VOLSINII NOVI - BOLSENA (Lazio)

CASA DELLE PITTURE

VELZNA E VOLSINII VETERES

La città stato di Velzna sorgeva su una rupe abitata per la prima volta dagli Etruschi tra il IX e l'VIII sec. a.c..

Attualmente si identifica l'antico centro dal nome etrusco di Velzna con quello indicato con il nome latino di Volsinii Veteres (o Urbs Vetus) e quindi con Orvieto, secondo la proposta avanzata dalla studioso tedesco Muller nel corso del XIX secolo.

La popolazione di Velzna era molto abile nella produzione del bucchero e nella lavorazione del bronzo si che dagli inizi del VI sec. a.c., esportò manufatti di alto pregio. La città prosperò e gli autori romani, contemporanei e non, la esaltarono nei loro scritti.

Velzna fu uno dei dodici centri riuniti nella Dodecapoli Etrusca (una coalizione di città, su un'alleanza di tipo economico, religioso e militare tra i centri etruschi delle attuali Umbria, Toscana e Lazio settentrionale) e fu in molte circostanze nemica di Roma.




LA GUERRA CON ROMA
CASA DELLE PITTURE

I romani davano in genere diverse possibilità di adeguarsi allo stile e al potere romano, proponendo alleanze, tregue e altro.

Ma gli etruschi erano un popolo molto indipendente per potersi adattare a uno stile subalterno, per cui, dopo numerosi scontri, avvenuti nel corso del IV sec. e agli inizi del III, la città di Velzna venne distrutta dai romani, agli ordini del console Fulvio Flacco, nel 264 a.c..

Probabilmente la causa dello scontro finale fu l'avvento a Velzna di un'amministrazione popolare al posto di un precedente governo oligarchico e filo romano.



VOLSINII NOVI

Gli abitanti di Velzna, dopo la tremenda sconfitta, furono costretti ad abbandonare ciò che restava della loro città, ed a trasferirsi sulle alture che sovrastano il lago di Bolsena sulla sponda orientale, fondando Volsinii Novi (da non confondere con Volsinii Veteres), divenuta in seguito alla Guerra Sociale municipio romano, nei pressi del lago di Bolsena.

Il trasferimento venne imposto dai romani ai superstiti di Velzna che avevano osato estromettere dal governo le classi oligarchiche filo romane di Velzna, e pure per allontanare i nemici vinti dalla principale via di comunicazione tra l'Italia centrale e quella settentrionale, rappresentata dal Tevere e dal sistema idrografico Paglia/Chiani/medio e alto Arno. La nuova comunità era dedita alla cerealicoltura, alla produzione di ceramiche e alla lavorazione del bronzo.

La città, inoltre, occupava una posizione strategica poichè controllava gli itinerari che collegavano le città etrusche, come Caere e Veio, a città dell'entroterra umbro, quali Chiusi e Perugia, e alle città sorte sul delta del Po.



I ROMANI

I vincitori, terminata la guerra e eliminati i restanti motivi di pericolo, tornarono indietro e portarono a Roma un ricco bottino, sembra addirittura di duemila statue, in parte offerto agli Dei romani introducendole nei templi.

Infatti i romani edificarono sull'Aventino un tempio dedicato al Dio Voltumna/ Vortumnus/ Vertumnus/ Vertunno, la principale divinità etrusca venerata a Velzna, trasferendone in tal modo il culto nell'Urbe. Il Santuario di Voltunna, o Fanum Voltumnae, ospitava l'assemblea della Dodecapoli etrusca e sorgeva, forse, nel territorio della distrutta Velzna.

La fiorente città era protetta da una cinta muraria realizzata in opus quadratum ed estesa, per più di quattro km, su quattro colli, fornita di anfiteatro (in loc. Mercatello), di un teatro, di una biblioteca pubblica (menzionati da un'iscrizione), di un odeon, oltre ai numerosi spazi riservati ai commerci, alle officine, ai magazzini ed agli edifici sacri (la cui presenza è testimoniata da scavi e iscrizioni).

In età imperiale, la città divenne una località di villeggiatura e ospitò esponenti di grandi famiglie quali i Canulei, i Cominii, i Larcii, i Nonii, i Pomepii, i Seii, i Rufii e gli Aconii. Comunque la nuova Volsinii si svilupperà nuovamente grazie ai commeri, che si concluderà negli ultimi decenni del III sec. d.c.; l'invasione dei Visigoti (410 d.c.) e, successivamente, l'occupazione dei Longobardi tra il 570 e il 575 d.c. causarono il definitivo declino della città.



GLI SCAVI DI S. ANGIOLO, territorio di S. Lorenzino, vicino a Bolsena.

"Sino dall' ottobre 1856 nel perlustrare il territorio di Volsinio rinvenni la strada di una tomba in un podere conosciuto sotto la denominazione di S. Angiolo distante circa tre miglia dalla moderna Bolsena e precisamente non lungi da .Barano. Fu quindi che mi recai dal proprietario di quel terreno, e gli chiesi il permesso di scavare a ricerca di antichità, notificandogli il luogo preciso. Egli poi mi accordò scavare nei suoi fondi situati nel territorio di Bolsena, per il che dall' Eccellentissimo Ministero di belle arti ne riportai assenso, e precisamente con permesso del febbraio 1856, onde scavare a S. Angiolo.

Ma allorché mi recai per porre mano al lavoro, ne fui impedito, mentre il punto, ove era la tomba si trovava nel territorio non altrimenti di Bolsena, ma di S. Lorenzino. Il proprietario però ha creduto giusto scavare il detto sepolcro, ed il giorno 16 novembre eseguì il lavoro nel luogo da me designato. Infatti fu trovata la tomba franata, ma si scorse essere quella tuttora chiusa all'ingresso da pietra balastrina, e quindi dopo un corridojo di circa un metro altra lastra simile chiudea l'ingresso della tomba.

Due furono i morti là ritrovati, uno dei quali era stato bruciato. Erano quelli i corpi di due donne. Di oggetti preziosi vi furono rinvenuti:
- Due serti in oro, uno a fronda di olivo, l'altro a foglia di lauro, e nella legatura ossia riunione delle foglie una piccola stella retta da saltaleone parimente in oro.
- Quattro braccialetti similmente in oro, due dei quali in forma di serpi che con due giri formavano il braccialetto, gli altri due in forme di largo nastro, segnato però con semplici linee rilevate.
- Due paja di pendenti in sfoglia d' oro, formati da due genj alati coperti di una veste aperta quasi sino alla cinta che è a mezza vita, in modo che agitata dal vento la apertura della veste lascia scoperta la gamba sino al ginocchio; hanno una mano alzata e con questa reggono una stella, ove è attaccato l'uncino che serviva ad appenderli alle orecchie.
- Due fibule di grazioso lavoro in oro;
- due anelli egualmente di elegante lavoro in oro, ciascuno ha un scarabeo, però di pessime incisioni. Uno è in sardonica, l'altro in agata nera, ma dubito possano essere paste, non avendoli potuto bene osservare.
- Piccolo rhyton in bronzo a faccia umana, ma di sublime lavoro.
- Tre patere in bronzo concave circa un pollice, una delle quali con gentile cornice d'intorno a ovolo: hanno per manico ciascuna una figura e mostrano che spettano all'epoca migliore dell'arte etrusca. Al rovescio hanno la parola flHIOVM.
- Due specchi con varie figure, ma non di valente artista, hanno nel rovescio la solita parola flHIOVf^; uno però porta una leggenda etrusca nell'estremità del giro attorno le figure, ma ossidata a segno da non potersi leggere. Non posso dar conto del soggetto che portano, avendo avuti sotto occhio i descritti oggetti per pochi momenti.
- Frammenti di secchie (Oenochoe) egualmente in bronzo, ed altri vasi di nessun conto.

Fu quindi scavato altro sepolcro a poca distanza dall'anzidetto, ma espilato e privo di oggetti. I sopra indicati trovansi tuttavia in Orvieto presso il proprietario sig. Ravizza."

(Domenico  Golini  - scavi 1863-1865)


SCAVI DI VOLSINII

I resti monumentali della città romana di Volsinii furono riportati alla luce per lo più in età moderna, nel corso di una serie di campagne di ricerche e scavi, condotti dalla Scuola Francese di Roma sotto la direzione di R. Bloch, durante l'arco di quarant'anni (1946-1986).

A partire dagli anni '50 del secolo scorso gli scavi furono concentrati sul pianoro di Poggio Moscini, dove furono messi in luce il Foro, la Basilica, edifici pubblici e i resti di due domus: Domus delle pitture e Domus del Ninfeo. Divenuta di proprietà statale, l'area archeologica è oggi aperta al pubblico in forma gratuita.



LUIGI RUSCONI

SCAVI DI S.ANGIOLO, territorio di S. Lorenzino, vicino a Bolsena. 

 Sino dall' ottobre 1856 nel perlustrare il territorio di Volsinio rinvenni la strada di una tomba in un podere conosciuto sotto la denominazione di S. Angiolo distante circa tre miglia dalla moderna Bolsena e precisamente non lungi da .Barano. Fu quindi che mi recai dal proprietario di quel terreno, e gli chiesi il permesso di scavare a ricerca di antichità, notificandogli il luogo preciso. Egli poi mi accordò scavare nei suoi fondi situati nel territorio di Bolsena, per il che dall' Eccellentissimo Ministero di belle arti ne riportai assenso, e precisamente con permesso del febbraio 1856, onde scavare a S. Angiolo. 

Ma allorché mi recai per porre mano al lavoro, ne fui impedito, mentre il punto, ove era la tomba si trovava nel territorio non altrimenti di Bolsena, ma di S. Lorenzino. Il proprietario però ha creduto giusto scavare il detto sepolcro, ed il giorno 16 novembre eseguì il lavoro nel luogo da me designato. Infatti fu trovata la tomba franata, ma si scorse essere quella tuttora chiusa all'ingresso da pietra balastrina, e quindi dopo un corridoio di circa un metro altra lastra simile chiudea l'ingresso della tomba. 

Due furono i morti là ritrovati, uno dei quali era stato bruciato. Erano quelli i corpi di due donne. Di oggetti preziosi vi furono rinvenuti: 
- Due serti in oro, uno a fronda di olivo, l'altro a foglia di lauro, e nella legatura ossia riunione delle foglie una piccola stella retta da saltaleone parimente in oro. 
- Quattro braccialetti similmente in oro, due dei quali in forma di serpi che con due giri formavano il braccialetto, gli altri due in forme di largo nastro, segnato però con semplici linee rilevate. 
- Due paia di pendenti in sfoglia d' oro, formati da due geni alati coperti di una veste aperta quasi sino alla cinta che è a mezza vita, in modo che agitata dal vento la apertura della veste lascia scoperta la gamba sino al ginocchio; hanno una mano alzata e con questa reggono una stella, ove è attaccato l'uncino che serviva ad appenderli alle orecchie. 


 DI BOLSENA

- Due fibule di grazioso lavoro in oro; 
- due anelli egualmente di elegante lavoro in oro, ciascuno ha un scarabeo, però di pessime incisioni. Uno è in sardonica, l'altro in agata nera, ma dubito possano essere paste, non avendoli potuto bene osservare. 
- Piccolo rhyton in bronzo a faccia umana, ma di sublime lavoro. 
- Tre patere in bronzo concave circa un pollice, una delle quali con gentile cornice d'intorno a ovolo: hanno per manico ciascuna una figura e mostrano che spettano all'epoca migliore dell'arte etrusca. Al rovescio hanno la parola flHIOVM. 
- Due specchi con varie figure, ma non di valente artista, hanno nel rovescio la solita parola flHIOVf^; uno però porta una leggenda etrusca nell'estremità del giro attorno le figure, ma ossidata a segno da non potersi leggere. Non posso dar conto del soggetto che portano, avendo avuti sotto occhio i descritti oggetti per pochi momenti. 
- Frammenti di secchie (Oenochoe) egualmente in bronzo, 
- ed altri vasi di nessun conto. 

Fu quindi scavato altro sepolcro a poca distanza dall'anzidetto, ma espilato e privo di oggetti. I sopra indicati trovansi tuttavia in Orvieto presso il proprietario sig. Ravizza. D. Golini. 

(LUIGI RUSCONI)


RESTI DELLE TERME

LE TERME DI STRABONE

Percorrendo l'area archeologica di Poggio Moscini si oltrepassa, a poca distanza dall'ingresso, ciò che resta delle Terme di Seio Strabone (edificate su due livelli durante l'età imperiale a spese del prefetto d'Egitto, della madre Terenzia e della moglie Cosconia Gallitta per la popolazione di Volsinii circa nel 20 d.c. che svolgevano le loro funzioni insieme alle terme di Tusciano). Lucio Seio Strabone fu prefetto del pretorio in Egitto all'epoca di Tiberio e padre del più noto Lucio Elio Seiano.

Ad oggi gran parte dell'area delle terme è da scavare sotto via Orvieto e zone adiacenti, mentre è già emersa una cisterna monumentale, con una capacità di ben 2300 mc. che alimentava l'area della terme e gli altri edifici dell'area del foro. Le parti "scoperte" delle terme sono composte da un'aula absidata (13 x 8 mt), un criptoportico ed un praefurnum.

Sono emersi invece i resti del grande piazzale lastricato del foro, risalente all'età dei Flavi, delimitato a ponente e a levante da due strade lastricate; sulla piazza affacciavano numerosi edifici pubblici e privati, in particolare sul margine meridionale si trovava una basilica di 25,70x57 metri, divisa in tre navate e la cui funzione in epoca romana era legata a questioni civili e amministrative.

ENTRATA AL FORO

IL FORO

Il Foro fu realizzato sul pianoro di Poggio Moscini in età flavia: nella prima fase della Volsinii romana (età repubblicana) l'area forense con tutte le sue strutture era situata nella non lontana area del Mercatello.

Il corridoio di accesso alla spianata del foro lascia ancora intuire la sua copertura "a volta" giungendo alla grande piazza lastricata di circa m71 x m106, delimitata su tre lati dal sistema viario e, a sud, in vista lago, dalla basilica civile.

Qui alloggiavano piccoli monumenti (altari, epigrafi onorarie, statue) dei quali restano le impronte sulle lastre pavimentali superstiti, oggetto di spoliazione durante i secoli come le altre strutture. La presenza di numerose colonne di nenfro e di granito fanno pensare all'esistenza di due edifici colonnati.

LE BOTTEGHE

LA BASILICA

La basilica civile, impiantata sul decumanus romano, è a pianta rettangolare (m 27,70x57), era suddivisa in tre navate da un colonnato e occupava tutto il lato meridionale del Foro. La basilica civile fu trasformata in chiesa paleocristiana nel corso del IV sec. d.c. con l'aggiunta di un'abside all'estremità nord-occidentale della navata centrale.

La presenza di sepolture nelle navate laterali ci consente di ipotizzare che la superficie occupata dall'edificio cristiano era limitata alla navata centrale. L'area a nord-est della basilica è occupata da una serie di botteghe ed altre strutture: cisterne, vasche, canali, una latrina ed un vasto ambiente interpretato come horreum (magazzino).

Questo complesso subisce profonde ristrutturazioni dalla seconda metà del III sec. a.c. fino agli inizi del IV sec. d.c., quando cessa la sua funzione commerciale per far posto a una necropoli cristiana, di cui restano abbastanza integre solo due tombe a cassa.

La città romana occupa solo la parte più bassa della città etrusca, il Mercatello, dove case e ville romane hanno soppiantato i resti dell'abitato più antico. Si possono riconoscere le terme, l'anfiteatro, resti di edifici privati, ponti e strade. Dalle scoperte fatte fin dalla fine del secolo scorso e all'inizio di questo, si sapeva che sul Poggio Moscini si trovavano resti della città romana di Volsinii.

CASA DELLE PITTURE

LE DOMUS

A destra della basilica e del foro, oltrepassando il passaggio coperto originariamente da una volta a botte, si incontrano i resti di alcune botteghe di età repubblicana e flavia e alcuni antichi edifici privati:

- la Domus delle Pitture (con una sala sotterranea adibita, fino alla fine del II° secolo ac., al culto di Bacco)
- e la Domus del Ninfeo.

Le due dimore, separate dai resti di un tempietto e da quelli di un portico, un tempo ospitavano numerosi ambienti, alcuni dei quali oggi recuperati (un atrio con impluvium, i triclini e un ninfeo).



LA CASA DELLE PITTURE

La Casa delle Pitture, così chiamata per le diverse pitture rinvenute, è del tipo ad atrio, risalente alla prima metà del II sec. a.c., in un'area nella quale esisteva una sala sotterranea che, in base al rinvenimento di un gruppo di terrecotte a soggetto dionisiaco, tra cui il celebre "trono delle pantere", è stata interpretata come tempio sotterraneo, distrutto in seguito alla repressione dei Baccanalia, voluta dal senato romano nel 186 a.c.

Il fatto che il tempio fosse sotterraneo fa ipotizzare un culto misterico, visto che i culti dionisiaci non si avvalevano di templi sotterranei. La sala sotterranea venne in seguito integrata nell'abitazione come "cantina".

In età imperiale la domus, debitamente ampliata, venne decorata con pavimenti a mosaico e le pareti ornate con decorazioni pittoriche databili, su base stilistica, al III sec. d.c.

CASA DEL NINFEO

CASA DEL NINFEO

È stata dapprima rinvenuta una domus le cui prime installazioni risalgono alla fine del II sec. a.c., e per la quale furono riutilizzate alcune strutture della seconda metà del III sec. a.c. e dell'inizio del II sec. a.c. Le strutture del III sec. sono muri di pietre a secco, che formavano ambienti disposti su due terrazze orientate a NO SE; quelle dell'inizio del II sec. sono di opera quadrata di tufo giallo apparecchiata "a scacchiera".

La domus, a differenza di questi ambienti di epoca precedente, aveva la facciata orientata non verso SO (cioè verso il lago), ma verso NO, forse in seguito alla costruzione della Via Cassia, che attraversava la città da SO a NE.

In epoca tardo-repubblicana ed augustea, la domus venne sottoposta a diversi rifacimenti che l'hanno trasformata in una piacevole residenza con ricchi pavimenti in opus sectile di marmo e un grande ninfeo che comunicava con un fastoso triclinium.

La Casa del Ninfeo, come è stata denominata dagli archeologi, verso la fine del II sec. a.c., venne affiancata da un piccolo tempio probabilmente dedicato ad un culto di tipo salutare.

La domus è dotata di un grande atrio tuscanico, provvisto di impluvium e di cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Intorno alla metà del I sec. a.c. il tempietto risulta abbandonato e, poco dopo, (40-30 a.c.) la casa assume l'aspetto di una residenza lussuosa con pavimenti in marmo e mosaici.

A questa fase dovrebbe risalire l'edificazione del ninfeo, luogo di culto per le divinità preposte alle acque, le cui pareti accolgono diverse nicchie preposte sicuramente a dette divinità.
È stata dapprima rinvenuta una domus le cui prime installazioni risalgono alla fine del II sec. a.c., e per la quale furono riutilizzate alcune strutture della seconda metà del III sec. a.c. e dell'inizio del II sec. a.c.

Le strutture del III sec. sono muri di pietre a secco, che formavano ambienti disposti su due terrazze orientate a NO SE; quelle dell'inizio del II sec. sono di opera quadrata di tufo giallo apparecchiata "a scacchiera".

CASA DEL NINFEO
La domus, a differenza di questi ambienti di epoca precedente, aveva la facciata orientata non verso SO (cioè verso il lago), ma verso NO, forse in seguito alla costruzione della Via Cassia, che attraversava la città da SO a NE.

In epoca tardo-repubblicana ed augustea, la domus venne sottoposta a diversi rifacimenti che l'hanno trasformata in una piacevole residenza con ricchi pavimenti in opus sectile di marmo e un grande ninfeo che comunicava con un fastoso triclinium.

Si realizzò così che il materiale di ceramica più antico, trovato abbondantemente sul sito risaliva alla seconda metà del III sec. a.c., cioè all'epoca successiva alla creazione della Volsinii romana (264 a.c.). Infatti niente, né abitato né materiale, è stato scoperto finora che si possa datare precedentemente.

L'abbandono definitivo della struttura abitativa si colloca tra la fine del III e l'inizio del IV sec. d.c.; nel VI sec. d.c. una sepoltura occupa quello che era stato un lussuoso triclinio.

La sala sotterranea venne in seguito integrata nell'abitazione come "cantina". In età imperiale la domus, debitamente ampliata, venne decorata con pavimenti a mosaico e le pareti ornate con decorazioni pittoriche databili, su base stilistica, al III sec. d.c.

Un tesoro di 707 monete di bronzo della fine della Repubblica romana e dell'inizio dell'Impero è stato portato alla luce nel 1961, nella località detta del Pozzarello.

Dietro al ninfeo della domus, è stata messa in luce una zona pubblica, occupata da un piccolo portico, di cui restano basi di pilastri, da un altare e dall'ingresso del dròmos di una cisterna sotterranea. In questa zona furono ritrovati numerosi frammenti di ceramica aretina che, suddivisi in strati attribuibili dall sec. a.c. al I sec. d.c., hanno permesso di precisare molti aspetti della tipologia e della cronologia di questo tipo di ceramica.

CASA DEL NINFEO
Poco più si della domus, a SE, è stato scoperto un complesso monumentale, di inizio inizio II sec. a.c. con cinque pilastri, basi di colonne, in opera quadrata di tufo giallo e rossastro, su due dei quali gravano ancora fusti rozzi di colonne in pietra basaltica. Inoltre nel 1967 si è dato l'avvio allo scavo di due altri settori, non ancora completamente messi in luce.

Nei paraggi è emersa pure una sala sotterranea, scavata nel tufo e preceduta da un dròmos edificato con molta cura in opera quadrata di tufo, che serviva da cisterna. A pochi metri dai pilastri, verso SE, è stato rinvenuto un muro di opera quadrata di tufo, di fattura accuratissima; conservato per un'altezza di più di 2 m, con uno spessore da m 1,60 a 2,20. I pilastri, la cisterna e il muro, risultano contemporanei. Si ignora la destinazione del complesso.

A SO di questa zona dei pilastri di tufo fu incominciato nel 1967 lo scavo di un'abitazione d'epoca imperiale, attribuibile, in base al suo stato attuale, al III sec. d.c., e abbandonata nel IV sec. d.c. 
A causa del terreno in pendio, la sua parte NE (cioè la parte posteriore) è conservata molto meglio della parte SO, che tuttavia non è ancora completamente sgomberata. Sembra che l'abitazione desse su una strada che passava lungo il suo lato SO.


La parte NE dell'abitazione è composta da cinque stanze, tra cui due piccole, e da un corridoio, tutt'intorno ad un cortile interno. In tre di queste stanze, sono stati ritrovati intonaci dipinti in buono stato di conservazione. La prima fase risale al III sec. d.c., e, nella parte bassa di due stanze, accoglie rettangoli di fondo bianco, al cui centro sono dipinti vari motivi, quali uccelli e coppe di frutta, separati da strisce verticali che imitano la colonna. La parte alta delle pareti è decorata da rettangoli e da volute. 

La seconda fase della decorazione, posteriore, consiste essenzialmente in un'imitazione dipinta di marmo giallo e bruno-chiaro. La metà SO della parte scavata dell'abitazione ha una scala che scende in una sala sotterranea con volta a campana e resti di intonaci dipinti sulla volta, sembrerebbe del II sec. a.c., riutilizzata nell'abitazione di età imperiale. Inoltre, lungo uno dei muri interni dell'abitazione, sotto il livello del suolo d'epoca imperiale, è stato scoperto un cumulo di frammenti di tegole e di terrecotte architettoniche, teste, nasi, busti maschili, busto di Minerva con l'egida, modanature e frammenti di cornicioni, con tracce di policromia, probabilmente il contenuto di una favissa.

Al di fuori del terreno di scavo, lungo l'attuale Via del Crocefisso, alcuni sondaggi eseguiti nel 1969 hanno permesso di mettere in luce i resti di una via romana di direzione SO-NE, e dell'incrocio con un'altra via, che le è perpendicolare.

Alcuni sondaggi effettuati nel 1968 dalla Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale hanno messo in luce, nei pressi del Foro, i resti di fondazioni di un colossale edificio pubblico.


BIBLIO

- Roberto Bosi - Il libro degli Etruschi - Bompiani - Milano - 1983 -
- Santo Mazzarino - Le città etrusche e Roma - 1969 -
- Salvatore Pezzella - Gli Etruschi: testimonianze di civiltà - Firenze - Orior - 1989 -
- Antonia Rallo (a cura di) - Le donne in Etruria - L'Erma di Bretschneider - 1989 -- Raymond Bloch - Les Étrusques - Parigi - 1954 - in italiano Gli Etruschi - 1954 -
- Raymond Bloch - L'Art et la civilisation étrusques - 1955 -




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