TIBERIO CORUNCANIO - TIBERIUS CORUNCANIUS

JUS PUBLICUM

Nome: Tiberius Coruncanius
Nascita: -
Morte: 241 a.c.
Gens: Coruncania
Consolato: 280 a.c.
Professione: Politico e Giureconsulto


«Tiberius Coruncanius, qui primis profiteri coepit»

Figlio del plebeo Tiberio e membro della gens Coruncaria, Tiberius Coruncarius, fu il primo "Pontifex Maximusa publice profiteri", cioè che elargiva insegnamenti e pareri in pubblico, il tutto senza corrispettivi, vale a dire gratis.
Nel lungo frammento dell' Enchiridion di Pomponio, che i compilatori giustinianei utilizzarono per delineare la “storia della giurisprudenza”, Tiberio Coruncanio viene menzionato due volte, sempre in relazione al suo primato nel publice profiteri:

"Et quidem ex omnibus, qui scientiam nancti sunt, ante Tiberium Coruncanium publice professum neminem traditur: ceteri autem ad hunc vel in latenti ius civile retinere cogitabant solumque consultatoribus vacare potius quam discere volentibus se praestabant";

Insomma tra i detentori di scienza, nessun professionista aveva tradito il proprio sapere prima di Coruncario che osava divulgare la sua scienza al popolo.

e ancora: "Post hos fuit Tiberius Coruncanius, ut dixi, qui primus profiteri coepit: cuius tamen scriptum nullum extat, sed responsa complura et memorabilia eius fuerunt".
Dopodichè ci fu Coruncario che professò pubblicamente, di cui non resta alcuno scritto, ma di cui restano alcuni responsi memorabili.

La storicità dei fatti riferiti in questi passi di Pomponio è stata oggetto di serrata critica da parte di F. Schulz, Storia della giurisprudenza romana,  Firenze 1968:

«Il medesimo giudizio deve essere pronunciato sulla tarda tradizione, secondo cui Tiberio Coruncanio, il primo pontifex maximus plebeo, fu il primo ad impartire una sorta di insegnamento del diritto, dando i suoi responsa in pubblico. Il racconto è evidentemente condotto sulla base di un passo di Cicerone, che nomina alcuni giuristi come avessero dato responsa in pubblico; Coruncanio è a capo della lista.
La notizia perde così ogni valore: anche prima di Coruncanio i pontefici, all'occasione, debbono aver dato responsa in pubblico. Quanto poco Coruncanio segni una rottura può essere desunto dal fatto che non conosciamo nessun suo allievo importante».

Ma già F. D. Sanio e A. Berger avevano evidenziato il carattere profondamente innovativo delle consultazioni pubbliche di Tiberio Coruncanio.

Processo di diffusione e laicizzazione conoscenza giuridica:

• Fine del IV sec. a.c.:
 - Gneo Flavio avrebbe pubblicato il calendario pontificale e un libro di azioni civili composto da Appio Claudio;
- Tiberio Coruncanio avrebbe introdotto l’uso di dare responsi in pubblico.
• Il calendario e le azioni probabilmente non erano segreti;
• Monopolio effettivo sulla predisposizione delle azioni e sui formulari negoziali;
• Probabilmente rivoluzionaria l’attività di T. Coruncanio di dare responsi in pubblico;
• Tiberio Coruncanio primo pontefice massimo plebeo.

Il giurista vive e opera in un periodo in cui la plebe impone la sua presenza anche nei principali collegi sacerdotali (auguri e pontefici), fino ad allora riservati esclusivamente al patriziato.
Coruncario percorse, da homo novus, tutti i gradini del cursus honorum.

Le fonti sul cursus honorum di Tiberio Coruncanio sono raccolte da T. R. S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, II, New York 1952; i legami politici del pontefice massimo plebeo sono invece esposti da F. Cassola, I gruppi politici romani nel III secolo a.c..

Console nel 280, dittatore comitiorum habendorum causa nel 246; nel 254, primus ex plebe pontifex maximus creatus est. La constatazione che il verbo creari è tipico dell'elezione popolare, spinge R. A. Bauman a porsi la domanda: «Was Coruncanius the first to be appointed by election?»; può darsi che spettasse talvolta al popolo nominare i pontefici, ma non ne abbiamo notizie, nè pro nè contro.

Alcuni testi di Cicerone ci informano altresì su questo particolare giurista, uomo di politica, di milizia e di grande scienza. Nel Cato maior, ad esempio, Cicerone menziona Coruncanio fra quegli eminentissimi personaggi del passato, ai quali il grande oratore attribuiva il ruolo di iura civibus praescribere; Cicerone, Cato mai. 27: Nihil Sex. 
"Aelius tale, nihil multis annis ante Tiberius Coruncanius, nihil modo Publius Crassus, a quibus iura civibus praescribebantur; quorum usque ad extremum spiritum est provecta prudentia".

Nel "De oratore" lo ricorda invece tra i sapientes romani, che potevano stare alla pari, o superare, i grandi uomini della sapienza greca; Cicerone, De orat. 3, 56:

"Hanc, inquam, cogitandi pronuntiandique rationem vimque dicendi veteres Graeci sapientiam nominabant. Hinc illi Lycurgi, hinc Pittaci, hinc Solones atque ab hac similitudine Coruncanii nostri, Fabricii, Scipiones fuerunt, non tam fortasse docti, sed impetu mentis simili et voluntate". 
Cfr. anche De orat. 3, 134: 
"Haec fuit P. Crassi illius veteris, haec Ti. Coruncani, haec proavi generi mei Scipionis prudentissimi hominis sapientia, qui omnes pontifices maximi fuerunt, ut ad eos de omnibus divinis atque humanis rebus referretur; eidemque in senatu et apud populum et in causis amicorum et domi et militiae consilium suum fidemque praestabant".

Altri passi rimandano, indirettamente, alla sua competenza teologica e all'elaborazione dello ius. Cicerone, De nat. deor. 1, 115: 
"At etiam de sanctitate, de pietate adversus deos libros scripsit Epicurus''. At quo modo in his loquitur? Ut Coruncanium aut P. Scaevolam, pontifices maximos, te audire dicas, non eum qui sustulerit omnem funditus religionem nec manibus, ut Xerses, sed rationibus deorum immortalium templa et aras everterit. Quid est enim cur deos ab hominibus colendos dicas, cum dei non modo homines non colant sed omnino nihil curent, nihil agant?. 

Cfr. ibid. 3, 5: 
"Quo eo, credo, valebat, ut opiniones quas a maioribus accepimus de dis immortalibus, sacra, caeremonias, religionesque defenderem. Ego vero eas defendam semper semperque defendi, nec me ex ea opinione, quam a maioribus accepi de cultu deorum immortalium, ullius umquam oratio aut docti aut indocti movebit. Sed cum de religione agitur, Ti. Coruncanium, P. Scipionem, P. Scaevolam, pontifices maximos, non Zenonem aut Cleanthen aut Chrysippum sequor, habeoque C. Laelium, augurem eundemque sapientem, quem potius audiam dicentem de religione, in illa oratione nobili, quam quemquam principem stoicorum".

Un'altra novità fu la rivelazione pubblica di alcuni atti religiosi prima tenuti nascosti dai pontefici precedenti, esempi sono la rivelazione del calendario oltre alla metodologia processuale e all'interpretatio delle XII tavole sino a quel momento tenuta segreta così che anche i giuristi laici
pian piano poterono interpretare il diritto delle tavole.



I FRAMMENTI

I tre frammenti superstiti sono tutti da riferire all'attività pontificale di Tiberio Coruncanio. Probabilmente sono riconducibili a documenti sacerdotali: decreta e responsa conservati in quei commentarii.

La memoria dei responsa di Coruncanio, seppure non legata concretamente alla conservazione delle sue opere, permane ancora nel II secolo d.c.: Pomponio, in D. 1, 2, 2, 38. pontificum, dalla cui lettura era possibile, come attesta ancora Cicerone per i suoi tempi, dedurre l'altissimo ingegno del primo pontefice massimo plebeo. 

Cicerone, Brut. 55: 
"Possumus Appium Claudium suspicari disertum, quia senatum iam iam inclinatum a Pyrrhi pace revocaverit; possumus C. Fabricium, quia sit ad Pyrrhum de captivis recuperandis missus orator; Ti. Coruncanium, quod ex pontificum commentariis longe plurimum ingenio valuisse videatur". 

Sul punto, F. D'Iippolito, Sul pontificato massimo di Tiberio Coruncanio, in Labeo 23, 1977, p. 139, il quale ritiene più che probabile «che Cicerone abbia potuto leggere i commentari dei pontefici e farsi un'idea dell'eloquenza e dell'impegno del giurista».

F. Bona, Atti del convegno di diritto romano e della presentazione della nuova riproduzione della 'littera Florentina', : «Poiché non è trasmesso che siano stati in circolazione scritti apocrifi di Coruncanio, come si dice sia avvenuto per Sesto Elio e per M. Giunio Bruto, è da credere che anche i responsa di ius civile del pontefice fossero in buona parte consegnati, come quelli di ius pontificium, ancora nei commentaria pontificum».

Per quanto riguarda la numerazione dei frammenti, ho seguito l'ordine dello schema di Livio, 
Livio: "Numa Pontificem deinde Numam Marcium Marci filium ex patribus legit eique sacra omnia exscripta exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus diebus, ad quae templa sacra fierent, atque unde in eos sumptus pecunia erogaretur. Cetera quoque omnia publica privataque sacra pontificis scitis subiecit, ut esset quo consultum plebes veniret, ne quid divini iuris neglegendo patrios ritus peregrinosque adsciscendo turbaretur; nec celestes modo caerimonias, sed iusta quoque funebria placandosque manes ut idem pontifex edoceret, quaeque prodigia fulminibus aliove, quo visu missa susciperentur atque curarentur".

dove lo storico patavino espone le competenze dei pontefici (Hostiae, dies, templa, pecunia, cetera sacra, funebria, prodigia), quali risultavano dai sacra omnia exscripta exsignataque di Numa Pompilio, istitutivi del sacerdozio. Che si tratti di un documento di autentica derivazione sacerdotale, poiché conserva elementi assai risalenti come la formula onomastica del pontifex, è dimostrato da E. Peruzzi, "Origini di Roma".

L'importanza della classificazione insita nel testo liviano non era sfuggita alla parte più avvertita della dottrina precedente; sulla tripartizione: quibus hostiis, quibus diebus, ad quae templa, si soffermava già A. Bouchè-Leclercq, "Les pontifes de l'ancienne Rome. Étude historique sur les institution religieuses de Rome", Paris 1871; mentre N. Turchi, La religione di Roma antica, Bologna 1939, p. 41, tende ad individuare cinque parti (controllo rituale; responsi sull'attività circa le cose sacre e pubbliche; controllo sul culto degli Dei patri e sull'accettazione dei culti stranieri; controllo sul diritto funerario; espiazione e neutralizzazione di fulmini e altri prodigi funesti).


1) - "Coruncanius ruminalis hostias donec bidentes fierent, puras negavit". (Le pecore finchè erano bidentali, cioè agnelli, non erano vittime pure secondo Carauncario)

Plinio, Nat. hist. 8.206: Suis fetus sacrificio die quinto purus est, pecoris die VII, bovis XXX. Coruncanius – negavit.


2) - "Tiberius Coruncanio pontifici maximo feriae praecidaneae in atrum diem inauguratae sunt. Collegium decrevit non habendum religioni, quin eo die feriae praecidaneae essent".

Gellio, Noct. Att. 4.6.7-10: 
"Eadem autem ratione verbi praecidaneae quoque hostiae dicuntur, quae ante sacrificia sollemnia pridie caeduntur. Porca etiam praecidanea appellata, quam piaculi gratia ante fruges novas captas immolare Cereri mos fuit, si qui familiam funestam aut non purgaverant aut aliter eam rem, quam oportuerat, procuraverant. Sed porca et hostias quasdam praecidaneas dici id, opinor, a vulgo remotum est. Propterea verba Atei Capitonis ex quinto librorum, quos de pontificio iure composuit, scripsi: Tib. Coruncanio – essent".

 Placuit P. Scaevolae et Ti. Coruncanio, pontificibus maximis, itemque ceteris, eos, qui tantundem caperent, quantum omnes heredes, sacris alligari.

Cicerone, De leg. 2.52: 
"Hoc eo loco multis aliis quaero a vobis, Scaevolae, pontifices maximi et homines meo quidem iudicio acutissimi, quid sit, quod ad ius pontificium civile adpetatis; civilis enim iuris scientia pontificium quodam modo tollitis. Nam sacra cum pecunia pontificum auctoritate, nulla lege coniuncta sunt. Itaque si vos tantum modo pontifices essetis, pontificalis maneret auctoritas, sed quod iidem iuris civilis estis peritissimi, hac scientia illam eluditis. Placuit – alligari".

IL FORO ROMANO

3) – Hostia pura

Nel primo frammento, la questione fatta oggetto del responso non era di secondaria importanza per il culto cittadino: si trattava, infatti, di accertare quando fossero da considerare ritualmente puri, e quindi graditi agli dèi, gli animali ruminanti, da destinare a sacrifici pubblici e privati. Lo ius pontificium precisava, infatti, quale animale dovesse sacrificarsi a ciascuna divinità, distinguendo inoltre tra vittime adulte e lattanti, tra maschili e femminili. 

Cicerone, De leg. 2, 29: 
"Iam illud ex institutis pontificum et haruspicum non mutandum est, quibus hostiis immolandum cuique deo, cui maioribus, cui lactentibus, cui maribus, cui feminis; cfr. Arnobio, Adv. nat. 7, 19: Diis feminis feminas, mares maribus hostias immolare abstrusa et interior ratio est vulgique a cognitione dimota".

Poiché immediatamente dopo la nascita tutti gli animali, senza eccezione alcuna, erano considerati impuri; mentre d'altra parte la purezza rituale si raggiungeva in un lasso di tempo variabile a seconda della specie animale considerata; era compito della dottrina pontificale fugare lo scrupolo dei cittadini, determinando con la massima precisione i requisiti necessari per la qualifica di hostiae lactentes.

Ma anche la classificazione delle hostiae doveva avvenire non senza incertezze: Varrone ad esempio, a differenza di Plinio, insegnava che il tempo rituale perché i porcellini possano considerarsi puri, non poteva in nessun caso essere inferiore a dieci giorni. 

Varrone, De re rust. 2, 4, 16: 
"Cum porci depulsi sunt a mamma, a quibusdam delici appellantur neque iam lactantes dicuntur, qui a partu decimo die habentur puri, et ab eo appellantur ab antiquis sacres, quod tum ad sacrificium idonei dicuntur primum".

La verità è che la dottrina pontificale non dovette essere in questo campo mai troppo stringente; ne costituisce prova indiretta il citato responso di Tiberio Coruncanio, il quale, seppure inserito nei commentarii pontificum, non sembra aver avuto effetti vincolanti sulla pratica rituale: non si comprenderebbero, altrimenti, tutte le incertezze e le discussioni intorno al significato del termine bidentes da parte degli antiquari tardo-repubblicani e imperiali.


4) – Feriae praecidaneae

Nel secondo frammento, dopo aver esposto il significato delle praecidaneae hostiae e della porca praecidanea, Aulo Gellio, per spiegare con esattezza che cosa siano leferiae praecidaneae, trascrive una citazione testuale di Ateio Capitone.

Le fonti non consentono certezze circa la natura di queste feriae, per cui la dottrina mostra di avere posizioni assai dissimili. Così G. Wissowa, pensava a delle «Vorfeiern» che precedevano le feriae publicae; nello stesso senso M. Kretzer, De Romanorum vocabulis pontificalibus,  («Quo fit, ut dies pridie ferias publicas, qui partim feriati erant, feriae praecidaneae appellarentur»). Invece, per A. Bouchè-Leclercq, "Inauguratio, in Dictionnaire des antiquités grecque et romaines" 3, Paris 1898, p. 440 e n. 1, tali feriae sarebbero da considerare piuttosto atti di culto privato.

P. Catalano, "Contributi allo studio del diritto augurale", Torino 1960, sostiene invece che «le feriae praecidaneae erano un sacrificio annuo a Cerere, compiuto ante fruges novas captas, piaculi gratia; si identificherebbero cioè con la praecidanea porca, che è uno dei sacra popularia».

Nel libro V de iure pontificio, il giurista augusteo aveva annotato un caso assai curioso di feriae praecidaneae, che risaliva all'attività pontificale di Tiberio Coruncanio. Risulta dal testo che il grande pontefice massimo plebeo una volta, in circostanze peraltro sconosciute, ordinò l'inauguratio di feriae praecidaneae in dies ater, nonostante la scienza pontificale, di norma, considerasse i dies atri «neque proeliares neque puri neque comitiales». 

Per di più, tutto ciò fu fatto senza che gli altri pontefici ravvisassero impedimenti rituali per tali feriae; anzi l'intero collegio esternò questa sua posizione favorevole: decrevit non habendum religioni, quin eo die feriae praecidaneae essent.

Allo stato delle nostre attuali conoscenze, risulta pressoché impossibile individuare le motivazioni dell'operato di Tiberio Coruncanio e la ratio del decreto pontificale favorevole alla sua azione liturgica.

Si potrebbe forse ipotizzare, che l'interpretatio pontificum, al fine di garantire la validità dell'operato di Coruncanio, abbia assimilato la sua azione irrituale agli atti compiuti in violazione di divieti giuridico-religiosi dall’insciens o dall’imprudens: il diritto pontificio ne considerava validi gli effetti anche in presenza del vizio. 

 Relativamente a un dies ater, la formula del ver sacrum in Livio 22, 10, 6: si atro die faxit insciens, probe factum esto; anche Varrone, De ling. Lat. : 
"Contraria horum vocantur dies nefasti, per quos dies nefas fari praetorem do, dico, addico; itaque non potest agi: necesse est aliquo uti verbo, cum lege qui peragitur. Quod si tum imprudens id verbum emisit ac quem manumisit, ille nihilo minus est liber, sed vitio, ut magistratus vitio creatus nihilo setius magistratus. Praetor qui tum fatus est, si imprudens fecit, piaculari hostia facta piatur; si prudens dixit, Quintus Mucius abigebat eum expiari ut impium non posse".

Del resto, l'esperienza giuridica romana conosceva la nozione di imprudens, come attenuante di un'azione di per sé addirittura delittuosa, dall'epoca assai risalente delle leges regiae.

Certo, non mi sento di condividere l’opinione del Bouché-Leclercq, il quale pensava ad una distrazione del pontefice nella scelta del dies ater, sanata poi dall'intero collegio «pour sauvegarder le principe d'infaillibilité nécessaire aux autorités sans contróle».

Ma l'intero brano di Gellio, pur sottendendo una qualche relazione tra porca praecidanea e feriae praecidaneae, non sembra neppure probante di una particolare propensione di Coruncanio ad improntare, in senso marcatamente plebeo, teologia e riti pontificali. È quanto sostiene, invece, F. D'Ippolito, "I giuristi e la città", cit., p. 44: «Rettamente Gellio identifica una stretta relazione delle feriae praecidaneae con le porcae praecidaneae. Esse, a loro volta, sono un aspetto del culto di Cerere. Possiamo allora avvertire, in questa circostanza, l'interesse del pontefice per i culti plebei e la sua capacità di orientare il collegio in questa direzione».


5) – Tra ius pontificium e ius civile

Il terzo frammento, che riguarda il famoso principio del tantundem, si trova all'interno di un lungo testo del De legibus ciceroniano, dedicato alla responsabilità per i sacra familiari e all'affermarsi del principio pontificale sacra cum pecunia.

Il "Tantundem eiusdem generis et qualitatis" (scritto anche tantumdem) ha il significato di "lo stesso ammontare di generi della stessa qualità". Questo codicillo indica l'obbligo da parte di una persona a restituire quanto gli sia stato prestato nella medesima quantità, specie e qualità.
In questo passo, Cicerone dibatte la complessa problematica del "qui adstringantur sacris": cioè la determinazione di quali soggetti fossero tenuti a garantire la continuazione del culto familiare del defunto; atteso che tale obbligo non vincolava solo gli eredi, ma anche gli estranei, almeno a far data dall'epoca del decreto reso in qualità di pontefice massimo da Tiberio Coruncanio, e fatto proprio anche da altri, tra cui il grande pontefice e giurista P. Mucio Scevola.

Erano, dunque, vincolati ai culti familiari coloro i quali avessero acquistato per legato in quantità pari alle quote spettanti a tutti gli eredi. Col principio del tantundem Coruncanio consolidò una precedente prassi pontificale, favorevole all'utilizzazione «del criterio patrimoniale come guida decisiva per la conservazione dell'obbligo dei sacra» 

La regolamentazione della materia sembra essere anche più risalente, come coglie molto bene F. Bona, "Sulla fonte di Cicero, de oratore", 1, 56, 239-240 e sulla cronologia dei “decem libelli” di P. Mucio Scevola, cit., p. 461 n. 109: «ne viene che le prescrizioni che Cicerone fa risalire genericamente agli antiqui, diverse da quelle che formalmente l'oratore dichiara di mutuare da Quinto Mucio, devono certamente essere state fissate in epoca anteriore a Tiberio Coruncanio».

Questa opinione è stata, di recente, ribadita da M. Talamanca, Costruzione giuridica e strutture sociali fino a Quinto Mucio: 
«Si tratta, però, di sviluppi che si vengono a situarsi in un periodo molto risalente. La regolamentazione più antica, descritta da Cic., leg., 2, 49, la quale rispecchia di già il principio patrimonializzante sacra cum pecunia, risale con qualche probabilità addirittura ad un'epoca antecedente a T. Coruncanio, pontefice massimo intorno alla metà del III secolo a.c., che sembrerebbe aggiungervi un'ulteriore specificazione».

Se questa è la chiave di lettura della polemica contro P. e Q. Mucio Scevola, il significato esemplare, che Cicerone attribuisce alla dottrina di cauta innovazione di Tiberio Coruncanio, può allora intendersi agevolmente; anche senza dover approfondire, in questo luogo, le teorie degli Scevola (che Cicerone leggeva, con ogni probabilità, nei libri iuris civilis di Quinto Mucio), né prendere posizione in merito all'atteggiamento dei due pontefici-giuristi nei confronti dello ius pontificium.

F. Bona, "Cicerone e i 'libri iuris civilis' di Quinto Mucio Scevola, in Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana. Atti di un seminario" - Firenze 1983, Milano 1985:
«Dopo aver presentato, nel contesto del de legibus in discussione, l'acquisizione del principio informatore sacra cum pecunia come sufficiente per la cognitio della disciplina relativa ai sacra, Cicerone si affretta a sottolineare che delle innumerevoli questioni che ne nascono sono pieni i iuris consultorum libri. Ora, se è da Quinto Mucio che gli deriva il più recente catalogo degli obbligati ai sacra, che fa seguire immediatamente perché, con la sua puntigliosa articolazione in cinque classi, suffraghi l'asserzione, a quali altri libri di giuristi si può pensare che non siano quelli iuris civilis del pontefice massimo?».

Essi sono accusati, dal grande oratore, di annullare con la loro iuris civilis scientia i precetti dello ius pontificium in materia di sacra: in particolare di approntare mezzi civilistici per eludere la regola: "sacra cum pecunia coniuncta sunt"; stabilita non dalla legge ma dall'auctoritas degli stessi pontefici.

Nella critica agli Scevola sta, implicitamente, anche l'elogio per Tiberio Coruncanio: a parere di Cicerone, i due Scevola adottavano un'ottica totalmente civilistica nel concepire il rapporto tra ius pontificium e ius civile, collocandosi  quasi fuori dalla disciplina dello ius pontificium elaborata "ab antiquo" dal collegio. Lo stesso non poteva certo affermarsi per Tiberio Coruncanio e per le sue prudenti innovazioni, volte piuttosto a «negare fratture fra diritto civile e diritto pontificale».

Tuttavia, su queste critiche di Cicerone ai due Scevola, mi pare da condividere la posizione di E. F. Bruck, il quale, in un lavoro di alcuni decenni or sono specificamente dedicato al testo ciceroniano le valutava con estrema cautela, soprattutto laddove le si volesse invocare come prova della decadenza della religione romana tradizionale. 

Uguale cautela mostra F. Bona, nel suo recente, stimolante, saggio dedicato ai rapporti tra ius pontificium e ius civile nella tarda repubblica: per lo studioso, da una attenta analisi testuale «si rileva la debolezza e la speciosità dell'argomentazione ciceroniana», mentre resta del tutto infondata l'accusa «di elusione dei sacra o, addirittura di soppressione del ius pontificium».


BIBLIO

- F. Schulz - Storia della giurisprudenza romana - Firenze - 1968 -- Pomponio Sesto - Enchiridion - frammenti -
- M. Bretone - Lines of the Enchiridion of Pomponio - Bari - 1965 -
- T. R. S. Broughton - The Magistrates of the Roman Republic - II - New York - 1952 -
- F. Cassola - I gruppi politici romani nel III secolo a.c. - Trieste - Università degli Studi - 1962 -
- Cicerone - De Oratore - III - Editio princeps Subiaco - Sweynheym e Pannartz - 1465 -
- F. D'Iippolito - Sul pontificato massimo di Tiberio Coruncanio - Labeo 23 - 1977 -
- A. Bouchè-Leclercq - Les pontifes de l'ancienne Rome. Étude historique sur les institution religieuses de Rome - Paris - 1871 -




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