CULTO DI GIUNONE CAPROTINA

UNI


UNI - GIUNONE ETRUSCA

Come si osserva in quest'antefissa di un tempio etrusco dedicato a Uni, la Giunone etrusca, la Dea ha orecchie e corna di capra.

Il tempio in questione si trovava ad Antenne, dove la Dea aveva un culto particolare.

Nel culto etrusco Uni formava la triade divina con Tinia (Giove) e Menrva (Minerva): ma fu pure antica Dea Laziale che formò, sempre con Giove e Minerva, la famosa Triade Capitolina.

Ella appare come divinità poliade (protettrice di città, polis).

Fu divinità aerea (o celeste, del cielo) e come tale fu Dea Luna, Dea dei cicli e pertanto del calendario, imprescindibile per l'agricoltura.
Lei dettava i tempi della semina e del raccolto.

Ma era pure la Dea delle donne, della fecondità e delle madri. Ella era la Dea Capra, l'animale del cui latte e formaggi si cibarono i popoli del neolitico.

Ma soprattutto lei fu la Dea del sesso e della riproduzione. Ella personificava la natura, la Dea Natura, Colei che si accoppia con tutti, la Grande Prostituta, come veniva chiamata Iside nei tempi più antichi, quando aveva le orecchie d'asina o di mucca.

Lei era la Natura prolifica, la Vergine senza marito, Colei che nessuno poteva comandare, ma poi venne assimilata alla greca Era, venne istituito il matrimonio e anche Giunone dovette sposarsi, naturalmente col re degli Dei, visto che di per sè ella era Juno Regina.

A SINISTRA TESTA DELLA DEA ROMA, A DESTRA GIUNONE CAPROTINA
SU UN COCCHIO TRINATO DA DUE CAPRONI


GIUNONE - IUNO ROMANA

La Dea appare, come nella statua di Lanuvio, con indosso una pelle di capra a mo' di corazza detta "Amiculum Iunonis", con la testa dello stesso animale che le sovrasta il capo a mo' di elmo, indossa i "calcei repandi" (scarpe con la punta rialzata all'orientale), imbraccia uno scudo ad otto simile a quello portato dai salii e impugna la lancia, mentre un serpente dalle fauci spalancate le fuoriesce da sotto la veste.

Si dice che l'aspetto della capra celasse un lato ctonio della Dea, che peraltro era invocata dal rex e dal pontifex al principio di ogni mese con il nome di Iuno Covella, e dalle donne partorienti con quello di Iuno Lucina, che porta alla luce il nascituro. Ma Lucina era senz'altro il lato diurno della Dea.

Ogni manifestazione della vita sessuale della donna era sotto la tutela di Giunone e le feste in onore della dea: le None Caprotine e le Matronalia erano riservate alle donne. Nelle Caprotine (7 luglio) si festeggiava Giunone come Dea del sesso e della fecondità. I Matronalia (1° marzo), che si collegavano alla castità muliebre, terminavano con gli Iunonalia.

Giunone o Iuno o Juno, era collegata a diversi termini. come Ianua, la Porta, e Iunior, la giovane, in contrapposizione alla Senior, la vecchia. Nella Ianua c'era l'antica Dea del principio e della fine, nascita e morte, tanto è vero che nell'astrologia il segno del Cancro era considerato presso gli antichi "La Porta degli Uomini", mentre il segno del Capricorno era considerato "La Porta degli Dei"
Ora mentre il cancro è collegato alla luna il capricorno è collegato alla capra, l'animale collegato all'aspetto ctonio della Dea. 



NONAE CAPRUTINAE 

- I Caprotinia, festa tutta femminile, erano festeggiati il 7 luglio  Roma e in tutto il Lazio, in onore delle schiave; durante le celebrazioni esse correvano colpendosi con pugni e verghe, e solo alle donne era concesso prendere parte ai sacrifici. La festa era anche detta: ancillarum feriae, e le schiave si colpivano a vicenda con un ramo di caprifico, si lanciavano sassi e beffavano i passanti.

GIUNONE CAPROTINA
Sembra che la fertilità delle donne dovesse comportare una certa violenza. Nel Lupercale gli uomini, abbigliati con pelli di capra, percuotevano le donne per farle diventare fertili, nei Caprotinia le schiave si auto percuotevano con pugni e verghe. 

- Per i Lupercali narra infatti Ovidio che al tempo di Romolo vi sarebbe stato un problema di sterilità nelle donne. Uomini e donne si recarono perciò in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell'Esquilino, per invocare la Dea. 

Attraverso lo stormire delle fronde, la Dea rispose che le donne dovevano essere penetrate da un sacro caprone, ma un augure etrusco interpretò l'oracolo sacrificando un capro e tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpì la schiena delle donne e dopo dieci mesi lunari le donne partorirono.

- Secondo Plutarco le origini delle feste Caprotinia e delle Poplifugia sarebbero legate alla scomparsa di Romolo. Quando il I re di Roma scomparve, mentre c'era un'assemblea alle Palus Caprae ("palude della capra"), giunse un'improvvisa tempesta accompagnata da terribili tuoni ed altri fenomeni aerei. La gente fuggì, ma alla fine del temporale il re Romolo non fu più trovato e si sparse la voce che fosse stato assunto in cielo.

La Palus Caprae era una depressione che stava sulla parte meridionale del Campo Marzio, dove evidentemente pascolavano un tempo le capre. Non c'entra nulla con la scomparsa di Romolo e non giustifica il nome della festa.

- Il Poplifugium si dice commemorasse la fuga dei Romani quando Fidenati e Ficulei li assalirono poco dopo la conquista di Roma da parte dei Galli, nel 390 a.c.  Questa festa è stata sempre commentata con molta indecisione, ma davvero i romani festeggiavano una loro fuga? I romani festeggiavano le vittorie non le fughe, e Giunone Caprotina non c'entra affatto.

Due giorni dopo si tenevano invece le None caprotinae, che commemoravano la vittoria dei Romani sui Senoni di Brenno, una festa dedicata a Giunone Caprotina. Ma non si spiega perchè fosse dedicata proprio a lei.

Un'altra tradizione narra si dell'assedio gallico di Roma del 390 a.c., ma una giovane prigioniera romana di nome Tutela (o Filoti) che accese, come convenuto, una torcia sopra un fico selvatico (caprificus) dando il segnale ai Romani di precipitarsi sull'accampamento nemico. L'attacco ebbe successo e consentì ad una grande vittoria. Per questo, durante le feste, delle capre venivano sacrificate sotto dei fichi.

Tutela, spiega la storiella romana, avendo i popoli confinanti imposto con le armi ai Romani la consegna di matrone e fanciulle, suggerì di consegnare lei stessa e altre schiave vestite da libere e poi, nel campo nemico, salita nel cuore della notte su un caprifico, diede ai Romani il segnale convenuto perchè piombassero sui nemici dormienti dopo l'orgia. Ma quale orgia? Evidentemente quelle delle donne romane che giacquero con i nemici di Roma che bevvero, copularono e crollarono addormentati.

Uno dei riti della festa di Giunone a Falerii era la caccia alla capra, compiuta da ragazzi; a Roma le donne sacrificavano e banchettavano nel Campo Marzio sotto un caprifico, il cui latte era usato per il sacrificio. Questo costume delle beffe ai passanti la ricollegano a riti magici per aumentare la fecondità delle donne. Il fatto che venga ucciso un animale in quanto sacro un animale sacro invece di essere adorato ha creato molti dubbi, tanto più tutta questa preoccupazione di essere o meno fertili le romane non le avevano.

Il mito è si legato alla fertilità ma soprattutto alla sessualità e alla lussuria, e la capra Amaltea era un'antichissima divinità Madre Natura dal cui corno scaturì la vita dell'universo. Giunone Caprotina ha una lancia e uno scudo che la rivelano Dea della guerra, ma pure una pelle di capra che la denota Dea della lussuria, cioè del sesso e della procreazione di Madre Natura. E' Dea della vita e della Morte, sotto questo ultimo aspetto è Dea infera che governa il mondo dei morti. Morte e vita erano nei Sacri Misteri considerati le due facce di una stessa medaglia.


UN 'ALTRA TRADIZIONE

Quando lo Stato romano fu indebolito dalla devastazione del Galli, il popolo vicino, sotto Postumio Livio, si avanzò da Fidene fino alle porte di Roma, chiedendo donne romane in matrimonio (in realtà come amanti) e minacciando distruggere Roma se non si accontentava la richiesta. Mentre il senato romano stava deliberando sul da farsi, una schiava di nome Tutela (o Filote per altri) si offrì, pronta a recarsi con le sue compagne, travestite da donne libere, nel campo del nemico. 

Lo stratagemma riuscì, e quando inebriati di vino, i Latini si furono addormentati nel loro campo, le schiave ne diedero segno con un caprifico ai Romani, i quali usciti fuori delle mura, sconfissero il nemico. Il senato ricompensò la magnanimità delie schiave restituendo loro la libertà e assegnando a ciascuna una dote sul pubbhco tesoro. 

Il 7 luglio, giorno in cui Roma fu in tal modo liberata, ebbe nome di Nonae Caprotìna, e una annua festa in onore di Giunone Caprotina fu celebrata con molto tripudio in tutto il Lazio dalle donne così libere come schiave. La solennità aveva luogo sotto l'antico caprifico, e il sugo lattiginoso sgorgante da quest'albero veniva offerto in sacrifizio alla Dea.

la festa delle Nonae Caprotinae deriverebbero allora dal Caprificus, un fico selvatico, su cui salì una schiva romana, prigioniera nel campo nemico, che si alzò in un albero di fico selvatico, tendendo una torcia accesa verso la città, il segnale atteso dai romani per attaccare i Galli.
 
 

BIBLIO

- Guido Di Nardo - Alle fonti della religione Romana - Origini del Culto Paleolatino di Juno Caprotina - Ediz. Ruiz - Roma - 1951-
- Ovidio - Fasti  - V -
- D. Sabbatucci - La religione di Roma antica - Il Saggiatore - Milano - 1989 -
- Plutarco - Vita di Numa - 2 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -
- Buret De Longchamps - Fasti Universali - Tomo II - Venezia - Ed. Giuseppe Antonelli - 1835 -
- M. Vincentio Cartari - Imagini Dei Dei degli antichi - Venezia - appresso Giordano Ziletti - 1617 -

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