BATTAGLIA DI ASCOLI SATRIANO (279 a.c.)


La battaglia di Ascoli Satriano (provincia di Foggia) è avvenuta in Puglia, nel subappennino dauno, nel 279 a.c. tra i Romani, agli ordini dei consoli Publio Decio Mure e Publio Sulpicio Saverrione, e le forze unite tarantine, sannite ed epirote, sotto il comando di Pirro re dell'Epiro. Il subappennino dauno faceva parte della Daunia, un distretto della Puglia settentrionale che corrisponde approssimativamente all'attuale provincia di Foggia.

Lo scopo del conflitto era il controllo della Magna Grecia e la battaglia fu combattuta tra il torrente Carapelle ed i monti Carpinelli, in una piana non abbastanza capiente sia per la cavalleria che per lo schieramento dei 19 elefanti di Pirro.


L'ANTEFATTO

Pirro pensava che una volta attraversato l'Appennino, contava di piombare sul basso Lazio e di prendere Roma di sorpresa. 

PIRRO
Ma i servizi segreti di Roma erano efficientissimi e sempre in azione, così allertarono i generali romani che attirarono l'esercito nemico tra il torrente Carapelle ed i monti Carpinelli, in una piana non vasta abbastanza per la cavalleria avversaria e per lo schieramento dei 19 elefanti. 

Anche la falange macedone richiedeva ampi spazi per poter agire al massimo, mentre le compatte legioni romane richiedevano spazi di manovra più ridotti.
Avendo dunque Pirro assediato Ausculum, l'esercito romano comandato dai consoli Publio Sulpicio Saverrione e Publio Decio Mure, corse in aiuto della città. Accanto ai legionari romani si erano allineati:

- gli Umbri,
- i Marrucini,
- i Peligni,
- i Frentani
- gli Arpani,

Di questi 20.000 erano cittadini romani e 8.000 cavalieri, quindi i combattenti migliori, ma con gli altri contavano oltre 70.000 uomini.

Pirro, contando su una gloriosa battaglia per far insorgere con lui tutta l'Italia meridionale, subito si schierò in battaglia, raccogliendo nel suo esercito:

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- truppe epirote e macedoni,
- mercenari tarantini,
- reparti di re Tolomeo Cerauno di Macedonia,
- fanti e cavalieri mercenari dell'Etolia,
- mercenari della Acarnania,
- mercenari dell'Atamania,
- fanti Lucani,
- fanti Bruzi
- fanti Sanniti,
- oltre a disertori oschi e sanniti.
In tutto erano ben 70.000 fanti; 16.000 dei quali erano greci ed epiroti, oltre 8.000 cavalieri e 19 elefanti.

Conoscendo la composizione consueta delle fanterie romane di epoca repubblicana - per una metà cittadini e per l'altra socii - ed accostandovi il dato offerto da Frontino - che parla di circa 40.000 uomini per parte - è plausibile pensare ai 70.000 fanti e 8.000 cavalieri come al totale dei combattenti scesi in campo: con una leggera superiorità numerica di Pirro nei cavalieri, e una più consistente di Roma nella fanteria (come riferisce Dionigi).
La battaglia durò due giorni, interrotta solo al tramonto.



I GIORNO

L'esercito romano iniziò a fare la guerriglia contro gli Epiroti, e quando un manipolo di legionari veniva sgominato, un altro prendeva il suo posto, così i Greci ebbero nel primo giorno la peggio, poiché non riuscirono né a distendere la loro fanteria sulle sponde scoscese e paludose dei fiumi, dove furono costretti ad accettare la battaglia, né a spingere nella mischia la cavalleria e gli elefanti.

Infine la I legione indietreggiò pressata dall'ala sinistra epirota dotata di elefanti, ma il centro di questo schieramento dove si battevano i mercenari tarantini, gli oschi ed i sanniti, fu spazzato via dalla III e dalla IV legione romana. Intanto i Dauni andarono a saccheggiare il campo di Pirro assieme alla I legione romana, ma vennero ricacciati dalla cavalleria epirota. Rifugiati però nei boschi, sfuggirono agli Epiroti. La cavalleria greca venne, a sua volta, attaccata e dispersa da quella romana.



II GIORNO

Nel secondo giorno invece Pirro prevenne i Romani nell'occupazione del colle e del bosco dove si erano rifugiati i romani, e raggiunse così senza perdite la pianura, dove egli poté con agio dispiegare la falange. In questo scontro sanguinario ciò che animò il coraggio dei Romani, fu il Console Publio Decio Mure, che vista la possibilità della sconfitta, spiega le sue legioni e non esita a sacrificarsi, come aveva fatto suo padre e il suo avo.

Intanto i Greci avevano la meglio ma Pirro, nel momento più forte della mischia venne ferito e costretto a ritirarsi nella sua tenda. Questo incidente cambiò le sorti della battaglia, pur lasciando immutato l'esito finale.

Nel secondo giorno Pirro, all'alba, fece occupare il Secondo Frontino, il re schierò a destra i Sanniti (con gli ipaspisti, corpo macedone); al centro la falange epirota appoggiata dai Tarantini; a sinistra gli ausiliari Lucani, Bruzi e Messapi. I romani dovettero scontrarsi in campo aperto con gli Epiroti, ma la falange, su un terreno accidentato, non riusciva ad assicurare la compattezza indispensabile a sopraffare le legioni romane.

IL SACRIFICIO DI DECIO MURE

DECIO MURE

In questa battaglia morì il console Publio Decio Mure immolandosi con una Devotio. Già nella Battaglia di Sentino nel 295, un altro Decio Mure avrebbe pronunciato queste parole quale rito magico prima di immolarsi per la salvezza di Roma:

« Perché ritardo il destino della mia famiglia? È questa la sorte data alla nostra stirpe, di esser vittime espiatorie nei pericoli dello Stato. Ora offrirò con me le legioni nemiche in sacrificio alla Terra e agli dei Mani!". 

Pronunciate queste parole, ordinò al pontefice Marco Livio, al quale aveva ingiunto di non allontanarsi da lui mentre scendevano in campo, di recitargli la formula con cui offrire sé stesso e le legioni nemiche per l'esercito romano dei Quiriti. 

Si consacrò in voto recitando la stessa preghiera, indossando lo stesso abbigliamento con cui presso il fiume Vesseri si era consacrato il padre Publio Decio durante la guerra contro i Latini, avendo aggiunto alla formula di rito il suo intento di gettare di fronte a sé la paura, la fuga, il massacro, il sangue, il risentimento degli Dei celesti e di quelli infernali, e quella di funestare con imprecazioni di morte le insegne, le armi e le difese dei nemici. 

Aggiunse che lo stesso luogo avrebbe unito la sua rovina e quella di Galli e Sanniti, lanciate dunque tutte queste maledizioni sulla propria persona e sui nemici, spronò il cavallo là dove vedeva che le schiere dei Galli erano più compatte, e trovò la morte offrendo il proprio corpo alle frecce nemiche »


GLI ELEFANTI

GLI ELEFANTI

Allora Pirro decise di far intervenire gli elefanti per sfondare le linee romane, e vi riuscì, inutilmente i romani tentarono di fermarli con carri speciali di loro invenzione.
Però ci riuscirono bombardandoli di dardi e giavellotti, tanto che Pirro stesso fu colpito da un giavellotto alla fine della battaglia.
Paolo Orosio racconta che durante la battaglia di Eraclea un astato della IV legione, Gaio Minucio o Numicio, fu il primo a ferire uno degli elefanti, mozzandogli la proboscide. Ma Floro situa più logicamente l'episodio nella battaglia di Ascoli.
I romani si ritirarono asserragliandosi nel loro campo, mentre gli Epiroti dovettero faticare non poco a calmare gli elefanti impazziti dal dolore per le ferite di frecce e lance.

L'ESERCITO DI PIRRO
Breviario di storia romana II, VIII

"L’utilizzo di elefanti da guerra è attestato anche nella battaglia di Ascoli Satriano (279 a.c.), nella quale, ci riferisce Dionigi di Alicarnasso (Antichità romane, XX, 12, 3 e 1, 6-8), i diciannove elefanti indiani di Pirro erano guidati da Indiani. In quest’occasione lo spavento che gli animali avevano suscitato in precedenza si era dissipato, come dimostra l’aneddoto riportato da Floro (Op. cit., I, XVIII, 46) su Caius Minucidus, astato della IV Legione: avendo questi reciso la proboscide di un elefante ne aveva causato la morte, dimostrando come tali animali non fossero invincibili."
(Rodolfo Lanciani)



LA SCONFITTA

La battaglia fu vinta dalla lega tarantina ma con forti perdite.

« Gli eserciti si separarono; e, da quel che si dice, Pirro rispose a uno che gli esternava la gioia per la vittoria che "un'altra vittoria così e si sarebbe rovinato".
Questo perché aveva perso gran parte delle forze che aveva portato con sé, quasi tutti i suoi migliori amici e i suoi principali comandanti; non c'erano altri che potessero essere arruolati, e i confederati italici non collaboravano. 
Dall'altra parte, come una fontana che scorresse fuori dalla città, il campo romano veniva riempito rapidamente e a completezza di uomini freschi, per niente abbattuti dalle perdite sostenute, ma dalla loro stessa rabbia capaci di raccogliere nuove forze, e nuova risolutezza per continuare la guerra. »

Ci fu anche un'altra frase celebre pronunciata da Pirro: "Se avessi avuto io soldati come quelli romani, io avrei dominato il mondo."
(Plutarco)



L'EPILOGO

Gli epiroti vinsero ma inutilmente, perchè né i Sanniti, nè i Latini, nè gli Etruschi, nè gli altri popoli italici si ribellarono ai Romani. I Greci di Napoli e di Cuma rimasero alleati ai Romani. Roma stessa non poté esser assalita da Pirro ormai senza esercito. I Romani definirono "Vittoria di Pirro" quella ottenuta a caro prezzo e senza vantaggi.


BIBLIO

- Danilo Re - Pirro in Italia - Roma - ilmiolibro - 2014 -- Santo Mazzarino - The elephant in the Greek and Roman world - 1974 -
- Sabatino Moscati - Introduzione alle guerre puniche: origini e sviluppo dell'impero di Cartagine -SEI - Torino - 1994 -
- Paolo Sommella - Antichi campi di battaglia in Italia, contributi all'identificazione topografica di alcune battaglie d'età repubblicana - Roma - De Luca - 1967 -

1 commento:

  1. bravi e4 ottimo peer mia figlia che fa la prima MEDIA E CERCA TANTE COSE XSUL VOSTRO SITO

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