MATRONA CON GIOIELLI - TREVIRI GERMANIA IV SEC. |
LE TECNICHE DI LAVORAZIONE
Fusione in terra
La fusione più arcaica per realizzare gioielli è quella della colata in terra, dove il metallo fuso viene colato in uno stampo composto da una terra speciale, detta terra da fonderia, che alla fine del processo verrà rotta per poterne estrarre il pezzo.
La terra da fonderia era un impasto naturale di sabbia silicea, argilla e acqua. Le terre però una volta usate, perdono le loro qualità alla cottura, per cui si possono riutilizzare solamente dopo un certo trattamento.
La fusione più arcaica per realizzare gioielli è quella della colata in terra, dove il metallo fuso viene colato in uno stampo composto da una terra speciale, detta terra da fonderia, che alla fine del processo verrà rotta per poterne estrarre il pezzo.
La terra da fonderia era un impasto naturale di sabbia silicea, argilla e acqua. Le terre però una volta usate, perdono le loro qualità alla cottura, per cui si possono riutilizzare solamente dopo un certo trattamento.
A cottura ultimata il pezzo deve essere ripulito dalle incrostazioni e dai residui della fusione. E' un processo elaborato a causa della perdita della forma di base che va ricostruita ogni volta in quanto viene spaccata per l'estrazione. E' un processo poco costoso ma può essere usato solo per spessori notevoli, non sempre compatibili con il valore dei metalli preziosi.
Per creare gioielli più sofisticati gli oggetti ottenuti dalla fusione venivano lavorati a bulino e o a cesello.
Fusione a cera persa
Il metodo consiste nel creare a mano e in cera il modello a tutto tondo da riprodurre, a cui vengono aggiunti i canali di entrata/uscita (sempre in cera) e quindi si realizza lo stampo in gesso. Questo viene poi scaldato nel forno, in modo che la cera esca dai canali, e allora si cola al suo posto, all'interno dello stampo, il metallo fuso.
Poi il gesso viene rotto e si ottiene l'oggetto dal quale vanno tolti i canali di entrata/uscita. Il gioiello viene rifinito mediante lucidatura o altre lavorazioni.
Il pregio di questo processo è l'altissima finitura superficiale del pezzo finale, che è la più alta tra tutti i processi di fonderia, ma anche elaborata per la perdita della forma di base che va ricostruita ogni volta in quanto viene spaccata per l'estrazione.
Il pregio di questo processo è l'altissima finitura superficiale del pezzo finale, che è la più alta tra tutti i processi di fonderia, ma anche elaborata per la perdita della forma di base che va ricostruita ogni volta in quanto viene spaccata per l'estrazione.
Permette di usare strati molto sottili di metallo prezioso, alleggerendo il gioiello sia come peso che come costo, lasciando invece il costo del contenuto artistico.
I bronzi di Riace sono un gigantesco esempio di fusione a cera persa.
I bronzi di Riace sono un gigantesco esempio di fusione a cera persa.
Fusione in forma permanente
ORECCHINI CON PERLE |
Cesello e sbalzo
La lavorazione del cesello e sbalzo delle lastre di oro e di argento è uno dei metodi più raffinati e difficili dell'oreficeria. Per riprodurre un disegno in rilievo su lastra si deve operare dal rovescio. Si riporta il disegno sulla lastra di dimensione superiore a quella dell' oggetto finito, per poterne rettificarne il contorno, la si fissa su un supporto di legno coperto di pece quindi con un punzone e un piccolo martello si abbozza il disegno.
Dopo un certo numero di colpì occorre procedere alla ricottura del metallo, per riportarlo alla malleabilità originaria, altrimenti diventa duro e tende a spaccarsi.
Con lo sbalzo si procede a rifinire i contorni del disegno, quindi si volta la lastra e si ricomincia dal verso diritto, ossia dall'esterno poi se necessario si ripassa ai rovescio, e cosi via. Per questo lavoro si usano punzoni di varie forme mentre il martello da cesellatore ha una caratteristica forma a fungo con testa larga circolare e con la penna sferica o semisferica.
Dopo un certo numero di colpì occorre procedere alla ricottura del metallo, per riportarlo alla malleabilità originaria, altrimenti diventa duro e tende a spaccarsi.
Con lo sbalzo si procede a rifinire i contorni del disegno, quindi si volta la lastra e si ricomincia dal verso diritto, ossia dall'esterno poi se necessario si ripassa ai rovescio, e cosi via. Per questo lavoro si usano punzoni di varie forme mentre il martello da cesellatore ha una caratteristica forma a fungo con testa larga circolare e con la penna sferica o semisferica.
La cesellatura viene invece effettuato sempre dal diritto, per rettificare i contorni di motivi già abbozzati, spesso ottenuti per fusione. Anche qui vengono usati punzoni e martello la differenza più grande ed evidente tra sbalzo e cesello è quindi che nello sbalzo la maggior parte del lavoro viene eseguita dal rovescio, mentre il cesello vero proprio viene eseguito dal diritto.
Il cesellatore batte con la mazzetta piccoli colpi continui sulla testa del cesello che tiene con la sinistra, stretto fra il pollice e l'indice, mentre il medio e l'anulare lo dirigono spostandolo
leggermente dopo ogni colpo.
I romani erano grandi esperti in tutti questi tipi di fusione che si usano a tutt'oggi.
I MODELLI
I gioielli delle bambine
Per prima cosa le bambine romane indossavano la bulla aurea, un ciondolo d'oro che serviva da amuleto portafortuna.
In realtà la bulla aurea era un gioiello di origine sabina voluto dalle sabine quando accettarono di sposare i romani dopo essere state rapite.
La bulla veniva indossata da maschietti e femminucce, e in origine almeno, non era un porta fortuna ma il segno della sacralità dei bambini, chi osava far loro del male sarebbe stato punito con la morte.
Naturalmente la bulla non poteva essere indossata dai piccoli schiavi ma solo dalle persone libere.
La bulla era in genere di solo "oro matto" (oro a 22 carati), talvolta aveva attaccato un ciondolo con una pietra dura o una pasta vitrea.https://www.romanoimpero.com/2022/01/giovanni-iv-lascaris-1250-1305.html
Mummia di Grottarossa
Nel 1964 si scoprì al Km.11 della Via Cassia la mummia di una bambina romana di otto anni della metà del II secolo d.c.. Questa fu ritrovata appunto a Grottarossa, a nord di Roma, all'11 Km della via Cassia, all'interno di un sarcofago assieme al suo corredo funerario.
Il corpo della bambina era avvolto in una pregiata tunica di seta cinese con una collana in oro e zaffiri, una collana intatta e lunga 36,5 cm. a filo d’oro lavorato a cordoncino con un pendaglio di tredici zaffiri sfaccettati.
Inoltre aveva due orecchini di filo d'oro e un anello con castone aureo sul quale era incisa una Vittoria alata. Un filo avvolgeva parte dell'anello per ridurne il diametro. Accanto al corpo fu trovata anche una bambola in avorio con braccia e gambe articolate. Completavano il corredo funerario alcuni vasetti, piccoli amuleti ed un minuto busto femminile, tutto in ambra rossa.
Bellissima la bambola d'avorio di Crepereia Tryphaena, una fanciulla romana morta nella seconda metà del II secolo d.c.
Al dito della bambola era conservato un anello d'oro con la piccolissima chiave che apriva il cofanetto.
La bambola era alta circa 20 cm con articolazioni snodate alla spalla, all'anca e persino al gomito ed al ginocchio, snodi che neppure oggi si usano nemmeno per le bambole più costose..
Le mani hanno le unghie, i piedi sono perfettamente delineati ed il volto, decisamente bello, è sovrastato da capelli disposti in un'acconciatura di sei trecce raccolte sul capo a corona, la pettinatura tradizionale delle spose romane.
I gioielli dei poveri e dei ricchi
Gli orecchini, inaures, erano il primo degli ornamenti femminili, che possono essere indossati fin dall'infanzia. Li portavano tutte le bambine, povere o ricche che fossero.
Portavano così anche il cerchio da porre al braccio, la buccola, in oro o argento o rame o bronzo, semplice o con una pietra preziosa o in pasta vitrea, con attaccati gingilli o conchiglie o bacche..
Ma ogni bambina portava al dito mignolo un anello d’oro, e alle orecchie altri due cerchi d'oro. Per quanto poveri un filo sottile di oro potevano indossarlo soprattutto trasmetterlo da madre a figlia.
I gioielli delle donne
I gioielli delle adulte somigliavano molto ai modelli etruschi del III° e II° sec. a.c., abilissimi orafi che prediligevano il gioiello flessibile e snodato in più maglie ritorte in se stesse e tra loro. Il cerchio rigido ritorto fu invece di uso quasi solo maschile, adoperato per onorificenze militari. Ve ne erano di argento e di oro e i soldati non se ne separavano perchè dimostrava il loro valore guerriero e patriottico guadagnandosi così il rispetto della gente. Forse il gioiello più in voga, sia etrusco che greco e pure romano, nonchè egizio, fu un serpente d'oro sull'avambraccio o come anello, antico simbolo portafortuna della Dea Terra.
GIOIELLI ETRUSCHI
Tra i primi ornamenti, nella stessa Etruria, ci furono le fibule, fibbie che fungevano da spille, soprattutto in bronzo e in argento, con decorazioni varie, ma anche in ambra o in oro.
Quasi contemporaneamente si diffusero fermacapelli per donna e altri monili, tra cui le collane, con lamine di argento ed oro.
leggermente dopo ogni colpo.
I romani erano grandi esperti in tutti questi tipi di fusione che si usano a tutt'oggi.
I MODELLI
I gioielli delle bambine
Per prima cosa le bambine romane indossavano la bulla aurea, un ciondolo d'oro che serviva da amuleto portafortuna.
BULLA |
La bulla veniva indossata da maschietti e femminucce, e in origine almeno, non era un porta fortuna ma il segno della sacralità dei bambini, chi osava far loro del male sarebbe stato punito con la morte.
Naturalmente la bulla non poteva essere indossata dai piccoli schiavi ma solo dalle persone libere.
La bulla era in genere di solo "oro matto" (oro a 22 carati), talvolta aveva attaccato un ciondolo con una pietra dura o una pasta vitrea.https://www.romanoimpero.com/2022/01/giovanni-iv-lascaris-1250-1305.html
Mummia di Grottarossa
Nel 1964 si scoprì al Km.11 della Via Cassia la mummia di una bambina romana di otto anni della metà del II secolo d.c.. Questa fu ritrovata appunto a Grottarossa, a nord di Roma, all'11 Km della via Cassia, all'interno di un sarcofago assieme al suo corredo funerario.
Il corpo della bambina era avvolto in una pregiata tunica di seta cinese con una collana in oro e zaffiri, una collana intatta e lunga 36,5 cm. a filo d’oro lavorato a cordoncino con un pendaglio di tredici zaffiri sfaccettati.
Inoltre aveva due orecchini di filo d'oro e un anello con castone aureo sul quale era incisa una Vittoria alata. Un filo avvolgeva parte dell'anello per ridurne il diametro. Accanto al corpo fu trovata anche una bambola in avorio con braccia e gambe articolate. Completavano il corredo funerario alcuni vasetti, piccoli amuleti ed un minuto busto femminile, tutto in ambra rossa.
Crepereia Tryphaena
La bambola venne sepolta accanto alla bambina e dotata di un cofanetto di legno e avorio, dove erano conservati gioielli d'oro in miniatura, come miniaturizzato era anche il suo completo da toilette: due pettinini in avorio e due minuscoli specchi d'argento.
Al dito della bambola era conservato un anello d'oro con la piccolissima chiave che apriva il cofanetto.
La bambola era alta circa 20 cm con articolazioni snodate alla spalla, all'anca e persino al gomito ed al ginocchio, snodi che neppure oggi si usano nemmeno per le bambole più costose..
Le mani hanno le unghie, i piedi sono perfettamente delineati ed il volto, decisamente bello, è sovrastato da capelli disposti in un'acconciatura di sei trecce raccolte sul capo a corona, la pettinatura tradizionale delle spose romane.
I gioielli dei poveri e dei ricchi
Gli orecchini, inaures, erano il primo degli ornamenti femminili, che possono essere indossati fin dall'infanzia. Li portavano tutte le bambine, povere o ricche che fossero.
Portavano così anche il cerchio da porre al braccio, la buccola, in oro o argento o rame o bronzo, semplice o con una pietra preziosa o in pasta vitrea, con attaccati gingilli o conchiglie o bacche..
Ma ogni bambina portava al dito mignolo un anello d’oro, e alle orecchie altri due cerchi d'oro. Per quanto poveri un filo sottile di oro potevano indossarlo soprattutto trasmetterlo da madre a figlia.
I gioielli delle donne
I gioielli delle adulte somigliavano molto ai modelli etruschi del III° e II° sec. a.c., abilissimi orafi che prediligevano il gioiello flessibile e snodato in più maglie ritorte in se stesse e tra loro. Il cerchio rigido ritorto fu invece di uso quasi solo maschile, adoperato per onorificenze militari. Ve ne erano di argento e di oro e i soldati non se ne separavano perchè dimostrava il loro valore guerriero e patriottico guadagnandosi così il rispetto della gente. Forse il gioiello più in voga, sia etrusco che greco e pure romano, nonchè egizio, fu un serpente d'oro sull'avambraccio o come anello, antico simbolo portafortuna della Dea Terra.
GIOIELLI ETRUSCHI
Tra i primi ornamenti, nella stessa Etruria, ci furono le fibule, fibbie che fungevano da spille, soprattutto in bronzo e in argento, con decorazioni varie, ma anche in ambra o in oro.
ANELLO ETRUSCO |
C'erano poi i girocolli, con inserti di pasta vitrea, ambra e perle. Il medaglione divenne elemento di copertura, di altri prodotti meno preziosi e fu lavorato a lamina o a filamenti spiroidali.
Verso l'VIII e ill VII sec. a.c. comparve la granulazione, minuscoli granuli d’oro utilizzati nella decorazione dei gioielli. L’oro veniva separato in sottilissime parti, unite a carbone in polvere, compresso e scaldato fino alla fusione che ne provocava la particolare forma di sferette minuscole.
Verso l'VIII e ill VII sec. a.c. comparve la granulazione, minuscoli granuli d’oro utilizzati nella decorazione dei gioielli. L’oro veniva separato in sottilissime parti, unite a carbone in polvere, compresso e scaldato fino alla fusione che ne provocava la particolare forma di sferette minuscole.
Dopo il raffreddamento, l’oro si sottoponeva al lavaggio. Per montare le sferette si usava una colla, e quindi venivano fissate in modo permanente col calore.
Tra i gioielli si diffuse la rappresentazione di animali, veri o fantastici, e arabeschi vegetali. Le collane, costituite da un intreccio a catena, venivano abbellite con pendagli decorati all'uso orientale
Si idearono pendenti formati da uno scarabeo girevole, e comparvero le pietre dure. I bracciali, formati dapprima da un elemento circolare rigido, divennero a fascia o a serpentina. Gli orecchini erano composti da una lamina decorata a filigrana, unita al lobo dell’orecchio tramite un piccolo filo.
Dalla metà del VI secolo a.c. si eseguirono gli anelli con un castone a sbalzo, tramite incisione, o con gemme intagliate. Al termine dal VI secolo a.c. subentrò una granulazione sottilissima, con effetto a pulviscolo, unita a paste vitree e pietre dure, con effetto molto decorativo.
I monili che si utilizzarono, furono diademi trattati a sbalzo, pendenti per le orecchie a ferro di cavallo, o a scudo ellittico. In epoca ellenistica, si diffusero anche modelli caratterizzati da pendenti eseguiti in materiali diversi, dall’oro, all’ambra, con rappresentazioni di uccelli e di altri animali.
Tra i gioielli si diffuse la rappresentazione di animali, veri o fantastici, e arabeschi vegetali. Le collane, costituite da un intreccio a catena, venivano abbellite con pendagli decorati all'uso orientale
Si idearono pendenti formati da uno scarabeo girevole, e comparvero le pietre dure. I bracciali, formati dapprima da un elemento circolare rigido, divennero a fascia o a serpentina. Gli orecchini erano composti da una lamina decorata a filigrana, unita al lobo dell’orecchio tramite un piccolo filo.
Dalla metà del VI secolo a.c. si eseguirono gli anelli con un castone a sbalzo, tramite incisione, o con gemme intagliate. Al termine dal VI secolo a.c. subentrò una granulazione sottilissima, con effetto a pulviscolo, unita a paste vitree e pietre dure, con effetto molto decorativo.
I monili che si utilizzarono, furono diademi trattati a sbalzo, pendenti per le orecchie a ferro di cavallo, o a scudo ellittico. In epoca ellenistica, si diffusero anche modelli caratterizzati da pendenti eseguiti in materiali diversi, dall’oro, all’ambra, con rappresentazioni di uccelli e di altri animali.
GIOIELLI GRECI
La produzione di gioielli in oro e argento, destinata alla classe dirigente, inizia nell’Occidente greco sin dagli inizi della colonizzazione, alla fine dell’VIII sec. a.c., con fibule e collana di pendagli discoidali in lamina d’oro da Cuma, pendenti di argento ispirati a modelli orientali, con scarabei egizi di faïence incastonati.
Poi un pettorale di oro e argento decorato a sbalzo con palmette e fiori di loto, degli inizi del VI sec. a.c.. A Taranto serie di statuette coperte da preziosi diademi di argento.
Nel corso del VI e del V sec. a.c., le oreficerie magno-greche si diffusero anche al disopra della penisola, come emerge dai rinvenimenti nelle necropoli. Dal IV sec. a.c. si segnalano le produzioni delle botteghe orafe di Cuma e Taranto.
Sono state rinvenute anche imitazioni in terracotta colorata di questi monili, destinate ai ceti meno abbienti, che imitavano le classi più ricche. Taranto emerge in età ellenistica per la grande produzione di gioielli e l’uso quasi esclusivo dell’oro, proveniente dall’Oriente ellenistico. Non va dimenticata l'ambra, proveniente dall’area balcanica attraverso le vie commerciali dell’Adriatico.
Tra le splendide oreficerie tarantine decorate con varie tecniche (incisione, godronatura, filigrana, sbalzo), si ricordano gli orecchini a navicella e quelli configurati a protome di leone, diffuse dal tardo IV sec. a.c. anche per le terminazioni di collane e bracciali; anelli a spirale, con ovali a raffigurazioni incise o con pietre incastonate; diademi, come quello del III sec. a.c. rinvenuto a Canosa nella Tomba degli Ori, con serti floreali impreziositi da smalti e pietre dure.
Gli ori di Taranto sono attestati sino agli inizi del II sec. a.c., quando la conquista romana fece entrare in concorrenza i propri orefici con le botteghe locali.
GIOIELLI ROMANI
I romani per l'oreficeria presero a modello tanto l'oreficeria etrusca che quella greca, e perfino un tocco di oriente persiano. Indubbiamente però i primi orefici che servirono Roma furono etruschi. Ma l'oreficeria romana ebbe anche anelli a losanga incisa, di derivazione greca; o lo scarabeo girevole. I gioielli realizzati in oro e gemme si moltiplicarono verso la fine dell'età repubblicana e soprattutto a partire dall'età augustea (27 a.c.-14 d.c.), con l'apertura dei mercati orientali da cui provenivano le pietre preziose.
Soprattutto si diffusero le perle, pescate nell'Oceano Indiano e nel Mar Rosso, usate non solo nei gioielli, ma anche per ornare i vestiti e pure i calzari. Plinio e Tacito si dolsero non poco di tanto sperpero di denaro a causa della vanità femminile, ma non pensarono all'artigianato e al commercio che ne fiorirono sfamando la popolazione.
La matrona si vestiva e ingioiellava grazie alle schiave ornatrices, pratiche di abbigliamento e abbinamenti per far risaltare la sua bellezza. Esse si preoccupavano di creare con armonia tra le vesti, le calzature e i gioielli. Le vesti delle donne romane furono tra le più belle, perchè non complicate ma fluttuanti, leggere e femminili, senza costrizioni ma in pieno rispetto del corpo, e di colori pastellati e vivaci, come non se ne avranno in seguito. Anche i gioielli furono inimitabili, con quel caratteristico aspetto dorato scuro dell'oro a 22 carati come usava all'epoca, più attente al gusto che non al peso dell'oggetto.
Plinio descrive Lollia Paolina con un tocco di riprovazione, perchè "... ricoperta di smeraldi e perle ... con gioielli risplendenti sulla testa, nei capelli, sul collo, alle orecchie e alle dita... " (Plinio, Storia Naturale).
Provenienti soprattutto da miniere egiziane, gli smeraldi erano molto desiderati "... per molte cause, ma certamente perché di nessun colore l'aspetto è più gradevole .... i soli che fra le gemme soddisfano lo sguardo senza saziarlo" (Plinio, Storia Naturale).
Petronio, con un pizzico di humor "... Fortunata si tolse le armille dalle sue braccia grassissime per mostrarle all'ammirazione di Scintilla. Alla fine si tolse anche i cerchi dalle caviglie e la reticella d'oro dai capelli ..." (Satyricon, LXVII).
Appezzatissimi gli smeraldi, provenienti per lo più da miniere egiziane, i granati e i diaspri.
L'oro viene usato molto più dell'argento e di materiali poveri come il bronzo. Fanno eccezione delle collane e degli spilloni per i capelli, spesso di bronzo o materiali poveri.
La maggior parte dei resti rinvenuti sono quelli delle città sepolte vesuviane che documentano quanta ricchezza di oreficeria si possedesse in una città di provincia da parte dei soli ceti medi, senza tener conto degli aristocratici. I gioielli erano diffusissimi tra le romane.
Acconciature
Per fermare l'acconciatura c'erano aghi crinali e reticelle: queste ultime (reticula o retiola aurea), in sottili fili d'oro talvolta arricchiti da gemme, costose ed estremamente delicate. Nel ritratto della c.d. Saffo (ritratto femminile di Pompei) si nota la capigliatura racchiusa in una reticella d'oro.
Per i capelli si usava l'Ago Crinale, uno spillone che fissava la pettinatura sulla nuca, composto da un ago sormontato da una pallina o da decorazioni varie: una ghianda, una pigna, un bocciolo, una testa d'animale, un busto femminile, un erote o una Venere.
Poteva essere in osso, avorio, d'argento e d’oro.
Nella pallina o decorazione, se cava, potevano essere conservati anche veleni.
In Grecia furono proibiti perchè le donne li usavano contro gli uomini quando si sentivano aggredite. A Roma non furono mai proibiti, ma nessuna donna avrebbe osato tanto.
In area vesuviana, una delle aree che ha conservato, a causa dell'eruzione vulcanica, la maggior parte dei monili antichi, ha presentato diversi modelli di aghi crinali.
Però, diversamente da altri ornamenti (anelli, orecchini e bracciali) gli aghi crinali più numerosi sono fatti di materiali meno preziosi, come l'osso o l'argento, raramente è stato rinvenuto l'oro.
Tra questi ultimi, sono di grande eleganza quelli con presa a forma di vaso (un cratere), decorato da una gemma.
E' da ricordare l'elegante esemplare in vetro, proveniente dalla villa di Crassio Terzio ad Oplontis, unico del suo genere, Viene da pensare che gli aghi fossero di materiali meno preziosi in quanto facili da perdere con una riavviata di capelli.
L'acconciatura del capo prevedeva anche un diadema e in area vesuviana se ne è rinvenuto un esemplare in lamina d'oro traforata in cui sono incastonate grandi perle barocche, evidentemente di una donna d'alto rango.
Orecchini
Molto più diffusi gli orecchini (inaures). Spesso gli autori antichi li descrivono come uno dei monili più amati dalle donne che facevano a gara per possederne di sempre più preziosi, attirando le critiche ed i rimproveri dei moralisti:
"... non appesantite le orecchie con gemme costose... spesso ci mettete in fuga con il lusso attraverso il quale cercate di attirarci" (Ovidio, L'arte di amare).
Ma Ovidio cercava di farsi benvolere da Augusto e spesso ne interpretava l'austerità ben incarnata dalla schiva moglie Livia. Gli orecchini erano i gioielli più usati; le donne ne portavano anche più di uno per orecchio. Largamente usati i "crotalia", pendenti doppi con una perla alle estremità, che producevano un piacevole tintinnio.
Giovenale, con l'acidità solita verso il mondo femminile: " La donna crede di potersi permette tutto ... quando appende grandi perle alle orecchie, allungandole per il troppo peso". (Satire, VI, 457 - 459).
Il pendente poteva essere costituito da un'unica perla, magari di grandi dimensioni, o da due o tre perle o anche da più coppie di perle:
"... non ci si limita ad accostare una sola grande perla ad ogni orecchio ... le orecchie sono ormai abituate a sostenere grandi pesi: si uniscono e si sovrappongono coppie a coppie di perle (Seneca. Benefici, VII, 9, 4).
Egli si riferiva probabilmente al tipo crotalia, per il tintinnio che le perle producevano urtandosi fra loro.
I modelli con più di due perle erano naturalmente per i più ricchi, soprattutto gli orecchini "a grappolo" o "a canestro", in filo o in lamina d'oro, di forma emisferica, nel quale sono fittamente inserite perline o altre gemme.
In alcuni il canestro è costituito da castoni saldati fra loro (da Oplontis) oppure il canestro era formato da una elegante reticella aurea, senza gemme (da Ercolano).
Tra i modelli di orecchini il tipo più diffuso nel ceto medio è quello a forma di spicchio di sfera, costituito da una lamina d'oro sagomata alla quale viene saldato un gancio a doppia curva per appenderlo all'orecchio.
Esso è ritenuto invenzione degli orefici campani ed è caratterizzato dall'ampia superficie liscia, uno dei motivi preferiti dall'oreficeria romana. Ve ne sono però alcuni decorati con puntinatura a sbalzo, economica imitazione della granulazione.
Alquanto diffuso, fino al III secolo d.c. è anche l'orecchino di derivazione ellenistica costituito da un semplice anello in filo d'oro, a volte decorato con piccole gemme, dal quale pende un filo in oro terminante con una perlina o una pietra.
Le Collane
Nell'area vesuviana le collane, comuni quasi quanto gli orecchini, difficilmente erano in oro o argento. spesso invece in materiale alternativo come la pasta di vetro o perle, corallo, ambra ecc..
Il modello più usato, di lunghezza varia, ha una serie di grani sferoidali di colore turchese, solcati da costolature longitudinali.
Un altro modello presenta grani lisci in cristallo di rocca, o barilotti di vari colori, o vetri sfaccettati.
Spesso i grani sono mescolati, con diverse forme e colori. Le altre collane documentate sono in oro, talvolta arricchito da gemme, ma le più frequenti sono quelle meno costose: un semplice girocollo in oro, provvisto di un pendente.
Il pendente è quasi sempre una lunula (un piccolo crescente lunare) amuleto che, secondo Plauto (Epidicus), si usava regalare alle bimbe alla loro nascita, indossato prevalentemente dalle ragazze e dalle donne non sposate.
A volte la collana aveva diversi pendenti, o alternavano sferette d'oro a sfere di pasta vitrea, oppure dischetti in oro con pasta vitrea o perle.
Le maglie delle catenine invece erano generalmente costituite da piccole lamine che rendevano piatta la collana, oppure erano in filo tagliati a forma di 8, ripiegati e inseriti gli uni negli altri.
Questo tipo di maglia, chiamato loop in loop, assumeva una sezione quadrangolare.
Negli esemplari più elaborati le catene in filo potevano essere a maglie multiple, così da formare cordoncini di vario spessore.
Andava di moda la catena formata da maglie a ∞ non ripiegate, in filo molto grosso. Ma pure le collane con grani, in lamina d'oro, a sfere o ovoidali.
Le chiusure sono spesso dei semplici ganci, a volte con borchie applicate per impreziosirli.
Il giro collo a volte aveva pietre preziose, unite in vario modo, che gli davano un tocco di colore.
Si trattava spesso, come è documentato anche nella regione vesuviana, di smeraldi tagliati, talvolta alternati a perline. Oppure con coralli, perle barocche o ametiste.
Ci si chiede che valore avessero gli smeraldi per i romani, dato che sono state rinvenute collane di smeraldi con alcune delle pietre sostituite in pasta vitrea. Evidentemente delle pietre si erano spaccate, oppure non si avevano sufficienti smeraldi per la collana. Oggi non si completerebbe mai una collana autentica di pietre preziose con pietre false, invece i romani lo facevano.
Strano, perchè i romani avevano molto chiaro il concetto dell'originale e del falso, ma è come se non venisse applicato sulle pietre.
Un modello di notevole effetto e di grande pregio è quello costituito da più catene di maglia in filo accostate, così da costituire un nastro sul quale sono fissate le pietre preziose. Sono noti solo pochissimi esemplari, due dei quali dall'area vesuviana.
Si ricordano la collana con grandi perle barocche alternate a smeraldi a forma di prisma, otto esemplari di collane di grande lunghezza, con maglie in lamina o in filo, nonchè collane costituite da una fila di foglie in lamina, come lo splendido esemplare rinvenuto nella Villa di Diomede a Pompei.
Di grande valore e bellezza è la collana recentemente trovata negli scavi in località Moregine, a Pompei, il cui lunghissimo laccio (cm. 242) è costituito da una maglia multipla del tipo loop in loop.
Potevano infatti venire avvolte in più giri attorno al collo e poggiate sulle spalle oppure poggiate sulle spalle e incrociate sul petto e sul dorso, con le borchie nei punti di incrocio, come è documentato da alcune pitture. Insomma le lunghe collane degli anni venti furono copiate dalle collane romane. Praticamente queste catene d'oro servivano a modellare la veste, incorniciandone i seni e/o il punto vita. Talvolta erano così lunghe da ricadere sui fianchi.
Forse, a questo tipo di ornamento si riferisce il passo di Plinio che deplora l'eccesso di lusso delle catenae d'oro che corrono lungo i fianchi (Plinio, Storia Naturale, XXXIII,12, 40).
Bracciali
I bracciali (armille), erano abbastanza diffusi, sia alle braccia che ai polsi ed anche alle caviglie (periscelides). Sono quasi sempre in oro, pochi quelli in argento e ancor meno quelli in bronzo. Negli esemplari in oro, spesso la verga non è piena ma costituita da una lamina.
Le donne portavano sovente gioielli a lastra, come si vede in molti films riferiti all'epoca, che si aprivano a pressione, attorno al braccio ma soprattutto all'avambraccio.
Le cavigliere possedevano spesso dei pendenti leggeri che risuonavano al passo delle leggiadre fanciulle romane, infatti erano molto frequenti in argento, che lasciava un suono più tintinnante. Insomma tra orecchini e periscelides quando una fanciulla romana passava si notava per il gradevole tintinnio alle orecchie e ai piedi.
Il modello prevalente a Pompei ed Ercolano, è quello a serpente, generalmente con il corpo del rettile avvolto in una o più spire, o a due teste affrontate, o con pietre incastonate sul capo o negli occhi.
Le armille seguivano una moda: quelle con verga a nastro avvolta in spire e teste di serpe divergenti alle due estremità del bracciale, (come quella trovata nella casa del Fauno a Pompei), sono del I sec. a.c.; quelle sempre con verga a nastro ma con una sola testa, di età augustea; quelle con verga tonda, del I sec. d.c. inoltrato.
Il serpente, nell'antichità e in tutte le epoche e in tutte le parti del mondo, ebbe un significato sacro e apotropaico.
Solo nella religione cristiana prese un significato malefico.
Il serpente era il simbolo della Dea Tellus, di ogni Dea della Natura, pertanto simbolo di fecondità e prosperità.
Le realizzazioni sono superbe, nel corpo assottigliato verso la coda, nelle scaglie ben delineate, nella testa ben scolpita e negli occhi costituiti da perline di pasta vitrea.
Frequenti sono anche le armille con semplice verga tonda e cava, spesso riempita di resina o altro materiale per ottenere una maggiore solidità, solo con un castone liscio, appena accennato; altre possono recare una o più pietre di smeraldo.
Un altro modello tipico di questo periodo è il bracciale costituito da una serie di calotte ovoidali o coppie di calotte semisferiche agganciate fra loro.
Questo bracciale, che ricorda quello degli orecchini a spicchio di sfera e delle armille a verga tonda, è del gusto tipico dell'oreficeria romana fra il I sec. a.c. e il I d.c., un gusto sobrio ed elegante che preferisce le superfici lisce al quelle granulate granulazioni e filigranate del mondo etrusco ed ellenistico. Modelli più rari sono le armille con verga a nastro e castone decorato a sbalzo o quelle a maglie rigide.
Gli Anelli
L'ornamento più diffuso tra la popolazione è l'anello, presente ovunque anche in chi non poteva permettersi gioielli.
Questi venivano indossati in più di un esemplare per ciascuna mano. Era un costume seguito anche dagli uomini, come ricordano con ironia alcuni caustici epigrammi di Marziale: "...
Charinus porta sei anelli ad ogni dito" (XI, 59) ; ":.. chi sarà quel ricciutello ..: che porta ad ogni dito un anellino..." (V, 61); però deve riconoscere che il suo amante fa altrettanto, e pure con ostentazioni preziose "Il mio Stella ... porta sardonici, smeraldi, diamanti e diaspri ad ogni dito" (V,11).
L'anello aveva anche la funzione di sigillo e per questo si rinvengono molti anelli con castone o con gemma incisa.
L'incisione delle gemme diventa così un'arte vera e propria e il loro uso riguarda sia donne che uomini, soprattutto in oro, pochi in argento o ferro e ancor meno in bronzo. Sulla pietra o sul diaspro si incidono divinità, simboli romani, teste di imperatori, animali e così via, ma sull'anello d'oro si pongono pure monete o piccole medaglie.
Tra i vari modelli documentati prevalgono nettamente gli anelli con il castone decorato da una gemma, spesso incisa; la verga è liscia e per lo più cava, era realizzata con una lamina riempita con resina o altra sostanza che le conferiva maggiore solidità.
Le gemme più usate erano smeraldi, prasii, granati, ametiste, niccoli, quarzi, ma soprattutto corniole, queste ultime quasi sempre incise. La corniola e il niccolo avevano un costo minore e pertanto erano sovente montati in ferro. Per giunta non restavano attaccate alla cera se usati come sigillo (Plinio, Storia Naturale, XXXVII, 30 - 31).
Un altro modello di anello a larga diffusione è quello con verga liscia che si allarga verso un castone, tipo definito liscio o inciso.
Molto usato naturalmente l'anello a corpo di serpente: a due teste affrontate, con una patera o una perla nella bocca o avvolto in diverse spire.
Rari invece gli anelli a cerchio, con verga a sezione circolare liscia o più raramente godronata. Ancora più rari quelli in cui la verga si sdoppia formando due anelli con castoni lisci combacianti.
Le Fibule
Le fibule furono le spille tra le più antiche usate dai romani per fermare le vesti sulle spalle ed alla vita. Si ritiene che lo spillone fosse ancora più antico, ma in ogni caso l'uso fu concomitante.
La produzione di gioielli in oro e argento, destinata alla classe dirigente, inizia nell’Occidente greco sin dagli inizi della colonizzazione, alla fine dell’VIII sec. a.c., con fibule e collana di pendagli discoidali in lamina d’oro da Cuma, pendenti di argento ispirati a modelli orientali, con scarabei egizi di faïence incastonati.
ANELLO MAGNA GRECIA |
Nel corso del VI e del V sec. a.c., le oreficerie magno-greche si diffusero anche al disopra della penisola, come emerge dai rinvenimenti nelle necropoli. Dal IV sec. a.c. si segnalano le produzioni delle botteghe orafe di Cuma e Taranto.
Sono state rinvenute anche imitazioni in terracotta colorata di questi monili, destinate ai ceti meno abbienti, che imitavano le classi più ricche. Taranto emerge in età ellenistica per la grande produzione di gioielli e l’uso quasi esclusivo dell’oro, proveniente dall’Oriente ellenistico. Non va dimenticata l'ambra, proveniente dall’area balcanica attraverso le vie commerciali dell’Adriatico.
Tra le splendide oreficerie tarantine decorate con varie tecniche (incisione, godronatura, filigrana, sbalzo), si ricordano gli orecchini a navicella e quelli configurati a protome di leone, diffuse dal tardo IV sec. a.c. anche per le terminazioni di collane e bracciali; anelli a spirale, con ovali a raffigurazioni incise o con pietre incastonate; diademi, come quello del III sec. a.c. rinvenuto a Canosa nella Tomba degli Ori, con serti floreali impreziositi da smalti e pietre dure.
Gli ori di Taranto sono attestati sino agli inizi del II sec. a.c., quando la conquista romana fece entrare in concorrenza i propri orefici con le botteghe locali.
COLLANA ROMANA (modello loop in loop) |
GIOIELLI ROMANI
I romani per l'oreficeria presero a modello tanto l'oreficeria etrusca che quella greca, e perfino un tocco di oriente persiano. Indubbiamente però i primi orefici che servirono Roma furono etruschi. Ma l'oreficeria romana ebbe anche anelli a losanga incisa, di derivazione greca; o lo scarabeo girevole. I gioielli realizzati in oro e gemme si moltiplicarono verso la fine dell'età repubblicana e soprattutto a partire dall'età augustea (27 a.c.-14 d.c.), con l'apertura dei mercati orientali da cui provenivano le pietre preziose.
Soprattutto si diffusero le perle, pescate nell'Oceano Indiano e nel Mar Rosso, usate non solo nei gioielli, ma anche per ornare i vestiti e pure i calzari. Plinio e Tacito si dolsero non poco di tanto sperpero di denaro a causa della vanità femminile, ma non pensarono all'artigianato e al commercio che ne fiorirono sfamando la popolazione.
La matrona si vestiva e ingioiellava grazie alle schiave ornatrices, pratiche di abbigliamento e abbinamenti per far risaltare la sua bellezza. Esse si preoccupavano di creare con armonia tra le vesti, le calzature e i gioielli. Le vesti delle donne romane furono tra le più belle, perchè non complicate ma fluttuanti, leggere e femminili, senza costrizioni ma in pieno rispetto del corpo, e di colori pastellati e vivaci, come non se ne avranno in seguito. Anche i gioielli furono inimitabili, con quel caratteristico aspetto dorato scuro dell'oro a 22 carati come usava all'epoca, più attente al gusto che non al peso dell'oggetto.
Plinio descrive Lollia Paolina con un tocco di riprovazione, perchè "... ricoperta di smeraldi e perle ... con gioielli risplendenti sulla testa, nei capelli, sul collo, alle orecchie e alle dita... " (Plinio, Storia Naturale).
Provenienti soprattutto da miniere egiziane, gli smeraldi erano molto desiderati "... per molte cause, ma certamente perché di nessun colore l'aspetto è più gradevole .... i soli che fra le gemme soddisfano lo sguardo senza saziarlo" (Plinio, Storia Naturale).
Appezzatissimi gli smeraldi, provenienti per lo più da miniere egiziane, i granati e i diaspri.
L'oro viene usato molto più dell'argento e di materiali poveri come il bronzo. Fanno eccezione delle collane e degli spilloni per i capelli, spesso di bronzo o materiali poveri.
La maggior parte dei resti rinvenuti sono quelli delle città sepolte vesuviane che documentano quanta ricchezza di oreficeria si possedesse in una città di provincia da parte dei soli ceti medi, senza tener conto degli aristocratici. I gioielli erano diffusissimi tra le romane.
Acconciature
Per fermare l'acconciatura c'erano aghi crinali e reticelle: queste ultime (reticula o retiola aurea), in sottili fili d'oro talvolta arricchiti da gemme, costose ed estremamente delicate. Nel ritratto della c.d. Saffo (ritratto femminile di Pompei) si nota la capigliatura racchiusa in una reticella d'oro.
SAFFO |
Poteva essere in osso, avorio, d'argento e d’oro.
Nella pallina o decorazione, se cava, potevano essere conservati anche veleni.
In Grecia furono proibiti perchè le donne li usavano contro gli uomini quando si sentivano aggredite. A Roma non furono mai proibiti, ma nessuna donna avrebbe osato tanto.
In area vesuviana, una delle aree che ha conservato, a causa dell'eruzione vulcanica, la maggior parte dei monili antichi, ha presentato diversi modelli di aghi crinali.
Però, diversamente da altri ornamenti (anelli, orecchini e bracciali) gli aghi crinali più numerosi sono fatti di materiali meno preziosi, come l'osso o l'argento, raramente è stato rinvenuto l'oro.
Tra questi ultimi, sono di grande eleganza quelli con presa a forma di vaso (un cratere), decorato da una gemma.
E' da ricordare l'elegante esemplare in vetro, proveniente dalla villa di Crassio Terzio ad Oplontis, unico del suo genere, Viene da pensare che gli aghi fossero di materiali meno preziosi in quanto facili da perdere con una riavviata di capelli.
L'acconciatura del capo prevedeva anche un diadema e in area vesuviana se ne è rinvenuto un esemplare in lamina d'oro traforata in cui sono incastonate grandi perle barocche, evidentemente di una donna d'alto rango.
Orecchini
Molto più diffusi gli orecchini (inaures). Spesso gli autori antichi li descrivono come uno dei monili più amati dalle donne che facevano a gara per possederne di sempre più preziosi, attirando le critiche ed i rimproveri dei moralisti:
ORECCHINI |
Ma Ovidio cercava di farsi benvolere da Augusto e spesso ne interpretava l'austerità ben incarnata dalla schiva moglie Livia. Gli orecchini erano i gioielli più usati; le donne ne portavano anche più di uno per orecchio. Largamente usati i "crotalia", pendenti doppi con una perla alle estremità, che producevano un piacevole tintinnio.
Giovenale, con l'acidità solita verso il mondo femminile: " La donna crede di potersi permette tutto ... quando appende grandi perle alle orecchie, allungandole per il troppo peso". (Satire, VI, 457 - 459).
Il pendente poteva essere costituito da un'unica perla, magari di grandi dimensioni, o da due o tre perle o anche da più coppie di perle:
ORECCHINI |
I modelli con più di due perle erano naturalmente per i più ricchi, soprattutto gli orecchini "a grappolo" o "a canestro", in filo o in lamina d'oro, di forma emisferica, nel quale sono fittamente inserite perline o altre gemme.
In alcuni il canestro è costituito da castoni saldati fra loro (da Oplontis) oppure il canestro era formato da una elegante reticella aurea, senza gemme (da Ercolano).
Tra i modelli di orecchini il tipo più diffuso nel ceto medio è quello a forma di spicchio di sfera, costituito da una lamina d'oro sagomata alla quale viene saldato un gancio a doppia curva per appenderlo all'orecchio.
Esso è ritenuto invenzione degli orefici campani ed è caratterizzato dall'ampia superficie liscia, uno dei motivi preferiti dall'oreficeria romana. Ve ne sono però alcuni decorati con puntinatura a sbalzo, economica imitazione della granulazione.
Alquanto diffuso, fino al III secolo d.c. è anche l'orecchino di derivazione ellenistica costituito da un semplice anello in filo d'oro, a volte decorato con piccole gemme, dal quale pende un filo in oro terminante con una perlina o una pietra.
COLLANA |
Le Collane
Nell'area vesuviana le collane, comuni quasi quanto gli orecchini, difficilmente erano in oro o argento. spesso invece in materiale alternativo come la pasta di vetro o perle, corallo, ambra ecc..
Il modello più usato, di lunghezza varia, ha una serie di grani sferoidali di colore turchese, solcati da costolature longitudinali.
COLLANA IN PASTA VITREA |
Spesso i grani sono mescolati, con diverse forme e colori. Le altre collane documentate sono in oro, talvolta arricchito da gemme, ma le più frequenti sono quelle meno costose: un semplice girocollo in oro, provvisto di un pendente.
Il pendente è quasi sempre una lunula (un piccolo crescente lunare) amuleto che, secondo Plauto (Epidicus), si usava regalare alle bimbe alla loro nascita, indossato prevalentemente dalle ragazze e dalle donne non sposate.
A volte la collana aveva diversi pendenti, o alternavano sferette d'oro a sfere di pasta vitrea, oppure dischetti in oro con pasta vitrea o perle.
Le maglie delle catenine invece erano generalmente costituite da piccole lamine che rendevano piatta la collana, oppure erano in filo tagliati a forma di 8, ripiegati e inseriti gli uni negli altri.
Questo tipo di maglia, chiamato loop in loop, assumeva una sezione quadrangolare.
Negli esemplari più elaborati le catene in filo potevano essere a maglie multiple, così da formare cordoncini di vario spessore.
Le chiusure sono spesso dei semplici ganci, a volte con borchie applicate per impreziosirli.
Il giro collo a volte aveva pietre preziose, unite in vario modo, che gli davano un tocco di colore.
Si trattava spesso, come è documentato anche nella regione vesuviana, di smeraldi tagliati, talvolta alternati a perline. Oppure con coralli, perle barocche o ametiste.
Ci si chiede che valore avessero gli smeraldi per i romani, dato che sono state rinvenute collane di smeraldi con alcune delle pietre sostituite in pasta vitrea. Evidentemente delle pietre si erano spaccate, oppure non si avevano sufficienti smeraldi per la collana. Oggi non si completerebbe mai una collana autentica di pietre preziose con pietre false, invece i romani lo facevano.
Strano, perchè i romani avevano molto chiaro il concetto dell'originale e del falso, ma è come se non venisse applicato sulle pietre.
Un modello di notevole effetto e di grande pregio è quello costituito da più catene di maglia in filo accostate, così da costituire un nastro sul quale sono fissate le pietre preziose. Sono noti solo pochissimi esemplari, due dei quali dall'area vesuviana.
Si ricordano la collana con grandi perle barocche alternate a smeraldi a forma di prisma, otto esemplari di collane di grande lunghezza, con maglie in lamina o in filo, nonchè collane costituite da una fila di foglie in lamina, come lo splendido esemplare rinvenuto nella Villa di Diomede a Pompei.
Di grande valore e bellezza è la collana recentemente trovata negli scavi in località Moregine, a Pompei, il cui lunghissimo laccio (cm. 242) è costituito da una maglia multipla del tipo loop in loop.
Potevano infatti venire avvolte in più giri attorno al collo e poggiate sulle spalle oppure poggiate sulle spalle e incrociate sul petto e sul dorso, con le borchie nei punti di incrocio, come è documentato da alcune pitture. Insomma le lunghe collane degli anni venti furono copiate dalle collane romane. Praticamente queste catene d'oro servivano a modellare la veste, incorniciandone i seni e/o il punto vita. Talvolta erano così lunghe da ricadere sui fianchi.
Forse, a questo tipo di ornamento si riferisce il passo di Plinio che deplora l'eccesso di lusso delle catenae d'oro che corrono lungo i fianchi (Plinio, Storia Naturale, XXXIII,12, 40).
Bracciali
I bracciali (armille), erano abbastanza diffusi, sia alle braccia che ai polsi ed anche alle caviglie (periscelides). Sono quasi sempre in oro, pochi quelli in argento e ancor meno quelli in bronzo. Negli esemplari in oro, spesso la verga non è piena ma costituita da una lamina.
BRACCIALI BIZANTINI |
Le cavigliere possedevano spesso dei pendenti leggeri che risuonavano al passo delle leggiadre fanciulle romane, infatti erano molto frequenti in argento, che lasciava un suono più tintinnante. Insomma tra orecchini e periscelides quando una fanciulla romana passava si notava per il gradevole tintinnio alle orecchie e ai piedi.
Il modello prevalente a Pompei ed Ercolano, è quello a serpente, generalmente con il corpo del rettile avvolto in una o più spire, o a due teste affrontate, o con pietre incastonate sul capo o negli occhi.
Le armille seguivano una moda: quelle con verga a nastro avvolta in spire e teste di serpe divergenti alle due estremità del bracciale, (come quella trovata nella casa del Fauno a Pompei), sono del I sec. a.c.; quelle sempre con verga a nastro ma con una sola testa, di età augustea; quelle con verga tonda, del I sec. d.c. inoltrato.
Il serpente, nell'antichità e in tutte le epoche e in tutte le parti del mondo, ebbe un significato sacro e apotropaico.
BRACCIALE A FOGGIA DI SERPENTE |
Le realizzazioni sono superbe, nel corpo assottigliato verso la coda, nelle scaglie ben delineate, nella testa ben scolpita e negli occhi costituiti da perline di pasta vitrea.
Frequenti sono anche le armille con semplice verga tonda e cava, spesso riempita di resina o altro materiale per ottenere una maggiore solidità, solo con un castone liscio, appena accennato; altre possono recare una o più pietre di smeraldo.
Un altro modello tipico di questo periodo è il bracciale costituito da una serie di calotte ovoidali o coppie di calotte semisferiche agganciate fra loro.
Questo bracciale, che ricorda quello degli orecchini a spicchio di sfera e delle armille a verga tonda, è del gusto tipico dell'oreficeria romana fra il I sec. a.c. e il I d.c., un gusto sobrio ed elegante che preferisce le superfici lisce al quelle granulate granulazioni e filigranate del mondo etrusco ed ellenistico. Modelli più rari sono le armille con verga a nastro e castone decorato a sbalzo o quelle a maglie rigide.
Gli Anelli
L'ornamento più diffuso tra la popolazione è l'anello, presente ovunque anche in chi non poteva permettersi gioielli.
ANELLO MEDAGLIA PIETRE |
Charinus porta sei anelli ad ogni dito" (XI, 59) ; ":.. chi sarà quel ricciutello ..: che porta ad ogni dito un anellino..." (V, 61); però deve riconoscere che il suo amante fa altrettanto, e pure con ostentazioni preziose "Il mio Stella ... porta sardonici, smeraldi, diamanti e diaspri ad ogni dito" (V,11).
L'anello aveva anche la funzione di sigillo e per questo si rinvengono molti anelli con castone o con gemma incisa.
L'incisione delle gemme diventa così un'arte vera e propria e il loro uso riguarda sia donne che uomini, soprattutto in oro, pochi in argento o ferro e ancor meno in bronzo. Sulla pietra o sul diaspro si incidono divinità, simboli romani, teste di imperatori, animali e così via, ma sull'anello d'oro si pongono pure monete o piccole medaglie.
Tra i vari modelli documentati prevalgono nettamente gli anelli con il castone decorato da una gemma, spesso incisa; la verga è liscia e per lo più cava, era realizzata con una lamina riempita con resina o altra sostanza che le conferiva maggiore solidità.
Le gemme più usate erano smeraldi, prasii, granati, ametiste, niccoli, quarzi, ma soprattutto corniole, queste ultime quasi sempre incise. La corniola e il niccolo avevano un costo minore e pertanto erano sovente montati in ferro. Per giunta non restavano attaccate alla cera se usati come sigillo (Plinio, Storia Naturale, XXXVII, 30 - 31).
Un altro modello di anello a larga diffusione è quello con verga liscia che si allarga verso un castone, tipo definito liscio o inciso.
Molto usato naturalmente l'anello a corpo di serpente: a due teste affrontate, con una patera o una perla nella bocca o avvolto in diverse spire.
Rari invece gli anelli a cerchio, con verga a sezione circolare liscia o più raramente godronata. Ancora più rari quelli in cui la verga si sdoppia formando due anelli con castoni lisci combacianti.
" I Romani si contentarono nei principi d'un solo anello ma li moltiplicarono insensibilmente sino a portarne non solo a ciascun dito ma ancora a ciascheduna giuntura di ogni dito. Facevano in questo genere spese eccessive ed avevano portato il lusso e la delicatezza sopra di ciò sino ad avere degli anelli da inverno e degli anelli da estate e questo è ciò che chiamavasi in Roma "aurum semestre semestres annuli".
Ne primi tempi della repubblica romana i senatori stessi non avevano diritto di portare l'anello d'oro se non quando erano stati ambasciatori presso qualche popolo straniero e nemmeno era loro permesso di farne uso che nei giorni di assemblee e di cerimonie. Da poi questo diritto si estese indifferentemente a tutti i senatori che lo portavano abitualmente per tutto e in ogni occasione. Finalmente l'anello d'oro divenne il contrassegno di distinzione de cavalieri di sorta che questa formula si comune presso i Romani "aureo annulo donari" cioè ricevere l'anello d'oro era come l'atto che verificava il ricevimento d un cittadino nell'ordine de cavalieri. Il popolo portava l'anello d'argento e gli schiavi quello di ferro.
Dopo la rovina della repubblica tutto fu confuso e l'uso dell'anello d'oro fu accordato anche ai Liberti. Un altra sorte di anelli era di quelli de quali si faceva uso non solo per sigillare le lettere, i contratti, e i diplomi ma ancora i forzieri, gli armadi, le anfore ecc. I Romani li nominavano "annuli signatorii sigillaritii cirographi" o "cerographi".
La terza sorte di anelli era di quelli che il marito futuro dava sua sposa il giorno in cui si stabiliva il contratto per caparra e sicurezza degl'impegni che con essa contraeva. Si nominavano questi anelli "annuli sponsalitii geniales pronubi nuptiales". Questi anelli erano ordinariamente di ferro senza gemme e si mettevano al quarto. In seguito si stabili il costume di non dare questa sorte d'anelli nel giorno medesimo delle nozze o degli sponsali e questo costume è sino a noi pervenuto. "
( SIG. G.J. MONCHABLON Professore nella Università di Parigi )Le Fibule
Le fibule furono le spille tra le più antiche usate dai romani per fermare le vesti sulle spalle ed alla vita. Si ritiene che lo spillone fosse ancora più antico, ma in ogni caso l'uso fu concomitante.
Erano pertanto delle fibbie, che connettevano un tessuto ad un altro, o un nastro a un vestito, un nastro a una borsetta (le romane ne facevano uso), o una fascia a un cappello, o diversi nastri tra loro, o una lunga collana che veniva fissata. mediante una fibula. a una spalla o sui fianchi ecc. .
La fibula è una "spilla di sicurezza" (tipo "spilla da balia") derivante da uno spillone, ottenuto in fusione quindi di un certo spessore, dalla ripetuta piegatura ornato in vari modi con ingrossamenti vari o applicazioni laminari.
Le fibule più antiche furono in bronzo e più tardi di ferro, lunghe dai 2 ai 50 cm, ma ne sono state trovate anche d'argento o d'oro e, in età imperiale, anche decorate con gemme.
Il loro utilizzo cessò verso il VI secolo, sostituito per lo più dalle spille vere e proprie. .
CONCLUSIONE
Le romane in età imperiale indossarono di tutto: anelli a tutte le dita delle mani e pure dei piedi, fibbie, aghi crinali, retine d'oro, diademi e pietre preziose per i capelli, o nastri ornati di gemme da inserire nelle chiome, bracciali su bracci e avambracci, frange d'oro alle sciarpe, fili d'oro ricamati sui tessuti, cammei, pietre preziose, niccoli intagliati, ambre, coralli, perle, argenti, collane, cavigliere.
Fu l'esplosione dell'arte orafa e del buon gusto, purtroppo mai ripetuto dalle generazioni posteriori, dove la donna fu castigata e soffocata nel corpo pure se con vesti preziose, e senza quella fantasia colorata e delicata che portò l'arte di adornarsi con i preziosi, coi nastri e con le piume con uno stile così fresco e leggero, aereo e svolazzante come quello delle donne romane.
BIBLIO
- Paul Zanker - Arte romana - Bari - Economica Laterza - 2008 -
- Mary Beard, John Henderson - Classical Art: From Greece to Rome - Oxford University Press - 2001 -
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Mario Torelli - L'arte dell'antichità classica - Etruria-Roma - Utet - Torino 1976 -
- Elisa Romano - Il lessico latino dei colori - I colori nel mondo antico - a cura di S. Beta, M. M. Sassi (Atti della giornata di studio, Siena 2001) - Fiesole 2003 -
Le fibule più antiche furono in bronzo e più tardi di ferro, lunghe dai 2 ai 50 cm, ma ne sono state trovate anche d'argento o d'oro e, in età imperiale, anche decorate con gemme.
Il loro utilizzo cessò verso il VI secolo, sostituito per lo più dalle spille vere e proprie. .
CONCLUSIONE
Le romane in età imperiale indossarono di tutto: anelli a tutte le dita delle mani e pure dei piedi, fibbie, aghi crinali, retine d'oro, diademi e pietre preziose per i capelli, o nastri ornati di gemme da inserire nelle chiome, bracciali su bracci e avambracci, frange d'oro alle sciarpe, fili d'oro ricamati sui tessuti, cammei, pietre preziose, niccoli intagliati, ambre, coralli, perle, argenti, collane, cavigliere.
Fu l'esplosione dell'arte orafa e del buon gusto, purtroppo mai ripetuto dalle generazioni posteriori, dove la donna fu castigata e soffocata nel corpo pure se con vesti preziose, e senza quella fantasia colorata e delicata che portò l'arte di adornarsi con i preziosi, coi nastri e con le piume con uno stile così fresco e leggero, aereo e svolazzante come quello delle donne romane.
BIBLIO
- Paul Zanker - Arte romana - Bari - Economica Laterza - 2008 -
- Mary Beard, John Henderson - Classical Art: From Greece to Rome - Oxford University Press - 2001 -
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Mario Torelli - L'arte dell'antichità classica - Etruria-Roma - Utet - Torino 1976 -
- Elisa Romano - Il lessico latino dei colori - I colori nel mondo antico - a cura di S. Beta, M. M. Sassi (Atti della giornata di studio, Siena 2001) - Fiesole 2003 -
Sarebbe possibile aquistare il libro?
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