MONS CITORIUM - MONTECITORIO



Il Mons Citorium, seppure di origine antica romana, con insediamenti addirittura preromani, non costituisce uno dei fatidici 7 colli, trattandosi di un colle piuttosto ristretto e basso, e forse anche artificiale.


LANCIANI

- "Molto disputarono gli eruditi sull'origine di questo monte, imperocchè non se ne trova menzione presso gli antichi. 
La più fondata opinione sembra quella che lo formassero le ruine dell'anfiteatro di Statilio Tauro, perchè i Regionarj citano Amphiteatrum Tauri Statili, e perchè 100 palmi sotterrra nel fabricarvisi la Curia Innocenziana furon trovati sedili circolari di pietra, ed altri ne vennero in luce nell'anno 1705 allorchè si gettarono i fondamenti della chiesa e delle case de' signori della Missione: poi perchè il giro emisferico dell'ampio fabricato della Curia par che indichi le sue fondamenta sopra un segmento di anfiteatro. 

Ciò però non esclude che vi si ammucchiassero sopra di mano in mano gli scarichi, che provenivano da' fondamenti delle fabriche vicine, imperocchè testimonj degni di fede assicurano, che fino ad una certa profondità si trovarono strati diversi come di una cipolla."

Resta che diciamo qualche cosa del nome Citorio che appartiene al monte. Alcuni lo derivano da Taurus cognome di Statilio, di cui era l'anfiteatro del quale parlammo; altri lo ripetono dal citare, ossia chiamare le tribù a dare il suffragio mentre s'intrattenevano ne' vicini Septi, cioè steccati di legno, che a simiglianza di quelli che racchiudon le greggie si dicevano ancora Ovilia. 

Benchè parecchj antiquarj di molto merito oppongano una diversa ubicazione de' septi, tuttavia preferiamo questa a qualunque etimologica ragione, non parendoci validi gli argomenti ch'escludon da queste parti un lato di que' portici di un miglio di giro, co' quali furono rinchiusi gli antichi septi, come Cicerone dice in una lettera ad Attico; perchè i septi suddetti potevan ben giungere sin qui, e con quella vastità loro congiungersi con la villa publica come vogliono le testimonianze degli scrittori: la qual villa publica fu da noi posta tra la chiesa del Gesù, e le falde del Campidoglio. -



IL NOME

C'è infatti chi ritiene che in epoca romana vi si svolgessero le assemblee elettorali (da cui "mons citatorius") e chi pensa che il nome deriverebbe dal fatto che vi venivano scaricati i materiali di risulta della bonifica del vicino Campo Marzio ("mons acceptorius").

Secondo il Delli la più probabile è quella che il modesto rilievo, caratteristico del luogo, formato probabilmente da materiale di riporto, derivi il suo nome da Mons Septorius per la sua vicinanza ai septa, luogo di riunione dei romani per le votazioni dei comizi centuriati.

Sempre il Delli, riporta per lo stesso monte nel corso dei secoli, le varianti di Mons Acceptabilis e Mons Acceptorius, tutti derivanti da citare, accettare.

Citorium potrebe però venire pure da "citerior" che significa: il più vicino, oppure il monte dove si cita, si parla, visto che Tiberio vi aveva tenuto una famosa arringa.

Ci sembra più probabile che il nome venga dal latino citare, chiamare, visto che era il luogo dove si riunivano i cives romani, divisi in centurie, per essere chiamati ad entrare nei recinti per le votazioni.

Non è da escludere però che la collina del Citorio sia almeno in parte di riporto.
Non dimentichiamo sotto al Citorio vennero ritrovati i resti di palafitte, il che sta a significare non solo l'antichità dell'insediamento locale ma anche, secondo alcuni, che il luogo era paludoso, per cui si dovette ricoprire le acque stagnanti onde eliminare il diffondersi della malaria.

Anche qui ci sarebbe da obiettare che le palafitte non si usavano solo per le zone acquitrinose ma pure per difendersi dalle belve e da nemici, come dimostrano le palafitte sul palatino che di certo non aveva acque e tanto meno stagnanti.



I SEPTA

Giulio Cesare voleva costruire i Saepta come recinto elettorale al Campo Marzio, in marmo e con un portico lungo un miglio. Fu comunque Marco Vipsanio Agrippa a completare i Saepta nel 26 a.c., dandogli il nome di Iulia in onore della gens Iulia di Cesare e di Augusto.

I Saepta Iulia dividevano il complesso composto dal Pantheon, dalla basilica di Nettuno e dalle terme di Agrippa, dal tempio di Iside al Campo Marzio. Lungo il portico meridionale confinavano con il Diribitorium.

La destinazione principale dell'edificio era quella di recinto per le votazioni, ma mano a mano che il ricorso al voto popolare perse di importanza, i Saepta iniziarono ad essere sempre più usati per altri scopi, finché, quando Tiberio sostituì il voto del popolo con quello del Senato, l'edificio smise di svolgere funzioni politiche e divenne uno spazio culturale.



ANTICHITA' DI MONTE CITORIO

di C. Hulsen

- Il monte Citorio, dove sorge la grandiosa fabbrica della Curia Innocenziana, ora palazzo del Parlamento, ha attirato l'attenzione dei topografi fin dal secolo XV e XVI. Molti lo credevano una collina naturale, altri rigettando giustamente questa opinione hanno sfoggiato molta dottrina per spiegarne la formazione.

Generalmente a causa della denominazione mons Citatorilli o Acceptorius da­ tagli nel medio evo fu creduto stare in relazione con i comizi o i septi. L'unico avanzo allora visibile, il tronco di una enorme co­lonna di granito rosso sporgente fuori del suolo quasi sei metri, per conseguenza fu spiegato come la columna citatoria che avesse servito per affiggervi citazioni giudiziarie e bandi di magistrati.

Altri assurdamente lo ritenevano per un argine fatto per repri­mere le inondazioni del Tevere: infine nella bocca del volgo nel XVI correva la favola, essere stata terra con cui Agrippa empì la Rotonda per fabbricarvi sopra la cupola (Nardini R. A. I li p. 83 ed. Nibby).

Tutte queste opinioni erano prive del fondamento necessario, cioè di ricerche nel suolo dell'antica città. Tali ricerche non furono fatte nemmeno nella prima metà del secolo XVII, quando il Ber­nini cominciò ad erigervi un suntuoso palazzo per la famiglia Ludo­visi, e furono cominciate soltanto circa il 1700 sotto Innocenzo XII e Clemente XI, quando si terminò il palazzo Ludovisi per opera di Carlo Fontana. 

Nel 1703 e 1704 fu sterrata la suddetta colonna di granito e ne fu scoperto il basamento. I commenti però fatti dagli scienziati contemporanei mirano piuttosto a problemi anti­quari e cronologici, mentre per le questioni topografiche le notizie finora conosciute erano assai scarse. 

Ciò diventa chiaro già dai molti dubbi, con cui parlano anche i topografi, moderni dell'an­tico stato della zona fra Piazza Colonna e l'obelisco solare di Augusto; dubbi, i quali almeno in parte saranno schiariti dalle notizie pubblicate nelle pagine seguenti.

BASE DELLA COLONNA DI ANTONINO PIO


LA COLONNA DEL DIVO PIO

Quando si constatò per gli scavi del 1703, che sotto la co­lonna chiamata citatoria esisteva in uno stato abbastanza ben conservato il basamento con la sua iscrizione e rilievi figurati, questa scoperta inattesa diede origine ad una lunga serie di pub­blicazioni. 

Gli antiquari del secolo XVII avevano, da certi tipi monetari, la conoscenza di una colonna dedicata al Divo Pio, ma essi la ritennero erroneamente per identica a quella tuttora esi­stente in piedi: e siccome i rilievi di quest'ultima raffigurano i fatti della guerra Marcomannica, così avevano formato la strana
teoria, che la colonna di Piazza Colonna fosse cominciata in onore del Divo Pio, ma terminata soltanto da Marco Aurelio o da Com­modo. 

Allora essi si videro costretti ad abbandonare le loro teo­rie e con molta erudizione vollero constatare l'identità del mo­numento recentemente scoperto con quello conosciuto dalle mo­nete, e spiegar minutamente i rilievi rappresentanti l'apoteosi di Faustina, e le decursiones fumbres. 

Intorno allo scoprimento ed al trasporto della colonna si co­nosceva già una relazione abbastanza estesa, quella pubblicata dal Cancellieri (Effemeridi lett. di Roma II, 1821 p. 214­236): egli la trasse dalle Miscellanea del cardinal Garampi, e ne ritenne per autore l'abate Francesco Valesio. diligentissimo ricercatore degli avvenimenti romani del suo tempo. 

Confrontando però questa relazione pubblicata con i diarii autografi del Valesio conservati
nell'archivio Capitolino, m'avvisai presto che essa non possa es­sere desunta da quegli ultimi.

Che nei casi di discrepanza la Ga­rampiana si debba considerare come meno autentica, già si rico­nosce da uno sbaglio cronologico grossolano, e che rende con­fuso tutto il racconto: sono attribuiti al luglio e settembre del­l'anno 1704 cose accadute nel 1705, vale a dire, l'autore racconta l'operazione come felicemente riuscita e torna poi a descrivere minutamente i vari tentativi fatti dopo la prima operazione non riuscita. 

Vi sono altre ragioni che m'inducono a ritenere per autore della relazione Garampiana non il Valesio, ma uno dei concorrenti con gli architetti Fontana, essendo che questi ultimi vengono giudicati in un modo assai sfavorevole, mentre tali tendenze ostili sono affatto estranee alle notizie originali del Valesio. 

Ed è da notare, che quei passi, ove l'autore della relazione stampata parla di se stesso, non trovano riscontro nel Diario Capitolino. Si potrebbe per mezzo delle notizie di questo diario tessere l'intera
storia di quell'avvenimento, che destò grandissimo interesse in tutta la popolazione di Roma e fuori : siccome però tale racconto oltre­ passa i limiti del nostro Bullettino, così pubblico soltanto per darne un saggio, le prime notizie, aggiungendovi poi quelle che ci danno qualche particolare archeologico intorno al monumento.

La prima notizia si trova nel diario sotto la data del 25 set­tembre 1703:

"Nel giardino de PP. di Monte Citorio si vedeva sopra terra eretta l'estremità d'una gran colonna di granito orientale reputata da molti autori falsamente la supposta colonna citatoria, nel passato pontificato d'Innocenzo XII, allhora che fabricò ivi appresso la Curia, si divulgo che sarebbe stata cavata e portata sulla piazza della meda° Curia, il che non segui, hora S. B. la fa scoprire tutta, ed è stata ritrovata alta palmi 67 et la base guasta posta al­l'istesso piano di Piazza Colonna e disopra v'è intagliato in lettere greche Traiano Augusto, la base l'hanno scoperta­ nella casa che è quasi a mezzo il vicolo che è alle radici del Monte Citorio che viene da una banda for­mato dal muro del monastero delle monache di Campo Marzo

Segue: Martedì 4 dicembre 1703.

"Si è cessato di cavare la colonna dedicata ad Antonino in Monte Ci­torio, essendo stato scoperto di già tutto il basamento, e si aspetta l'ordine di S. B. per porre mano a cavarla fuori."

Dopo aver riferito (1704, maggio 5, giugno 23) di diversi preparativi relativi al trasporto della colonna, il Valesio aggiunge (mercoledì 13 agosto):

"È stato hoggi misurato il sito ch'è dietro la fontana di Trevi, medi­tando S. B. di formare a quella acqua una sontuosa facciata e porvi la gran colonna Antonina di Monte Citorio e formare avanti la detta fontana una spaziosa piazza con tirare quella addietro a filo della chiesa della Madonna de' Crociferi". 

La stessa notizia si ripete sotto il giorno 28 agosto : il giorno 30 seti (martedì) il cronista riferisce:

"Essendosi compito il castello per togliere la famosa colonna Antonina di Monte Citorio, in breve si farà l'operazione di calarla, e di già sono stati fatti cancelli dirimpetto all'offizii de notari del vicario allo spazzo delle case demolito, d'onde deve uscire la colonna per rimuovere il concorso del popolo in tempo della operazione.

La prima operazione, fatta i giorni 15 e 18 ottobre 1704, non riuscì, essendo il castello troppo debole per sostenere un peso tanto enorme (Cancellieri p. 216). Il Valesio aggiunge in questa occasione una descrizione della colonna e del basamento, che non sarà inutile di riprodurre, essendo fatto prima che molteplici ri­stauri fossero aggiunti alle scolture.

Per qualche ragguaglio di questa tanto mentovata colonna, è ella composta di granito rosso orientale di un sol pezzo d'altezza palmi 66 e mezzo, e di grossezza p. 26 e 3 quarti con diametro di palmi 8 e mezzo. 

Un frammento del capitello ritrovato sotto terra pare indichi essere stata d'ordine Toscano. L'iscrizione che vi si legge nella cima con lettere greche TQMUVO; di­mostrano che portata costà nè impiegata dal medesimo imperatore fosse driz­zata da M. Aurelio e L. Vero ad Antonino Pio dopo la consecrazione deno­tando ciò l'iscrizione Divo Antonino Aug. Pio Antoninus Augustus et Verus Augustus filii. 

È verisimile sia stata eretta prima dell'altra nella quale sono scolpiti i fatti di M. Aurelio, si perchè vi voleva del tempo per le istorie, come perchè quella è dedicata dal solo M. Aurelio e questa da ambidue.

È verisimile questa essere quella scolpita nella medaglia d'Antonino con la iscrizione Divo Pio essendo liscia. La cimasa del piedistallo è ornata di bel­lissimi fogliami. 

Nel lato principale verso il mausoleo d'Augusto v'è l'iscri­zione, nell'opposto v'è l'apoteosi con figure assai consumate e di buona ma­niera. Vedesi nel mezzo un giovane alato con ali distese in atto di volare,
tiene con la destra un panno svolazzante, che gli serve di mantello, porge con la sinistra un globo stellato con una mezza luna e la fascia traversale del zodiaco sopra cui sono scolpiti gli segni de'pesci e dell'ariete. 

Ergesi un serpe con tortuosi giri intorno ad detto globo, porta il giovane sulle spalle Antonino e Faustina, quello con lo scettro in mano nella di cui sommità è un'aquila, questa col velo in testa in segno della consecrazione. 

Veggonsi in alto due aquile, una per parte con ali distese, siede di sotto a mano dritta Roma galeata, e stende una mano verso il giovane alato accennando col dito appoggiato con il sinistro braccio ad uno­ scudo ove è effigiata la lupa con Romolo e Remo, dall'altra parte un giovane seminudo giacente che abbraccia con la sinistra un'obelisco e porge la destra ha manca, al di fuori sotto il giovane alato scorgonsi diverse armi, elmi e faretre, dalle due bande che sono simili rappresentasi qualche spedizione o decursione del medesimo im­peratore, sono le figure assai maltrattate da tempo e da barbari".

Trascorse un anno intero prima che si tornasse a ripetere l'opera­zione. Avendo i più celebri meccanici dato il loro parere et essendo secondo tali consigli rinforzate le macchine fu effettuato il tra­sferimento nei giorni 24 e 25 settembre 1705. 

Nei giorni seguenti sino alla fine dell'ottobre fu calata la colonna in piazza di Monte Citorio, ed estratto il basamento insigne per le sue sculture.

Sopra alcuni travamenti fatti in questa occasione, il Valesio rife­risce come segue:

LA MERIDIANA DI AUGUSTO SOTTO MONS CITORIUM

"Sabato 17 ottobre.
Fu questa mattina con l'intervento di molti perso­naggi fatta dal cav. Frane. Fontana l'operazione di tirare al piano della strada il piedestallo della Colonna Antonina alla forma che si legge descritta nel­
l'annessa relazione, restando delusi coloro che credevano dovervisi ritrovare sotto qualche numero di medaglie, se pure non sono tra il medesimo et il primo piano della platea di trevertino che attaccato adesso con perni im­piombati è venuto fuori unito al medesimo.

Venerdì 30 ottobre. 
Cavandosi gli travertini elio erano sottoposti alla co­lonna Antonina, fra il primo piano di essi et il secondo vi si è ritrovata, forse acciò havesse il piano perfetto, calce bianca freschissima, si come tra il 2° et il masso durissimo del fondamento composto di scaglie di pietra e calce vi si è ritrovata quantità di pozzolana fina. Gli travertini vengono cavati e por­tati su la piazza di Monte Citorio".

Le vicende ulteriori della colonna, la quale dopo essere stata riposta per molto tempo in un angolo della strada presso la Curia Innocenziana fu da un incendio nel 1764 danneggiata in modo che i pezzi servirono per risarcire l'obelisco di Monte Citorio, sono raccontate da altri e non vorrei ripeterle. Più importante per la topografia antica è il definire esattamente il sito del monumento di Pio. 

Nè il Bianchini, nè il Vignoli hanno aggiunta alle loro dissertazioni una pianta icnografica dei siti allora scoperti. L'unico autore del secolo passato che ne abbia data una è il Piranesi.
Egli indica la ' situazione antica della colonna dell'Apoteosi di Antonino e Faustina ', come pure la ' casa del sig. Carlo Eustachio, a tempi di papa Clemente XI prima che fosse demolita per comodo di estrar questa colonna ' (è quella casa che forma l'angolo della piazza di Monte Citorio con la via degli Uffizi, e sta all'incontro del palazzo della Missione). 

Nonostante l'apparente precisione quest'indica­zione O del Piranesi è affatto sbagliata: ciò che non è superfluo di annotare espressamente, perchè autori moderni (p. es. il Keber, Ruinen Roms p. 266) sono indotti in dubbio dall'autorità del Piranesi, il quale d'altronde non si mostra testimonio esatto intorno a ritro­vamenti fatti a Monte Citorio. Rimarrebbe come testimonio unico la grande veduta dell'innalzamento incisa in rame dal Westerhout (Piranesi Campo Marzio tav. XXXIII) e pare che di questa si sia servito il Canina per stabilire il posto del monumento. 

Ma siamo in grado di definirne il sito con molta più precisione mediante un documento inedito.
Il codice Chigiano P, VI, 10 a foglio 16 contiene un progetto per la casa dei padri della Missione fatto sotto Alessandro VII, come unico documento dello stato ante­riore di questo sito, totalmente trasformato per le fabbriche del secolo XVIII. 

Il  vicolo incontro a S. Biagio corrisponde all'at­tuale via della Missione; il 'vicolo comune col cancello', che ora è chiuso da una casupola, ancora si scorge sulla pianta del Nolli, ove pure sono segnate le proprietà Marescotti e Palombara.

Met­tendo per conseguenza la colonna distante palmi 175 = m. 39 dalla via della Missione, e palmi 62 = m. 14 dal detto vicolo, essa si trova più di 40 metri distante dal posto assegnatogli dal Canina, e nel bel mezzo dello stadio da lui ideato delle Equirrie, che ne si trova menzionato negli autori antichi, nè può avere mai esistito.

MONTECITORIO NEL XVIII SECOLO


EDIFICIO ANTICO SCOPERTO NEL 1703 SOTTO CASA DELLA MISSIONE

Mentre la scoperta della colonna Antonina, come abbiamo veduto, ha dato luogo a molte pubblicazioni, un altro ritrovamento fatto negli stessi dintorni e nella medesima epoca è stato osser­vato da pochi contemporanei, e le notizie da loro prese rimasero sconosciute a tutti i topografi della Eoma antica.

Il Valesio in data di mercoledì 29 agosto 1703 riferisce come segue :
"Gli PP. della Missione nel cavare gli fondamenti della nuova habita­tione che aggiungono in Monte Citorio tirandosi in dentro e slargando la strada che cala dal detto monte verso il Campo Marzo, oltre quantità di gran­dissimi travertini vi hanno ritrovati intieri gli stipiti e traversa di una gran porta di marmo gentile e disquisito lavoro, indizio certo che ivi fosse qual­che fabbrica cospicua".

Una seconda notizia si trova il martedì 22 gennaio 1704:
"Cavando gli PP. della Missione in Monte Citorio dirimpetto agli Offizii de notari del Vicario gli fondamenti della nuova fabbrica per cui slargano la strada, hanno trovata in essi una lunga platea di gran trauertini che per obliquo passa sotto la strada verso gli offizij de Notari, e mostra di essere stata fabbrica grande e magnifica, che faceva facciata avanti la gran colonna che medita d'inalzare S. B., e forse sono vestigij della Basilica di Antonino e gli detti Padri hanno incominciato di già a cavare detti travertini".

Non può esservi dubbio che l'opera della distruzione fosse com­piuta con la prontezza ed energia purtroppo usuale, di modo che presto si spense ogni memoria di tale ritrovamento. Nè basterebbero
le scarse notizie del Valesio per darci un'idea della « fabbrica cospi­cua ». Ma a tale difetto per ventura rimedia un documento da me scoperto nella biblioteca capitolare di Verona.

Fra i meccanici invitati a dare il loro consiglio per l'estra­zione della colonna Antonina, v'era pure il celebre Francesco Bian­chini. Egli profittò di quest'occasione per prendere notizie esatte delle antichità ivi ritrovate, e concepì il disegno d'illustrare in un'opera particolare le antichità del Monte Citorio. Di quest'o­pera, che per ragioni a me sconosciute non è stata mai condotta a termine, il codice Veronese 350 contiene parecchi abbozzi.

I difetti derivanti dallo stato non compito dell'opera sono manifesti: vi si trovano ripetizioni, qualche volta anche contrad­dizioni sui particolari, lo stile è prolisso e manca d'eleganza. Ed appunto perciò è indispensabile che qui si dia uno spoglio com­pleto delle notizie topografiche ed antiquarie.
La prima parte di tali notizie si trova negli abbozzi del ca­pitolo II del libro primo. Ivi l'autore dopo aver ragionato sopra le indigitamenta heroum da lui supposte, prosegue così:

"La relazione del Bianchini in primo luogo ci conduce ad un risultato importante sebbene negativo. Vuol dire che ci libera defi­nitivamente da certe fantasie che dal secolo passato in poi sono state sostenute dai topografi. 

Il Piranesi secondo l'asserzione di un soprastante alla fabbrica della Missione che « sotto la fab­brica della Curia Innocenziana, alla profondità di cento palmi, come pure nelle fondamenta della casa dei PP. Missionari alla profondità di 80 palmi sotto il livello attuale, fossero scoperti avanzi di alcuni sedili circolari », vi collocò l'anfiteatro di Statilio Tauro (Ant. Eom. I, 10). 

A questa supposizione, il Canina ne sostituì un' altra, anch' essa poco felice. Egli cioè vi credette
situato uno stadio destinato al giuoco delle Equirria, edifìzio non mai esistito. Credo che le memorie da noi raccolte, oltre a distrug­gere definitivamente queste congetture, ci spieghino pure l'origine della vaga supposizione intorno ai 'sedili di marmo': chiunque osservi la forma delle pietre del 'secondo e terzo recinto'si accorgerà della somiglianza tra esse ed i sedili dei veri teatri Romani.

Dunque invece di un edifizio destinato a spettacoli e giuochi abbiamo una fila di monumenti onorari per la casa imperiale degli Antonini. Con ragione il Bianchini attribuì un' importanza speciale all'identità della orientazione e della livellazione, che fu constatata fra la colonna di Antonino Pio, quella di Marco Aurelio, ed il monu­mento dei tre recinti".



IL PORTICO 

Nè contraddicono le scarse notizie intorno a ritrovamenti fattivi in tempi posteriori. Primeggia fra essi la sco­perta della casa di Adrasto, custode della colonna centenaria di M. Aurelio avvenuta nel 1777: pure in quell'anno furono ritro­vati, sulla piazza stessa di Monte Citorio, gli avanzi di un por­tico.
A quale edifizio appartenesse questo portico, non si può sapere con precisione: certo è, che la zona da esso occupata non poteva estendersi di molto verso sud, perchè in una distanza di appena 50 metri si trova il muro di cinta del Porticus Argonautarum sotto il palazzo Cini. 

PARTICOLARE DELA MERIDIANA DI AUGUSTO
Il sig. Middleton recentemente {Ancient Rome p. 385) dice di aver scoperto gli avanzi di grandi
massi ed arcate di travertini sotto vari palazzi moderni a Monte Citorio, i quali avanzi egli è disposto ad attribuire al tempio del Divo Marco. 

Ed è vero che sono molto deboli le ragioni addotte dal Canina per provar che questo tempio fosse situato sotto il pa­lazzo Chigi; specialmente l'esistenza della casa di Adrasto al lato ovest di piazza Colonna non esclude affatto l'esistenza del tempio nel lato medesimo. 

La casetta del custode della colonna centenaria difficilmente poteva star isolata in mezzo di una grande piazza, invece è molto probabile che fosse adossata a qualche altra fab­brica più cospicua.



L'USTRINO

Più difficile si è il dire, quale destinazione avesse in quel complesso di edifizì dedicati al culto della casa imperiale degli Antonini, il monumento dei tre recinti. Merita attenzione la ipo­tesi del Bianchini, che cioè in esso si abbia l'ustrino di quei prin­cipi. Che la cremazione solenne in quell'epoca si eseguisse nel
Campo Marzo, e proprio nella sua parte più larga, viene espres­samente affermato dalle parole di Erodiano. 

Quindi, data l'esi­stenza di un edifìzio destinato a tal uopo, non potremo cercarlo nè a nord del Mausoleo di Augusto, perchè ivi le elevazioni del ter­reno si avvicinano al fiume, nè al sud di piazza Colonna, essendo questa zona occupata da terme ed altri edifizì pubblici. 

Nè può es­sere casuale che su quel lato della base della colonna di Pio vicino ai tre recinti fosse effigiata l'apoteosi dell'imperatore e dell'impe­ratrice. Finalmente il rilievo dell'arco chiamato di Portogallo rappresentante l'apoteosi di Faustina, accresce la probabilità, che il luogo della consecrazione ­ se anche non si può credere strettamente attiguo al lato ovest dell'arco, essendovi il grandioso monumento
dell'Ara Pacis ­ non fosse molto lontano. 

Si potrebbe contrap­porre all'opinione del Bianchini, che le parole seguenti di Erodiano ' non vi è altra materia che il legno ', non si adattano al nostro edifìzio di costruzione solida. Però, lo storico parla della costru­zione del rogo da farsi apposta per ogni consacrazione: il luogo stesso dell'ustrino senza dubbio aveva un recinto monumentale.

Già viene attestato espressamente che l'ustrino di Augusto fosse cinto di un muro di marmo con cancelli di ferro (Strabo 6 ,3, 9 p. 236): tanto meno può recare maraviglia che una tale cinta nell' epoca degli Antonini assumesse una forma architettonica più sontuosa. 

E sebbene io non vorrei attribuire troppo peso alla somiglianza fra l'architettura dei recinti coll'ara effigiata sul rilievo dell'apoteosi di Faustina, non sarebbe giusto il disprez­zare la testimonianza del Bianchini, osservatore esperto e coscen­zioso dell'antica architettura romana. 

Sarebbe però da desiderare che ricerche locali venissero a confermare o a correggere le sue
asserzioni, e così schiarirci definitivamente sopra uno dei più sin­golari monumenti dell'antico Campo Marzo. -



IL RITROVAMENTO

Davanti al palazzo si erge l'obelisco di Psammetico II (594-589 a.c.), che vi è raffigurato con l'aspetto di una sfinge sdraiata. Accanto degli scarabei alati che reggono il disco solare. 

L'obelisco è alto 21,79 metri, in granito, poveniente da Eliopoli, eretto per commemorare le vittorie del faraone sugli Etiopi. 

Venne trasportato a Roma da Augusto ed innalzato nel 10 a.v. nel Campo Marzio, nella zona tra l'attuale piazza di Montecitorio e piazza di S. Lorenzo in Lucina, per servire da braccio indicatore di un enorme orologio solare. 
Aveva, infatti, l'enorme dimensione di 180 metri di lunghezza e 30 di larghezza e consisteva in una vasta platea lastricata in marmo sulla quale linee e lettere di bronzo dorato indicavano la durata delle notti e dei giorni. 

Crollò verso il IX secolo in seguito ad un incendio e giacque sepolto per molti secoli, dimenticato da tutti, anche perché come orologio solare aveva funzionato solo per 30 anni, come ci racconta Plinio, che attribuiva la causa del guasto o allo spostamento del terreno in seguito ad un terremoto o al mutato corso del sole oppure allo spostamento della terra dal suo asse. 

L'obelisco fu scoperto nel 1748, sotto le fondamenta della Casa degli Agostiniani di S.Maria del Popolo, dove un'iscrizione, su una grande targa marmorea posta sopra il portone di accesso, ne ricorda ancora l'avvenimento:

"BENEDICTUS XIV PONT MAX OBELISCUM HIEROGLYPHICIS NOTIS ELEGANTER INSCULPTUM ÆGYPTO IN POTESTATEM POPULI ROMANI REDACTA AB IMP CÆSARE AUGUSTO ROMAM ADVECTUM ET STRATO LAPIDE REGULISQUE EX ÆRE INCLUSIS AD DEPREHENDENDAS SOLIS UMBRAS DIERUMQUE AC NOCTIUM MAGNITUDINEM IN CAMPO MARTIO ERECTUM ET SOLI DICATUM TEMPORIS ET BARBAROR(UM) INJURIA CONFRACTU(M) JACENTEMQ(UE) TERRA AC ÆDIFICIIS OBRUTUM MAGNA IMPENSA ATQUE ARTIFICIO ERUIT PUBLICOQ(UE) REI LITERARIÆ BONO PROPRINQUU(M) IN LOCU(M) TRANSTULIT ET NE ANTIQUÆ SEDIS OBELISCI MEMORIA VETUSTATE EXOLESCERET MONUMENTUM PONI JUSSIT ANNO REP SAL MDCCXLVIII PONTIF IX".
Ovvero:
"Benedetto XIV Pontefice Maximo, l'obelisco elegantemente inciso con geroglifici, portato a Roma dall'imperatore Cesare Augusto, dopo che l'Egitto fu ridotto in potere del Popolo Romano, eretto nel Campo Marzio e dedicato al Sole su un pavimento marmoreo con indicazioni in rame per segnare le ombre del Sole e la durata dei giorni e delle notti, spezzato e giacente per le ingiurie del tempo e dei barbari, ricoperto di terra e dagli edifici, dissotterrò con grande spesa e maestria e per il bene pubblico della cultura lo trasferì in un luogo vicino ed affinché con il tempo non si perdesse la memoria dell'antica sede dell'obelisco, ordinò di porre questa lapide, nell'anno di recuperata salvezza 1748, nono del suo pontificato". Dopo il 1870 la casa fu espropriata dallo Stato Italiano e venduta.



LO GNOMONE

L'obelisco fu eretto nella piazza di Montecitorio da papa Pio VI tra il 1789 ed il 1792, per opera dell'architetto Giovanni Antinori che lo restaurò con il granito rosso prelevato dai frammenti della colonna Antonina. Si volle anche ripristinare la sua originale funzione di gnomone e sul selciato vennero predisposte una serie di selci-guida: sul culmine dell'obelisco fu posto un globo di bronzo (copia dell'originale) con una fessura attraverso la quale, a mezzogiorno, i passanti raggi solari avrebbero indicato le ore sul selciato. Purtroppo non si riuscì a renderlo funzionante (come, d'altronde, quello antico) e rimase solo un bel monumento.


BIBLIO

Andrea Carandini - con P. Carafa - Atlante di Roma antica. Ritratti e biografia della Città dalle origini al VI secolo d.c. - Electa - Milano - 2012 -
- Lorenzo Quilici - Roma primitiva e le origini della civiltà laziale - Roma - Newton Compton - 1979 - Tito Livio - Storia di Roma dalla sua fondazione - Biblioteca Universale Rizzoli - Milano - 1989 -
- Raymond Bloch - Les Origines de Rome - 1946 -
- Luciano Canfora - Noi e gli antichi. Perché lo studio dei greci e dei romani giova all'intelligenza dei moderni - Milano - Rizzoli 2002 -




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