BATTAGLIA DI VADIMONE (309 a.c. Rep.)

BATTAGLIA DEL LAGO VADIMONE (309 A.C.) ROMANI CONTRO ETRUSCHI
La guerra romano-etrusca che si svolse negli anni 311-309 a.c. avvenne presso il lago Vadimone (Lacus Vadimo), vicino Horta (Orte), nel territorio della città stato di Volsinii, accanto al lago che oggi è parzialmente prosciugato. Fu la più grande battaglia che i romani combatterono contro gli etruschi affermando la loro completa egemonia sull'Etruria.

L'errore delle città etrusche fu di non formare mai un unico esercito che muovesse in soccorso di qualunque città etrusca venisse attaccata. Se così fosse stato forse non avremmo avuto l'egemonia di Roma nel mondo antico.

311 a.c. - Essendo scaduti i 40 anni di tregua tra romani ed etruschi, furono questi ultimi a riprendere la guerra con Roma, per riconquistare finalmente il territorio veiente e la città di Sutrium (Sutri). Tutte le città stato settentrionali partecipano alla liberazione di Sutrium, comprese Volsinii, Perugia, e Cortona tranne Arezzo (controllata dalla potente famiglia dei Cilnii di cui fece parte poi Mecenate), mentre le città stato dell'Etruria meridionale Tarquinii, Vulci e Caere si astengono.

Livio narra che gli Etruschi (Tarquinia e Vulci) erano comandanti dal generale Elbio Vulturreno, ma non dice chi fosse il comandante dell'esercito romano.

Egli riporta che il dittatore si reca immediatamente a Longula per prendere il comando degli uomini agli ordini del console (ormai decaduto) Gaio Marcio Rutilo Censorino, ma con i Sanniti non si arriva subito allo scontro, per cui si suppone che sia stato il dittatore Lucio Papirio Cursore a guidare l'esercito alla vittoria nella battaglia del lago Vadimone.

LA POSIZIONE
Infatti la distanza tra il lago Vadimone e Longula, l'importanza di queste due campagne militari e il fatto che Quinto Fabio Massimo Rulliano, nello stesso anno della dittatura, sconfigga il resto dell'esercito etrusco nei pressi di Perugia, potrebbe significare che il dittatore abbia lasciato il comando delle operazioni in Etruria a Fabio, e che questi abbia guidato i romani nella battaglia del lago Vadimone.

Livio pone la battaglia con i Sanniti sicuramente dopo quella contro gli Etruschi.
 « Poco tempo dopo (della battaglia con gli Etruschi) i Romani corsero un pericolo analogo (con i Sanniti) »
(Tito Livio, Ab Urbe condita, IX,40)

A Roma fu eletto console Quinto Emilio Barbula  nel 317 e di nuovo, avendo dato prova di essere un valido generale, per la seconda volta, nel 311 a.c., insieme al collega Gaio Giunio Bubulco Bruto.

Il pericolo era grave, Roma si trovava attaccata su due fronti, così mentre a Giunio toccò in sorte la spedizione contro i Sanniti, ad Emilio toccò quella contro gli Etruschi.

Spesso Roma si trovò in grave pericolo con i popoli vicini che miravano o alla conquista o alla ribellione se già conquistati.

Nel 311 a.c. erano scaduti i 40 anni di tregua per cui la nazione etrusca riprende la guerra con Roma. L'obiettivo è sempre quello di riconquistare il territorio veiente il cui principale caposaldo è la città di Sutrium. La Lega etrusca non è più guidata dai tarquinii, ma da Volsinii, Perugia e Cortona alleate.

Tutte le città stato settentrionali partecipano alla guerra per liberare Sutrium, considerata la chiave d'accesso dell'Etruria, tranne le filoromana Arezzo, controllata dalla potente famiglia dei Cilnii, da cui discese lo stesso Mecenate.

Invece l'Etruria meridionale non partecipò, Tarquinii, Vulci e Caere erano legate a Roma da un patto di non belligeranza. Lo scontro vicino alla città fortificata di Sutrium e a capo dell'esercito romano c'era Quinto Emilio Barbula.



QUINTO EMILIO BARBULA

Eletto console per la seconda volta, nel 311 a.c., insieme al collega Gaio Giunio Bubulco Bruto, deve difendere Roma attaccata su due fronti; così a Giunio tocca la spedizione contro i Sanniti, e ad Emilio contro gli Etruschi. Era importante che Roma fosse considerata invincibile perchè in caso di sconfitta c'era il rischio di diverse sollevazioni dei popoli già assoggettati.

Emilio si trovò a fronteggiare una rivolta di tutti i popoli Etruschi.
« ormai tutti i popoli dell'Etruria, fatta eccezione per gli abitanti di Arezzo, erano corsi alle armi, scatenando, con l'assedio di Sutri, città alleata dei Romani e sorta di ingresso dell'Etruria, una guerra di grosse proporzioni »
(Tito Livio, Ab Urbe condita, IX, 32.)

Lo scontro si svolse davanti alle mura di Sutri, e la battaglia fu lunga e violenta, ma come riporta Livio (ab Urbe condita), alla fine la vittoria toccò ai romani.

I ROMANI

QUINTO FABIO MASSIMO RULLIANO

310 a.c. - L'anno successivo fu la volta del console romano Quinto Fabio Massimo Rulliano, figlio di un altro eroe nazionale e dittatore Marco Fabio Ambusto, della generosa e sfortunata gens patrizia dei Fabii di Roma antica, che nel 477 nella battaglia del Cremera sarebbe stata distrutta totalmente, ad eccezione di un fanciullo, Q. Fabio Vibulano.

Fabio massimo fu cinque volte console e un eroe delle guerre sannitiche, insomma un eroe nazionale. I romani adoravano e onoravano il coraggio di questa gens e i superstiti cercavano di essere all'altezza di tale considerazione.

A lui la storia addebitò un fatto gravissimo, quando era magister equitum del dictator Lucio Papirio Cursore , nel 324 a.c., disobbedendo agli ordini che l'obbligavano a non muoversi, ottenne una brillante vittoria contro i Sanniti a Imbrinium. Tuttavia aveva agito contro l'autorità del dittatore, che, partendo per Roma, gli aveva ordinato di non attaccare il nemico in sua assenza.

GUERRIERO ETRUSCO
Il dittatore tornò e l'accusò, Fabio chiese la protezione dell'esercito ma non l'ottenne. La disobbedienza agli ordini era punibile con la morte, Fabio fuggì a Roma, chiedendo la protezione dal Senato.

Sempre più adirato Papirio lo seguì e chiese di punire Fabio per disobbedienza agli ordini, sia al senato che davanti all'assemblea popolare, invocata dal padre di Fabio con la procedura della provocatio.

Suo padre, il valoroso Marco Fabio Ambusto (che era stato tre volte console e dittatore) perorò la causa del figlio con grande passione, ma il reato era gravissimo, e in passato già un paio di padri avevano fatto uccidere i propri figli per lo stesso motivo di disobbedienza.

Fabio fu costretto a gettarsi ai piedi del dittatore e chiedere il suo perdono, appoggiato dai tribuni, dal Senato e dal popolo.

Papirio, avendo tutti dalla parte di Quinto, dovette accordare la grazia suo malgrado.

Il popolo è sempre con Fabio, e così il senato, infatti diviene console nel 322 a.c., viene poi nominato dittatore nel 315 a.c. e sconfigge i Sanniti e ancora viene eletto console nel 310 a.c., con Gaio Marcio Rutilo Censorino.

A Fabio tocca in sorte la campagna militare contro gli Etruschi, mentre a Gaio Marcio quella contro i Sanniti. Ora l'Etruria ha veramente paura dei romani per cui ritrova l'unità politica, unisce i suoi eserciti e li muove contro Roma. 
                       
Intanto, la sconfitta in una battaglia campale contro i Sanniti, in cui era rimasto ferito il suo collega, spinge il Senato a volere la nomina a dittatore di Lucio Papirio Cursore, nemico giurato di Quinto Fabio, ma vogliono ottenere il consenso di Fabio.

GLI ETRUSCHI
« Quando gli ambasciatori arrivati al cospetto di Fabio gli ebbero comunicato la decisione del senato, descrivendola con parole all'altezza dell'incarico ricevuto, il console abbassò gli occhi a terra e si allontanò silenzioso dai delegati, che non avevano idea di che decisione avrebbe potuto prendere. 

Poi, nel silenzio della notte (come tradizione vuole), nominò dittatore Lucio Papirio. Quando gli inviati lo ringraziarono per aver piegato al meglio la propria disposizione d'animo, Fabio rimase ostinatamente in silenzio, e senza fornire risposta o commenti al suo gesto, licenziò gli inviati, perché fosse chiaro che grande dolore il suo animo stesse soffocando. »

(Tito Livio, Ab urbe condita libri, IX, 38.)

QUINTO FABIO MASSIMO RULLIANO
Questo è Quinto Massimo, che ha nel cuore tanta rabbia per le umiliazioni sofferte da Papirio che lo ha sempre odiato proprio per quanto il popolo lo amava.

Ma soprattutto nel cuore aveva il benessere di Roma, che fu grande finchè ebbe uomini del genere, ma ora Fabio ha gli occhi solo per la sua battaglia, dietro di lui ha 300 antenati che chiedono di essere ricordati tramite il suo valore, e Fabio non li delude.

Col suo esercito valica la Selva Cimina, invade il territorio al di là dei monti Cimini e attacca gli etruschi sconfiggendoli in campo aperto.

Le forze romane ed etrusche si scontrano ancora una volta sotto la città di Sutri, sulle pendici dei monti Cimini, Fabio si imbatte nell'esercito etrusco e lo distrugge.

Sutri è assediata dagli Etruschi, dove i romani di Rolliano ottengono un'altra vittoria, stavolta schiacciante.

La sconfitta fa si che il partito filoromano al potere ad Arezzo, Perugia e Cortona chiedano a Roma un occhio di riguardo, insomma una pace separata che Roma concede, i restanti combattenti etruschi si ritirano.




LEX SACRATA

Le altre forze della Lega si ritirano, ma si preparano a una nuova battaglia: gli Etruschi sono troppo fieri per sottostare a Roma. La battaglia si svolge nel 309 a.c., durante la dittatura di Lucio Papirio Cursore. Gli Etruschi (con Tarquinii e Volsinii) radunano un esercito in forza della lex sacrata.
E' un'antica legge, ovvero un antico giuramento in cui si invocano gli Dei infernali.

Chi viola questa lex si espone alla vendetta degli Dei, diventa sacer (maledetto) ed è passibile della pena di morte. La ebbero molti popoli antichi, tra cui: romani, sanniti, apuli ed etruschi. Con questo sistema di arruolamento il comandante designava i soldati più valorosi, obbligandoli con giuramento all'adempimento del dovere fino al sacrificio della vita.

Ognuno dei militi si sceglieva poi un compagno di pari valore, quello con cui avrebbero corso i peggiori pericoli, quello in cui confidavano, questi ne avrebbe a sua volta scelto un altro e così via fino a raggiungere il numero occorrente.

Con questo sistema si otteneva un corpo scelto di combattenti molto determinati, molto coraggiosi e disposti a tutto. Lo scontro con i Romani viene ricordato come la più grande battaglia della storia avvenuta tra Etruschi e Romani.

Così avrà luogo la più grande battaglia della storia mai avvenuta tra Etruschi e Romani. Qui si determina la storia dell'Etruria e di Roma, uno dei due dovrà essere distrutto. Tutti combattono per vincere o morire.

« Anche gli Etruschi, arruolato con una legge sacrata un esercito, nel quale ogni uomo si sceglieva un altro uomo, si scontrarono presso il lago di Vadimone, con uno spiegamento di forze e un accanimento mai visti in passato. »

(Tito Livio, Ab Urbe condita, IX, 39.)

IL LAGO VADIMONE OGGI, NOTEVOLMENTE PIU' PICCOLO

IL LAGO VADIMONE

Il lago è sacro per gli etruschi che vi immergono ritualmente le loro armi, sacro a Giano e forse anche Marte, che ebbe qui un suo tempio, poiché una località prossima al lago è ancora oggi chiamata Mavorrano (da Mavor, nome antico di Marte). Ancora Livio narra che gli Etruschi celebravano qui, riti, feste e sacrifici in periodi particolari dell’anno.

Il lago di oggi non ha più le dimensioni dell'epoca essendosi ristretto enormemente.

Ma nel ‘500, il poeta Orfeo Marchese:
…Sopra di quelle chiare, e limpid’onde
giurar solean gli antichi soldati
lì fuord’intorno vicino alle sponde,
vi stavan quattro Tempij edificati,
ornati di colonne alte e profonde
di molti vasi nobili adornati
ove solean drendo i vasi lisci
sacrificare i populi fallisci.
Era dei quattro tempij un di Nettunno 
l’altro di Giove, il terzo di Marte, 
il quarto delle Ninfe che lì funno 
e già vergate di ciò son più carte…

Alla fine del ‘700 il Bussi, nella "Storia di Viterbo", scrive: 


«…Vedendosi circa questo lago le vestigia di molti antichi edifici, fra gli altri di alcuni Templi, ritrovandosi altresì quivi molte antichitate...».

Come al solito saranno state depredate e distrutte.

ETRUSCHI (sinistra) CONTRO ROMANI (destra)

LA BATTAGLIA

La battaglia si svolge nel 309 a.c., presso il lago di Vadimone, un laghetto di acqua sulfurea nella campagna di Bassano in Teverina, nella valle del Tevere vicino a Horta (Orte), nel territorio della città stato di Volsinii, durante la dittatura di Lucio Papirio Cursore.

Si combatte con un tale furore che nessuno dei due contendenti arrivò a scagliare le armi da lancio.

Lo scontro iniziato con le spade divenne via via sempre più duro e incerto, tanto che i Romani non avevano l'impressione di combattere contro gli Etruschi già sconfitti tante altre volte, ma contro un popolo nuovo.

Gli Etruschi erano abili e coraggiosi combattenti, grandi commercianti e quindi avventurieri, abili artigiani, colti ed eleganti, molto più raffinati dei romani che ebbero parecchio da imparare da loro.

Tuttavia i romani avevano in più una disciplina che li facevano combattere come un sol uomo.

Nessuna delle due parti accennava alla fuga: gli uomini della prima linea crollarono e, per evitare che i reparti restassero privi di copertura, la seconda fila rimpiazzò la prima.

Poi vennero chiamati allo scontro anche gli ultimi riservisti.

E la situazione arrivò a essere talmente critica, che i cavalieri romani, scendendo da cavallo, raggiunsero le prime file di fanti avanzando tra le armi e i corpi dei caduti.

Entrati in campo, come un esercito fresco, in mezzo a uomini stanchi, gettarono lo scompiglio tra le linee etrusche.

Seguendo poi il loro slancio, il resto delle truppe, pur allo stremo delle forze, riuscì finalmente a prevalere sullo schieramento nemico.

Allora la tenacia degli Etruschi cominciò a cedere e alcuni manipoli presero a indietreggiare, dandosi poi alla fuga.

"La battaglia fu così cruenta che le acque del Tevere si tinsero di rosso, per il tanto sangue versato".

La battaglia è dunque incerta per moltissimo tempo, entrambi valorosi e determinati cadono da entrambe le parti, poi i Romani prendono il sopravvento, anche grazie all'intervento diretto nello scontro dei loro cavalieri, e infliggono ai nemici una disfatta.

« Quel giorno venne spezzata per la prima volta la potenza etrusca, in auge dai tempi antichi. Il fiore delle loro truppe venne massacrato sul campo, e con quello stesso attacco i Romani ne catturarono l'accampamento saccheggiandolo. »

(Tito Livio, Ab Urbe condita)

Fabio Quinto Massimo fu nominato princeps senatus, ma anche i suoi tre trionfi, i suoi cinque consolati, il passaggio della Selva Ciminia, le vittorie di Perugia e di Sentino, mostrano che fu uno dei più eminenti uomini di guerra dell'età in cui Roma unificò l'Italia peninsulare e uno di quelli che si resero più benemeriti di tale unificazione.

Fabio ebbe una stretta amicizia col plebeo Decio Mure, anche lui di una famiglia che era pronta a sacrificare la sua vita per la patria. Di certo si sentirono simili.

Ora l'Etruria è militarmente vinta ma le sue città sono ancora tutte libere. Di fatto salvo consistenti concessioni territoriali a Roma l'Etruria ha intatte le sue libertà politiche, amministrative, commerciali e religiose.

Ma con la battaglia del lacus Vadimone, dopo un secolo di lotte contro Roma, l'Etruria capisce che da sola non ce la può fare, per cui cominciano a contattare i nemici di Roma, i più forti e accaniti: i Galli ed i Sanniti, con cui allearsi contro Roma, ma la città eterna resistette e vinse. La battaglia del lago Vadimone  fu la più grande battaglia che questi due popoli combatterono l'uno contro l'altro. I Romani vinsero, e fu la definitiva consacrazione della loro egemonia sull'Etruria.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe condita - IX -
- Sesto Aurelio Vittore - De viris illustribus Romae -
- Andrea Frediani - I grandi generali di Roma antica - Newton Compton - Roma - 2003 -
- Paolo Sommella - Antichi campi di battaglia in Italia, contributi all'identificazione topografica di alcune battaglie d'età repubblicana - Roma - De Luca - 1967 -
A. Frediani - Le grandi battaglie di Roma antica - Roma - 2009 -

- Raymond Bloch - Les Étrusques - Parigi - 1954 - in italiano Gli Etruschi - 1954 -
- Stephen Dando-Collins - Legions of Rome -


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