Q. F. MASSIMO RULLIANO - MAXIMUS RULLIANUS



Nome Latino: Quintus Fabius Maximus Rullianus o Rullus
Nascita: Roma 350 a.c.
Morte: 290 a.c.
Consolato: 322 a.c., 310 a.c., 308 a.c.,297 a.c., 295 a.c.
Dittatura: 315 a.c.



Quinto Fabio Massimo Rulliano o Rullo, in latino Quintus Fabius Maximus Rullianus o Rullus; (350 - 290 a.c.)  è stato un politico ma soprattutto un generale romano, figlio di Marco Fabio Ambusto, della gens patrizia dei Fabii un'antichissima famiglia patrizia romana, inclusa fra le cento gentes originarie ricordate dallo storico Tito Livio, fu cinque volte console, una volta dittatore e un eroe delle guerre sannitiche.

Sappiamo dove nacque, anche se gli annali non lo riportano, perchè la gens Fabia, che aveva come ramo più illustre quello dei Fabii Massimi, presero il cognomen dall'Ara Massima di Ercole, presso la quale avevano la propria ricca domus  (presso la basilica di Santa Maria in Cosmedin) e pertanto a Roma.

Suo figlio fu Quinto Fabio Massimo Gurgite e un suo discendente Quinto Fabio Massimo Cunctator (il Temporeggiatore), ai tempi della seconda guerra punica. La fonte principale per la sua biografia è lo storico Tito Livio, che a sua volta aveva rielaborato gli annali di Fabio Pittore.
Quinto Fabio era figlio di Marco Fabio Ambusto, della gens patrizia dei Fabii, il grande eroe delle guerre sannitiche.



325 a.c. - LA VITTORIA INCRIMINATA

Nel 331 a.c. la tradizione lo vuole edile curule, incarico premio per aver scoperto un grande complotto di matrone avvelenatrici, aneddoto poco degno di fede e ricalcato sul più tardo processo per i Baccanali.

Viene invece citato per la prima volta come magister equitum del dittatore Lucio Papirio Cursore nel 325 a.c., quindi comandante della cavalleria e luogotenente del dittatore, quando ottenne una vittoria contro i Sanniti a Imbrinium macchiata da grande ignominia, avendo ignorato gli ordini del suo generale il dittatore Lucio Papirio che, fortemente contrariato, chiese al Senato di punire Fabio con la pena prevista: la morte.

"Combattendo già i Romani da lungo tempo contro i Sanniti con esito incerto, il dittatore Papirio tornò a Roma per chiedere gli auspici e ordinò a Fabio Massimo Rolliano, maestro della cavalleria, di tenere la posizione e di non venire alle mani con il nemico, mentre lui era assente. Quinto Fabio, dopo la partenza del dittatore, per mezzo degli esploratori scoprì che l'accampamento nemico era senza difensori, come se nel Sannio non ci fosse nessun romano. 

Allora Fabio, pensando gli fosse stata offerta dalla sorte un'occasione opportuna affinchè facesse impeto con i nemici, e ottenesse insieme con la vittoria una grande lode come guerriero, mosse l'esercito verso Imbrinium, si scontrò con i Sanniti e li sconfisse. Infatti i cavalieri romani, avendo tentato invano di sbaragliare l'esercito nemico, su consiglio del tribuno militare Lucio Commino, tolsero i freni ai cavalli e li incitarono coi calcagni a tal punto che non potessero essere trattenuti da nessuna forza. 

I cavalli gettati senza freni contro i nemici, fecero strage in lungo e in largo; i fanti, seguendo l'impeto dei cavalieri, dispersero i nemici atterriti. Tramandano che in quel giorno vennero uccisi 20000 nemici"

(Tito Livio libro VII)

PUBLIO DECIO MURE

IL FATTO

Siamo nella II Guerra Sannitica, contro uno dei più forti e feroci nemici romani, i terribili e crudeli Sanniti, quelli che di lì a pochi anni avrebbero umiliato i romani nella battaglia delle Forche Caudine.
Fabio Massimo aveva agito contro l'autorità del dittatore Lucio Papirio Cursore, che, partendo per Roma, gli aveva ordinato di non attaccare il nemico in sua assenza. Era un atto di insubordinazione punibile con la morte e Fabio lo sapeva bene.

C'era il terribile esempio di Manlio e di Lucio Bruto che avevano fatto uccidere i propri figli per lo stesso motivo, onde mantenere a Roma una disciplina esemplare per tutti subalterni militari. Cosa aveva spinto dunque Fabio Massimo a rischiare la morte? Riflettiamo, Quinto Fabio Massimo è della gens dei Fabii, quella stessa gens che si offrì di abbattere la potenza di Veio ostile a Roma con la propria gens e i propri mezzi.



I FABII

Dunque i Fabii si riunirono il giorno successivo, erano "trecentosei uomini, tutti patrizi, tutti membri di un'unica famiglia". Partirono osannati dall'intera popolazione, il console li guidò verso le mura, uscirono dalla città attraverso l'arcata destra della Porta Carmentale (dall'esito della spedizione questa arcata verrà chiamata Porta Scelerata). Non ne tornò uno, tutti periti in un'imboscata.

Roma non aveva mai dimenticato quel sacrificio e i pochi Fabii scampati avevano ben impresso quel sacrificio nella mente dei figli, che sapessero di quale fulgido eroismo risplendessero agli cchi dell'intera Roma i nobili Fabii.

Ora Quinto Fabio aveva molto chiaro ciò che la sua gens si aspettava da lui, anche perchè era la stessa cosa che lui aspettava da se stesso: la fama, la gloria, l'eroismo e il sacrificio se necessario. Per giunta Quinto era un ottimo generale perchè intelligente, coraggioso e ottimo stratega e anche perchè sapeva farsi amare dai suoi sottoposti. Era stato educato alla gloria della sua stirpe e lui non poteva deludere le aspettative nei suoi confronti. Doveva conquistare onore e gloria a qualsiasi costo.

Livio, accusato da alcuni di stare dalla parte dei Fabii, da altri al contrario di essergli ostile, e da altro di confondere il Rulliano col Fabio Massimo il Temporeggiatore, descrive animatamente la scena in cui Papirio, di fronte all'assemblea popolare indetta con la procedura della provocatio, levò le accuse contro Fabio che aveva dalla sua il Senato, i tribuni ed il popolo, entusiasti invece della sua vittoria.



IL PADRE A FAVORE

MARCO FABIO AMBUSTO PER IL FIGLIO RULLIANO

Inoltre anche il padre Marco Fabio Ambusto, anche lui uomo autorevolissimo che era stato tre volte console e dittatore, perorò appassionatamente la causa del figlio, ma l'esito era incerto, perchè perdonare la disobbedienza metteva in pericolo tutta l'organizzazione e la gerarchia dell'esercito romano, con gravissimi pericoli per Roma.

Inoltre Roma si vantava dei severi precedenti di Manlio e di Lucio Bruto che avevano giustiziato i propri figli per salvaguardare il pubblico interesse, un vanto che a noi fa rabbrividire. Da notare che Lucio Papirio Cursore, cinque volte console e due volte dittatore, fu considerato il migliore generale romano all'epoca della seconda guerra sannitica.

Marco Fabio Ambusto, riconosciuto dunque come romano di grandissimo valore, era anche un buon padre (al contrario di Manlio e Lucio Bruto) e, consapevole della stima che i romani avevano della sua gens, nonchè della gioia che aveva sollevato la vittoria sui temuti sanniti, chiese all'assemblea popolare di domandare la grazia per il suo figliolo.

C'erano due grandi ostacoli però, uno era il pericolo di un'indulgenza su un caso di insubordinazione verso il dictator, espressione del potere assoluto in caso di emergenza. L'altro era che il dictator non aveva l'obbligo di accogliere la richiesta di grazia del popolo, infatti i suoi littori avevano sempre i fasci con la scure sempre alzati anche nel pomerio.



LA FUGA A ROMA


Infatti, consapevole di aver disobbedito agli ordini del dittatore, e temendone la punizione, Fabio aveva chiesto la protezione dell'esercito, cosa che si verificò, quando il dittatore, tornato al campo militare, lo accusò per il suo comportamento. Papirio non potè farlo uccidere dai suoi soldati che si rifiutarono chiedendo per lui il processo, però lo segregò come suo prigioniero e stavolta i soldati non potevano opporsi.

La situazione era pericolosa, Papirio era livido di rabbia per quel giovane che gli aveva arbitrariamente soffiato la gloria di un vittoria e magari pure un trionfo che spettava solo a lui, tanto più che l'altro era tanto più stimato e amato di lui, sia dal popolo che dai soldati. Fabio allora era fuggito dall'accampamento (sicuramente con la complicità dei soldati che finsero di non vedere) e corse a Roma, per ottenere protezione dal Senato. ma anche il dittatore tornò a Roma per ottenere la terribile punizione dei soldati sediziosi, la bastonatura a morte.

Lucio Papirio chiese al Senato di punire Fabio per disobbedienza agli ordini, e ripeté la richiesta anche davanti all'assemblea popolare, invocata dal padre di Fabio con la procedura della provocatio.
Soprattutto dopo l'appassionata perorazione di Marco Ambusto in favore del figlio, si capì che il Senato, i tribuni ed il popolo stavano tutti dalla parte di Fabio.



IL POPOLO ROMANO

Papirio avrebbe volentieri annientato il giovane Fabio, e se ne sarebbe infischiato dei senatori e dei tribuni, perchè la legge era dalla sua parte, ma c'era una cosa che non poteva ignorare: il popolo romano. Questo popolo era abituato a far valere non solo i suoi diritti ma pure i suoi desideri. Si poteva litigare con tutti ma non con il popolo, perchè ci voleva davvero poco perchè questo scendesse in piazza a dire la sua, e un milione di persone che scendono in piazza faceva paura a tutti.

Già Papirio aveva fatto strappare l'uniforme al giovane e già aveva fatto brandire i bastoni, quando Fabio si gettò ai piedi del dittatore e ne chiese il perdono, appoggiato dai tribuni, dal Senato e soprattutto dal popolo. Così Papirio, deciso a ignorare i soldati e pure il senato, non poteva ignorare il popolo romano, e a dispetto del suo diritto a non ottemperare la provocatio, dovette concedere la grazia facendo buon viso a cattivo gioco, così "ab torto collo" replicò:

"Sta bene, o Quiriti: ha vinto la disciplina militare, ha vinto la maestà del comando supremo (imperium), che avevano rischiato di perire in questa odierna giornata. Quinto Fabio, che ha combattuto contro gli ordini del comandante in capo, non viene assolto dal suo reato ma condannato per il crimine commesso, viene graziato per riguardo al popolo romano e alla potestà tribunizia, che ha elevato suppliche in suo favore, e non per intercessione legale. 

Vivi, Quinto Fabio, fortunato più per il consenso unanime della città nel proteggerti che per la vittoria di cui poco fa esultavi; vivi, malgrado hai osato compiere un'azione che neppure il padre  ti avrebbe perdonata, se si fosse trovato al posto di Lucio Papirio. Con me potrai riconciliarti, se vorrai. Al popolo romano cui devi la vita, miglior ringraziamento sarà che tu tragga chiaro insegnamento da questa giornata che, sia in guerra, sia in pace, tu devi sottometterti alla legittima autorità."

Fabio Massimo non fu un uomo qualsiasi, perchè fu eletto console ben cinque volte (322, 310, 307, 297 e 295 a.c.).



322 a.c. - I CONSOLATO

- Fabio Massimo non perse certo il consenso presso il popolo, tanto che venne eletto console, solo tre anni dopo, nel 322 a.c., con Lucio Fulvio Corvo. Durante il suo consolato fu nominato dittatore Aulo Cornelio Cosso Arvina, per condurre la campagna contro i Sanniti.

I Sanniti vennero sconfitti, (vittoria de Samnitibus et Apuleis), Tito Livio riporta però che la vittoriosa battaglia, secondo gli autori più accreditati, fu condotta da Fabio Massimo, e non da Aulo Cornelio Cosso Arvina, eletto dittatore in funzione dei giochi romani, conclusi i quali, si dimise.

Ma Fabio Massimo non era ancora soddisfatto. Consapevole delle sue grandi capacità di condottiero era ansioso di far conoscere il suo valore e di essere degno dei suoi gloriosi avi.

Quinto Fabio compare poi in un momento di estremo pericolo, visto che i Sanniti, invasa la Campania, mostrarono di voler marciare su Roma, per cui mosse guerra contro di loro, assediando con successo Saticula e poi combattendo, ma subendo una sconfitta, a Lautulae, presso Terracina. dove perì il magister equitum Quinto Aulio Cerretano. Evidentemente la sconfitta non gli venne imputata, e forse fu pagata cara anche dai Sanniti, visto che poi non oltrepassarono Terracina.



315 a.c. - IL DICTATOR 

Roma era ancora con lui e il popolo lo adorava, così finalmente venne nominato dittatore nel 315 a.c., e mosse contro i Sanniti a vendicare la vergognosa onta delle Forche Caudine. Cinse d'assedio Saticula, l'antica città facente parte della Confederazione delle città sannite, e la distrusse completamente per ritorsione e vendetta contro i Sanniti che avevano umiliato i soldati romani alle Forche Caudine sei anni prima.

Ma le battaglie non erano finite, la II guerra fra Romani e Sanniti imperversava in Campania e nel Sannio senza che nessuna dei combattenti riuscisse a ottenere una chiara supremazia. Le legioni romane avevano riconquistato Saticola, che in seguito alle Forche Caudine si era consegnata ai Sanniti, ma questi avevano espugnato Plistica, precedentemente presa dai Romani, e avevano convinto Sora a trucidare i coloni romani che vi vivevano.

Una nuova onta che doveva essere vendicata col sangue. Intanto i Sanniti arruolarono nell'esercito ogni uomo in età di combattere; era la guerra. I Romani, in tempo di grande pericolo nominavano un dittatore, e chiamarono Quinto Fabio Massimo Rulliano, che si fece affiancare come maestro della cavalleria da Quinto Aulio Cerretano.

Fabio il dictator, spostò le legioni romane dall'Apulia e dal Sannio verso Sora, che aveva aperto le porte ai Sanniti, per punire gli abitanti dell'eccidio dei romani e riportare la colonia sotto il dominio di Roma. Ma gli esploratori romani si accorsero che anche i Sanniti si stavano dirigendo verso Sora, e Fabio Massimo deviò immediatamente per ingaggiare la battaglia prima che i nemici riuscissero a chiudersi entro le mura.

Sebbene Diodoro Siculo affermi che la battaglia fu una sconfitta per i Romani, Livio invece asserisce che:
« La battaglia si combatté a Lautula, ma con esito dubbio; non stragi, non fuga di una delle due parti, ma la notte li interruppe, incerti se fossero vinti o vincitori. Ho trovato tra alcuni che la battaglia fu contraria ai Romani, e che in essa fosse morto Q. Aulio. »

Se vittoria era stata, aveva richiesto molto sangue e per giunta era a rischio la fedeltà a Roma delle popolazioni vicine;
« Quando avvennero i combattimenti presso Lautula, l'avvicinarsi dei Sanniti aveva provocato un fermento generale, si erano formate congiure in vari punti della Campania, ed anche a Capua non andò esente dall'accusa. »



310 a.c. - II  CONSOLATO

Ma non doveva essere andata così male perchè Fabio Massimo nel 310 a.c. venne eletto dai romani console per la seconda volta, con Gaio Marcio Rutilo Censorino. A Fabio toccò la campagna militare contro gli Etruschi, che assediavano la colonia latina di Sutrium, mentre a Gaio Marcio quella contro i Sanniti.

Mentre portava soccorso a Sutri, assediata dagli Etruschi, e si trovava sulle pendici dei monti Cimini, Fabio si imbatté d'improvviso in un esercito etrusco, schierato in battaglia, che nessun esploratore era riuscito a vedere.

Prima di combattere Fabio si preoccupò con la consueta astuzia di far raggiungere al suo esercito una posizione favorevole, cttenedo verso la costa e raggiungendo un'altura, da lì sconfisse il nemico: .
« Di lì, quasi disarmati e ridotti a mal partito dalle ferite, (gli Etruschi) si rifugiarono nella selva Ciminia. I Romani, dopo aver massacrato parecchie migliaia di Etruschi e aver loro sottratto trentotto insegne militari, si impadronirono anche dell'accampamento nemico, raccogliendovi un grosso bottino. Fu allora che si iniziò a pensare al modo di dare la caccia al nemico. »

(Tito Livio, Ab urbe condita libri, IX, 35.)

Gli etruschi si erano rifugiati nella Selva Cimina, ma Fabio non voleva combattere in quel luogo, perchè i romani erano abituati a combattere in campo aperto, nella selva non sarebbero valse le loro strategie e le armature sarebbero state di impaccio. Pertanto si procurarono l'alleanza degli Umbri Camerti, esperti in quel tipo di battaglia. Gli altri Umbri però si allearono con gli Etruschi, si che sotto Sutri le forze nemiche erano in stragrande maggioranza.

Ma Fabio non si perse d'animo. Era ancora notte quando svegliò silenziosamente il suo esercito, impartendo ad ogni gruppo un ordine preciso. Aveva già disegnato il campo di battaglia e le mosse dei suoi. Tutti si approntarono in  silenzio e al cenno dei capi si precipitarono negli accampamenti nemici sorprendendoli chi nel sonno chi ciondolante a cercar ordini. L'attacco al nemico fu lanciato mentre c'era ancora una luce molto fioca, all'inizio dell'alba. I romani ebbero la meglio facendo strage di nemici e razziando un ingente bottino.

« Quel giorno furono uccisi o fatti prigionieri 60.000 nemici. »
(Tito Livio, Ab urbe condita)
In seguito alla battaglia, dalle maggiori città Etrusche, vennero richieste di pace, a seguito dell quali, Roma accordò una tregua trentennale.

GUERRIERI SANNITI

PAPIRIO DITTATORE

In quanto al collega Gaio Marcio, sempre nel 310, conquistò la città di Alife (Prov. Caserta in Campania), razziandone poi le campagne. Però i Sanniti, saputo della campagna militare romana sui monti Cimini, contro gli Etruschi, riorganizzarono l'esercito e attaccarono l'esercito consolare romano, che subì pesanti perdite, oltre il ferimento dello stesso console Gaio Marcio.

« Il console li andò ad affrontare, e lo scontro dall'esito incerto che ne seguì fu durissimo. Benché entrambe le parti avessero avuto perdite ugualmente gravi, tuttavia la voce comune attribuì ai Romani la sconfitta, perché avevano perso degli uomini di rango equestre, alcuni tribuni militari, un luogotenente e - ciò che aveva suscitato maggiore scalpore - era rimasto ferito addirittura il console. »
(Tito Livio, Ab urbe condita libri, IX, 38.)

Alla notizia della sconfitta in una battaglia campale contro i Sanniti, in cui era rimasto ferito lo stesso console Gaio Marcio, il Senato volle la nomina a dittatore di Lucio Papirio Cursore, nemico giurato di Quinto Fabio.

Per questo inviarono a Fabio una loro delegazione:
 « Quando gli ambasciatori arrivati al cospetto di Fabio gli ebbero comunicato la decisione del senato, descrivendola con parole all'altezza dell'incarico ricevuto, il console abbassò gli occhi a terra e si allontanò silenzioso dai delegati,che non avevano idea di che decisione avrebbe potuto prendere. Poi, durante la notte, come richiedeva il rituale, nominò dittatore Lucio Papirio. Quando gli inviati lo ringraziarono per aver piegato al meglio la propria disposizione d'animo, Fabio rimase ostinatamente in silenzio, e senza fornire risposta o commenti al suo gesto, licenziò gli inviati, perché fosse chiaro che grande dolore il suo animo stesse soffocando. »
(Tito Livio, Ab urbe condita libri, IX, 38.)

Quindi Fabio generosamente seppur con la morte nel cuore, approvò la scelta senza cui la nomina non avrebbe avuto luogo e Papirio sconfisse i Sanniti nei pressi di Longula.

Ancora nello stesso anno Fabio ha ragione sugli Etruschi nella battaglia del lago Vadimone. le sorti furono altalenanti essendo entrambi gli eserciti molto stanchi, finchè Fabio non ordina alla cavalleria di scendere a terra e soccorrere i fanti delle prime file. La cavalleria esegue e si accorge che il nemico non ha lo stesso ricambio di uomini. incoraggiati da ciò e dai fanti stessi i cavalieri arretrano e risalgono a cavallo per poi caricare le prime fila del nemico.

E' la vittoria. Quinto Fabio incontra per strada gli ambasciatori di Perugia che chiedono la resa, risparmiando il saccheggio della città. Per tutto questo Fabio Massimo Rulliano ottiene il trionfo, e la rielezione a console l'anno successivo.



308 a.c. - III  CONSOLATO

- Console per la terza volta nel 308 a.c., questa volta insieme con quel Publio Decio Mure che gli fu poi collega nella censura e in altri due consolati, conquistò le città di Perusia (Perugia) e Nuceria Alfaterna (Nocera), combattendo in Etruria, nel Sannio e in Campania.

Gli Umbri avanzavano verso Roma per conquistare l'Urbe, mentre l'altro console era impegnato contro gli Etruschi. Il senato allarmato avvertì Fabio affinchè li intercettasse. Immediatamente Fabio abbandonò il Sannio, per dirigersi a Mevania, dove arrivò facendo marciare il proprio esercito a tappe forzate. Massimo Rulliano aveva di nuovo infiammato gli animi, Roma aveva bisogno di loro e loro non l'avrebbero abbandonata.
Al suo arrivo improvviso si seminò il panico, non solo erano distanti da Roma ma erano in pericolo le città Umbre dal generale che ritenevano da false notizie impegnato presso Roma.

Un'unica tra le popolazioni degli Umbri, la Materina, accettò lo scontro con i romani, ma in modo disordinato, mentre i romani davano fiato a tutte le trombe per disorientarli, caricando come una furia scatenata. La maggior parte dei nemici fuggì e venne fatta prigioniera senza quasi combattere. Di conseguenza tutte le popolazioni Umbre si arresero.



307 a.c.PROCONSOLE E CENSORE

Per questa sua vittoria, a Fabio, l'anno successivo, sotto il consolato di Appio Claudio Cieco e Lucio Volumnio Flamma Violente, fu prolungato il comando dell'esercito romano nel Sannio. L'imperium proconsulare maius era un'istituzione che conferiva il potere sulle province, di rango superiore rispetto ai governatori delle province stesse ed esercitato al di fuori del vincolo della collegialità delle magistrature repubblicane, come proconsole, ossia rivestito dopo il consolato. 

Con il comando proconsolare Fabio, nel 307 a.c., affrontò di nuovo i Sanniti ad Alife, sconfiggendoli in battaglia e costringendoli alla resa la città: « All'alba i Sanniti cominciarono a trattare la resa, ottenendo come condizioni che ciascuno di loro fosse liberato e fatto passare sotto il giogo con addosso un solo indumento. »
(Tito Livio, Ab urbe condita)

Venne così vendicata l'onta delle Forche Caudine ma solo i Sanniti ricevettero la punizione, I militari che non erano di origine sannita, cioè circa 7000 vennero fatti prigionieri e venduti come schiavi.
Nel 304 a.c. esercitò la carica di censore.



297 a.c. - IV  CONSOLATO

- Console per la quarta volta nel 297, combatté nell'Umbria riportando presso Sentino una decisiva vittoria sopra i Sanniti, gli Etruschi e i Galli alleati. In questa battaglia, decisiva per la conquista della penisola, morì combattendo il collega di Fabio, il console Decio. Il racconto della battaglia divenne leggenda:

 Fabio Massimo divenne console, per la quarta volta, con Publio Decio Mure, nonostante avesse inizialmente resistito alle proposte che giungevano da più parti:
« Fabio insisteva nel rifiutare, domandando che senso avesse fare delle leggi se poi a violarle per primi erano gli stessi che le proponevano. Ma anche così il popolo iniziò a votare, e ogni centuria convocata all'interno non aveva esitazioni a designare console Fabio. Fu allora che Fabio, vinto infine dal consenso di un'intera città, disse: «Possano gli Dei approvare, Quiriti, quello che fate e che siete sul punto di fare. Ma dato che di me finirete per fare ciò che volete voi, almeno accontentatemi nella nomina del collega: vi prego di nominare console con me Publio Decio, uomo degno di voi e del padre: di lui ho potuto sperimentare le qualità durante un consolato retto in perfetto accordo »
(Tito Livio, Ab urbe condita libri, X, 13.)

CONSOLE ROMANO
Fabio e Decio condussero i loro eserciti nel Sannio, seguendo due direttrici diverse; Fabio passò attraverso il territorio di Sora, Decio attraverso quello dei Sidicini. Fabio giunse allo scontro con i Sanniti nei pressi di Tifernum (Città di Castello).

Lo scontro fu incerto e durissimo fino alla fine, quando inviata parte del suo esercito sulle cime delle colline dietro al nemico, entrambi i contendenti in campo, interpretarono il fatto come l'arrivo dei soldati di Decio.

« Quest'errata interpretazione, un vero vantaggio per i Romani, diventò per i Sanniti motivo di sgomento e incentivo alla fuga: già stremati, avevano il terrore di essere sopraffatti da quell'altro esercito in forze e ancora intatto. Erano fuggiti disordinatamente in varie direzioni, e il massacro che seguì non eguagliò per proporzioni la vittoria. Le vittime tra i nemici furono 3.400, i prigionieri 830, ventitré le insegne conquistate »
(Tito Livio, Ab urbe condita)

Dopo questa battaglia, i due eserciti romani saccheggiarono il Sannio, senza incontrare resistenza, e l'esercito condotto da Fabio conquistò anche la città di Cimetra. Nel 296 a.c., con i poteri proconsolari, mentre i due consoli Lucio Volumnio Flamma Violente ed Appio Claudio Cieco affrontavano un esercito riunito di Sanniti ed Etruschi, Quinto Fabio, prima sedò una sollevazione in Lucania, poi con il Mure, intercettò un esercito sannita, che aveva fatto razzie nel territorio dei Viscini, sconfiggendolo in campo aperto.



295 a.c. - V  CONSOLATO

- Eletto ad acclamazione console per la quinta volta sconfisse una coalizione di Etruschi, Sanniti e Galli nell'epica "battaglia di Sentino", detta anche "Battaglia delle nazioni", coprendosi di gloria e fama. Anche questo  trionfo di Fabio è citato nei Fasti Trionfali "de Samnitibus et Etrusceis Gallies".

Fabio Massimo divenne console, per la quinta volta, nel 295 a.c., con Publio Decio Mure, ma nonostante i due, nelle precedenti occasioni avessero agito concordemente, in quest'occasione vennero in contrasto su chi dovesse condurre le operazioni in Etruria. Alla fine il comando venne affidato a Fabio, dopo aver consultato il Senato e il Popolo romano.

 « Entrarono poi in carica Quinto Fabio (console per la quinta volta) e Publio Decio (per la quarta), che erano già stati colleghi in tre consolati e nella censura, celebri per l'armonia di rapporti più ancora che per la gloria militare, per altro ragguardevole. Ma a impedire che il clima di armonia durasse in perpetuo fu una divergenza di vedute, dovuta - a mio parere - più che a loro stessi alle rispettive classi sociali di provenienza: mentre i patrizi premevano perché a Fabio venisse assegnato il comando in Etruria con un provvedimento straordinario, i plebei spingevano Decio a esigere il sorteggio. »
(Tito Livio, Ab urbe condita)

Roma non è più nella sfera di influenza etrusca ma ancora non è una potenza tale da sopraffare le altre nazioni italiane, eppure ha mire espansionistiche per cui gli altri popoli si alleano per combatterla. In Toscana ci sono gli etruschi, nelle Marche i Piceni, in Umbria gli Umbri, in Abruzzo i Sanniti, mentre nelle marche settentrionali sono scesi i Galli sènoni. Il capo dei sanniti, Gellio Egnazio, fonda tra questi popoli un’alleanza anti romana, si astengono solo i Piceni, invasi dai Galli, che si alleano con i romani.

Mentre inizialmente Mure fu di stanza nel Sannio, gli eventi in Etruria imposero che entrambi gli eserciti romani fossero uniti per affrontare il nemico. Quando gli eserciti si scontrarono presso Sentino, Publio Decio Mure comandava l'ala sinistra dell'esercito romano. Affrontate dai Galli, le sue truppe iniziarono a ritirarsi sotto i loro attacchi. In questa battaglia, che fu decisiva per l'unificazione dell'Italia peninsulare nell'antichità, morì combattendo il collega di Fabio.

L’esercito di etruschi e umbri si raccolse a Camars (Chiusi) mentre quello di celti e sanniti a Sentino, per poter chiudere i romani in una morsa tra nord e nord-est. I romani vennero sconfitti da umbri ed etruschi mentre galli senoni e sanniti facevano arretrare lo schieramento romano, comandato da Publio Decio Mure e Quinto Fabio Massimo Rulliano.

La fine è segnata tanto più che i galli, con i loro carri carichi di arcieri, spingevano i romani contro l'accerchiamento dei sanniti. Allora avvenne il miracolo: Decio Mure recitò la devotio agli Dei e si scagliò nella battaglia trovandovi la morte, i suoi legionari lo seguirono facendo strage dei nemici.
I romani riportarono  8.700 morti, i nemici 25.000 morti e 8.000 vennero fatti prigionieri. La sconfitta fu talmente pesante che la coalizione antiromana non fu mai rifondata. La battaglia, terminò con la vittoria dei Romani e dei loro alleati Piceni. Grande fu il dolore di Fabio che nonostante patrizio aveva stretto col collega una grande e vera amicizia.



LA MORTE

Dopo il 295 non si hanno più notizie di Quinto Fabio, per cui se ne ignorano i fatti ulteriori e la morte, che taluni però riferiscono al 290 a.c. ma non si sa nè il perchè nè il dove.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab urbe condita libri - IX - X -
- Salvatore Curti Gialdino - Diodoro di Sicilia e la sua Biblioteca storica - Palermo - Tip. D. Vena - 1913 -
- Valerio Massimo - Factorum et dictorum memorabilium libri - IX -
- P. Ovidio Nasone - Fasti e frammenti - a cura di Fabio Stock - Unione Tipografico-Editrice Torinese - Torino - 1999 -

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