RICOSTRUZIONE DEL PALAZZO DI CALIGOLA |
DOMUS GAII
Plinio fu il primo ad usare il termine Domus Gai per la reggia di Caligola, o Domus Caligolae, che non era però un palazzo ma un complesso di edifici posti a sud del tempio dei Castori e della fonte di Giuturna. In base alle fonti letterarie e agli scavi si può avere una buona ricostruzione del palazzo imperiale di Caligola che, situato nell’angolo nord-ovest del Palatino tra Tempio dei Dioscuri, Vicus Tuscus, Horrea Agrippiana e Domus Tiberiana, si innalzava su più piani.
Il gusto sobrio di Augusto era ormai un ricordo e la reggia già raddoppiata da Tiberio fu successivamente ampliata da Caligola verso il Foro Romano, poi completato da Nerone ed infine restaurato da Domiziano. Era formato in gran parte dal palazzo che fece già costruire l’Imperatore Tiberio, con una facciata sul Foro ed una sul Velabro, a cui Caligola aggiunse alcune infrastrutture sul lato del Foro, che vennero chiamate ‘Palazzo di Caligola’.
Il palazzo dell'imperatore Tiberio era stato il primo ad essere costruito sul Palatino, probabilmente sua casa natale, unendo già alcune dimore di età tardo-repubblicana. Questo complesso doveva svilupparsi su livelli differenti tra il percorso della via Nova a nord, il clivo Palatino e la Domus Flavia a est, la Casa di Livia e il santuario della Magna Mater a sud e il Clivo della Vittoria a ovest, fino a comprendere le sottostanti fabbriche tra le quali è la chiesa di S. Maria Antiqua per la quale era stata demolita una considerevole area.
Purtroppo nulla infatti rimane dell’alzato dell’edificio, i cui piani erano forse collegati da gradini in legno oggi scomparsi. Forse il piano terra aveva funzione di servizio e magazzini, mentre al primo piano, nell’Hermaeum, stavano le stanze principali. Il palazzo comprendeva un atrium e una piscina, a cui era associata, si pensa, un triclinium posto a sud o ad est, in cui l’imperatore svolgeva tutte quelle attività legate alla sfera sociale. L’exhibitio e l’adoratio avevano luogo invece nel tempio trasformato in vestibulum.
PALAZZO DI CALIGOLA (sinistra), TEMPIO DELLA VITTORIA (destra) |
LE FONTI
Svetonio narra che Caligola estese parte del suo palazzo fino al Foro e trasformò il Tempio di Castore e Polluce nel suo vestibolo. Diodoro Cassio narra che Caligola tagliò il Tempio dei Castori tra le due statue e costruì l’entrata del suo palazzo. La costruzione di Caligola è ricordata, come detto, da Plinio come Domus Gai.
Per Svetonio, l’edificio si affacciava sul Foro giusto nell’angolo nord-ovest del Palatino, per permettergli di seguire comodamente gli eventi da un triclinio, il che conferma la sua posizione all’angolo settentrionale e occidentale del Palatino. Svetonio e Cassio Dione affermano che Caligola usò il tempio come vestibulum del palazzo, aprendo un passaggio tra i simulacri degli Dei e collocando se stesso come una divinità tra le statue dei Dioscuri.
Il fatto che l’asse del tempio incroci il punto centrale dell’atrium potrebbe rispecchiare un progetto che prevedeva l’allineamento di tempio-atrium-tablinum, tenendo conto del percorso seguito da Caligola per recarsi dal tempio alla sua dimora. Tra il piano della cella e quello dell’atrium c’è un dislivello di 6 m. che permetteva all’imperatore di apparire improvvisamente a chi stava nell’atrium. Nulla rimane di questo collegamento, che si suppose in legno.
Giuseppe Flavio poi, narrando della morte di Caligola, riferisce che era formato dall’unione di diversi edifici: la Domus Tiberiana, la Domus Gelotiana e l’Hermaeum, e in effetti nomina tre luoghi: un teatro provvisorio di legno, il palazzo stesso e l’area palatina. Il complesso era formato da una enorme sala, risalente a Domiziano, e da un immenso atrio che immetteva in un'altra grande sala.
IL PONTE
Al di sotto dell’atrio è stato scoperto un ambiente più antico, con vasca rettangolare tipo impluvio, i cui bolli laterizi si riferiscono a Caligola (37- 41 a.c.).
DOMUS TIBERIANA |
Il teatro, in cui dovevano svolgersi i giochi in onore di Augusto fondati da Livia, doveva essere vicino al palazzo per permettere a Caligola di ritirarsi durante le rappresentazioni usando una via che dopo l’aggressione si riempì di soldati in pochissimo tempo.
Infatti, come è vero, i soldati, saliti di corsa al piano superiore, trovarono Claudio nascosto in un luogo che Svetonio chiama Hermaeum.
Svetonio parla esplicitamente di un ponte costruito da Caligola per collegare il Palatino al Campidoglio, parallelo alla Basilica Giulia e il cui unico scopo era forse quello di avvicinare l’imperatore al Dio Giove.
Notizia confermata da Flavio Giuseppe il quale ricorda come Caligola una volta si fermò sul tetto della Basilica Giulia e gettò monete al popolo, quindi doveva esistere una struttura che consentisse di raggiungere il tetto, forse il ponte.
Mancando le prove degli scavi, si è ipotizzato che un ponte di legno unisse il palazzo di Caligola con il Tempio dei Castori, cavalcando una strada che divideva il palazzo di Caligola dal Tempio, ma lo scavo ha dimostrato che questo ponte non è mai esistito e che invece di due ambienti esisteva una sola struttura.
Gli scavi precedenti avevano evidenziato l’orientamento obliquo delle fondazioni del Palazzo, ma lo scavo attuale dimostra che tale andamento prosegue fino ad incontrare il Tempio ed a circondarlo sul lato orientale. I resti delle reti fognarie, dello stesso periodo del palazzo di Caligola, confermano che il palazzo proseguiva fino al Tempio e che la strada, in quel periodo, non esisteva più.
L'imperatore dunque aveva espropriato spazi pubblici e perfino strade, atteggiamento ben diverso da quello di Augusto che prestava grande attenzione agli allineamenti stradali a nord del suo foro e mai avrebbe espropriato spazio pubblico.
Inoltre il palazzo di Caligola a ridosso ed intorno al Tempio dei Castori sottintendeva una stretta relazione con gli Dei a cui si percepiva affine.
Dalla pianta Capitolina poi esso corrisponderebbe al tempio rotondo della Dea Vittoria, tempio già iniziato da Augusto che Caligola portò a termine, ma non solo, perchè, associato al palazzo, vi fece costruire un tempio dedicato a se stesso con la sua statua in oro che ogni giorno veniva addobbata con la stessa veste che indossava l'imperatore.
Ora secondo Diodoro Cassio, dopo la morte di Caligola, l’imperatore successivo, Claudio, restituì il tempio dei Castori agli Dei, evidentemente con lo smantellamento di quella parte del palazzo di Caligola che si accostava e circondava il Tempio.
Le tracce di questa risistemazione sono evidenti nella prima trincea dove sono stati trovati i resti della ristrutturazione di una strada presso la parte orientale del Tempio. Dunque probabilmente il tempio esisteva ma gli interventi di Claudio, che desiderava cancellare le tracce di un così inviso predecessore, fece riportare tutto allo stato "quo ante".
Secondo A.Carandini il palazzo si articolava in parti che traevano il nome dai membri della casa imperiale che li avevano edificati, tra cui la Domus Germanici che, situata sul Palatino sopra gli Horrea, sappiamo annessa alla casa di Tiberio-Caligola.
DESCRIZIONE
Un complesso di edifici, a sud del tempio dei Castori e della fonte di Giuturna, che raccordano il Foro Romano col Palatino, di epoca domizianea, comprendente la chiesa di S. Maria Antiqua, confina ad est con la Domus Tiberiana, a sud con gli Horrea Agrippiana, a ovest con il Vicus Tuscus e a nord con il tempio dei Castori.
E' costituito da una grande sala di fine epoca domiziana e da un atrio quadrato, dal quale si accede a una sala, e al di sotto del quale c'è l'ambiente più antico, con vasca rettangolare e i bolli laterizi dell’epoca di Caligola (37- 41 a.c.). Questo è orientato, come un altro ambiente situato sotto la sala, secondo un asse est-ovest come i retrostanti Horrea Agrippiana.
Questo edificio potrebbe essere l’ampliamento del palazzo imperiale fatto da Caligola e tramandatoci da Svetonio e Cassio Dione. Sappiamo da Giuseppe Flavio, che esso era formato dall’unione di diversi edifici. Ne facevano parte la Domus Gelotiana e l’Hermeo Palatino anche se il nucleo principale del palazzo era costituito dalla Domus Tiberiana.
L'uccisione dell'imperatore narrata da Flavio Giuseppe menziona tre luoghi: un teatro mobile di legno, il palazzo stesso e l’area palatina. Il teatro, in cui dovevano svolgersi i giochi in onore di Augusto fondati da Livia, doveva essere vicino al palazzo per permettere a Caligola di ritirarsi durante le rappresentazioni usando una via di collegamento a lui riservata.
Purtroppo è impossibile stabilire una completa mappa delle strutture in quanto nulla resta dell’alzato dell’edificio, i cui piani erano forse collegati da gradini in legno oggi scomparsi.
GLI SCAVI del 900
CALIGOLA |
Si pensò che la piscina fosse dell’età di Caligola, ma forse i materiali rinvenuti nella vasca erano derivavano da uno dei tanti saccheggi di età medioevale.
Tra il 1983 e il 1988 ulteriori scavi che hanno portato alla luce delle strutture tardo repubblicane, quindi anteriori a Caligola, situate nell’area successivamente occupata dall’aula domizianea.
In seguito alla loro distruzione, evento che interessò tutti gli edifici repubblicani situati nella zona, queste strutture furono coperte da un pavimento in opus spicatum forse di età augustea.
IL GRANDE ATRIO
Durante questi stessi scavi emerse un atrium tetrastilo rivolto verso il Vicus Tuscus e altri ambienti a sud e ad ovest. I muri delimitanti sui quattro lati ci hanno rivelato il più grande atrium romano a noi noto, di ben 26,5 m x 22,3, con muri in blocchi di travertino e fondazione in opus caementicium.
I muri sono di massicci blocchi di travertino con una fondazione in opus caementicium. Non vi sono tracce dell’impluvium ma doveva esserci dato alcune canalette che dalla zona delle colonne centrali si dirigevano verso una fogna secondaria.
Nessuna delle quattro colonne sostenenti l’atrium si è conservata tranne parti dei quattro plinti formati da quattro blocchi di travertino incassati in una fondazione in opus caementicium.
Se ne conserva solo un blocco del plinto dell’angolo sud-est e nell’angolo nord-est se ne è dedotta la presenza per un un ribassamento della superficie.
Non vi è traccia di una pavimentazione ma la sua originaria esistenza è confermata dal ritrovamento di strati di opus caementicium che hanno coperto superfici più antiche, quindi della preparazione per un pavimento di lastre marmoree.
A sud un tablinum, con un muro che lo traversa presso l'apertura verso l’atrium, potrebbe essere un pavimento sopraelevato raggiungibile a mezzo scale.
Ancora a sud dell’atrium è stato rinvenuto il muro settentrionale degli Horrea Agrippiana, e poichè la fondazione di questo muro è stata intaccata dalla parte dell’atrium per mettere in opera i blocchi del muro gaiano, si è potuta stabilire l’anteriorità degli Horrea rispetto all’atrium.
Fu poi successivamente ricostruito col rifacimento domizianeo.
Ad est del muro orientale dell’atrium si trova una fondazione in opus caementicium, forse del perystilium che cingeva la piscina orientata, come l’atrio, in direzione est-ovest. Misura 25x8 m., è profonda 1,5 m.
Sui lati lunghi si alternano nicchie semicircolari e rettangolari, mentre i lati brevi presentano dei gradini.
Su tre lati, alla stessa distanza dal bordo della piscina, si trovano fondazioni in travertino per colonne e tratti di mura pertinenti al perystilium.
L’area a nord dell’atrium, in gran parte distrutta dall’aula domizianea, è però parzialmente illustrata su un frammento della Forma Urbis, con una facciata porticata verso il tempio dei Castori e la fonte di Giuturna a nord, ma a sud i muri della facciata hanno il medesimo allineamento dell’atrium; pertanto l’area era triangolare. L’asse principale dell’atrium, est-ovest, suggerirebbe l’entrata al complesso dal Vicus Tuscus.
LA CISTERNA
Nell’angolo nord-ovest della collina le strutture domizianee hanno nascosto alcune sale appartenenti ad una grande cisterna a tre piani per rifornire la piscina.
A nord un muro in opus caementicium largo 2,5 m. e alto 15 m., per contenere la pressione dell’acqua, continua a est nella facciata verso il Foro.
Questo muro senza porte o finestre ha una fondazione inferiore alta 2,80 m. fatta con materiale scadente e malta friabile; una fondazione superiore alta 2,60 m. a blocchi irregolari di tufo; poi sopra ancora un muro in mattoni.
A sud, il tufo della collina forma il piano inferiore e i muri della Domus Tiberiana quello superiore.
I due piani inferiori avevano un corridoio con volta a botte su cui si aprivano, da ambo i lati, tre stanze a volta.
Il piano superiore invece doveva essere costituito da una enorme vasca a cielo aperto. Sulle volte, in pietra pomice, tufo e calcestruzzo, si conservavo i segni delle centine.
L’acqua doveva scendere attraverso aperture rettangolari nelle volte, passando da una stanza all’altra per piccole porte. Successivamente oltre alla piscina, furono aggiunti dei muri a sud dell’atrium e nella zona del tablinum.
L’unico reperto d'epoca è un gruppo di ceramiche rinvenuto in uno strato originario dell’atrium.
Anche se la maggior parte di questi reperti è di età augustea, vi è un frammento di lucerna con voluta disegnata sulla spalla, e un frammento di lucerna con semivoluta che consentirebbero di attribuire il deposito al periodo di Caligola.
Successivamente la Domus Gai subì delle modifiche: oltre alla piscina, la cui cronologia è ancora incerta, furono aggiunti dei muri a sud dell’atrium e nella zona del tablinum. Della parte decorativa rimane un tratto dell’elegante balcone romano ad archi ribassati, su mensole di travertino, a cui in seguito venne addossato un edificio da Traiano. Se ne deduce che il complesso domizianeo e l’aggiunta traianea testimoniano una continuità di funzione di questo complesso di edifici.
E’ probabile che Domiziano abbia adattato e in parte ricostruito il palazzo di Caligola secondo lo stile dell’epoca e secondo un diverso orientamento, per adeguare l’edificio al nuovo fronte del Palatino.
In seguito ad esso venne addossato il nuovo edificio di Traiano, testimoniando la continuità dell'uso del complesso di edifici.
SANTA MARIA ANTIQUA
Nel VI d.c. la zona situata a sud della piscina diventò purtroppo la chiesa di S.Maria Antiqua con relative demolizioni e saccheggi.
Comunque S. Maria Antiqua, in qualità di chiesa cristiana, venne abbastanza conservata nell’enorme aula monumentale scoperta (forse perchè se ne arrestò il completamento) con pareti decorate da nicchie rettangolari e semicircolari (presumibilmente un grandioso vestibolo o una sala di ricevimento che fungeva da entrata ai palazzi imperiali), cui si affiancano, sul lato est, due grandi ambienti quadrangolari contigui e comunicanti tra loro.
Infatti nel 552 i Bizantini, conquistata Roma, ripristinarono, oltre a mura e acquedotti, anche i vecchi palazzi imperiali e usarono un'aula rettangolare e l'antistante quadriportico per fondare una sorta di "cappella palatina" dedicata alla Madonna.
L'ambiente settentrionale con pareti articolate da nicchie era il probabile atrio, quello meridionale, accessibile anche dalla grande aula tramite un ambiente di disimpegno, costituito da un peristilio sul cui lato sud si aprono tre stanze accostate doveva costituire, sempre al tempo di Caligola, il luogo di udienza e forse di soggiorno tricliniare.
La costruzione di una chiesa nel Palatino "esorcizzava" il paganesimo: una leggenda infatti narrava che in quel luogo papa Silvestro I avesse ucciso un "dragone", allusione al culto di Vesta, effigiata con un "dragone", cioè col serpente, nell'attiguo tempio a lei dedicato.
SCAVI 2008
La Repubblica (Online Edition) 05.01.2008
Nel criptoportico del Palatino
IL PASSAGGIO AL PALATINO |
All’inizio del regno di Caligola, il Palatino aveva un aspetto ibrido. Da una parte le case della famiglia del Princeps,che non costituivano un corpo organico, essendo separate ancora da strade.
Dall’altra, quelle dei privati cittadini. Caligola realizza pienamente il progetto augusteo, con una serie di espropri e di riorganizzazione dello spazio architettonico, trasformando lo spazio in un complesso unitario, la Domus Gaii, centrato su un enorme peristilio e sostituendo ai vicus dei criptoportici e lo amplia ideologicamente.
Con un ponte in legno, che usava come pilone centrale il templum novum Divi Augusti, per sottolineare la sua continuità con l’antenato, collega la sua domus al tempio di Giove Capitolino: il princeps ha la sua legittimità grazie al rapporto diretto con il divino, rafforzato con la trasformazione del culto della Magna Mater sul Palatino da pubblico a privato e dinastico, con l’inclusione del suo tempio nella Domus Gaii
Inoltre, come racconta il buon Svetonio e conferma l’archeologia, prolungò una parte del palazzo fino al Foro e trasformò il tempio di Castore e Polluce bel suo vestibolo, sedendosi spesso tra i due fratelli divini, in modo da offrirsi all’adorazione dei passanti.
Oltre a equipaarare Diana a Iside, Caligola, con i ninfei e della ritualità arcaica, riprende un tema tipico della mitologia latina: la lotta tra l’eroe civilizzatore (Pico, Romolo, Caligola stesso) contro l’araldo del caos primigenio (Fauno, Remo, il rex nemorensis)
Il terzo intervento fu il cosiddetto Gai et Neronis, costruito da Caligola in una parte dei giardini della villa materna, gli horti Agrippinae, dove adesso sorge San Pietro, Circo che ha anche un valore simbolico, richiamando con le corse dei carri, il percorso del sole nel cielo e che Caligola, per riaffermare il suo ruolo cosmologico, dedicò a Cibele.
Il soprintendente Angelo Bottini scende per la prima volta a vedere lo scavo che, iniziato a settembre e diretto dall'archeologa Maria Antonietta Tomei, sta rapidamente liberando dalle tonnellate di terra il tunnel che corre parallelo al criptoportico di Nerone.
"Questo scavo dimostra che la casa di Augusto era molto più estesa di quanto immaginiamo. E mettere in sicurezza dai crolli immanenti la domus del suo successore Tiberio, significa salvare tutto il Palatino, che è un luogo ancora tutto da scoprire".
Il colle cede e i percorsi sotterranei rischiano di franare l'uno nell'altro. Per questo, con la consulenza dell'ingegner Giorgio Croci, si stanno facendo lavori di scavo e di consolidamento.
Si pensa che Nerone si ispirò per la Domus Transitoria alla Domus Gaii anche nella decorazione della sua Domus. Degli ambienti disposti attorno ad un grande peristilio oggi non resta più nulla, mentre rimangono 18 ambienti costituiti da stanze rettangolari coperte a volta e costruite interamente in laterizio: risalgono all'epoca di Nerone, probabilmente ricostruite dopo l'incendio del 64.
Il lato orientale della "Domus" è caratterizzato da un criptoportico, lungo circa 130 metri, anch'esso attribuito all'età neroniana: il corridoio, con finestrelle a bocca di lupo disposte su un lato della volta, conserva ancora resti degli intonaci parietali a motivi geometrici, stucchi della volta con amorini tra motivi vegetali e pavimenti a mosaico.
Probabilmente però la parte più caratteristica della "Domus", ed anche la più ampia dell'intero complesso ancora visibile, è costituita dal lato settentrionale, quella rivolta verso il Foro Romano.
DOMUS TIBERIANA VERSO IL FORO |
Dalla fine del secolo X seguì le sorti del resto della domus, con l'abbandono prima e le spoliazioni poi, avvenute principalmente verso la metà del Cinquecento, con il riuso dei materiali per la costruzione di chiese, palazzi o torri.
Nel XVI secolo quello che rimaneva del Palazzo imperiale venne fatto a pezzi e sepolto sotto gli Orti Farnesiani, per quella fanatica volontà di cancellare ogni traccia del passato pagano, pur ispirandosene quasi involontariamente.
Nel 1542 infatti il cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, acquistò le rovine della "domus", le riempì di terra ed incaricò il Vignola di disegnargli un giardino: nacquero così i famosi "Horti Palatini Farnesiorum". L'architetto allestì il giardino su tre terrazze, in pratica all'uso romano, con viali, fontane, rampe e scalinate, fino a giungere alle caratteristiche "Uccelliere gemelle" unite al centro dalla loggia.
Proprio a causa degli Orti Farnesiani furono obliate queste splendide dimore quasi completamente ricoperte dai giardini e quindi inaccessibili. i primi scavi sistematici furono effettuati nel Settecento dal Bianchini, mentre al periodo tra il 1861 e il 1870 risalgono le indagini del Rosa; tra il 1882 e il 1886 vennero scavati i versanti nord e ovest del colle. Per lungo tempo considerati dagli studiosi come edifici pertinenti all’imperatore Tiberio, i pur numerosi avanzi murari in esame vengono oggi interpretati come relativi a un insieme edilizio appartenente a varie epoche, con progetti sempre nuovi e genialmente integrativi del vecchio.
ANDREA CARANDINI
LA CASA DI CALIGOLA, PRESSO LA QUALE È STATO UCCISO
Caligola ha voluto costruire una propria casa al di sotto delle case palatine che si trovavano a settentrione della domus Tiberiana, più precisamente tra il vicus huiusce diei, la infima Nova via, il vicus Tuscus e gli horrea Agrippiana, obliterando in quello spazio due o tre precedenti case. Vi si entrava dall’alto del Palatino tramite due rampe, una maggiore e una minore, che conducevano al peristylium.
Vi si accedeva soprattutto dal basso, tramite l’aedes Castoris trasformata in vestibulum della casa, alla quale era collegata tramite un ponticello sopra l’infima Nova via. La casa aveva un piano interrato, riservato soprattutto a servizi e ad ambienti freschi per la stagione estiva, il quale formava il basamento variamente voltato della dimora. Sul fronte della casa, rivolto al vicus Tuscus, al Velabrum e al templum novum divi Augusti, era un maenianum, basato su un ambiente voltato sottostante, dietro il quale era una corte con al centro, su un podio, il templum numinis Gai, che conteneva la statua dorata del principe.
Sotto la corte era una cryptoporticus, dalla quale si entrava nel basamento del tempio. L’ambiente d’ingresso, un oecus preceduto da piccola anticamera, e un’altra sala si aprivano sulla corte. Scale conducevano al piano di sopra. Sul retro della casa, era il peristylium con sottostante cryptoporticus collegata a quella sotto la corte, dotato forse fin da ora di una piscina, con due ambienti, forse grandi cubicula, che si aprivano da un lato su di esso, mentre di fronte era un oecus Cyzicenus, con gli abituali due triclinia ai lati: il complesso di 78 sale principale, sorretto anch’esso da ambienti voltati sottostanti.
La casa era collegata non solo con l’aedes Castoris, ma anche con il tempio di Giove sul Campidoglio tramite un alto ponte, che partiva probabilmente dall’oecus affacciato sulla corte, che passava sopra il templum novum divi Augusti e che raggiungeva l’area davanti al tempio capitolino, nella quale era una seconda casa del principe, quasi ch’egli volesse coabitare con la divinità ottima e massima. Questo era l’assetto della casa intorno al 40 e 41 d.C..
Dopo l’uccisione di Caligola, nel 41, il peristylium viene ingrandito e dotato di una ampia piscina, riducendo così lo spazio per la rampa maggiore, che allora deve essere stata ristrutturata. Così si è creato anche lo spazio per dar luogo verso sud-ovest a tre nuove sale, quella centrale dotata di un padiglione che si protendeva avanti sia nel basamento che nel piano principale, interrompendo la porticus del peristylium, onde consentirle di affacciarsi scenograficamente sulla piscina.
Altre piccole modifiche hanno riguardato gli ambienti della corte. Dunque, la dimora è stata ingrandita, molto probabilmente da Claudio, che potrebbe averla usata come diversivo rispetto alla ormai troppo angusta casa pubblica di Augusto invasa dalla basilica e durante la ristrutturazione della domus Tiberiana attestata da una sua fistula bollata.
Si può immaginare che il templum numinis Gai sia stato trasformato allora nel Lararium del successore. È possibile individuare anche il luogo dove Caligola è stato ucciso. Il 24 gennaio del 41 d.C. Caligola ha approfittato di un intervallo dei ludi Palatini, che si svolgevano tra la casa di Augusto e il tempio della Magna Mater, per fare un bagno e rifocillarsi in casa sua. Dal vicus retrostante il tempio di Magna Mater, Caligola e Claudio avevano imboccato la “strada diretta (alla Sacra via)” di Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche, 19.117), cioè il clivo Palatino A, la quale costeggiava il “palazzo”, cioè la domus Tiberiana.
Subito dopo, Caligola aveva piegato a sinistra, per una scorciatoia solitaria e tecta, detta crypta, entro la quale giovani dall’Asia stavano provando canti e balli (Svetonio, Vita di Caligola, 58) per gli stessi ludi. Si trattava probabilmente del vicus tectus che passava sotto le ambulationes delle case 5 e 6a. Questa stradina coperta portava al vicus huiusce Diei, in un punto che si trovava a m 19 dall’ingresso alla rampa principale che scendeva alla domus Gai.
È in questa crypta che Caligola è stato bloccato e trucidato. Subito dopo sono state uccise sua moglie e sua figlia nella vicina loro dimora. Al contrario di Caligola, Claudio aveva proseguito lungo la “strada diretta”, fino a raggiungere la sua casa, la domus Claudi da identificare nella casa 2, che sulla “strada dritta”, cioè sul clivo Palatino A, aveva il suo ingresso.
In questa casa Claudio era andato, ma appena saputo della uccisione del principe si era rifugiato spaventato in una sala o diaeta ornata di erme, chiamata Hermaeum. La sala doveva essere ornata anche da nicchie – forse alternate alle erme – se in una di esse Claudio si era nascosto. Sappiamo anche che questo Hermaeum si apriva su un terrazzo o solarium, facilmente immaginabile sopra la fila di tabernae aperte sul vicus che passava sopra il nemus Vestae.
È possibile che la casa già di Caligola fosse usata, poi, da liberti ultrapotenti, quali Pallante, il segretario a rationibus di Claudio devoto ad Agrippina e mandato a morte nel 62 d.C., e quale Elio, che governava Roma mentre Nerone era in Grecia. La casa dovette pertanto decadere ulteriormente sotto Vespasiano, quando, tra il 69 d.C. e il 70 d.C., G. Licinio Muciano governava Roma impegnato nei lavori della domus Augustiana e dintorni.
La dimora è stata infine obliterata dalle costruzioni di Domiziano, a partire dalla grande aula di ricevimento, che potrebbe essere stata nominata Germaniciana, come poi gli horrea che vi si installeranno nel iv secolo d.C., in memoria dei tre principi nominati, oltre che Caesar Augustus, Germanicus e cioè a dire Gaio, Claudio e Nerone.
BIBLIO
- Anthony A. Barrett - Caligola - L'ambiguità di un tiranno - Oscar Storia - Milano - Mondadori - 1993 -
- Andrea Carandini - Le Case del Potere nell'Antica Roma - Editori Laterza - Roma-Bari - 2010 -
- R.Bianchi Bandinelli - L’arte romana nel centro del potere - Roma - 1997 -
- Giuliani C.F. - Note sull'architettura delle residenze imperiali dal I al III secolo d.c. - in Ausfstieg und Niedergang der Römischen Welt - 1 - Berlin - 1982 -
- D. Wardle - Suetonius' Life of Caligula - Bruxelles - Latomus - Revue d'Etudes Latines - 1994 -
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