Conosciamo abbastanza dettagliatamente la dieta dei legionari romani attraverso le molteplici note contenute nella Historia Augusta, ma pure da Cassio Dione, da Plinio il Vecchio e da Tacito.
Occorre anzitutto sfatare una poco documentata diceria secondo cui i soldati romani mangiassero poco e male. Il legionario doveva marciare in continuazione, doveva portare carichi enormi e spesso affrontare battaglie o climi freddi e umidi.
Senza una adeguata alimentazione non avrebbero mai potuto sopportare queste immense fatiche che solo i soldati romani sopportavano per adeguarsi a una tecnica e una disciplina precisa fino alla pignoleria. La salvezza dei soldati era affidata alla bravura del generale e all'efficacia della loro organizzazione che richiedeva un grande sforzo fisico, impensabile senza una robustissima alimentazione.
Inoltre il cibo veniva stabilito nel contratto di arruolamento, che naturalmente era diverso in una situazione di "battaglia", o in quella di "svernamento" negli accampamenti, oppure in quella "stanziale" nei castra, oppure quella al Castra Pretorio a Roma.
E' chiaro che l'alimentazione da marcia o da battaglia poteva essere meno ricca di varietà ma non di quantità, per la difficoltà degli approvvigionamenti nelle terre vicine. A parte che un esercito mal nutrito si sarebbe ribellato al suo generale, che non era in grado di badare alle sue necessità basilari.
Nei castra invece passavano o si stanziavano accanto molti venditori locali con ogni sorta di merce, soprattutto cibi. Ancor più ricca era naturalmente la situazione nei castri romani dell'Urbe.
I pasti del legionario erano generalmente 3:
- colazione: pane (o gallette di farro), miele, formaggio, avanzi della cena, talvolta frutta, acqua e aceto o vino;
- pranzo: verdura, lardo, gallette e legumi (talvolta pesce affumicato);
- cena: pane, focacce, zuppa di cereali, talvolta carne (inizialmente poca poi dall'incontro con popoli del nord ne aumentò il consumo). Il pasto principale era alla sera prima del tramonto, ed era il pasto più abbondante ed energetico.
TRASPORTO
Gli approvvigionamenti erano normalmente effettuati per mari e per fiumi da apposite navi attrezzate per i combattimenti per eventuali scontri con nemici o pirati.
Il più delle volte erano però accompagnate da navi da guerra.
Il più delle volte erano però accompagnate da navi da guerra.
Se invece si trattava di brevi distanze si effettuavano via terra, sorvegliato da militari al seguito. Infatti il trasporto su acqua era molto più veloce ed economico rispetto a quello di terra.
Quello terrestre avveniva lungo il cursus publicus (servizio di trasporto imperiale) su carri (angariae), che avevano una portata media di 650 kg, trainati da due paia di buoi ciascuno.
Di solito i soldati acquistavano cibi vari dai contadini dei dintorni e soprattutto dai rivenditori che erano soliti seguire gli eserciti durante le campagne e che diventarono una struttura stabile attorno agli accampamenti, una volta divenuti permanenti.
Il legionario trasportava comunque nel suo zaino le provviste basilari per sopravvivere autonomamente due o tre giorni, compresa l'acqua in genere mista ad aceto oppure vino che veniva poi annacquato.
Il legionario trasportava comunque nel suo zaino le provviste basilari per sopravvivere autonomamente due o tre giorni, compresa l'acqua in genere mista ad aceto oppure vino che veniva poi annacquato.
FRUMENTATIO
Il farro
Nelle fonti a proposito dell'approvvigionamento dei soldati, si parla di "Frumentatio" per le scorte di cereali e "Commeatus" (da: comedere, mangiare) per tutte le altre vettovaglie. Le basi della loro alimentazione erano i cereali e i legumi. Il cereale più usato in era monarchica e repubblicana fu il farro, ancora nel “De bello gallico”, Giulio Cesare afferma che i soldati romani erano mangiatori di farro, ma pure di orzo e avena, sostituiti più tardi col frumento perchè più nutriente.
Prima che si scoprisse il frumento, il cibo base nell'alimentazione era appunto il farro, originario della Palestina. La sua coltivazione nel suolo italico iniziò nell'VIII sec. a.c., prima ad opera degli Etruschi e poi dei Romani. Era facile da coltivare anche in terreni poveri e in climi freddi, ma la sua raccolta era difficile perché i chicchi maturando cadevano a terra.
Si dice che l'Impero romano fu fatto più con il farro che con il ferro. In effetti fu il sostentamento base delle legioni romane. Ai legionari ne veniva distribuita mensilmente una certa quantità, il cui valore veniva detratto dalla paga. I soldati partivano per la guerra con un sacchetto di questo cereale nella bisaccia, masticandone spesso i chicchi durante la marcia.
Il Puls di farro
Al momento di allestire la cena da campo, macinavano i chicchi grossolanamente per bollirli in acqua e latte. Vi si potevano mescolare frattaglie di maiale, vino, pepe e sale. Era il «puls» dei legionari. Naturalmente il latte non era facile da reperire se non acquistandolo e in certi casi razziandolo in territorio nemico. Per questo spesso si sostituiva i latte con alcuni pezzi di formaggio poco stagionato.
Il Libum di farro
LA PICCOLA MACINA PORTATILE USATA DAI LEGIONARI |
Il farro, come gli altri cereali, era fornito ai milites "in grani", perchè più facile e igienico da trasportare. Pesava poco e si manteneva a lungo.
I grani venivano macinati con una piccola macina di pietra trasportata da un carro, in modo che sui carri, tra le vettovaglie, vi giacesse sempre una parte di farina già pronta.
Ciò affinchè i militi appena terminato di montare l'accampamento, o dopo una battaglia, potessero mangiare immediatamente (la farina cuoce molto prima dei grani) e subito dopo riposare, pronti a qualsiasi imprevisto.
Il tempo per i legionari in missione era basilare, una mezz'ora di sonno in più poteva mutare l'esito della battaglia, esattamente come la rapidità degli interventi.
Il tempo per i legionari in missione era basilare, una mezz'ora di sonno in più poteva mutare l'esito della battaglia, esattamente come la rapidità degli interventi.
L'idea, avuta da alcuni studiosi, che i legionari si facessero macinare ognuno il suo sacchetto di grani alla macina del carro o dell'accampamento è assurda. Immaginiamo la fila per far macinare il proprio cibo, una legione ci avrebbe messo almeno una giornata, e d'altronde non è neppure pensabile che i legionari scaricassero il proprio sacchetto nella mola per macinarlo insieme e poi spartirlo di nuovo.
Ci sarebbe stata anche qui una fila assurda, anche se si sarebbe guadagnato tempo nella macinazione comune poi il tempo sarebbe passato per rifare la razione di ciascuno.
La ragione per cui ogni legionario portava con sè il sacchetto dei cereali riguardava l'eventualità della perdita dei carri, della necessità di una fuga, o di dover correre in qualche rifugio, senza restare privi totalmente di cibo. Il legionario portava con sè i chicchi e non la farina perchè questa avrebbe reso più fragile il suo trasporto. Un sacchetto di farina poteva bucarsi, mentre i chicchi potevano anche essere chiusi in un qualsiasi fazzoletto di stoffa.
Per la cottura era poi sufficiente tritarli grossolanamente con delle pietre o addirittura cuocerli interi se c'era più tempo a disposizione. Si portavano i chicchi e non il pane perchè i chicchi pesavano meno del pane e del "buccellatum" (se ne parla più avanti) contenendo meno acqua, e per la stessa ragione si conservavano più del pane.
IL GRANO
Pian piano con l'impero si sostituì il grano al farro, perchè di più facile coltivazione, con resa maggiore e più nutriente. Il legionario riceveva in genere 35 kg di grano, che trasformato in pane dava una razione giornaliera di 1 Kg e 170 grammi. Questo solo per il frumento, poi c'era tutto il resto reperibili a seconda dell'esercito stanziale o di passaggio.
I quantitativi di generi alimentari richiesti da una legione alto-imperiale di 5.500 uomini richiedeva un minimo di 12,5 tonnellate di cereali al giorno.
Il Buccellatum
Un altro cibo già cotto faceva parte del corredo legionario e della frumentatio,
Era il bucellatum, un equivalente della galletta moderna.
In genere era un impasto di farina di grano duro, acqua e sale, talvolta impastata con acqua e olio d'oliva, talvolta addirittura con lo strutto.
Nei due ultimi casi c'era il vantaggio di avere a disposizione gallette meno dure e più nutrienti, come svantaggio il fatto che si mantenessero meno a lungo.
Era il bucellatum, un equivalente della galletta moderna.
In genere era un impasto di farina di grano duro, acqua e sale, talvolta impastata con acqua e olio d'oliva, talvolta addirittura con lo strutto.
Nei due ultimi casi c'era il vantaggio di avere a disposizione gallette meno dure e più nutrienti, come svantaggio il fatto che si mantenessero meno a lungo.
Questo cibo veniva cotto al campo e portato appresso durante le marce, o talvolta cotto negli accampamenti provvisori, cioè giornalieri per rinnovare le provviste.
Si allestiva un forno con le pietre scaldate al fuoco o direttamente sulla brace.
Si allestiva un forno con le pietre scaldate al fuoco o direttamente sulla brace.
Questo aveva l'enorme vantaggio di poter essere consumato durante le marce, quando non c'era il tempo di sostare in quanto c'era un'emergenza.
A volte si doveva correre in soccorso di altri soldati in pericolo, o andare a salvare alleati attaccati dai nemici, oppure fuggire da un nemico soverchiante o dopo la perdita di una battaglia (più raro).
A volte si doveva correre in soccorso di altri soldati in pericolo, o andare a salvare alleati attaccati dai nemici, oppure fuggire da un nemico soverchiante o dopo la perdita di una battaglia (più raro).
Panis militaris
I Romani conobbero il pane dopo il 168 a.c., anno in cui impararono le tecniche della panificazione da alcuni schiavi macedoni. Plinio scrive che i latini erano soliti consumare focacce non lievitate e polta, una densa zuppa preparata con grani di cereali schiacciati e bolliti nell'acqua.
Come spiega il nome, il "panis militaris" era in grande uso tra i legionari. Questo tipo di pane pesava un terzo più del grano e veniva cotto sulle pietre del focolare. Era all'epoca una specie di pizza piuttosto schiacciata, fatta con farina, acqua olio, sale, pepe e foglie di alloro.
Questo pane che non era nè galletta nè pagnotta, aveva il pregio di essere un po' più morbido della galletta e a volte vi si univano degli scarti del maiale che lo rendevano molto saporito.
Veniva in genere cotto lì per lì sulle pietre bollenti e la brace al centro, in un fuoco da campo.
La sua particolarità è che veniva farcito con foglie d'alloro spezzettate finemente, e cotto su un vero e proprio letto di foglie d'alloro. Altre foglie intere venivano sparse sul pane fino a coprirlo, dandogli un intenso profumo di alloro.
I Romani conobbero il pane dopo il 168 a.c., anno in cui impararono le tecniche della panificazione da alcuni schiavi macedoni. Plinio scrive che i latini erano soliti consumare focacce non lievitate e polta, una densa zuppa preparata con grani di cereali schiacciati e bolliti nell'acqua.
PANIS MILITARIS |
Questo pane che non era nè galletta nè pagnotta, aveva il pregio di essere un po' più morbido della galletta e a volte vi si univano degli scarti del maiale che lo rendevano molto saporito.
Veniva in genere cotto lì per lì sulle pietre bollenti e la brace al centro, in un fuoco da campo.
PANIS QUADRATUS |
Nel III sec. d.c., ne esistevano due tipi: quello mundus (o panis candidus), cioè pane bianco, che veniva fatto nelle città e distribuito alle truppe quando si trovavano nelle caserme e quello castrensis, usato negli accampamenti, durante le campagne militari, che aveva la caratteristica di conservarsi per lunghi periodi.
Trattavasi del pane "quadratus": una pagnotta divisa in otto spicchi da quattro tagli. Era un poco più alto di quello usato nei secoli precedenti. Si presume che agli ufficiali si distribuisse "panis militaris candidus".
Il Puls di grano
Era costituito da una specie di semolino non troppo liquido, fatto di grano o legumi, cui si accompagnavano in genere delle focacce fatte di grano e olio, talvolta con olive e pure formaggio affumicato. Le focacce venivano cotte sulla brace e, se di solo grano, venivano talvolta cosparse di miele. Il vantaggio del puls era soprattutto d'inverno perchè il prodotto semiliquido serviva a scaldare i legionari.
Poiché il pane era molto duro, veniva mangiato intinto nel vino, nell'olio, nelle minestre o con le salse. Ai soldati romani venivano distribuiti 1 kg e 300 g di pane al giorno con dei fichi secchi e 262 litri di vino all'anno; a tale nutrimento si aggiungevano cipolle, rape ed altre radici, leguminose e verdure fresche a seconda della stagione.
Poiché il pane era molto duro, veniva mangiato intinto nel vino, nell'olio, nelle minestre o con le salse. Ai soldati romani venivano distribuiti 1 kg e 300 g di pane al giorno con dei fichi secchi e 262 litri di vino all'anno; a tale nutrimento si aggiungevano cipolle, rape ed altre radici, leguminose e verdure fresche a seconda della stagione.
Per la preparazione si facevano tostare i chicchi di frumento, che poi si macinavano a mezzo di macine a braccia o, in mancanza di queste, tra due pietre. Con l'aggiunta di una piccola quantità di acqua e di sale si formava una farinata (puls), che veniva cotta in acqua bollente o su una pietra arroventata.
I LEGUMI
I legumi conosciuti dai romani erano fave, lupini, lenticchie, ceci, piselli. Molto usati soprattutto le fave e i ceci. che si aggiungevano alla zuppa di grano alla quale si aggiungevano saltuariamente le carni, soprattutto suine, per lo più essiccate se consumate durante le campagne oppure sotto forma di lardo.
Le fave e i ceci si portavano essiccati sui carri militari, il che permetteva una lunga conservazione ed anche un alto valore nutritivo.
Contrariamente a ciò che si crede i romani conoscevano i fagioli fin dall'antichità, perchè a suo tempo gli etruschi li avevano importati dall'Egitto e diffusi nel Mediterraneo.
Questo fagiolo, (phaseulum) era diffuso in tutto il mediterraneo, era di un'unica qualità e non poteva mancare nella dieta del legionario, sia per l'alto valore nutritivo, che per la facile trasportabilità una volta essiccato, che per il suo basso costo all'epoca.
I legumi erano talvolta spezzettati finemente in modo che potessero avere quasi lo stesso tempo di cottura del cereale, nel senso che venivano posti in acqua calda nella cassuola per aggiungervi, dopo un po' che bolliva, i semi spezzati del grano. Con un filo d'olio alla fine si creava una gradevole zuppa calda.
I lupini erano usati per le zuppe, ma soprattutto come li conosciamo oggi, già lavorati e da mangiare anche camminando, quindi ottimi durante le marce per nutrirsi senza sostare e riacquisire un po' di forze. D'altronde anche i civili li usavano nello stesso modo.
LE CARNI
Anche quando i castra non erano ancora permanenti, ricevevano altri tipi di provviste, come la carne, l'olio ed il sale. Polibio per esempio narra che durante le guerre Puniche nell'accampamento romano c'era uno spiazzo dove veniva macellato il bestiame catturato.
Spesso le carni venivano conservate a fette sottili sotto sale, specie quando Tiberio fece costruire le salinae, per cui il sale divenne molto accessibile nel prezzo.
La carne di maiale era quella che meglio si prestava alla conservazione. Se ne ottenevano degli insaccati molto somiglianti ai salumi, con sale, pepe e aglio, oppure venivano appesi al sole a coppia su una corda.
Il soldato dei castra poteva abbondare in carni salate e condimenti particolari. Gli scavi archeologici confermano che i militari romani che soggiornavano a lungo presso i forti consumavano grandi quantità di carne, non solo di maiale ma ovine e caprine.
IL PESCE
Era conservato sotto sale, oppure appeso al sole. Anche questo era condito con sale, e pure pepe ed aglio. Veniva usato nelle zuppe oppure insieme al pane. Anticamente era considerato un cibo poco nutriente e di scarso pregio, ma in epoca imperiale si diffuse molto grazie anche ai molteplici allevamenti in vasche, soprattutto nelle coste italiche meridionali.
Questi allevamenti, iniziati per uso personale, si allargarono poi alla vendita e all'esportazione, diffondendo varie qualità ed enormi quantità di pesce, ormai considerato cibo pregiato.
Questi allevamenti, iniziati per uso personale, si allargarono poi alla vendita e all'esportazione, diffondendo varie qualità ed enormi quantità di pesce, ormai considerato cibo pregiato.
I FORMAGGI
C'era poi il Caciofiore, una sorta di antenato del pecorino romano realizzato con caglio vegetale. Ma i formaggi più a buon mercato erano quelli affumicati. Particolare quello pressato a mano di Columella, formaggio di pecora a latte crudo, che cotto, salato e affumicato era pronto dopo soli 15 giorni. Sia per il prezzo che per la velocità della preparazione e la lunga conservazione, questo formaggio era molto usato per i vettovagliamenti militari, consumato col pane o con focacce.
LE UOVA
Si conservavano dentro la farina, oppure nella sabbia. Sui carri, dentro i sacchi di farina, si ponevano delle uova che così protette non rischiavano di rompersi e si conservavano a lungo. Ma visto il numero dei legionari la scorta era sempre piuttosto ridotta, in genere le uova si acquistavano sul posto se il clima sereno lo permetteva.
I romani, e di conseguenza i legionari, consumavano le uova in modi svariati: sode, strapazzate, alla coque, al piatto o in frittata. Ed erano molto apprezzate in ogni modo, un po' come oggi.
IL SALE
Il sale era importantissimo per i legionari per la conservare determinati alimenti, ma veniva anche usato per dare più sapore al cibo, o per dare più sapore al vino o per impedire che l'olio diventasse denso col freddo.
I soldati lo mangiavano anche da solo con il pane. Può meravigliare che i soldati amassero salare il vino perchè in genere i romani lo dolcificavano, ma il vino salato non solo era saporito ma impediva di perdere troppo sudore durante le marce evitando una eccessiva disidratazione, specie nei periodi caldi.
LE SALSE
Ai soldati venivano sovente concesse delle salse. Migliorare il sapore del cibo significava migliorare il morale dei soldati, e i romani lo sapevano bene. Ecco le salse più usate:
Il garum
Il garum una salsa di pesce ottenuta della macerazione del pesce e/o delle sue interiora. La salsa che si ottiene ha un odore pungente e un sapore molto forte in grado di coprire qualsiasi sapore.
Il Liquamen
Una versione di garum maggiormente liquida, ma altrettanto forte di sapore è il liquamen che in una delle sue versione è giunto fino a noi ed è ancora diffuso nelle province campane. E' la cosiddetta "colatura di alici" ancora rintracciabile ad Amalfi. Provato sugli spaghetti dà un ottimo piatto.
Sull'etichetta c'era scritto "Estratto della spremitura delle alici salate."
L'AGLIO
I soldati romani mangiavano molto aglio (ma secondo altre fonti anche cipolla) prima dei combattimenti credendolo capace di trasmettere vigore ma pure di evitare malattie. Sembra usassero anche il sedano crudo, prima delle battaglie, o durante la marce chilometriche per dare resistenza e vigore. Comunque sono stati citati contratti di arruolamento che garantivano ai soldati forti quantità di aglio da mescolare al cibo.
LE BEVANDE
Anticamente si concedeva al soldato solo acqua mescolata all'aceto, per il suo potere disinfettante e rinfrescante, questa veniva chiamata "posca", che in età imperiale prese il nome di "acetum": nello stesso periodo tuttavia fu permesso l'uso del vino. (Polibio, Storie VI). I romani raramente bevevano birra, se non in territorio straniero. Era considerata una bevanda povera, molto meno gradevole del vino.
Il vino era raramente limpido e veniva di solito filtrato con un passino (colum), si beveva quasi sempre allungato con acqua calda o fredda (in inverno a volte anche con neve) in modo da ridurne la gradazione alcolica che all'epoca era piuttosto alta, di solito da 15/16 a 5/6 gradi.
BIBLIO
- Antonietta Dosi - A tavola con i Romani Antichi” (coautore Francois Schnell) – Quasar - Roma - 1985 -
- S. Prete - Il codice di Columella di Stefano Guarnieri. Studio critico - Fano - Tipografia Sonciniana -1974 -
- Marco Gavio Apicio - De opsoniis et condimentis - Amstelodami - apud Janssonio-Waesbergios - 1709 -
- Nico Valerio - La tavola degli Antichi, Mondadori - Milano - 1989 -
- Antonietta Dosi, Giuseppina Pisani Sartorio - “Ars Culinaria” - Dal Piemonte alla Sicilia, i piatti degli antichi Romani sulle loro tavole (e sulle nostre) - Donzelli - Roma - 2012 -
BIBLIO
- Antonietta Dosi - A tavola con i Romani Antichi” (coautore Francois Schnell) – Quasar - Roma - 1985 -
- S. Prete - Il codice di Columella di Stefano Guarnieri. Studio critico - Fano - Tipografia Sonciniana -1974 -
- Marco Gavio Apicio - De opsoniis et condimentis - Amstelodami - apud Janssonio-Waesbergios - 1709 -
- Nico Valerio - La tavola degli Antichi, Mondadori - Milano - 1989 -
- Antonietta Dosi, Giuseppina Pisani Sartorio - “Ars Culinaria” - Dal Piemonte alla Sicilia, i piatti degli antichi Romani sulle loro tavole (e sulle nostre) - Donzelli - Roma - 2012 -
COMPLIMENTI!!
RispondiEliminaBellissima narrazione
RispondiEliminaEsposizione fantastica! Complimenti.
RispondiEliminaSuper! Gran bel lavoro!
RispondiEliminaComplimenti, molto dettagliato
RispondiEliminaBel lavoro, grazie!
RispondiEliminaPeccato non si possano estrapolare i brani per eventuali ricerche scolastiche. Sarebbero citate le fonti, ed in questo caso il blog. Ma è impossibile copiare.
Era un argomento che cercavo da tempo grazie dell'ottima narrazione
RispondiEliminaMeraviglioso, il mondo sarebbe un posto diverso senza romanoimpero. Grazie
RispondiEliminaNarrazione molto esaustiva e precisa. Complimenti!
RispondiEliminaNelle varie letture pensabo che si consumasse farinata d avena la mattina.
Che poi sarebbe divenuta il porridge anglosassone. Cmq altro che merendine. Grazie
Complimenti!
RispondiEliminaComplimenti narrazione esaustiva e chiara.
RispondiEliminaUna bella ricostruzione. Forse sarebbe ancora più interessante se si riuscisse a dare un’idea del contenuto calorico e proteico della dieta giornaliera
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