BONONIA - BOLOGNA (Emilia Romagna)

RICOSTRUZIONE DELLA BONONIA ROMANA - IL FORO

LA FONDAZIONE

Esistono leggende diverse sulla fondazione di Bologna:
- alcuni l'attribuiscono all'umbro Ocno, messo in fuga dall'Umbria dall'etrusco Auleste (Uno dei re etruschi che combatterono contro Mezenzio appoggiando Enea), che fondò un villaggio dove ora sorge Bologna, e successivamente ancora scacciato dagli etruschi.

- Un'altra storia parla di Felsino, discendente di un altro Ocno (ma etrusco, detto anche Bianore, lo stesso fondatore di Pianoro, Parma e Mantova, di cui parla anche Virgilio), che diede il nome alla città successivamente cambiato dal figlio Bono in Bononia.

Un'altra leggenda narra che il re etrusco Fero, proveniente da Ravenna e approdato nella pianura tra i torrenti Aposa e Ravone, assieme ai suoi uomini cominciò a costruire un villaggio di capanne si ampliò attorno a un torrente (l'Aposa, che oggi scorre ancora nei sotterranei di Bologna), costruendo un ponte per collegare le due sponde all'altezza dell'attuale via Farini nei pressi di piazza Minghetti: il Ponte di Fero (probabilmente nell'odierna via Farini all'altezza di piazza Calderini).

BONONIA ROMANA - RICOSTRUZIONE DI RICCARDO MERLO
(immagine ingrandibile)
La leggenda vuole che il nome Aposa venisse attribuito al torrente dall'etrusco Fero a ricordare l'amante Aposa, principessa dei Galli Boi ( popolazione celtica dell'Età del ferro originaria dell'Antica Gallia, che con gli Etruschi abitò la città in età preromana), annegata nelle acque del torrente per raggiungere l'amato.

Un giorno però Aposa, amante di Fero, venne travolta da una piena del fiume mentre stava raggiungendo l'abitazione di Fero che addolorato dette al torrente il nome di Aposa. Il villaggio crebbe e Fero decise di proteggerlo con una cinta muraria e, benché anziano, lavorò lui stesso alla costruzione.
Durante il lavoro, in una caldissima giornata estiva la figlia di Fero porse al padre un recipiente d'acqua a patto che Fero desse il suo nome alla città.
Fero acconsentì e mantenne la promessa; da quel momento la città prese il nome della figlia, Felsina. Plinio il Vecchio: « Dentro [c'è] la colonia di Bologna, chiamata Felsina quando era la principale dell'Etruria... »

TORRENTE APOSA

LA STORIA

La colonia romana di Bononia fu stabilita dai romani dopo aver sconfitto i Boi, per volere del senato della Repubblica romana che la votò nel 189 a.c. Si presuppone che il nome Bononia provenisse dal nome Boi (nome della popolazione) oppure dalla parola celta bona, dato a un "luogo fortificato", o forse proveniva da Bona, divinità celtica della prosperità.

PLANIMETRIA DELLE MURA DI BOLOGNA
(INGRANDIBILE)
Tra le nuove colonie emiliano-romagnole i romani edificarono una fitta rete stradale, tra cui la via Emilia, nata nel 187 a.c. e voluta dal console Marco Emilio Lepido. Bononia divenne uno dei fulcri della rete viaria romana, collegata anche ad Arezzo attraverso la via Flaminia militare e ad Aquileia attraverso la via Emilia Altinate.

Nell'88 a.c., alla fine delle guerre sociali, Bononia divenne municipio e i suoi cittadini acquisirono la cittadinanza romana, per cui la città si ingrandì e si arricchì di commerci. In un'isoletta del fiume Reno di Bonomia sorse nel 43 a.c. il secondo triumvirato di Antonio, Lepido e Ottaviano che promise grosse ricompense ai veterani. Bononia ne dovette accogliere un buon numero ed a costoro vennero assegnati terreni abbandonati in seguito alle guerre sociali.

Per riconoscenza sotto Augusto Bononia pavimentò oltre 10 Km di strade, si costruirono le fognature ma soprattutto si edificò l'acquedotto che convogliava le acque dal torrente Setta nei pressi di Sasso Marconi e la portava, come avviene tuttora, con un dislivello di circa venti metri, alle porte della città passando per Casalecchio di Reno con una galleria di 18 Km. 

MURA DI SELENITE NELL'ARCHEOGINNASIO

I romani ritenevano che l’acqua di questa sorgente fosse di qualità migliore rispetto a quella del Reno, e passando tramite gallerie sotterranee fino al fiume Aposa, incontrava una vasca di decantazione (castellum) che schiariva l’acqua prima di distribuirla alla città ed alle terme mediante tubi di piombo o terracotta (fistulae aquariae)

A tutt’oggi di edilizia privata o pubblica, civile e religiosa, e di strade si può parlare solo nel caso della Bononia romana: i popoli e le civiltà più antiche non ci hanno lasciato altro che sepolcreti, molti dei quali ricchi di suppellettili e di altri cospicui corredi funerari. Per cui in epoca romana si edificarono gli edifici pubblici con largo uso di marmi e quelli privati in cui si diffuse l'uso del mosaico; entrarono in funzione le terme, un teatro, l'arena e sorsero le prime fabbriche di tessuti.

Bononia era costruita in mattoni, selenite e soprattutto legno, e proprio a causa di ciò risultò gravemente danneggiata da un incendio nel 53 d.c. ma fu subito ricostruita grazie all'interessamento di Nerone (37 - 68), il quale, fra l'altro, fece ampliare e abbellire il teatro.

Alla fine del III secolo i barbari saccheggiarono o conquistarono tutte le città attraversate dalla via Emilia per cui i bolognesi decisero di edificare una cerchia muraria costruita con blocchi di selenite che, però, non racchiudevano tutta l'area urbana ma escludevano i quartieri più poveri a nord e a ovest. Le mura ebbero 6 porte: Porta Ravegnana (va est), Porta San Procolo (a sud), Porta Stiera (a ovest), Porta San Cassiano poi di San Pietro (a nord).

In seguito scesero dal nord gli Unni di Attila (406-463) e successivamente Odoacre (433-493), capo degli Eruli, che era diretto a Ravenna, allora capitale dell'Impero, a deporre l'ultimo imperatore romano, Romolo Augusto. Nell'anno 476 si concluse così la lunga agonia dell'Impero romano d'Occidente, un impero che aveva dato civiltà e luce al mondo.

TARGA DELLE MURA

I RESTI

Bologna rivela ancora, nel centro storico, resti dell’epoca romana: strutture architettoniche, tratti di strade, frammenti di mosaici e reperti conservati nei musei narrano la storia dell’antica Bononia.
La città romana fu impostata secondo lo schema classico, basato su due strade principali: il cardine massimo, che andava da nord a sud (via Galliera – via Val d’Aposa), e il decumano massimo, diretto da est a ovest (via Rizzoli - via Ugo Bassi). Una serie di cardini e decumani minori formavano una griglia di isolati rettangolari di 6oo m per lato.

La romanizzazione del territorio comincia in realtà nel 268 a.c. ben quattro anni prima della lunga contesa con Cartagine. La Repubblica fonda una colonia nei pressi di Ariminum (odierna Rimini). Poi i Romani cominceranno a spargersi a macchia d’olio per la Pianura Padana e nel 189 a.c., viene ufficialmente fondata la nuova città di Bononia, che si sovrappose alla vecchia città etrusca. Essa fu colonia per diversi anni fino all’88 a.c. quando venne trasformata in Municipio. Da quel momento essa seguì le sorti di Roma, in era Repubblicana e Imperiale.

Nei molti scavi effettuati nel centro della città hanno evidenziato molti strati del terreno sovrapposti, con una difficile distinzione cronologica. Sono state rinvenute però strade, solcate perfino dai carri trainati (visibili ancora oggi) reperti archeologici come boccette, vetri e anfore; l’anfiteatro, la necropoli e la villa rustica.

VILLA ROMANA SOTTO LA SINAGOGA
Interi musei e palazzi sono stati adibiti ad esposizioni di reperti archeologici come l’Archiginnasio e la Sala Ex-Borsa, fermata per diversi giorni per permettere agli archeologi di effettuare gli scavi.
Particolarmente importanti per la città furono l’imperatore Augusto, che la fece ricostruire e abbellire, e l’imperatore Nerone, che convinse il senato romano a pagare importanti opere edilizie necessarie dopo un vasto incendio che aveva distrutto numerosi monumenti.

Alcuni resti romani si rivelano al di sotto di Palazzo Re Enzo, accedendo dalla sede della Scuola delle Idee (ex START) sotto al Voltone del Podestà, oppure dal vecchio ingresso del sottopassaggio, accessibile da Piazza Re Enzo.

Negli ambienti interni, attraverso una vetrata, è possibile vedere i resti di uno dei Cardini minori di epoca romana, con tanto di marciapiede. Altri pezzi di queste vie sono visibili al di sotto dell’Hotel Baglioni (oggi Grand Hotel Majestic, Via Indipendenza) e del negozio Roche Bobois (a Palazzo Lupari, in Strada Maggiore 11).

Uscendo dal sottopassaggio di Piazza Re Enzo, poi, è visibile un mosaico geometrico bianco e nero, resto di un antico palazzo signorile di età imperiale (in Piazza Maggiore infatti c’erano tanti edifici).

L'ACQUEDOTTO

L'ACQUEDOTTO ROMANO 

Di solito i romani edificavano gli acquedotti mediante condotti aerei, ma a Bonomia realizzarono questa opera completamente in galleria (in parte nella roccia ed in parte in terreni rinforzati).

L'acquedotto risale al I secolo a.c. e si presume voluto dall'imperatore Augusto. L'acquedotto attinge dal fiume Setta in quanto i romani compresero fin da allora che le acque del Reno non erano pure e potabili come quelle del Setta.

Pertanto l'acquedotto prelevava l'acqua presso Sasso Marconi e, passando da Casalecchio di Reno sotto il Colle della Guardia, la convogliava in galleria fino a raggiungere l'Aposa,  che scorre sotto Palazzo Pizzardi nella odierna via d'Azeglio angolo via Farini.

Qui una vasca di decantazione (castellum) schiariva l'acqua prima di distribuirla a tutta la città mediante il sistema tipicamente romano delle fistulae aquariae (tubi di piombo o terracotta). Oggi il tunnel finisce presso la caserma dei Vigili del Fuoco in viale Aldini. 

La portata ai tempi dei romani era di ca. 35.000 metri cubi al giorno, abbastanza per soddisfare le necessità di una città di 25-30.000 abitanti!. L'acquedotto rimase attivo fino al Medioevo, quando, a seguito delle invasioni barbariche e dell'incuria, rimase quasi dimenticato e interrato.

Quando però, nel 19° secolo a Bologna si creò il bisogno di aumentare i suoi approvvigionamenti idrici, grazie all'ingegnere e archeologo Antonio Zannoni ed al conte Giovanni Gozzadini (lo scopritore della civiltà villanoviana) si poté finalmente individuare e ripristinare l'antico acquedotto, tutt'oggi in funzione a dimostrazione della straordinaria abilità degli ingegneri antichi romani.

BAGNI DI MARIO

BAGNI DI MARIO

Non si tratta come si potrebbe credere di un ambiente termale, ma di un complesso idraulico che non ha mai avuto nessuna relazione con l'uso termale. Tra l'altro il nome "Mario" fu dato al complesso in memoria del console romano.

Un'angusta scala di pietra conduce giù sottoterra per ben 40 metri: ci si ritrova in una sala ottagonale con le pareti ornate da affreschi e bassorilievi, tra cui i due leoni rampanti che probabilmente rappresentavano le insegne di Pio IV dè Medici di Marignano mentre ai lati della sala partono quattro cunicoli che portavano all'antica cisterna in pietra. Una costruzione cinquecentesca che alcuni fanno però risalire ancora oggi, e forse non hanno torto, a un'opera romana.

I RESTI DEL TEATRO

IL TEATRO ROMANO

Il Teatro Romano in via de’ Carbonesi, è uno straordinario monumento di età repubblicana (risalente all’incirca all’88 a.c.) quando, all’indomani della guerra sociale, gli abitanti di Bononia ottennero lo status di cittadini romani e la città fu promossa da colonia di diritto latino a municipium. 

In quella occasione l’impianto urbano fu dotato di nuovi edifici di cui abbiamo forse un’ulteriore testimonianza nella basilica e proprio nelle strutture murarie del teatro. 

DECORAZIONE DEL TEATRO
Esso rappresentava un unicum per il suo tempo: basti pensare che neanche a Roma esistevano teatri in muratura, ma solo strutture lignee rimovibili. 

Sarà solo Gneo Pompeo Magno a far erigere un teatro in muratura, a quasi trent’anni di distanza da quello bolognese, tra il 61 e il 55 a.c..

Infatti il teatro, costruito in epoca tardo repubblicana (dal 120 all' 80 a.c.) fu successivamente ampliato in età augustea e ancora sotto Nerone nel I sec. d.c.. il teatro costituisce una delle più interessanti testimonianze della Bononia romana. 

Nella fase costruttiva iniziale il teatro fu caratterizzato da un emiciclo autoportante di circa 75 metri di diametro; successivamente la struttura venne ampliata portando la cavea ad un diametro di 93 metri e l'edificio fu ornato con marmi pregiati d’importazione.

Il teatro è caratterizzato da una struttura autoportante fondata su una fitta rete di muri radiali a vista, in pietra arenaria, lavorati a opus incertum. 

Il sito è venuto alla luce nell'ambito di una campagna di scavi risalente alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. 

SCAVI DELLA SALABORSA


I SEPOLCRI ROMANI DI BONOMIA

(RODOLFO LANCIANI)

Il 17 aprile 1888, a m 2,30 dal suolo attuale se ne scoprirono due, distanti l'uno dall'altro m. 0,70.
- Il primo col tetto di tegole a due pioventi di m. 1,40  x. 0,50 x 0,80 di altezza. Lo scheletro lungo m. 1,38 posava sopra un letto di tegole con la testa volta ad occidente.

-  1l secondo sepolcro col tetto parimenti a capanna era di fanciullo, di  m. 0,80  x  0,30 e. 0,55 di altezza. Lo scheletro posava col cranio ad oriente. Fra i due sepolcri si rinvenne una monetiua in bronzo molto corrosa.

-  Poco discosto dal secondo, un terzo sepolcro composto di dieci tegole col tetto a capanna e di 2 m. x 0,50 di larghezza. Lo scheletro posava sopra un letto di tegole con la testa ad oriente,  circondato da quattro vasetti in terracotta della forma ventricosa con labbro dritto, due alla testa e due ai piedi, più un altro rotto della forma come di fiasco, ed una lucerna.

-  Un quarto sepolcro apparve alla profondità di soli 2 m dal suolo, ma già distrutto anticamente. Vi si raccolsero le tegole di m. 0,50 X 0,60.

Più notevoli sono due altri sepolcri scoperti il giorno successivo.

- Lungo il primo m. 1,80 x. 0,50, di tegole lunghe m. 0,60 x 0,50, disposte tre in ciascun dei lati maggiori, una alla testa, ed una ai piedi. Formavano il rivestimento esterno di una cassa in piombo di m. 1.70 x 0,31 ed alta m. 0,35, alla quale però non aderivano perchè vi erano tenute discoste, un 15 cm per parte, da grossi chiodi di ferro. Questi chiodi, di cui si raccolsero molti resti nell'interstizio fra la cassa di piombo e le pareti di tegole, erano 12, distribuiti 4 a ciascuno dei lati maggiori e 2 a ciascuno dei minori. Introdotti con la punta nella cassa e ribattuti, aderivano con la testa alle tegole. Lo scheletro, in pessimo stato, posava con la testa ad oriente, i vasetti funerari raccolti in frammenti non posavano dentro la cassa ma fuori. Forse il sepolcro aveva subito violazione.

-  Sulla medesima linea si scopri l'altro sepolcro più piccolo, ma simile. Di m. 1,55 x 0,60 aveva una copertura in piano di 4 tegole, 2  larghe ciascuna m. 0,58, la terza e la quarta di m. 0,20 e collocate una alla testa e l'altra ai piedi. La cassa è di m. 1,35 x. 0,32 x. 0,29. Furono trovati gli avanzi di altri chiodi di ferro, sei, cioè due a ciascun lato maggiore ed uno a ciascuno dei minori e tenevano le tegole discoste dalla cassa un 15 cent.


- Ai piedi del sepolcro, un altro ne esisteva formato similmente da tegole, ma privo della cassa interna di piombo. Il letto era a due pioventi. Questo sepolcro però era già stato quasi per metà distrutto nei tempi antichi.

- Un ottavo sepolcro romano fu scoperto  alla distanza di 3 m, di m. 0,60 x 2 m ed era largo alla testa m. 0,60, ai piedi m. 0,50. Consisteva di 10 tegole, disposte quattro a ciascun lato maggiore ed una a ciascuno dei minori. Dentro eravi la solita cassa di piombo di  m. 1,80 x m. 0,35 x 0,33. Negl'interstizi si raccolsero gli avanzi di 12 chiodi di ferro. Lo scheletro infracidato aveva la testa ad oriente ed i piedi ad occidente.

Questi tre sepolcri contenenti casse di piombo ho fatto trasportare al Museo Civico dove una sola cassa simile finora si conservava d'ignota provenienza, quantunque con molta probabilità del bolognese. Questa cassa però é in due pezzi, lunga nell'assieme m. 1,45, larga m. 0,40 ed alta m. 0,25. Il piombo è di miglior qualità, che non quello delle tre casse di recente scoperte perché esso appena toccato si rompe, mentre nella cassa più antica è molto duttile e piegasi a piacimento senza rompersi. Otto sepolcri adunque si scoprirono disposti in modo da formare due linee simmetriche e corrispondenti. Molti altri ne esistevano senza dubbio distrutti nei tempi di mezzo, perché s'incontrarono lì presso a diversa profondità avanzi di costruzioni che parevano medioevali.

Si possono considerare quali avanzi dei sepolcri taluni oggetti romani incontrati durante gli scavi, sparsi a differenti altezze dal suolo. Ne indico qui i principali :
- Lucerna in terracotta finissima con l'ornamento di un rombo nella parte superiore fratturata, ed un S a rilievo nell'inferiore.
-  Altra lucerna rinvenuta ad un metro sotto il suolo, in mezzo a rottami, perfettamente conservata, con forti profili nella faccia superiore ed il nome V I B I A N I a rilievo nell'inferiore. 20 giugno.
- Altra lucerna simile perfettamente conservata con F A O R a rilievo.
-  Una dozzina di monete di bronzo la maggior parte logorate dall'ossido ed illegibili. Sono riuscito a determinare soltanto le seguenti: P in bronzo di Tiberio, 2 in argento di Alessandro Severo. 3 in bronzo di  Trajano Decio,. 4-5 piccoli bronzi di Costantino Magno. Con queste monete si può dire che il sepolcreto durò dal II al IV sec. dell'impero. La sua esistenza nella proprietà Fabbri è della massima importanza per la topografia della Bononia romana.


Avanzi di casa romana

Sui primi del mese di luglio ampliandosi e rifacendosi le fondamenta della casa Calzolari situata fra via Gombruti e via Imperiale, alla profondità di m. 2,50 dal suolo venne scoperto un assai bello e ben conservato pavimento a mosaico. Quantunque lavorato con sole pietruzze bianche e nere, tuttavia assai vario e complicato ne riesce il disegno.

REPERTI DEL TEATRO ROMANO
Più file di circoli intersecantisi e concatenati sopra e sotto fra loro, danno origine a quadretti interni con base ricurva, riempiti di nere pietruzze: ne risultano per conseguenza tanti segmenti di circolo a fondo bianco e conformati a foglie le quali, convergendo ad un centro comune, compongono alla lor volta una specie di rosone.

Non precisamente nel centro, ma come si potè constatare in seguito, più verso il lato meridionale, esisteva un quadretto dell'ampiezza di m. 0,95 per lato, a pietruzze bianche e nere, ma assai più fine, chiuso tutto all'intorno da una elegante cornice a foglie d'edera.

Disgraziatamente la rappresentanza del centro era stata distrutta nel passato secolo, quando venne costruita la casa, un pilone della quale era venuto a cadere e sfondare proprio il quadretto. Tutto il pavimento largo m. 3,48 per 4 circa di lunghezza, è circondato all'intorno da una fascia nera distante m. 0,20 dal muro della camera.

Anche di questo muro rimaneva in piedi verso l'angolo nord-est una parte, lo zoccolo, con l'intonaco dipinto a color verde porro ed una striscia della parete superiore, dipinta a giallo. Siccome il muro interno della nuova casa in costruzione viene appunto a tagliare a mezzo il mosaico, così questo doveva di necessità essere distrutto.

BUSTO DI NERONE
Perciò allo scopo di conservar memoria della scoperta ne ho fatto segare e trasportare in Museo una porzione, poco più di un metro quadrato, mentre ho preso gli accordi con il proprietario sig. Calzolari per eseguire scavi e ricerche metodiche nel cortile, sotto cui il mosaico s'interna, non appena saranno terminati i lavori di muratura, ciò avverrà in dicembre.

Mi riprometto soddisfacenti risultati da questo scavo, in quantochè il mosaico scoperto mi sembra parte e propriamente il triclinio di una vasta casa, che sorgeva in questo punto della Domnia romam. M'inducono in questo avviso gli avanzi di altri mosaici apparsi qua e là in contiguità di quello ora descritto e che attestano l'esistenza di altri considerevoli ambienti.

La maniera frettolosa con cui eseguivasi lo sterro, ch'era dato a cottimo, non ha permesso di rilevare una pianta esatta dei mosaici o almeno dei loro avanzi, tanto più che molti di ossi insieme con i relativi muri di perimetro aveano sofferto grande distrazione nel passato secolo quando venne innalzata la prima volta la casa ora in ampliamento.

Cionondimeno ho potuto costatare che almeno quattro camere, ciascuna con particolare pavimento, si collegavano con quella prima descritta. Per maggiore chiarezza indico come n. 1 la stanza col pavimento a mosaico di circoli concatenati e col quadretto centrale circondato da foglie d'edera: il suo lato nord insieme con porzione della parete dipinta penetra e si nasconde ancora sotto il cortile A.

In vicinanza trovasi un pozzo moderno, nel costruire il quale si dovette certo distruggere tutto ciò che di antico ivi esisteva. Il pavimento dell'ambiente n. 3 era a mattone battuto; ho potuto riconoscerne chiaramente le tracce lungo il lato ovest e determinarne la lunghezza in circa tre m.

Lo strato del mattonato era piuttosto sottile, circa 10 centimetri; ma posava sopra un piano di ciottoli, sistema di costruzione osservato altresì sotto i mosaici degli ambienti 1 e 5. Mattoncelli cubici legati assieme con cemento durissimo costituivano il pavimento dell'ambiente n. 4, di cui però due soli tratti scoperti in posto: il rimanente era ridotto in pezzi che giacevano sconvolti e gli uni agli altri sovrapposti : questo pavimento poteva misurare una superficie di m. 2,80 per 8,50.

LA VIA EMILIA RIAFFIORA DURANTE DEI LAVORI STRADALI

Anche di esso ho fatto trasportare, quale ricordo, un pezzo al Museo. Una forte rovina, cagionata da avvallamento del terreno, aveva sofferto altresì il pavimento dell'ambiente n. 5, esso pure a mosaico, ma bianco con semplice fascia nera. Gran parte del fianco sud era sprofondata e si scoperse infissa verticalmente al suolo : cionondimeno, seguendo le tracce lasciate nelle sezioni delle terre, se ne poterono determinare le dimensioni in m. 3,50 X 6,60.

Allo scavo dello spazio n. 6 non ho potuto assistere in persona; ma dal sorvegliante mi venne riferito che tutto il pavimento era sconvolto e qua e là apparivano tronchi di colonnine formati di mattoncelli circolari del dìametro di m. 0,18 presso i quali giacevano frammenti di tegole.

Queste notizie fanno pensare ad un pavimento sospeso per la circolazione del vapore come i pavimenti della stufe o calidari; supposizione resa più probabile dal fatto che da questi medesimo sito provengono parecchi frammenti di tubetti quadrangolari aderenti ad intonaco od usati per le doppie pareti proprie appunto dei calidari.

Oltre i resti di mosaico si raccolsero quasi in ogni ambiente frammenti d'intonaco delle precipitate pareti, dipinti a colori giallo, rosso, nero e verde. Finalmente nei due punti h q g della trincea s'incontrarono, alla profondità di circa m. 3,50 dal suolo attuale, due tratti di una chiavica romana con fondo, sponde e copertura, il tutto formato da mattoni, diretta ed inclinata da est ad ovest.


BIBLIO

- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia - III, 15 -
- Franco Bergonzoni - Bononia (189 a.C.- Secolo V) - in Antonio Ferri, Giancarlo Roversi (a cura di) - Storia di Bologna - Bologna - Bononia University press - 2005 -
- Giuseppe Sassatelli e Angela Donati (a cura di) - Bologna nell'antichità - in Storia di Bologna, vol I - Bologna - Bononia University Press - 2005 -
- Giovanni Colonna - Felsina princeps Etruriae - in Comptes rendus des séances de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres - vol 143, n. 1 - 1999 -



Nessun commento:

Posta un commento