aveva nello scrivere moltissimo di sale e di fiele e non meno di sincerità."
LE ORIGINI
Marco Valerio Marziale, M. Valerius Martialis, nacque ad Augusta Bilbilis (Calatayud), nella Spagna Tarragonese, nel 40 d.c., da famiglia benestante che gli consentì ampi studi. Morì nello stesso paese natio nel 104 d.c., all'età di 64 anni. Le notizie biografiche su Marziale provengono principalmente dai suoi numerosi cenni autobiografici.
Ebbe la sua prima educazione a Tarragona, sotto la guida di grammatici e retori e praticò anche diversi sport, ma era tentato dalla vita variegata e fantastica dell'Urbe per cui a 24 anni, nel 64 d.c., lasciò la famiglia e la tranquilla vita di provincia per recarsi a: Roma.
LA VITA
Marziale aveva un animo piuttosto schivo, era consapevole del proprio valore come scrittore, ma sapeva altresì di non essere bravo ad accattivarsi gli animi. Attribuiva ciò alla sua incapacità di adulazione, ma in realtà, più o meno come Giovenale, era piuttosto caustico nei rapporti.
Nel 65 dunque dovette frequentare altri circoli ma senza entrare nelle grazie di alcuno, per cui campava alla meglio, rimediando inviti a pranzo e a cena tenendo allegri i commensali con la lettura dei propri epigrammi. Cambiò due volte abitazione, la seconda volta come proprietario sempre nella zona del Quirinale. Rodolfo Lanciani riferisce che abitasse accanto al Tempio della Salute, ma ha dei dubbi che potesse essere di sua proprietà:
"Un altro uomo illustre viveva vicino al Tempio della Salute, Valerius Marziale l'epigrammista. Egli dice chiaramente così nel suo "Epigrammi" (x 58;.. Xi 1). La casa è stata la sua, o vi è stato fatto abitare in esso come un inquilino o un ospite? Credo che lui era l'ospite del suo ricco connazionale G. Valerio Vegetus, console nel 91, la cui residenza cittadina occupava la metà del luogo dell'attuale edificio del Ministero della Guerra, in Via Venti Settembre.
La residenza è stata esplorata per tre volte, almeno; la prima nel 1641, la seconda nel 1776, l'ultima nell'autunno del 1884. A giudicare da questa ultima esplorazione, che è stato condotta in mia presenza, e descritta dal mio compianto amico Capannari nel "Bullettino Comunale" del 1885, il palazzo di Valerio Vegetus deve essere stato costruito e decorato su grande scala. Marziale, come tutti i poeti, se non addirittura in difficoltà finanziarie, non è mai stato un uomo ricco, e tanto meno il proprietario di una residenza privata in una strada e un quartiere in cui la terra da sola rappresentava una fortuna."
Dovette adattarsi a svolgere la professione del cliens, cliente, soprattutto trovandosi a Roma senza mezzi sotto l’impero di Vespasiano, poi di Tito e Domiziano. Marziale dovette adattarsi a svolgere anche il compito di poeta di corte.
Verso l'80, in occasione dell'inaugurazione dell'Anfiteatro flavio, Marziale pubblicò il primo libro di epigrammi: Liber de spectaculis (sugli spettacoli del Colosseo) che gli procurò delle lodi. Grazie a questo ebbe dall'imperatore Tito lo ius trium liberorum, che comportava una serie di privilegi per i cittadini che avessero almeno tre figli, nonostante il poeta non fosse nemmeno sposato. Il successore di Tito, Domiziano, confermò i privilegi concessi dal fratello.
Il poeta abitò sul Quirinale, in località “ad Pirum” vicino ad una fontana d’acqua Marcia, di cui chiese, in parte, l’uso a Domiziano (81-96). La sua dimora era al terzo piano, come lui dice: “et scalis habito tribus, sed altis, ecc.”. Suo padrone di casa Quinto Valerio Vegeto (console nel 91) e l’ubicazione dell’edificio vicino al vicus “Pili Tiburtini”, il tempio di Quirino e la domus Flaviorum, cioè circa l’attuale palazzo del Drago, alle Quattro Fontane.
L’opera celebra assieme al Colosseo anche tutti i monumenti dell’antichità, come le piramidi, i palazzi di Babilonia, ma nessuno di essi poteva competere con il Colosseo. Nei confronti dell’imperatore ebbe un atteggiamento da cortigiano e in cambio ottenne il titolo di tribuno militum che gli permise di iscriversi all’albo dei cavalieri.
Nell' 84, gli venne donato un terreno agricolo nei pressi di Nomentum (Mentana prov. Roma) dove si recava nei periodi primaverili e estivi per respirare aria di campagna. Non se ne mostrò molto grato visto l'epigramma che scrisse per l'occasione, dicendo all'amico che aveva capito male: non voleva un terreno ma un torrone.
Verso l'anno 84 o 85 comparvero altri due libri di epigrammi: "Xenia" (doni per gli ospiti) e Apophoreta (doni da portar via alla fine del banchetto), composti esclusivamente di monodistici. L'accoglienza dei libri deluse le aspettative del poeta che nell'87 fece un viaggio in Emilias e si ritirò per alcuni mesi a Forum Cornelii (Imola), ospite di un potente amico. Lì pubblicò il suo terzo libro ma poi lo riprese la nostalgia dei salotti di Roma, e vi fece ritorno.
Scrittore intelligente, satirico, pungente, ironico, sottile, adulatore per convenienza, invidioso, nemico delle donne, impietoso con i difetti fisici, infermità comprese, non trovò un altro valido mecenate e per 34 anni contattò e sollecitò le persone che contavano a Roma, sostenendosi con gli introiti delle vendite dei suoi scritti e con elargizioni mai di grande valore.
Negli ultimi anni di permanenza a Roma, poteva permettersi la presenza nella propria casa di qualche schiavo, di un mulo ed anche di un segretario, vivendo, a suo dire, in un modo faticoso e travagliato. I suoi sogni di fama e ricchezza non si realizzarono mai. Egli non si sposò né ebbe figli.
Visse a Roma sino al 98 d.c., poi, probabilmente conscio di non avere più futuro, tornò in Spagna nel suo paese natio. Tra il 90 e il 102, quindi parte a Roma e parte in Spagna, pubblicò complessivamente altri otto libri di epigrammi.
A Bilbilis una ricca vedova di nome Marcella, ammirata dall'arte del poeta, gli addolcì gli ultimi anni della vita, facendolo vivere agiatamente col dono di una casa e di un podere. Evidentemente la famiglia che gli aveva potuto elargire studi raffinati, aveva nel frattempo prosciugato ogni bene, altrimenti il poeta non avrebbe avuto bisogno dell'aiuto della vedova.
Marziale morì a circa 64 anni a Bilbilis come attesta una lettera dell'anno 104, inviata da Plinio il Giovane a Cornelio Prisco, nella quale il mittente dà un giudizio sul poeta spagnolo, che gli aveva indirizzato alcuni epigrammi di elogio per la sua attività di avvocato.
Ironia della sorte, fu proprio una rappresentante del sesso da lui tanto odiato che gli diede conforto, e senza alcun recondito scopo, negli ultimi anni della sua vita.
Scrisse in complesso 1561 epigrammi, in più in distici elegiaci, poi in endecasillabi ed in giambi.
LO STILE
Si espresse in modo schietto e conciso, ricorrendo a espressioni volgari che all'epoca non erano bandite come fu poi col cristianesimo. Usò l'ambiguità, i giochi di parole, i doppi sensi, la battuta finale ad effetto. I suoi epigrammi erano destinati alla recitazione nelle sale di declamazione, in realtà invasero i banchetti.
Marziale sostenne una poesia profondamente radicata nella quotidianità, nel realismo e nei comportamenti umani, tratta i costumi dei suoi contemporanei con arguzia, senza moralismo e con lo scopo di divertire il lettore, ricorrendo per questo anche a contenuti licenziosi e volgari, ma, come lui stesso dice di sè “Licenziosa è la mia pagina, onesta è la mia vita”. Escluse però gli attacchi personali e i nomi, anche perché Domiziano aveva emesso un editto contro gli scritti diffamatori.
La caratteristica degli epigrammi di Marziale è la concisione e la battuta, che prese in parte da Catullo e i neoteroi, concludendo con una battuta comica e inaspettata.
Non fu però di grande sensibilità, deridendo personaggi deboli o infelici, come le prostitute, gli invertiti, gli impotenti, i poveri, le donne vecchie o brutte, i difetti fisici, le donne infedeli e gli uomini cornuti, i medici che fanno morire i pazienti e i tic.
In molti casi questi epigrammi riflettono la vita del poeta, costretto a vivere da cliens e abituato ad aspettare gli avanzi dei banchetti.
Marziale osserva la superficie della società con occhio disincantato ma pure impietoso, osserva gli sfaccendati che ciondolano tra le terme e il circo, indugia sui contenuti osceni deridendo personaggi di infimo livello, le prostitute, gli invertiti e impotenti oppure sui vizi e difetti dei poveracci, le donne vecchie, oppure è molto crudele e impietoso nei confronti dei difetti fisici, deride la vecchiaia, la miseria, i guerci, le donne infedeli e gli uomini cornuti, i medici che fanno morire i pazienti e i tic.
Marziale cercò di adulare i potenti ma senza grande successo, ricevendo in cambio la sportula, un donativo in cibo o danaro, un piccolo podere in Emilia e un appartamento a Roma. Non volle mai fare la carriera di avvocato, che disprezzava, o che non era in grado di fare.
LE OPERE
Marziale afferma perentoriamente l'epigramma come strumento letterario, di lui ci sono pervenuti infatti dodici libri di epigrammi, preceduti da una prefazione in prosa che spiega la composizione dell'opera, per un totale di 1561 componimenti. Con gli epigrammi egli si occupò di parodia, di satira, di politica e di erotismo. Quelli monotematici sono noti con un nome: nel caso di Xenia e Apophoreta il nome è dato dall'autore stesso che numerò i dodici libri di epigrammi vari.
Liber de spectaculis
Chiamato anche Liber spectaculorum, nell'edizione del filologo Gruterus del 1602, fu pubblicato nell'80 e rappresenta la prima raccolta di epigrammi di cui abbiamo notizie, visto che nessun epigramma giunto fino a noi precede questa data. La raccolta contiene 33 o 36 epigrammi in distici elegiaci che descrivono e magnificano i vari spettacoli offerti al pubblico in occasione dell'inaugurazione del Colosseo ad opera dell'imperatore Tito, figlio di Vespasiano.
Xenia e Apophoreta
Nell'edizione che suddivide i lavori di Marziale in quindici libri, queste due raccolte costituiscono rispettivamente il XIII e XIV libro, secondo l'ordine in cui sono riportati nei manoscritti, anche se ritenuti successivi solo al I libro. Sono composti esclusivamente di epigrammi in distici elegiaci. I titoli, o lemmata, che menzionano l'oggetto descritto di volta in volta furono dati dall'autore stesso. Ci sono epigrammi in cui Marziale rimpiange la sua terra “Vibilis”, la vita della campagna comparata a Roma
I "doni per gli ospiti" (xenia) sono una raccolta di 127 (124 e 3 introduttivi) epigrammi che accompagnavano i doni che ci si scambiava durante i Saturnali, brevi descrizioni di cibi e bevande, leggere e divertenti.
I "doni da portar via" (apophoreta), invece, sono quelli (221 più due introduttivi) che accompagnavano i doni destinati ai commensali alla fine di un convivio. Questi doni venivano sorteggiati tra gli invitati, creando spesso situazioni curiose o comiche, come un pettine assegnato a un calvo, su cui il poeta poteva sbizzarrirsi divertendo i lettori.
Ciò che risalta spesso è la sua insofferenza verso la vita da cliente, e abituato ad aspettare gli avanzi dei banchetti, che vive come una mortificazione in contrasto con le aspirazioni e i sogni della sua vita. Gli altri epigrammi sono di argomento vario e seguono diversi filoni: descrittivi, celebrativi, dedicati alla figura di un atleta, artista, potenti, rievocativi di fatti recenti; ci sono epigrammi di carattere riflessivo in cui Marziale riflette sulla sua filosofia di vita, che
rispecchia quella del giusto mezzo, che Marziale ricerca altrimenti dovrebbe scegliere la miseria.
Ciò che prevale, comunque, è l'aspetto comico-satirico, spesso reso dal fulmen in clausula, la tendenza a concentrare gli elementi comici e pungenti nella chiusa dei componimenti, terminati con una battuta inaspettata. Lo spirito di moltissimi suoi componimenti sta nel finale dell'epigramma, a volte assurdo, rivelatore, iperbolico o rivelatore. Marziale dimostra di riuscire sempre a cogliere la comicità che si annida nelle situazioni reali, specie nei vizi e nei difetti umani.
Rare volte è delicato e lirico, come nella poesia funebre. vedi l'epigramma dedicato a Erotion, una bimba morta a sei anni, per la quale il poeta chiede alla terra di non gravare sul suo piccolo corpo, giacché lei non l'ha fatto su di essa.
Rifiuta invece il genere epico e la tragedia greca, considerandoli troppo lontani dalla realtà quotidiana. Frequente invece la polemica letteraria, spesso usata per difendersi da chi considerava il genere epigrammatico di scarso valore artistico, o che gli rimproveravano di essere aggressivo o osceno. Da non sottovalutare comunque il carattere permaloso e fumino dell'autore.
La lingua da lui usata risulta colloquiale e quotidiana. Il suo costante realismo gli permette però di sviluppare un linguaggio ricco facendo passare nella letteratura molti termini e locuzioni che non avevano mai trovato posto prima. Riesce, infine, a dimostrare grande duttilità nell'alternare frasi eleganti e ricercate a frasi sconce e spesso vernacolari.
BIBLIO
- Marziale tradotto da Enzo Mandruzzato - Torino - Lindau - 2017 -
- Concetto Marchesi - Valerio Marziale - Formiggini - Genova - 1914 -
- Giuseppe Lugli - La Roma di Domiziano nei versi di Marziale e di Stazio - Roma - Istituto di studi Romani - 1961 -
- Marco Valerio Marziale - Epigrammi - a cura di Giuseppe Norcio - Torino - UTET - 2014 -
- Emilio Rodríguez Almeida - Marziale e Roma. Un poeta e la sua città - Aracne - 2014 -
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