Nel neolitico il culto della Dea Cupra, si estese nei territori tra Cupramarittima, Ancona, Cupramontana, Gualdo Tadino, Fossato di Vico e Norcia.
Cupra, chiamata anche Cubrar (nome umbro), Ikiperu (nome piceno), Kypra o Supra, è una divinità degli antichi umbri e dei piceni, una delle Grandi Madri italiche. È Dea ctonia, delle acque e della fecondità identificabile con la Uni degli etruschi o con Astarte. I romani la videro invece come la propria Bona Dea.
La Dea, venerata dagli Asili Ciprioti nella regione Asilia ed in particolar modo nel santuario di Cupra Marittima al monte d'Agnesia, compare come la Dea rossa, o Dea del rame.
Proprio i ciprioti, orientali popoli del mare dediti alla navigazione, in fuga probabilmente dai Fenici e dagli Assiri, sbarcano sulle rive dell’Adriatico, fondano molte colonie sul mare, a immagine e somiglianza della loro isola d’origine. La posizione geografica era strategica: favorevolissima ai contatti con l’esterno, abitata da navigatori e dotata di uno dei santuari pagani più importanti dell’antichità.
Ricordiamo che nel mondo antico, i templi pagani erano aree sacre, e meta di pellegrinaggi e visite da parte di popolazioni provenienti dalle sponde del Mediterraneo. Per cui diventavano pure importanti centri commerciali. Lì infatti si aprivano termopolii e locande per accogliere gli stranieri, nonchè taberne con artigiani che producevano immagini della Dea, souvenir, exvoto, oggetti di culto, vesti, gioielli e prodotti locali. In questo modo poi sorgevano dei villaggi.
DEA ANCARIA
Ad esempio per il castello di Ancarano egli ebbe a scrivere: "Ancarano è detto dalla Dea Ancaria che dicesi haver havuto quivi il suo domicilio, come si congettura da certi vestigi intorno alla chiesa, che al di d'hoggi è neIl'istesso luogo" (BAR, Ms. 685, FTG, c. 60).
Della Dea Ancaria, venerata esclusivamente dagli ascolani, si è potuto notare come la ricerca degli specialisti sia stata infruttuosa, con dati limitati alla tradizione e alla toponomastica. G. Conta si esprime ad esempio così: "nel territorio e nel paese di Ancarano, dove secondo la tradizione si sarebbe trovato il famoso tempio dedicato alla Dea Ancaria, non sono mai stati fatti rinvenimenti tali da testimoniare l'esistenza di un complesso culturale" (Asculum II, pag. 293).
Nel III secolo a.c. una nuova potenza sta per sorgere nell’Italia antica, Roma. Nel 229 a.c. Piceni e Romani stipulano un trattato difensivo per fronteggiare le invasioni dei Celti Senoni e combattono insieme, sia contro i cartaginesi che contro altre popolazioni italiche. Durante la guerra contro i Senoni, le legioni romane sostano per svernare nel Piceno ed iniziano così a penetrare gli emissari di Roma, a Fermo, l’antica Firmum, che diviene città alleata di Roma. I piceni iniziano a presagire le intenzioni di conquista dei Romani. Da lì a poco esploderà lo scontro, che porterà l’area litorale picena negli orizzonti di un impero nascente.
Strabone parla del Cuprae fanum, il poeta Silio Italico canta gli altaria Cuprae; una lapide del periodo romano testifica la restaurazione del tempio Deae Cuprae per munificenza dell'imperatore Adriano. Le testimonianze della Dea sono innumerevoli. Cupra viene qualificata come Mater nelle testimonianze epigrafiche rinvenute in Umbria.
Le epigrafi di Colfiorito e di Fossato di Vico, apposte su lamine bronzee originariamente applicate a contenitori d'acqua e a una vera per pozzo, documentano i legami del culto della Dea con l'acqua e la fecondità. Non a caso pure le apparizioni della Madonna sono spesso, se non sempre, legate a una sorgente miracolosa.
Nelle iscrizioni sudpicene del Guerriero di Capestrano e del cippo di Castignano è stata rilevata anche una corrispondenza onomastica fra la Dea Cupra e la divinità latina Bona. Strabone la assimila alla Era dei Tirreni, cioè a Giunone. A Giunone si ricollegava anche per alcuni aspetti di culto fra cui il legame con i culti legati alle acque di fonte, la Bona Dea dei Latini.
CUPRA |
Nelle iscrizioni sudpicene del Guerriero di Capestrano e del cippo di Castignano è stata rilevata anche una corrispondenza onomastica fra la Dea Cupra e la divinità latina Bona. Strabone la assimila alla Era dei Tirreni, cioè a Giunone. A Giunone si ricollegava anche per alcuni aspetti di culto fra cui il legame con i culti legati alle acque di fonte, la Bona Dea dei Latini.
Anche la Dea Cupra, come la Bona Dea, sembrerebbe raffigurata con un serpente avvolto intorno alla mano, il che la individua come Grande Madre. Sia la Bona Dea che Giunone e forse anche Cupra sono raffigurate anche con una patera in mano, allusiva al culto delle acque. Il culto di Cupra era diffuso presso i Piceni e presso gli Umbri.
Le medesime valenze della Dea Cupra/Bona erano rappresentate presso le popolazioni dell'Italia centrale corrispondente ai territori dei Falisci e dell'Etruria interna dalla Dea Macuch. È questo un importante elemento unificante, che può avere fatto del santuario di Cupra un polo di attrazione politico-religiosa per i popoli che avevano interessi in Adriatico.
Secondo alcuni il suo nome derivò da cup cioè "desiderio", da cui anche Cupido, per altri l'epiteto "Cupra" risale all'antichità paleoumbra e sarebbe stato originariamente a designare una divinità regale.
Per i rapporti che ebbero i piceni con numerosi popoli del mare, l'etimologia del nome deriverebbe dal greco Kupria o Cypria usato come attributo di Afrodite ma che si trova a Gubbio come attributo di Marte; secondo altre ipotesi dall'isola di Cipro dove il culto di Afrodite era molto forte.
Per il mondo romano, che identificava Cupra con Bona Dea, Marco Terenzio Varrone fa un parallelismo per cui "cyprum sabine bonum", che vale a dire "cuprum corrisponde al latino bonum".
Ma la realtà è più semplice: Cupra Marittima era una colonia romana ed il suo nome era derivato da "cuprum" cioè rame, in tempi remoti sul territorio Cuprense vi erano infatti miniere di rame. La Dea Cupra era pertanto la Dea Rossa, come il fuoco e come l'amore, tanto è vero che in Grecia il rame era sacro ad Afrodite. La Dea del Rame, che da lei si chiamerà Cuprum, è una Dea Rossa, libera, orgiastica, lussuriosa e feconda come le sue sacerdotesse, che in suo nome celebravano la sacra ierodulia, rispettate ed amate per questo.
Ma la realtà è più semplice: Cupra Marittima era una colonia romana ed il suo nome era derivato da "cuprum" cioè rame, in tempi remoti sul territorio Cuprense vi erano infatti miniere di rame. La Dea Cupra era pertanto la Dea Rossa, come il fuoco e come l'amore, tanto è vero che in Grecia il rame era sacro ad Afrodite. La Dea del Rame, che da lei si chiamerà Cuprum, è una Dea Rossa, libera, orgiastica, lussuriosa e feconda come le sue sacerdotesse, che in suo nome celebravano la sacra ierodulia, rispettate ed amate per questo.
I RESTI
Edifici ed altri oggetti dedicati al suo culto sono stati ritrovati presso la scomparsa città di Plestia e le città ancora esistenti di Cupra Marittima e Cupra Montana, che da essa presero anche il nome, e nel comune di Ripatransone. Nel museo di Colfiorito sono conservate quattro lamine bronzee del IV secolo a.c. con dediche alla Dea Cupra nominata Matres Plestinas: Cuprasmatres plestinas sacru esu.
Nella "lamina di Fossato", conservata presso il museo archeologico di Perugia, della II metà del II secolo a.c., è inciso in umbro: Cubrar Matrer Bio Eso, che significa "questa conduttura appartiene alla madre Cupra". Il che fa pensare che i resti ritrovati presso Massignano potrebbero appartenere ad un importante tempio o santuario della Dea.
« LITORAE FUMANT ALTARIA CUPRAE »
« Gli altari della Dea Cupra ardono lungo i litorali »
Sulle lesene dipinte, che fiancheggiano il quadro centrale, l'artista dipinge a sinistra la Dea Cupra come personificazione della città romana.
Edifici ed altri oggetti dedicati al suo culto sono stati ritrovati presso la scomparsa città di Plestia e le città ancora esistenti di Cupra Marittima e Cupra Montana, che da essa presero anche il nome, e nel comune di Ripatransone. Nel museo di Colfiorito sono conservate quattro lamine bronzee del IV secolo a.c. con dediche alla Dea Cupra nominata Matres Plestinas: Cuprasmatres plestinas sacru esu.
RAPPRESENTAZIONI VOTIVE DELLA DEA CUPRA |
« Gli altari della Dea Cupra ardono lungo i litorali »
Sulle lesene dipinte, che fiancheggiano il quadro centrale, l'artista dipinge a sinistra la Dea Cupra come personificazione della città romana.
Protettrice dell'antico popolo dei Piceni qui reca in mano un anellone a sei nodi e una piccola statua che sembra raffiguri la Dea stessa, quale appariva nelle necropoli del territorio.
Sembra anche avere in capo una corona, mentre altre immagini hanno perlopiù un berretto frigio con veste lunga fino ai piedi.
Il culto della Dea è antichissimo, una divinità femminile, assimilabile alle Grandi Madri delle civiltà mediterranee. ma di origine orientale, e affonda le sue radici nelle primordiali religioni matriarcali, fondate sulla venerazione del femminile, della prosperità e della fecondità. Ritrovamenti nelle Marche, come ad esempio la Venere di Tolentino, la Venere di Frasassi, la Venere di Fano, i tre idoletti femminili rinvenuti a Ripabianca di Monterado in provincia di Ancona, sono in fondo il culto della Dea Cupra, unica divinità femminile adorata dai Piceni. A sostegno di questa tesi si hanno tante testimonianze scritte. Alla Dea Cupra era anche dedicato un santuario che rivestiva una grandissima importanza.
Tenendo presente che sul terreno affiorano talvolta delle lastre di rame fuso, conseguenza di antiche deiezioni vulcaniche, il cosiddetto rame nativo, si può capire che i primi oggetti di rame furono ottenuti dal metallo in superficie, come un grazioso regalo della Dea, e che solo successivamente venne cercato e reperito nelle miniere.
Pertanto il primo metallo lavorato fu il rame e colei che ne insegnò l'uso fu la Dea e probabilmente le sue sacerdotesse. Sicuramente, come ovunque usava, queste esercitarono la prostituzione sacra, impersonando così il lato Ninfa della Dea, mentre come Vegliarda e portatrice di morte era la Dea del Rame (raffigurata a volte con lancia e scudo), o la Dea Rossa che riporta alla guerra e al sangue. Ma non mancò di certo, in qualità di triplice Dea, il lato Madre, connesso alla natura e ai suoi frutti.
Articolo
“Il santuario della Dea Cupra sorgeva nell’attuale ex pieve di San Basso“. Lo ha sostenuto Tiziana Capriotti, giovane archeologa che durante la serata di martedì 28 maggio ha tenuto in piazza Possenti una relazione sugli studi effettuati a riguardo ed intitolata “Il santuario della Dea Cupra a Cupra Marittima, proposta di ubicazione”.
“A darmi questa idea – ha spiegato la Capriotti – è stata proprio la storia della traslazione del corpo di San Basso. I reperti indicano infatti che il corpo è stato depositato inizialmente dai monaci benedettini in un luogo che già in passato è stato destinato ad un culto, cristianizzando così un luogo pagano. Inoltre nella pieve sono presenti delle colonne di marmo color verde antico, non provenienti dall’Italia ma dalla Grecia e risalenti a molti secoli prima l’arrivo del corpo di San Basso. L’unico modo per confermare o meno questa ipotesi è quello di realizzare degli scavi intorno alla ex Pieve”.
CUPRA MARITTIMA
Intorno al X sec. e prima dei piceni, l’area di Cupra è popolata da genti non italiche e nemmeno indoeuropee. probabilmente i Pelasgi, antica popolazione mediterranea, provenienti dall’area dell’antica Cipro, isola che nei miti greci dà i natali a Venere, la “Cipride” (da cui deriva anche la parola "cipria"). In questo percorso indietro nel tempo vediamo immediatamente definirsi l’importanza del mare, luogo di viaggi, scambi e civiltà, ma anche spazio di identità delle popolazioni rivierasche, millenni fa come adesso.
Il culto della Dea è antichissimo, una divinità femminile, assimilabile alle Grandi Madri delle civiltà mediterranee. ma di origine orientale, e affonda le sue radici nelle primordiali religioni matriarcali, fondate sulla venerazione del femminile, della prosperità e della fecondità. Ritrovamenti nelle Marche, come ad esempio la Venere di Tolentino, la Venere di Frasassi, la Venere di Fano, i tre idoletti femminili rinvenuti a Ripabianca di Monterado in provincia di Ancona, sono in fondo il culto della Dea Cupra, unica divinità femminile adorata dai Piceni. A sostegno di questa tesi si hanno tante testimonianze scritte. Alla Dea Cupra era anche dedicato un santuario che rivestiva una grandissima importanza.
Tenendo presente che sul terreno affiorano talvolta delle lastre di rame fuso, conseguenza di antiche deiezioni vulcaniche, il cosiddetto rame nativo, si può capire che i primi oggetti di rame furono ottenuti dal metallo in superficie, come un grazioso regalo della Dea, e che solo successivamente venne cercato e reperito nelle miniere.
Pertanto il primo metallo lavorato fu il rame e colei che ne insegnò l'uso fu la Dea e probabilmente le sue sacerdotesse. Sicuramente, come ovunque usava, queste esercitarono la prostituzione sacra, impersonando così il lato Ninfa della Dea, mentre come Vegliarda e portatrice di morte era la Dea del Rame (raffigurata a volte con lancia e scudo), o la Dea Rossa che riporta alla guerra e al sangue. Ma non mancò di certo, in qualità di triplice Dea, il lato Madre, connesso alla natura e ai suoi frutti.
Articolo
“Il santuario della Dea Cupra sorgeva nell’attuale ex pieve di San Basso“. Lo ha sostenuto Tiziana Capriotti, giovane archeologa che durante la serata di martedì 28 maggio ha tenuto in piazza Possenti una relazione sugli studi effettuati a riguardo ed intitolata “Il santuario della Dea Cupra a Cupra Marittima, proposta di ubicazione”.
“A darmi questa idea – ha spiegato la Capriotti – è stata proprio la storia della traslazione del corpo di San Basso. I reperti indicano infatti che il corpo è stato depositato inizialmente dai monaci benedettini in un luogo che già in passato è stato destinato ad un culto, cristianizzando così un luogo pagano. Inoltre nella pieve sono presenti delle colonne di marmo color verde antico, non provenienti dall’Italia ma dalla Grecia e risalenti a molti secoli prima l’arrivo del corpo di San Basso. L’unico modo per confermare o meno questa ipotesi è quello di realizzare degli scavi intorno alla ex Pieve”.
CUPRA MARITTIMA
Intorno al X sec. e prima dei piceni, l’area di Cupra è popolata da genti non italiche e nemmeno indoeuropee. probabilmente i Pelasgi, antica popolazione mediterranea, provenienti dall’area dell’antica Cipro, isola che nei miti greci dà i natali a Venere, la “Cipride” (da cui deriva anche la parola "cipria"). In questo percorso indietro nel tempo vediamo immediatamente definirsi l’importanza del mare, luogo di viaggi, scambi e civiltà, ma anche spazio di identità delle popolazioni rivierasche, millenni fa come adesso.
CUPRA |
Il tempio della Dea Cupra era un polo sacrale importante, considerato tra i più significativi dell’Italia pre-romana; tanto importante che l’imperatore Adriano in seguito si preoccupò di ridefinire sia i suoi rituali che la sua struttura architettonica. Possiamo dunque ipotizzare che il tempio cuprense era oggetto di viaggi via mare, ma anche da comunità provenienti dall’interno. È utile rammentare come non molto lontano da Cupra e dal mare, nei monti Sibillini, si trovava un altro centro di sacralità pagana di carattere femminile, quello della Sibilla, pieno di leggende e magie.
La testimonianza archeologica del santuario si ricava soprattutto dal ritrovamento a Cupra Marittima di un amuleto orientale, fenicio o egizio, estremamente diverso dagli oggetti piceni e romani. Ciò testimonia come Cupra, più di 2000 anni fa, era luogo di incontro di diverse civiltà e culture, unite dall’adorazione comune della femminilità divina, della Dea, conosciuta in tutto il Mediterraneo.
La Dea Cupra può essere associata a divinità come le fenicie Astarte e Ishtar, all’orientale Lilith, alla greca Afrodite, alle romane Venere e Bona Dea, poichè ne copia o riproduce parecchi tratti e costumi..
"Grotte a mare è Terra Marittima esposta assai alli rubamenti dei Corsari, così detta per esser sotto una ripa. In latino è detta Criptae maritima, et hebbe origine dalla Dea Cupra marina, cioè Venere, come dicono molti, i quali vogliono che quivi havesse già il suo domicilio: essendoci quivi sin al di d'hoggi il suo Tempio rifatto da Traiano Imperatore dopo la destruttione che fecero i Ghoti, per tutta quasi Italia: e hora chiamasi S. Martino Abbatia del Vescovo di Fermo. Nella qual chiesa trovasi hoggidi una pietra in un altare che ha scolpite queste parole:
IMPERATOR CAESAR DIVI TRAIANI PARTHICI F.D. NERVA NEP. TRAIANUS HADRIANUS AUG. PONTIFEX MAX TRIB. POTESTAI XI COS. III MUNIFICENTIA SUA TEMPLUM DEAE CUPRAE RESTITUIT"
Quindi l'imperatore Adriano fece restaurare il tempio della Dea.
Quindi l'imperatore Adriano fece restaurare il tempio della Dea.
Ad abbundantiam più avanti si legge: "questa terra dicesi essere stata fabricata dalla detta Dea Cupra." Ma c'è di più. La prosperosa condizione economica del territorio, assicurata complessivamente da giardini d'arancio, fontane, grano, oliveti, vigneti e una vasta produzione di lino che garantiva ampi orizzonti commerciali in tutto il Piceno fino alla Fiandra, autorizzava con forza a dire che "quivi hebbero il dominio Venere et Arachne, la mitica tessitrice della Lidia che sfidò e vinse nella sua arte Minerva, la quale si vendicò trasformandola poi in un ragno" (BAR, Ms. 685, FTG, cc. 37v-39).
Il cronista, autore di ben 34 monografie (Ascoli, Offida, Fermo, Ancarano, Macerata, Montefortino, Amandola, Montelparo, S. Elpidio, S. Vittoria, Teramo, Atri, Pescara, Loreto, Ancona, ecc.), scrisse a chiare lettere di aver visto il Tempio (non i ruderi), vale a dire la caratteristica sovrapposizione dell'abbazia di S. Martino sui corpi di fabbrica del santuario pagano dedicato a Cupra (= Venere), che secondo l'inveterata costumanza dei primi evangelizzatori non venne dei tutto cancellato affinché potesse trasmettere ai fedeli un forte significato simbolico della vittoria del Cristo sulla peccaminosa Dea, tanto è vero che i primi templi ad essere smantellati furono quelli della Dea Venere.
D'altronde la sovrapposizione dei luoghi cristiani sulle rovine pagane in Italia sono tantissime: S. Gregorio (Ascoli), S. Sofia (Padova), S. Ansano (Spoleto), S. Urbano (Roma), S. Maria in Minerva (Assisi), S. Lorenzo in Miranda, ecc. L'inizio del processo di sovrapposizione degli edifici cristiani su quelli di più antica religione rimonta alla fine del IV secolo, allorché le ordinanze imperiali di Arcadio e Onorio decretarono punibile il culto pagano e sancirono la distruzione e il riutilizzo dei templi dell'inganno (per dirla con Costantino il Grande), specialmente quelli dispersi nelle aree
campestri (cfr. K. BihImeyer-H.TuechIe, Storia della Chiesa, vol. I, pp. 249-261 ).
campestri (cfr. K. BihImeyer-H.TuechIe, Storia della Chiesa, vol. I, pp. 249-261 ).
DEA ANCARIA
Ad esempio per il castello di Ancarano egli ebbe a scrivere: "Ancarano è detto dalla Dea Ancaria che dicesi haver havuto quivi il suo domicilio, come si congettura da certi vestigi intorno alla chiesa, che al di d'hoggi è neIl'istesso luogo" (BAR, Ms. 685, FTG, c. 60).
Oggi, invece, grazie al presente contributo, possiamo tratteggiare la storia della chiesa castellana di S. Maria della Pace fondata sopra le macerie scomparse del santuario della Dea Ancaria, per i consueti scopi religiosi, al fine di cancellare ogni residuo votivo della superstiziosa cultura pagana. Da Ascoli a Grottammare, dunque, tutte le più importanti sedi culturali furono riutilizzate dai cristiani in ossequio alle leggi imperiali e alla tradizione (Vesta, Ancaria, Cupra, ecc.).
ROMA E LA DEA
«Fu Adriano a far restaurare il tempio della Dea Cupra»
di Valeria Fabioneri
CUPRA MARITTIMA - In passato Cupra era dotata di un grande porto e di un importante santuario. Ad accrescere la sua rilevanza storica è la scoperta che, a restaurare il tempio della Dea Cupra, fu proprio l'imperatore Adriano. È Giovanni Ciarrocchi a spiegare questa relazione con il suo libro "Schemi Adrianei nel foro di Cupra Marittima", che presenterà sabato 29 novembre presso il cinema Margherita a partire dalle 17, e nel quale dimostra che l'Imperatore era anche un grande matematico.
Dove sorgeva il tempio della Dea Cupra
Anticipa l'autore: «La figura di Adriano si relaziona a Cupra Marittima per vari motivi: l'origine picena dell'imperatore, il rinvenimento dell'iscrizione adrianea che celebra il "restauro" del tempio della dea Cupra, la riconoscibilità geometrica e matematica del progetto adrianeo negli edifici del foro di "Cupra Maritima"».
Spiega ancora l'autore: «Il libro si propone di trovare un'analogia tra gli aspetti dimensionali e numerici del foro, e l'opera dell'Imperatore nella sua veste di architetto e matematico. La misurazione dei ruderi cuprensi infatti - aggiunge Ciarrocchi - ha evidenziato l'utilizzo di moduli e rapporti aurei che lo stesso Adriano abitualmente usava in molte sue realizzazioni».
Conclude l'autore: «La ristrutturazione ordinata da Adriano del santuario della Dea Cupra e dell'intero foro cuprense, emerge in modo chiaro dai numeri delle dimensioni delle strutture antiche e dall'uso della serie numerica di "Fibonacci" per proporzionare gli spazi cuprensi attraverso il numero aureo. La conoscenza di questi numeri mette in luce la profonda conoscenza della matematica da parte dell'imperatore Adriano».
Per quanto riguarda l’aspetto cultuale del paganesimo degli antichi Piceni, l’unica divinità conosciuta è la Dea Cupra. Probabilmente c’erano altre divinità guerriere e anche un culto dei lari e dei penati simile a quello dei latini (culto delle anime dei defunti che proteggevano la comunità), ma le tracce rimaste sono scarsissime. Al contrario sull’adorazione della Dea Cupra esiste più di una testimonianza, tra Marche e Umbria. La religione della Dea Cupra sorge nell’era picena ma poi prosegue nel periodo romano fino alla tarda età imperiale, in cui in ogni provincia dell’Impero si diffondevano culti misterici ed iniziatici di origine orientale.
il santuario di cui non è determinabile l'esatta collocazione, nonostante la sopravvivenza del toponimo "Poggio Cupro" indichi verosimilmente la sua esistenza in questa località, dovette giocare un ruolo centrale, in quanto sede di una delle principali divinità venerate dai Piceni.
In seguito, l'area del futuro municipium, fu interessata dalle deduzioni viritane sancite dalla lex Flaminia del 232 a.c., come attesta un'iscrizione su patera bronzea della fine del III sec. a.c. e menzionante un pagus (CIL IX 5699). Elevata al rango di municipium non prima della metà del I sec. ac., fu ascritta alla tribù Velina e governata da un collegio di duumviri, carica nota da un'epigrafe (CIL IX 5707).
Tra le poche strutture ancora superstiti, vi è una cisterna per l'approvvigionamento idrico, nota come "il Barlozzo": si conserva lungo l'odierna via Bovio, riutilizzata come abitazione privata. Si presenta come una struttura a pianta rettangolare di 19 m x 10 m di lato con muri perimetrali in opus caementicium, rivestiti da uno strato di cocciopesto; all'interno l'ambiente era diviso da un setto centrale ad arconi, che formava due vani voltati alti oltre 5 m. In epoca romana, la struttura che era dotata di un'ulteriore sopraelevazione e si trovava su di uno dei luoghi più elevati rispetto alla restante area cittadina, dovette svolgere la funzione di castellum aquae, servita da due acquedotti, dei quali sono stati individuati dei cunicoli nel Settecento. Dunque era da questa struttura che il municipium traeva la propria fornitura idrica.
In località Palazzi, invece, sono stati rinvenuti i resti di un impianto termale con pavimentazione in opus spicatum e a mosaico. Nella stessa contrada furono messe in luce alcune testimonianze pertinenti ad un edificio sacro, identificato in passato come il tempio della dea Cupra: si tratta di cornici modanate, parte di una colonna e grandi blocchi squadrati, alcuni dei quali ancora visibili lungo via Pieve. Di incerta interpretazione risulta inoltre una struttura dal perimetro circolare del diametro di circa 120 m, la cui identificazione con l'anfiteatro cittadino sembra essere piuttosto plausibile. Sempre incerta è la destinazione d'uso di un edificio a pianta rettangolare di 17 m x 19 m con alzati in opus caementicium e paramento in opus latericium, su cui si innesta una moderna casa colonica, lungo la medesima via Pieve. Infine, lungo il limite meridionale dell'insediamento, doveva estendersi una zona di necropoli, mentre è degno di menzione l'istituto degli alimenta (istituzione che elargiva sussidi di assistenza ai fanciulli bisognosi), testimoniato da un'epigrafe con dedica all'imperatore Titus Aelius Hadrianus Antoninus Pius (CIL IX 5700).
Santuario della Dea Cupra a Cupramontana
probabilmente fondata nei secoli VI - V a.c., ebbe il nome da un tempio che vi sorgeva dedicato alla Dea Cupra. Ricordata da Plinio Il Vecchio e Tolomeo tra le antiche citta' del Piceno in eta' augustea, fu importante municipio romano. Devastata durante la guerra greco-gotica, fu abbandonata, mentre le sue rovine vennero utilizzate in seguito per la costruzione di un posto fortificato, poi castello, che sorse a poca distanza in un luogo più elevato cui fu dato il nome di Massaccio (massa di Accio, poeta e autore di commedie e tragedie).
La zona archeologica è situata nei pressi dell'attuale Cimitero, dove rimane il tracciato delle terme di epoca romana (attualmente interrato). In via Giovanni Bovio sono ubicati i resti del contenitore dell'acquedotto ugualmente d'epoca classica.
Ad eccezione del basamento del tempio ellenistico sotto il Duomo di S. Ciriaco ad Ancona e del primo impianto del santuario di Cupra a Colfiorito (Foligno), testimonianze tra l'altro piuttosto tarde e prive di riscontri archeologici diretti, nelle Marche sono stati rinvenuti pochi resti architettonici di santuari né sicure frequentazioni rituali di grotte o ripari. Ciò sarebbe da imputare da una parte alla minore durevolezza del legno e dell'argilla e dall'altra alla scarsità di esplorazioni sistematiche, sia su vaste superfici adibite non a necropoli sia nei luoghi di rinvenimento di ripostigli e oggetti votivi. E' anche possibile che il culto non fosse praticato in edifici veri e propri, ma si svolgesse all'aperto entro recinti o costruzioni precarie.
Le fonti antiche ricordano però l'esistenza di un santuario dedicato alla Dea Cupra fondato "dai Tirreni che danno ad Era il nome di Cupra" nella zona di Cupramarittima e un santuario di Diomede menzionato in relazione agli Umbri medioadriatici .
La continuazione di culti locali in manifestazioni religiose di epoca romana è ipotizzabile, come quello di Feronia o quelli connessi con la navigazione di Venere Euplea e di Juppiter Serenus, attestati rispettivamente nel tempio di Ancona e nel promontorio di Gabicce. La continuità e la sovrapposizione a più antichi culti locali è sicuramente nei depositi votivi di Montefortino d'Arcevia e di Isola di Fano e nei santuari termali di Cupramarittima e di San Vittore di Cingoli.
In mancanza di sicure evidenze archeologiche, l'esistenza dei luoghi di culto è ipotizzabile solo in quelle località dove sono stati rinvenuti i depositi votivi, spesso al di fuori o lontani dagli abitati e dai sepolcreti; sulle sponde dei fiumi o torrenti (Isola di Fano e Castelbellino), presso le sorgenti (Coltone di Cagli e Montefortino), in punti particolari lungo vie di comunicazione (Corinaldo) o in zone montane e submontane (Monte Primo, Monte Valmontagnana). Da segnalare che l'area di distribuzione dei depositi a bronzetti sembra ricalcare, a partire dal 500 a.c. e ad eccezione di Ripatransone e Porto San Giorgio, quella della ceramica attica.
Un importante luogo di culto è stato individuato sulla cima di Monte Giove (Teramo), ad una quota di 749 metri s.l.m. Qui, in seguito alle esplorazioni degli anni 1974-75 da parte della locale Soprintendenza Archeologica, sono emersi almeno quattro differenti ambienti. Fra i materiali rinvenuti, oltre a coperchi, fuseruole, rocchetti, pesi da telaio e oggetti metallici, numerosi i vasetti miniaturistici ad impasto (in particolare, dolii con quattro prese e tazze mono e biansate) decorati con piccole bugne. I reperti fittili vengono attribuiti al VI secolo. Una figuretta femminile in lamina d'argento ritagliata (V sec. a.c.) potrebbe rappresentare la Dea Cupra e un bronzetto di Veiove nell'atto di scagliare il fulmine (III sec. a.c.), V. d'Ercole, I luoghi di culto. Abruzzo, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 88.
di Valeria Fabioneri
CUPRA MARITTIMA - In passato Cupra era dotata di un grande porto e di un importante santuario. Ad accrescere la sua rilevanza storica è la scoperta che, a restaurare il tempio della Dea Cupra, fu proprio l'imperatore Adriano. È Giovanni Ciarrocchi a spiegare questa relazione con il suo libro "Schemi Adrianei nel foro di Cupra Marittima", che presenterà sabato 29 novembre presso il cinema Margherita a partire dalle 17, e nel quale dimostra che l'Imperatore era anche un grande matematico.
Dove sorgeva il tempio della Dea Cupra
Anticipa l'autore: «La figura di Adriano si relaziona a Cupra Marittima per vari motivi: l'origine picena dell'imperatore, il rinvenimento dell'iscrizione adrianea che celebra il "restauro" del tempio della dea Cupra, la riconoscibilità geometrica e matematica del progetto adrianeo negli edifici del foro di "Cupra Maritima"».
Spiega ancora l'autore: «Il libro si propone di trovare un'analogia tra gli aspetti dimensionali e numerici del foro, e l'opera dell'Imperatore nella sua veste di architetto e matematico. La misurazione dei ruderi cuprensi infatti - aggiunge Ciarrocchi - ha evidenziato l'utilizzo di moduli e rapporti aurei che lo stesso Adriano abitualmente usava in molte sue realizzazioni».
Conclude l'autore: «La ristrutturazione ordinata da Adriano del santuario della Dea Cupra e dell'intero foro cuprense, emerge in modo chiaro dai numeri delle dimensioni delle strutture antiche e dall'uso della serie numerica di "Fibonacci" per proporzionare gli spazi cuprensi attraverso il numero aureo. La conoscenza di questi numeri mette in luce la profonda conoscenza della matematica da parte dell'imperatore Adriano».
LA LAPIDE DELLA DEA CUPRA
il santuario di cui non è determinabile l'esatta collocazione, nonostante la sopravvivenza del toponimo "Poggio Cupro" indichi verosimilmente la sua esistenza in questa località, dovette giocare un ruolo centrale, in quanto sede di una delle principali divinità venerate dai Piceni.
In seguito, l'area del futuro municipium, fu interessata dalle deduzioni viritane sancite dalla lex Flaminia del 232 a.c., come attesta un'iscrizione su patera bronzea della fine del III sec. a.c. e menzionante un pagus (CIL IX 5699). Elevata al rango di municipium non prima della metà del I sec. ac., fu ascritta alla tribù Velina e governata da un collegio di duumviri, carica nota da un'epigrafe (CIL IX 5707).
Tra le poche strutture ancora superstiti, vi è una cisterna per l'approvvigionamento idrico, nota come "il Barlozzo": si conserva lungo l'odierna via Bovio, riutilizzata come abitazione privata. Si presenta come una struttura a pianta rettangolare di 19 m x 10 m di lato con muri perimetrali in opus caementicium, rivestiti da uno strato di cocciopesto; all'interno l'ambiente era diviso da un setto centrale ad arconi, che formava due vani voltati alti oltre 5 m. In epoca romana, la struttura che era dotata di un'ulteriore sopraelevazione e si trovava su di uno dei luoghi più elevati rispetto alla restante area cittadina, dovette svolgere la funzione di castellum aquae, servita da due acquedotti, dei quali sono stati individuati dei cunicoli nel Settecento. Dunque era da questa struttura che il municipium traeva la propria fornitura idrica.
In località Palazzi, invece, sono stati rinvenuti i resti di un impianto termale con pavimentazione in opus spicatum e a mosaico. Nella stessa contrada furono messe in luce alcune testimonianze pertinenti ad un edificio sacro, identificato in passato come il tempio della dea Cupra: si tratta di cornici modanate, parte di una colonna e grandi blocchi squadrati, alcuni dei quali ancora visibili lungo via Pieve. Di incerta interpretazione risulta inoltre una struttura dal perimetro circolare del diametro di circa 120 m, la cui identificazione con l'anfiteatro cittadino sembra essere piuttosto plausibile. Sempre incerta è la destinazione d'uso di un edificio a pianta rettangolare di 17 m x 19 m con alzati in opus caementicium e paramento in opus latericium, su cui si innesta una moderna casa colonica, lungo la medesima via Pieve. Infine, lungo il limite meridionale dell'insediamento, doveva estendersi una zona di necropoli, mentre è degno di menzione l'istituto degli alimenta (istituzione che elargiva sussidi di assistenza ai fanciulli bisognosi), testimoniato da un'epigrafe con dedica all'imperatore Titus Aelius Hadrianus Antoninus Pius (CIL IX 5700).
Comunque nel XVI sec. nessun studioso individuava la localizzazione della sede votiva della Dea Cupra nel Comune di Marano, che solo dopo l'unificazione italiana sotto la corona sabauda si chiamò Cupra Marittima.
Ma l'elemento senz'altro più interessante è costituito dal fatto che la lapide commemorativa della ristrutturazione del tempio si trovasse originariamente incastonata nell'altare della chiesa, una garanzia della celebrazione trionfale dei cristianesimo sull'idolatria locale: sarebbe meglio dire che i fondatori di S. Martino, cioè gli uomini del vero Dio, seguendo una consuetudine antichissima sistemarono nella tavola liturgica del sacrificio della Messa la testimonianza più eloquente del paganesimo cuprense, a simbolo visibile e perpetuo della vittoria del Re dei re sulla divinità femminile del mondo politeista.
Ma l'elemento senz'altro più interessante è costituito dal fatto che la lapide commemorativa della ristrutturazione del tempio si trovasse originariamente incastonata nell'altare della chiesa, una garanzia della celebrazione trionfale dei cristianesimo sull'idolatria locale: sarebbe meglio dire che i fondatori di S. Martino, cioè gli uomini del vero Dio, seguendo una consuetudine antichissima sistemarono nella tavola liturgica del sacrificio della Messa la testimonianza più eloquente del paganesimo cuprense, a simbolo visibile e perpetuo della vittoria del Re dei re sulla divinità femminile del mondo politeista.
Più tardi, comunque, la lapide sarebbe stata rimossa dalla sacra mensa e collocata in una specie d'icona sostenuta lateralmente da due colonnette sopra le cui basi appoggia la lapide medesima con sopra un architrave di grossa pietra, ciocché fa conoscere la gelosia che si è sempre avuta di custodirla e di conservarla (V. Rivosecchi, Grottammare, pag. 23). In seguito, purtroppo, maturò la decisione di murarla in un altro punto della chiesa, sopra un rocchio basamentale di colonna che in origine sosteneva il tempio: un errore che da una parte diede il sapore di posticcio al manufatto lapideo e dall'altra sortì effetti dubitativi circa l'originaria provenienza dell'iscrizione, donde tutta quella congerie di dissertazioni aprioristiche e arbitrarie che lasciamo al riposo dei loro secoli.
Nel frattempo il popolo continuava a prelevare i materiali esterni e periferici dell'antico sito pagano, per impiegarli in altre strutture: e a ciò va imputato l'impoverimento progressivo dell'antico tempio cuprense. Ma una piccola attività di ricerca del 1783 portò alla luce frammenti di reperti monumentali del tempio neí contorni di San Martino, consistenti in vari capitelli di pietra lavorati a bassorilievi e capitelli di pilastri.
Il cronista Summentovato attesta che: "a Grottammare sonovi anco sopra uno scoglio in mare certe vestigia di chiesa [S. Nicola a mare] che prima forse doveva essere in terra ferma vicino all'acqua marina."
Vi è anco una chiesa chiamata S. Maria dei monti dove per li molti miracoli da tre anni in qua è un concorso grandissimo di gente (BAR, Ms. 685, FTG, e. 38v).
Ma il cronista cita anche il famoso dono dell'assoluzione plenaria concesso da Alessandro III (e non da altri papi) all'abbazia di S. Martino. Le sue notizie minute e non corrotte, risalgono ai tempi di Federico Barbarossa e contrastano con tutta la narrazione storica sin qui formulata.
Egli infatti attesta: "In questa chiesa al tempo d'hoggi [1575] si celebra l'anno Santo (sol più tardi detto "Sacra" come fosse in Roma, ogni volta che il primo giorno di luglio viene di Domenica, et questo dono pretiosissimo fu lasciato da Papa Alessandro III, il quale fuggendo il furore di Barbarossa si n'andò sconfitto a Venetia, dove fu rintronato nel convento della Charità tra più in li famegli che ve fossero, onde riconosciuto fu rimesso in sedia di quel serenissimo et christianissinio Senato... Andando dunque il detto papa alla volta d'Ancona per ritornare a Roma fu assalito da una tempesta di mare, et gittando alla drittura di detta Abbatia alla quale per memoria diede il detto dono dell'indulgenza" (ivi, cc. 38-38v).
Da questa descrizione, peraltro incontestabile per il suo tenore aderente alle conoscenze tradizionali, risulta chiaro che il pontefice concesse il privilegio dell'indulgenza ai religiosi di S Martino per il solo motivo di essere riuscito a riparare quel primo luglio nell'abbazia grottese, scongiurando il terribile sinistro del naufragio. Inoltre il cronista non cita nessun approdo con manifestazioni di giubilo, magnificenza e grandiosità; e neppure la Festa della Sacra alla quale Alessandro III avrebbe assistito (per le altre tesi cfr. V. Rivosecchi, op. cit., pp. 59, 123, 229-237, 328 e 329; La Conchiglia, settembre 1995 pp. 10- 12).
Santuario della Dea Cupra a San Benedetto del Tronto
Il cronista Summentovato attesta che: "a Grottammare sonovi anco sopra uno scoglio in mare certe vestigia di chiesa [S. Nicola a mare] che prima forse doveva essere in terra ferma vicino all'acqua marina."
Vi è anco una chiesa chiamata S. Maria dei monti dove per li molti miracoli da tre anni in qua è un concorso grandissimo di gente (BAR, Ms. 685, FTG, e. 38v).
Ma il cronista cita anche il famoso dono dell'assoluzione plenaria concesso da Alessandro III (e non da altri papi) all'abbazia di S. Martino. Le sue notizie minute e non corrotte, risalgono ai tempi di Federico Barbarossa e contrastano con tutta la narrazione storica sin qui formulata.
Egli infatti attesta: "In questa chiesa al tempo d'hoggi [1575] si celebra l'anno Santo (sol più tardi detto "Sacra" come fosse in Roma, ogni volta che il primo giorno di luglio viene di Domenica, et questo dono pretiosissimo fu lasciato da Papa Alessandro III, il quale fuggendo il furore di Barbarossa si n'andò sconfitto a Venetia, dove fu rintronato nel convento della Charità tra più in li famegli che ve fossero, onde riconosciuto fu rimesso in sedia di quel serenissimo et christianissinio Senato... Andando dunque il detto papa alla volta d'Ancona per ritornare a Roma fu assalito da una tempesta di mare, et gittando alla drittura di detta Abbatia alla quale per memoria diede il detto dono dell'indulgenza" (ivi, cc. 38-38v).
Da questa descrizione, peraltro incontestabile per il suo tenore aderente alle conoscenze tradizionali, risulta chiaro che il pontefice concesse il privilegio dell'indulgenza ai religiosi di S Martino per il solo motivo di essere riuscito a riparare quel primo luglio nell'abbazia grottese, scongiurando il terribile sinistro del naufragio. Inoltre il cronista non cita nessun approdo con manifestazioni di giubilo, magnificenza e grandiosità; e neppure la Festa della Sacra alla quale Alessandro III avrebbe assistito (per le altre tesi cfr. V. Rivosecchi, op. cit., pp. 59, 123, 229-237, 328 e 329; La Conchiglia, settembre 1995 pp. 10- 12).
Santuario della Dea Cupra a San Benedetto del Tronto
Sembra che il culto della Dea Cupra fosse tra i più importanti dell’Italia pre-romana: ce lo conferma Strabone ma anche cronisti minori e meno famosi come Silio Italico, il quale ricorda gli altari fumanti della Dea Cupra. Una divinità femminile onorata e potente, legata ai misteri del mondo antico, con una forte ritualità di carattere magico. Si tratta delle religioni Misteriche, per cui ogni culto religioso, nel mondo pagano, si manifestava in due volti: uno rivolto all’aspetto pubblico della religione, un altro, quello più vero, orientato alla conoscenza della divinità, è l’aspetto sapienziale, a cui solo i sacerdoti e gli iniziati potevano accedere.
La Dea Cupra non era soltanto localizzata nell’area picena: i suoi templi erano presenti in tutta la penisola, presso gli Etruschi, i Latini (che la nominavano Dea Bona), i Greci, tanto da essere ritenuta non a caso una delle maggiori divinità femminili dei popoli italici.
La Dea Cupra non era soltanto localizzata nell’area picena: i suoi templi erano presenti in tutta la penisola, presso gli Etruschi, i Latini (che la nominavano Dea Bona), i Greci, tanto da essere ritenuta non a caso una delle maggiori divinità femminili dei popoli italici.
Santuario della Dea Cupra a Cupramontana
La zona archeologica è situata nei pressi dell'attuale Cimitero, dove rimane il tracciato delle terme di epoca romana (attualmente interrato). In via Giovanni Bovio sono ubicati i resti del contenitore dell'acquedotto ugualmente d'epoca classica.
Ad eccezione del basamento del tempio ellenistico sotto il Duomo di S. Ciriaco ad Ancona e del primo impianto del santuario di Cupra a Colfiorito (Foligno), testimonianze tra l'altro piuttosto tarde e prive di riscontri archeologici diretti, nelle Marche sono stati rinvenuti pochi resti architettonici di santuari né sicure frequentazioni rituali di grotte o ripari. Ciò sarebbe da imputare da una parte alla minore durevolezza del legno e dell'argilla e dall'altra alla scarsità di esplorazioni sistematiche, sia su vaste superfici adibite non a necropoli sia nei luoghi di rinvenimento di ripostigli e oggetti votivi. E' anche possibile che il culto non fosse praticato in edifici veri e propri, ma si svolgesse all'aperto entro recinti o costruzioni precarie.
Santuario della Dea Cupra a Cupramarittima
Le fonti antiche ricordano però l'esistenza di un santuario dedicato alla Dea Cupra fondato "dai Tirreni che danno ad Era il nome di Cupra" nella zona di Cupramarittima e un santuario di Diomede menzionato in relazione agli Umbri medioadriatici .
La continuazione di culti locali in manifestazioni religiose di epoca romana è ipotizzabile, come quello di Feronia o quelli connessi con la navigazione di Venere Euplea e di Juppiter Serenus, attestati rispettivamente nel tempio di Ancona e nel promontorio di Gabicce. La continuità e la sovrapposizione a più antichi culti locali è sicuramente nei depositi votivi di Montefortino d'Arcevia e di Isola di Fano e nei santuari termali di Cupramarittima e di San Vittore di Cingoli.
In mancanza di sicure evidenze archeologiche, l'esistenza dei luoghi di culto è ipotizzabile solo in quelle località dove sono stati rinvenuti i depositi votivi, spesso al di fuori o lontani dagli abitati e dai sepolcreti; sulle sponde dei fiumi o torrenti (Isola di Fano e Castelbellino), presso le sorgenti (Coltone di Cagli e Montefortino), in punti particolari lungo vie di comunicazione (Corinaldo) o in zone montane e submontane (Monte Primo, Monte Valmontagnana). Da segnalare che l'area di distribuzione dei depositi a bronzetti sembra ricalcare, a partire dal 500 a.c. e ad eccezione di Ripatransone e Porto San Giorgio, quella della ceramica attica.
Il santuario della Dea Cupra a Monte Giove (Teramo)
Gli Umbri di Gubbio, che la chiamavano Vesona, cioè ‘buona’ in safino, esattamente come poi i Romani l’avrebbero invocata come Bona Dea in latino. Il culto della Dea Cupra è un culto “popolare”, antichissimo e per ciò stesso espressione dell’ambiente agropastorale preurbano; un culto che si caratterizza come paleoumbro anche per le caratteristiche antropomorfe con cui rappresenta il divino. Il piccolo e prezioso museo di Colfiorito testimonia anche importanti fatti ideologici della società umbra legati ai reperti provenienti dagli scavi di 250 tombe preromane ad inumazione.
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Nereo Alfieri - Scritti di topografia antica sulle Marche - a cura di Gianfranco Paci - Ed.Tipigraf - 2000 -
- Giovanni Annibaldi - Cupramontana - Enciclopedia dell'Arte Antica - 1959 -
- Mario Luni - Archeologia nelle Marche - 2003 -
- E.Orsomando F.Battoni - Museo Naturalistico del Parco di Colfiorito - Ente Parco di Colfiorito e Comune di Foligno - 2002 -
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Nereo Alfieri - Scritti di topografia antica sulle Marche - a cura di Gianfranco Paci - Ed.Tipigraf - 2000 -
- Giovanni Annibaldi - Cupramontana - Enciclopedia dell'Arte Antica - 1959 -
- Mario Luni - Archeologia nelle Marche - 2003 -
- E.Orsomando F.Battoni - Museo Naturalistico del Parco di Colfiorito - Ente Parco di Colfiorito e Comune di Foligno - 2002 -
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