Palazzo Farnese, edificato dal 1514 al 1589 con la supervisione prima di Antonio da Sangallo il Giovane, quindi di Michelangelo, del Vignola ed infine di Giacomo Della Porta, venne, nel 1911, acquistato dal governo francese, per quella corrotta abitudine tutta italiana di svendere il nostro territorio agli stranieri, successivamente e fortunatamente però, nel 1936, venne ricomprato dall’Italia.
Da allora e per una durata di 99 anni, l’edificio è affittato alla Francia, per la simbolica cifra di un euro, in cambio della manutenzione. Il palazzo è stato degnamente mantenuto e restaurato dallo Stato francese, come ad esempio la pulitura della facciata principale che ha rivelato lo splendore dei colori originali nel 1999. In seguito, vennero pure restaurate la facciata verso il Tevere, il cortile e il salone dell’Ercole.
Ma palazzo Farnese nasconde altri tesori per i quali già si era scavato verso la fine del '900, scavi ripresi nel XXI sec. e che hanno portato alla luce un gruppo di costruzioni in laterizio con pavimenti in mosaico, relative a varie fasi tra l'età augustea e quella severiana. Sembra che questi edifici vadano collegati alla stabula Factionum, le sedi cioè delle fazioni circensi, situate nella zona del Campo Marzio compresa tra piazza Farnese e palazzo della Cancelleria.
FACTIO VENETA
Sembra appunto che facesse parte delle stabula factionum, le stalle di una delle quattro fazioni circensi presenti in città, in questo caso la quarta, denominata factio Veneta. Al di sotto di questo ambiente, grazie ad un’apertura sul pavimento, è visibile un cisterna per la conserva di acqua. La cisterna è collegata tramite un condotto lungo 6 m ad una seconda cisterna; ambedue risultano costantemente allagate.
Le strutture visibili nei sotterranei del palazzo del Museo Barracco a Roma, a circa 4 m dal piano stradale attuale, furono rinvenute nel 1899 in occasione dei restauri dell'edificio. I resti, la maggior parte dei quali sono databili al IV sec., rivelano fasi costruttive diverse per edifici diversi.
Si conserva parte di un portico colonnato, realizzato con materiale di reimpiego (da notare tre capitelli tuscanici rovesciati usati come basi). I lacerti di pavimentazione conservati sono testimoni delle diverse fasi edilizie: un primo tratto, più antico, in lastre rettangolari marmoree, era precedente al portico.
Le pareti erano decorate con affreschi, a soggetto acquatico e terrestre, distaccati negli anni Settanta e attualmente conservati nel Museo.
Le ipotesi più accreditate riconducono tali strutture sotterranee ad un edificio pubblico del Campo Marzio (gli stabula quattuor factionum ad uso delle quattro fazioni equestri che gareggiavano a Roma), mentre in una fase successiva quest'area divenne privata e fu trasformata in una domus signorile.
Sul lato sinistro, guardando l’edificio dalla Piazza, in un ambiente di circa 7 x 8 m si può ammirare un bellissimo mosaico a tessere bianche e nere, del periodo domizianeo (81-96), rappresentanti dei "Desultores", acrobati nudi su cavalli.
LE CORSE DEI CARRI
La corsa dei carri era una delle competizioni più popolari sia in Grecia che a Roma. Le gare erano pericolose sia per gli aurighi che per i cavalli, che potevano infortunarsi o morire. Le corse dei carri prevedevano varie squadre, organizzate da gruppi di finanziatori e sostenitori, che talvolta lottavano tra loro per assicurarsi gli aurighi migliori. Gli spettatori erano molto coinvolti e si dividevano tra queste squadre, con un tifo fanatico e irruento.
I contrasti vennero anche strumentalizzati politicamente, si che gli imperatori romani posero le squadre sotto il proprio controllo nominando diversi pubblici ufficiali che le controllassero. L'importanza delle corse declinò con la caduta dell'Impero romano d'Occidente, e le gare nell'Impero bizantino sopravvissero solo per un breve periodo.
Il primo riferimento scritto su una corsa di carri è l'episodio descritto da Omero nel libro XXIII per i funerali di Patroclo. Alla gara parteciparono Diomede, Eumelo, Antiloco, Menelao e Merione. La corsa, che consisteva nell'andare fino al ceppo di un albero, girarvi attorno e ritornare, fu vinta da Diomede che ricevette in premio una schiava ed un calderone di bronzo.
Secondo la tradizione romana Romolo si servì di una corsa di carri per distrarre i Sabini e catturare le loro donne. Probabilmente i Romani ereditarono le corse dei carri dagli Etruschi, che a loro volta l'avevano ereditata dai Greci.
La più grande struttura che ospitò le corse dei carri fu il Circo Massimo, situato nella valle tra il Palatino e l'Aventino, che poteva ospitare fino a 250.000 spettatori. La costruzione del 50 a.c. fu voluta da Giulio Cesare, con una lunghezza di circa 600 m e un'ampiezza di 225. Una delle estremità della pista, dove si schieravano i carri alla partenza, era più larga dell'altra. Per organizzare le partenze i Romani si servivano di una serie di barriere chiamate carceres, posizionate a scalare, mentre al centro della pista c'era una barriera mediana di separazione, la spina.
Le carceres erano sistemate in uno dei vertici del percorso e i carri si disponevano dietro a queste barriere fissate con un sistema a scatto. Quando tutti i carri erano pronti, l'imperatore (o l'organizzatore delle corse se non si svolgevano a Roma) lasciava cadere un panno noto come "mappa" dando il via alla corsa. Le barriere allora si aprivano tutte insieme consentendo una partenza alla pari per tutti i partecipanti.
Iniziata la corsa, i carri potevano spostarsi liberamente per la pista per tentare di provocare un incidente ai propri avversari spingendoli contro le spinae. Sulle spinae si trovavano le "uova", grossi segnali che venivano fatti cadere in una canaletta di acqua che scorreva al centro della spina per indicare il numero di giri che mancavano al termine. La spina venne poi decorata con statue, obelischi, pigne ecc, e ai suoi due capi si trovavano le due curve del percorso (le metae) dove spesso avvenivano gli incidenti.
LE CORSE DEI CARRI
La corsa dei carri era una delle competizioni più popolari sia in Grecia che a Roma. Le gare erano pericolose sia per gli aurighi che per i cavalli, che potevano infortunarsi o morire. Le corse dei carri prevedevano varie squadre, organizzate da gruppi di finanziatori e sostenitori, che talvolta lottavano tra loro per assicurarsi gli aurighi migliori. Gli spettatori erano molto coinvolti e si dividevano tra queste squadre, con un tifo fanatico e irruento.
I contrasti vennero anche strumentalizzati politicamente, si che gli imperatori romani posero le squadre sotto il proprio controllo nominando diversi pubblici ufficiali che le controllassero. L'importanza delle corse declinò con la caduta dell'Impero romano d'Occidente, e le gare nell'Impero bizantino sopravvissero solo per un breve periodo.
Secondo la tradizione romana Romolo si servì di una corsa di carri per distrarre i Sabini e catturare le loro donne. Probabilmente i Romani ereditarono le corse dei carri dagli Etruschi, che a loro volta l'avevano ereditata dai Greci.
La più grande struttura che ospitò le corse dei carri fu il Circo Massimo, situato nella valle tra il Palatino e l'Aventino, che poteva ospitare fino a 250.000 spettatori. La costruzione del 50 a.c. fu voluta da Giulio Cesare, con una lunghezza di circa 600 m e un'ampiezza di 225. Una delle estremità della pista, dove si schieravano i carri alla partenza, era più larga dell'altra. Per organizzare le partenze i Romani si servivano di una serie di barriere chiamate carceres, posizionate a scalare, mentre al centro della pista c'era una barriera mediana di separazione, la spina.
Le carceres erano sistemate in uno dei vertici del percorso e i carri si disponevano dietro a queste barriere fissate con un sistema a scatto. Quando tutti i carri erano pronti, l'imperatore (o l'organizzatore delle corse se non si svolgevano a Roma) lasciava cadere un panno noto come "mappa" dando il via alla corsa. Le barriere allora si aprivano tutte insieme consentendo una partenza alla pari per tutti i partecipanti.
Iniziata la corsa, i carri potevano spostarsi liberamente per la pista per tentare di provocare un incidente ai propri avversari spingendoli contro le spinae. Sulle spinae si trovavano le "uova", grossi segnali che venivano fatti cadere in una canaletta di acqua che scorreva al centro della spina per indicare il numero di giri che mancavano al termine. La spina venne poi decorata con statue, obelischi, pigne ecc, e ai suoi due capi si trovavano le due curve del percorso (le metae) dove spesso avvenivano gli incidenti.
Gli aurighi potevano diventare famosi in tutto l'Impero semplicemente sopravvivendo alle competizioni, dato che l'aspettativa di vita di un pilota di carri non era molto elevata. Anche i cavalli potevano diventare molto famosi e i Romani tenevano tutti i pedigree dei cavalli più noti.
LE FAZIONI
Narra Tertulliano (De spectaculis 9.5), che originariamente c'erano due fazioni, i Bianchi e i Rossi, consacrate all'inverno ed all'estate, e aggiunge che all'inizio del III sec. divennero quattro.
LE FAZIONI
Narra Tertulliano (De spectaculis 9.5), che originariamente c'erano due fazioni, i Bianchi e i Rossi, consacrate all'inverno ed all'estate, e aggiunge che all'inizio del III sec. divennero quattro.
I Rossi erano devoti a Marte, i Bianchi a Zefiro, i Verdi alla Madre Terra o alla primavera e gli Azzurri al cielo e al mare o all'autunno.
Nerone ebbe poi una grande passione per le corse, fece egli stesso da auriga e vinse la corsa dei carri dei Giochi Olimpici, che si continuavano a disputare anche in epoca romana.
Durante il suo regno le quattro principali fazioni erano ancora quattro: Rossi, Azzurri, Verdi e Bianchi, probabilmente gruppi di amici e patrocinatori dei diversi allevamenti di cavalli da corsa, che crebbero al punto di sottrarsi al controllo imperiale.
Ogni squadra schierava fino a tre carri per ogni gara. I componenti della stessa squadra si aiutavano tra loro contro le squadre avversarie.
Nerone ebbe poi una grande passione per le corse, fece egli stesso da auriga e vinse la corsa dei carri dei Giochi Olimpici, che si continuavano a disputare anche in epoca romana.
Durante il suo regno le quattro principali fazioni erano ancora quattro: Rossi, Azzurri, Verdi e Bianchi, probabilmente gruppi di amici e patrocinatori dei diversi allevamenti di cavalli da corsa, che crebbero al punto di sottrarsi al controllo imperiale.
Ogni squadra schierava fino a tre carri per ogni gara. I componenti della stessa squadra si aiutavano tra loro contro le squadre avversarie.
Domiziano creò due nuove fazioni, i Porpora e gli Oro, che però scomparvero poco dopo di lui. All'inizio del IV sec. queste due vennero infatti cambiate in la veneta e la prasina. La Notizia dà il loro numero come VIII, e il Curiosum come VI, che è il numero corretto.
GLI STABULA
Gli stabula factiones erano le stalle delle diverse fazioni, ma non bisogna farsi ingannare dal termine perchè non si trattava di semplici stalle ma di edifici veri e propri. Infatti qui alloggiava il personale addetto ai cavalli e agli alloggi degli aurighi durante le gare. Altresì comprendevano i magazzini con la biada, la paglia, le gualdrappe, le spugne, gli asciugamani e quant'altro potesse servire al benessere degli animali. Non mancavano naturalmente la fonte per abbeverare e per lavare i cavalli.
GLI STABULA
Gli stabula factiones erano le stalle delle diverse fazioni, ma non bisogna farsi ingannare dal termine perchè non si trattava di semplici stalle ma di edifici veri e propri. Infatti qui alloggiava il personale addetto ai cavalli e agli alloggi degli aurighi durante le gare. Altresì comprendevano i magazzini con la biada, la paglia, le gualdrappe, le spugne, gli asciugamani e quant'altro potesse servire al benessere degli animali. Non mancavano naturalmente la fonte per abbeverare e per lavare i cavalli.
Nè tanto meno si pensi che fossero edifici rustici e di poco ornamento, perchè nei loro resti sono stati rinvenuti marmi, capitelli, colonnati, statue e fregi di marmo di grande bellezza. Tanta era l'importanza delle gare e tanto si spendeva per rendere ogni contorno bello e sontuoso. Perfino la vasca per abbeverare vantava maschere e ornamenti in marmo colorato.
FACTIO VENETA
Sembra appunto che facesse parte delle stabula factionum, le stalle di una delle quattro fazioni circensi presenti in città, in questo caso la quarta, denominata factio Veneta. Al di sotto di questo ambiente, grazie ad un’apertura sul pavimento, è visibile un cisterna per la conserva di acqua. La cisterna è collegata tramite un condotto lungo 6 m ad una seconda cisterna; ambedue risultano costantemente allagate.
Le strutture visibili nei sotterranei del palazzo del Museo Barracco a Roma, a circa 4 m dal piano stradale attuale, furono rinvenute nel 1899 in occasione dei restauri dell'edificio. I resti, la maggior parte dei quali sono databili al IV sec., rivelano fasi costruttive diverse per edifici diversi.
Si conserva parte di un portico colonnato, realizzato con materiale di reimpiego (da notare tre capitelli tuscanici rovesciati usati come basi). I lacerti di pavimentazione conservati sono testimoni delle diverse fasi edilizie: un primo tratto, più antico, in lastre rettangolari marmoree, era precedente al portico.
Le pareti erano decorate con affreschi, a soggetto acquatico e terrestre, distaccati negli anni Settanta e attualmente conservati nel Museo.
Le ipotesi più accreditate riconducono tali strutture sotterranee ad un edificio pubblico del Campo Marzio (gli stabula quattuor factionum ad uso delle quattro fazioni equestri che gareggiavano a Roma), mentre in una fase successiva quest'area divenne privata e fu trasformata in una domus signorile.
Stabula IIII Factionum era chiamato lo stabile delle 4 compagnie, o fazioni, che possedevano e addestravano cavalli di razza nel circo (Tac. Hist. II.94: ipse sola perdendi cura stabula aurigis extruere), distinte nei loro colori, albata, russea, prasina, veneta,
Questi stabula stavano nella parte sud del Campo Marzio, vicino al circo Flaminio nella Regione IX. Stavano probabilmente vicino l'uno all'altro ma comunque separati tra loro, e taluni sono spesso menzionati nella letteratura e nelle iscrizioni.
FACTIO PRAESINA
Questi stabula stavano nella parte sud del Campo Marzio, vicino al circo Flaminio nella Regione IX. Stavano probabilmente vicino l'uno all'altro ma comunque separati tra loro, e taluni sono spesso menzionati nella letteratura e nelle iscrizioni.
FACTIO PRAESINA
La factio prasina è però l'unica di cui abbiamo approssimativamente la localizzazione. Questa divenne la principale compagnia nel I sec. e fu la favorita degli imperatori, particolarmente di Caligola, che mangiava e dormiva spesso in questo stabile, e vi costruì una magnifica stalla di marmo e avorio per il suo stallone preferito Incitatus (Suet. Cal. 55; Cass. Dio LIX.14).
L’area di Campo Marzio tra il Tevere e gli edifici domiziani erano in gran parte di proprietà di Pompeo e poi di Antonio e Agrippa. Qui, nella zona compresa tra l’Euripus, che procedeva parallelo all’attuale Corso Vittorio, e il fiume con gli edifici sottostanti a Palazzo Farnese si locano le “stabula factionum”, le stalle di almeno una delle quattro fazioni circensi presenti in città.
La presenza di questo nome nella chiesa di S. Lorenzo in Prasino e la scoperta delle iscrizioni (CIL VI.10044, 10054, 10058, 10061, 10067) provano che questo stabile fu l'immediato confinante della Cancelleria (HJ 595). I resti di una corte affrescata trovata sotto il Palazzo Regis, a est della Cancelleria, potrebbe appartenere a questo edificio, e anche un tubo di piombo inciso, che non è stato, però, trovato in sito. (CIL XV.7254).
- Stabula Factionis Prasinae - Alias
- Tempio di Marte Stabula Quatuor Factionum
- Quatuor Factionum Stabula numero IIII factionum -
- VIII Location Roma,
- Regio IX, Stabula Factionis Prasinae Subdivision vicino Palazzo della Cancelleria
Tipo di costruzioni: baracche da campo
Dettagli: corte affrescata, colonne di marmo ornate in avorio -
La descrizione risale al Vacca 1594.
Per gli scavi fa fede cf. Lanciani 1902-1912, vol. III, p. 122, and D'Onofrio 1959, p. 14 (bibl.).
Lanciani (BC 1899, 113) crede che il bronzo di Ercole nella Rotonda del Vaticano e l'Ercole e Telefo del Museo Chiaramonti originariamente stessero qui (HF 108, 293), negli Stabula Factionum, ma non il torso del Belvedere.
BIBLIO
- Di Annarena Ambrogi - Labra di età romana in marmi bianchi e colorati -
- Luigi Canina - Architettura romana - sezione III - 1834 - 42 -
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