CIVITALBA (Marche)



IL FRONTONE
Civitalba è il luogo del ritrovamento di un noto complesso di terrecotte architettoniche. Si trova in un'altura, nel comune di Sassoferrato, nelle Marche, tra Sassoferrato (l'antica Sentinum) e Arcevia, a circa 6 km a nord-est dell'antico municipio di Sentinum, nella pianura in cui sarebbe avvenuta la celebre battaglia del 295 a.. In epoca romana, secondo l'assetto augusteo, appartenne alla VI regio Umbra ed era collegata con Sena Gallica tramite la valle del Misa.



BATTAGLIA DI SENTINO

La battaglia del Sentino, detta anche delle nazioni, scoppiò nel 295 a.c., durante la III Guerra Sannitica, tra i romani e un'alleanza nemica composta da Etruschi, Sanniti, Galli Senoni ed Umbri.

I Romani avevano come alleati i soli Piceni, il che fa capire perchè si chiamò "Battaglia delle Nazioni dell'antichità": perchè parteciparono tutte le popolazioni (nazioni) del centro Italia contro Roma. Vinsero i romani che ottennero così il dominio dell'Italia centrale.
Da qui Roma iniziò a fondare diverse città nel territorio dei Senoni, a cominciare da Sena Gallica, Ariminum, Aesis, Firmium poi Sentinum. Il territorio dei Senoni divenne l' ager Gallicus, e i suoi terreni agricoli furono assegnati in piccoli lotti a cittadini romani.

Nonostante le successive incursioni nemiche, nel 191 a.c. , i Romani riuscirono a sottomettere definitivamente tutta la zona padana, e da allora gli stanziamenti romani poterono svilupparsi con più tranquillità.



BELLUM PERUSIUM

Nel corso del Bellum Perusinum (41 a.c.) Sentinum, che parteggiava per Antonio, fu presa e devastata da Salvidieno Rufo, del partito d’Ottaviano (Cassio Dione XLVIII, 13, 25; Appiano Bell. Civ. V, 30).

IL FRONTONE DI CIVITALBA (INGRANDIBILE)
La città fu rifatta completamente in epoca augustea: è identificata grazie a scavi archeologici che hanno portato alla luce resti d’edifici romani. E’ possibile che si tratti di una località diversa da quella della Sentinum repubblicana. Brizio, che alla fine dell’800 ha eseguito degli scavi sul colle di Civitalba, trovò non solo le terrecotte architettoniche, ma anche resti di mura da lui identificati come edifici di un abitato romano.

Dopo la battaglia del 295 a.c., la città umbra di Sentino rimase un vicus e probabilmente a conclusione della guerra sociale (90 a.c.) fu costruita più a valle e Civitalba rimase un oppidum.
Civitalba nel medioevo prese il nome di Cavalbo o Cavalalbo dove rimane il termine preromano mediterraneo d’Alba, da Alb, ovvero insediamento d’altura, secondo altri dalla Dea Alba, antica Leucotea (la Dea Bianca).



GLI SCAVI A CIVITALBA

Dalle notizie degli scavi pubblicati dall'archeologo Edoardo Brizio nel Luglio 1897 nella rivista Regione VI (Umbria) abbiamo delle importanti informazioni su quanto ritrovato nel sito di Civitalba in quel periodo:

Quasi a metà strada tra Sassoferrato ed Arcevia elavasi il colle detto Civita Alba dal nome di una città, che nei tempi antichi vi sorgeva sulla sommità irregolarmente pianeggiante.
Di questa città si riconosca ancora chiaramente tutto il perimetro delle mura, nascoste qua e là sotto folti boscaglie, e fatte a grossi ciottoloni ovoidali alternati con blocchi squadrati di travertino.
Delle mura si conservano qua e là tratti considerevoli; tutti gli anni però i lavori agricoli ne vanno distruggendo qualche parte.

IL FREGIO DI CIVITALBA (INGRANDIBILE)
Un’elevazione naturale, che domina il declivi pianoro, sembra costituisse l’Acropoli, la quale era alla sua volta cinta e difesa tutta attorno da validissime mura, anch' esse in gran parte ben conservate.
Gli stessi ciottoloni ovoidali servivano alla pavimentazione delle vie, una dalle quali, nel 1890, vidi scoperta per un tratto largo circa sette m. Sembra che attraversasse tutta la città perché la sua lunghezza superava i cento metri, e certo continuava anche, al di là, dei due estremi, dove ne fu allora constatata l'esistenza.

Le vie erano fiancheggiate da case, sul tipo di quelle pompeiane. Nel 1890 in un breve, saggio di scavo da me fatto si scoprì un cubicolo di tre metri per quattro, le, cui pareti, rivestite, d’intonaco dipinto, erano alto, in qualche punto ancora mezzo metro, ed il pavimento ad opus signinum era quasi intatto.

Resti di pavimento a mosaico tornano frequentemente alla luce in occasione di lavori agricoli; ma bene spesso l'aratro li rompe e disgrega. Spesso pure ritrovansi oggetti di bronzo e di altra materia, che dagli avidi ed ignoranti contadini, vengono, non appena trovati, per pochi soldi venduti. Ricordo fra questi un ansa di vaso in bronzo assai caratteristica, cioè simile a quella d’altro vaso, trovato nella ricca tomba gallica di Montefortino e di un secondo proveniente da S. Ginesio.

Nel giugno 1891, scavandosi un fosso per piantamento di viti, scoprirosi varie antichità, di cui ebbi notizia dall’ispettore degli scavi, cav. Anselmi. Fra questa erano: uno stile di bronzo, lungo m. 0,18 ; numerosi frammenti di antefisse ornate di fogliami, e tre grandi frammenti di lastre in terracotta con figure umane a rilievo, in mosse vivaci, ben modellate e dipinte.

Lo scorso anno poi, nel fare similmente uno scassato per piantamento di viti, furono scoperte anche due costruzioni murarie assai importanti. La prima era un condotto di oltre venti m, formato con grandi parallelepipedi di calcare, lunghi ciascuno da sessanta ad ottanta cm, nei quali è scavato un canale, largo circa m. 0,15 ed alto m. 0,25.



LA SCOPERTA DEI FREGI

Il Brizio nella sua relazione riporta i fatti dell’importante scoperta delle terrecotte di Civitalba:

Lo scorso autunno il colono di Civita Alba avea intrapreso, quasi nel mezzo del pianoro, uno scassato, largo circa tre m, e lungo cento, per piantarvi alberi e viti. Giunto alla profondità di un metro e mezzo appena, incontrò varie statuette di terra in frammenti, le quali, a quanto egli mi riferì, erano disposte, parte le une sopra le altre, parte in fila, ed occupavano una lunghezza di circa quattro m.

Alla mia richiesta so dappresso sorgeva qualche muro, rispose di aver notato una specie di stradello, che s'internava sotto le terre, ch’ egli però non credé di seguire. Al di qua ed al di là dei quattro m, ov' erano radunate le statuette, o per quanto era largo il fosso, non ritrovò nessun altro oggetto, non frammenti di tegole, nè di antefisse.

E siccome il giorno avanti io avea osservato nella casa del parroco D. Severini parecchi avanzi di antefisse e di fregi con ovoli, così il colono mi assicurò di aver rinvenuti questi più volte, circa un ottanta. metri, in altra parte del campo, mi condusse, sul sito. E fu convinto ch' egli diceva il vero, perché fra la zolle, smosse da poco, vidi ancora parecchie di quelle terrecotte con rilievi di palmette, simili a quelle posseduto dal parroco.

Per conseguenza non soltanto nel sito, dove eransi trovate le statuette ma anche la dove, furono raccolte le palmette ed i fregi, d' ovoli, dove sorgere qualche cospicuo edificio. La necessità di eseguire esplorazioni vaste e regolari diventa sempre più urgente e giustificata. Pertanto col parroco D. Severini ripresi subito le trattative per, gli scavi, che questa volta, ho fondata speranza, riusciranno a buon fine.

Le statuette scoperte dal colono furono in seguito trasportate alla parrocchia della Costa, circa sei km da Alba. Ivi le osservai la prima volta il 26 febbraio ultimo, e quantunque ne avessi riconosciuto subito l'eccezionale importanza artistica, non potei però farmi un' idea esatta del soggetto che rappresentavano, sopratutto perché di parecchie figure non si erano ancora trovati i pezzi combacianti fra loro.

Da un primo e fuggevole esame avea soltanto potuto comprendere che le statue si doveano dividere in due serie: la prima con figura alta. in, media m. 0,65, rappresentanti una scena del cielo bacchico; la seconda con figure alte appena m. 0,45 che componevano un fregio rappresentante combattimenti contro guerrieri Galli.

Diedi perciò le opportuno disposizioni. affinché fossero, ricercati: e riuniti i pezzi di tutte le statue, per poterlo provvisoriamente ricomporre, ed in seguito fotografare. Ed affidai questo preliminare e difficile incarico ad un impiegato intelligente del museo, al sig. Luciano Proni, il quale in un tempo assai breve eseguì un lavoro per ogni rispetto soddisfacente.

Perché non solo riuscì a ritrovare di quasi tutta le statue i pezzi più importanti, ma a determinare altresì il posto speciale che occupavano la singolo figure, ed i rapporti in cui si trovavano fra loro, formando in questo modo coi frammenti delle statue grandi tre gruppi, due simili fra loro, ed un terzo totalmente diverso da essi quantunque spettante alla medesima serie.

Anche delle statue piccole furono riconosciuti qua e là alcuni pezzi nuovi: ma finora non si poterono determinare le reciproche posizioni, nè i rapporti in cui si trovavano fra loro le diverse figure”.


PARTE DEL FREGIO

I RESTI ANCORA SOTTERRATI

I contadini divelsero i pezzi che impedivano la continuazione del lavoro, e li, trasportarono ed ammucchiarono presso la casa colonica, dove li ho visti. Ma parecchi ne rimangono ancora sotterra, che verranno regolarmente scoperti nella prossima estate, per conoscere la direzione e l' uso del condotto.

La seconda costruzione è una fornace, apparsa a poca distanza dal lato occidentale delle mura; ad è sul tipo delle fornaci romano per terrecotte, scoperte ad Heddernheim presso Francoforte sul Reno, a Nocera umbra ed altrove. Tutti gl' indicati avanzi di mura, di strade, di edifizi, di costruzioni murarie, ed i trovamenti frequenti di piccoli oggetti non lasciano dubbio che a Civita Alba esisteva un' antica ed estesa città. Il vocabolo stesso di Civita lo conferma.

Ma il suo vero e primitivo nome non è conosciuto, perché nè alcuno antico scrittore parla di quella città, nè alcuna iscrizione vi fu ancora scoperta. Il Brandimarte, che trattò di questo argomento nel suo Piceno Annonario volsi riconoscervi l' Alba ricordata da Procopio e da Appiano. Ma i luoghi di questi autori, su cui egli appoggia la sua congettura, non gli danno ragione, perché tanto i primi quanto i secondi si riferiscono ad Alba Fucense. 

Con ciò però non si toglie, anzi rimane sempre molto probabile, che la città, costruita fra Arcevia e Sassoferrato, potesse chiamarsi Alba, come molta altre città d'Italia e della Gallia. Deve escludersi tuttavia che di essa si trovi menzione, negli antichi scrittori. Dall’esame delle ruine, dalla sua posizione sopra un colle e dai trovamenti fatti fuora, si. può soltanto affermare che. quella città esisteva anteriormente all' anno 295 a.c. quando i Romani nell' agro sentinate vinsero i Sanniti ed i Galli uniti insieme,e che, certo essa non é di fondazione romana.

Trovasi difatti in mezzo ai monti, sopra un’altura, mentre i Romani quando conquistarono e colonizzarono quella regione dell' antico Piceno furono soliti costruire le città in piano, e presso corsi di acqua,come dimostrano gli avanzi romani di Sentino, di Ostra, di Suasa ecc. Ma il tempo infine a cui la città rimase in piedi, e fu abitata, è ancora sconosciuto, quantunque già sia molto significativo il fatto che finora non vi si è trovata alcuna lapide romana. Ma su questo punto. ancora così oscuro, soltanto scavi regolari ed ampi potranno gettar luce.

Perciò già da molto tempo io avea concepito l' idea di eseguire esplorazioni metodiche in quel sito. E siccome una vasta zona del suolo di Civita Alba appartiene alla parrocchia detta della Costa presso Arcevia, così un dal 1890 avea iniziato col parroco di quel benefizio, D. Pacifico Severini, la pratiche necessarie per eseguire gli scavi.

Questo però non ebbero allora esito felice, per difficoltà di vario genere. D'altra parte in quell' anno e nei susseguenti avvennero in altre località delle Marche, a Sassoferrato, Numana, Novilara, Castel Trosino, varie ed importanti scoperte archeologiche, che richiesero tutte le cure del Governo.

Perciò gli scavi di Civita Alba furono sempre di anno in anno, e fin ad ora, differiti. Ma talune scoperte casuali e di eccezionale importanza avvenuto di recente in quell'antica città, delle quali debbo pure la notizia al benemerito cav. Anselmi, mi hanno persuaso della necessità di non indugiare più oltre ad iniziare i progettati lavori."

(EDOARDO BRIZIO)

FRONTONE TEMPIO DI TALAMONE - 7 CONTRO TEBE


TEMPIO DI CIVITALBA

Museo Archeologico Nazionale delle Marche di Ancona

A Civitalba, nella valle tra i fiumi Misa ed Esino, tra Arcevia e Sassoferrato, sorge l’area archeologica presso cui è stato rinvenuto un eccezionale complesso di terrecotte architettoniche. Parti del fregio e del frontone, conservati in frammenti, sono databili alla prima metà del II sec. a.c. e appartenevano probabilmente ad un tempio etrusco italico di tradizione ellenistica che faceva parte di un santuario d’altura.

Le scene rappresentate, anche se di difficile lettura hanno comunque permesso di riconoscere una scena di saccheggio del santuario da parte dei Galli e raffigurazioni di Dioniso con satiri, menadi, amori, venti e varie divinità alla scoperta di Arianna dormiente. Lo scopo di questa scelta iconografica era naturalmente quello di fornire un prestigioso riferimento storico alle vicende belliche che avevano segnato la zona un secolo prima.

Dopo essere stato esposto al Museo Civico di Bologna, il complesso di terracotte architettoniche è stato trasferito al Museo Nazionale delle Marche di Ancona dove si trova tuttora.



LA STORIA

Il tempio di Civitalba sorgeva su un colle che sovrastava la piana di Sentinum dove, all’indomani del sacco gallico di Roma del 373 a.c., aveva avuto luogo la storica battaglia vinta dai Romani contro la coalizione di Galli Senoni, Etruschi, Umbri e Sanniti nel 295 a.c.

STRADA ROMANA PRESSO CIVITALBA
A questo episodio, cui seguì la romanizzazione del territorio fino ad allora controllato dai Galli, allude la narrazione del fregio del tempio, dove è raffigurato ad altorilievo lo scontro tra divinità e gruppi di guerrieri, chiaramente riconoscibili come Celti per le loro caratteristiche acconciature (capelli lunghi con creste sollevate, baffi spioventi), gli abiti e le armi (tuniche di pelliccia, scudi quadrangolari oblunghi).

Nella sequenza, dominata dall’intenso dinamismo dei personaggi, impegnati nella lotta o nella fuga, è evidente la disfatta dei Celti che battono ormai in ritirata abbandonando il bottino appena trafugato, travolgendo con il carro i loro stessi compagni e soccombendo infine alla furia delle divinità.

Nella rappresentazione viene identificata la narrazione del mancato saccheggio del santuario di Delfi da parte dei Galli nel 279 a.c., difeso – stando alle fonti - da Apollo e le “vergini bianche”, da Artemide e Athena Pronaia e dagli eroi miracolosamente risorti, tra cui era Pirro-Neottolemo, figlio di Achille, sepolto nello stesso santuario. 

Durante la notte Pan avrebbe assalito con il sacro terrore, il panico, le schiere dei Celti. Il fregio di Civitalba equipara dunque le grandi vittorie sui Galati, celebrate dai sovrani Attalidi, alla vittoria sui Celti avvenuta in suolo italico, conferendole in tal modo un’aura mitica.

Nel frontone del tempio una scena realizzata ad altissimo rilievo ospitava una rappresentazione dionisiaca, dove satiri e ninfe dormienti sono sapientemente disposti in un contesto campestre, e circondano un gruppo centrale, purtroppo perduto, dove forse era narrata la scena del risveglio di Dionysos Lyknites sul monte Parnaso o, secondo altri, la ierogamia di Dioniso e Arianna. 

Il culto di Dioniso a Delfi, già attestato dalla rappresentazione del Dio nel frontone occidentale del tempio del IV sec. a.c., venne ulteriormente rinvigorito dalla celebrazione della dinastia pergamena degli attalidi, che a Dioniso facevano risalire la propria dinastia. E alla tradizione della grande arte pergamena sono riconducibili sia lo stile, sia numerosi modelli iconografici presenti sia nel frontone, sia nel fregio del tempio di Civitalba. 

La scena del frontone si ricollega così alla narrazione del fregio, in un coerente insieme unitario, che fa riferimento al contesto santuariale delfico ed esalta la figura di Dioniso quale divinità affiancata Apollo.

DETTAGLIO DEL FREGIO DI CIVITALBA

LE CELEBRAZIONI DELLE VITTORIE ROMANE SUI GALLI

Sembra che risalga agli inizi del II secolo a.c., vale a dire alla fine della guerra gallica, la famosa illustrazione dei Celti sconfitti, contenuta nel fregio fittile ritrovata a Civitalba.
Si pensa che tale frontone fosse destinato ad un tempio eretto nel territorio di Sentinum, a ricordo della battaglia del 295 a.c., ricordo voluto da Roma per la celebrazione delle vittorie sui Galli.

Primo perchè i romani sapevano apprezzare un capolavoro da qualsiasi parte provenisse, secondo perchè la vittoria sui galli era la più ambita in assoluto, visto il Metus Gallicus, il timor panico che ancora invadeva i romani al ricordo delle invasioni galliche a Roma, Metus che durò fino a quando Gaio Giulio Cesare pose fine a questo timore sconfiggendo irreversibilmente tutti i territori gallici del nord di Roma.

In questo programma celebrativo, in cui sicuramente rientrava l'erezione di monumenti nella stessa Roma, sarebbe incluso anche il tempio di Talamone, di cui rimane il frontone raffigurante un episodio bellico del mito dei sette contro Tebe, evidenziando perciò il rapporto tra questa battaglia e quella combattuta a Talamone nel 225 a.c. tra Romani e Galli. D'altronde non c'è da meravigliarsi, visto che ancora in età augustea le porte eburnee del Tempio di Apollo Palatino erano decorate con rilievi raffiguranti la cacciata dei Galli dal Parnaso (Prop., 28, 17).
Del tempio di Civitalba non conosciamo altro, poichè ne rimane soltanto un frontone e frammenti del fregio, entrambi in terracotta, recuperati nel 1897 da Edoardo Brizio, secondo cui resti furono rinvenuti in uno dei cinque vani della fornace e alcuni si trovavano “parte l’una sopra le altre, parte in fila” in un’area di circa quattro metri di lunghezza.

Le terrecotte, prive di colori, erano disposte in modo molto ordinato, il che conferma che dato il legame dall'evento rappresentato all’evento storico di Sentino, dovessero essere ricollocate in un edificio locale.

Esse con molta probabilità sono state prodotte nella fornace di Civitalba, poi immagazzinate in un deposito nell’attesa di essere collocate in un tempio per celebrare la vittoria dei Romani nella battaglia di Sentino. Le terrecotte non furono mai messe in opera forse a causa di un incendio della fornace come lascia pensare le tracce di cenere rinvenute in mezzo ai materiali decorativi.

L'ispirazione a Pergamo del complesso di terrecotte è riconosciuta in pieno dagli studiosi, ma tanto alla descrizione di due secoli dopo, di Tito Livio. Colpisce soprattutto il capo celtico in corsa sul suo carro che si richiama alla carica dei guerrieri Galli contro la cavalleria delle legioni Romane.

GALATA MORENTE
Il complesso di terrecotte, fissate con chiodi alla parete d'appoggio, ci rimanda anche a una descrizione di Diodoro Siculo: lunghi capelli e baffi spioventi, alcuni completamente nudi, con una collana rigida (torques) al collo e una cintura sui fianchi, da cui pendeva la spada. Si difendono con uno scudo nella sinistra e tengono la spada con la destra. Altri hanno un corto mantello sulle spalle oppure una corta tunica che lascia scoperta una spalla. Uno di loro ha, sotto il mantello, una corta tunica di pelle d'animale, stretta alla vita da una cintura.

I Galli hanno saccheggiato un santuario, ma a difenderlo sono accorsi divinità ed eroi. I Galli tentano di difendersi e sfuggono terrorizzati, mentre il bottino (patere e brocche in metallo prezioso) è in gran parte caduto a terra; il capo dei Galli fugge su un carro trainato da due cavalli, travolgendo un altro guerriero caduto.

La rappresentazione del saccheggio del santuario d’Apollo a Delfi unisce Pergamo a Roma ed a Civitalba, mediante la celebrazione delle vittorie sui Celti. Occorre ricordare che già all'inizio del III sec. a.c. un'altra invasione celtica irruppe nella penisola balcanica, arrivò in Grecia e minacciò uno dei suoi maggiori santuari, Delfi. Da lì Celti dilagarono nell'Asia Minore con rapine, saccheggi e pretese di pagamenti di tributi- o riscatti, che minacciarono continuamente i regni ellenistici nati dallo sgretolamento dell'impero macedone d’Alessandro Magno.

Solo nella seconda metà del III sec. a.c.: Attalo I, divenuto re di Pergamo nel 241 a.c., rifiutò di pagare ai Celti i tributi abituali e scese in guerra contro di loro vincendoli nel 230 a.c.. La battaglia finale avvenne in una regione interna dell’Asia Minore, che, dal nome dato ai Celti dai Greci, si chiamò Galatia.

A queste vittorie furono dedicati monumenti celebrativi a Pergamo, ad Atene, a Delfi, con cui Attalo I divenne il difensore della civiltà greca contro la barbarie, simili alle antiche lotte dei Greci del V sec. a.c. contro i Persiani. A questi modelli s’ispirarono appunto gli artigiani che lavorarono al fregio di Civitalba: anche Roma, dopo Atene e Pergamo, diveniva come il campione della civiltà contro la barbarie.

Del gruppo di sculture di bronzo innalzato sull'acropoli di Pergamo da Attalo I nel santuario d’Atena, rimangono le celebri copie di marmo rinvenute a Roma e conosciute come il «Gallo suicida con la moglie» e il «Gallo morente».

Nella prima è raffigurato un Gallo che, dopo aver ucciso la moglie, di cui con la sinistra regge il corpo inerte, sta per trafiggersi il petto con la spada, per non cadere schiavo nelle mani del nemico. Nella seconda, invece, un guerriero ferito mortalmente è accasciato a terra, sul proprio scudo. Entrambi sono nudi, ma mentre il Gallo suicida ha sulle spalle un corto mantello, il Gallo morente porta al collo l'ornamento tipico dei guerrieri celtici, il torques.

I GALLI

I SACRI MISTERI

Il frontone costituisce, insieme a quello di Talamone, uno dei rarissimi esemplari superstiti di frontone interamente chiuso in ambito etrusco-italico. M. Zuffa, a seguito di un restauro effettuato nel corso degli anni '50, optava per il ritrovamento di Arianna a Nasso. In favore di un frontone unico, costruito sulla giustapposizione dei due gruppi antitetici, raffiguranti Arianna ed Ermafrodito è F. Massa-Pairault.

Il tema è stato comunque concordemente interpretato in chiave dionisiaca: al centro, dove si registra una grande lacuna, vi sarebbe l'apoteosi di Dioniso e Arianna, esaltata dalla presenza, sul fondo, del grande velo sollevato da demoni femminili alati, mentre altri personaggi, satiri, tedofori e menadi, accompagnano gli episodi laterali col ritrovamento dei Arianna dormiente.

Difficile inquadrare questa iconografia nella complessa situazione politica nell'affare dei Baccanali, verificatosi nel 186 a.c. in cui venne messa al bando la religione dionisiaca, almeno nei suoi risvolti misterici, a cui il frontone sembra alludere. Come era accaduto in Grecia Dioniso venne cacciato ma infine venne riaccolto. Non accade lo stesso nel suolo italico.

Sulla cronologia delle lastre vi sono divergenze: 
Marco Verzar Bass ritiene che la data della costruzione del tempio, fosse immediatamente successiva al 191 a.c., anno del trionfo sui Boi di P. Cornelio Scipione Nasica.
Massa-Pairault, 1985), verso il 150 a.c..  In età romana, nel territorio arceviese vi sono pochi municipi ma molti insediamenti rurali, tra cui:
- in località Cone (Montale di Arcevia) è stata scavata una villa rustica in uso dal I al IV sec. a.c.; - nella zona di Nidastore sono state individuate, oltre ad abitati e sepolture, fornaci per la produzione ceramica;
- a Piticchio, a 80 m. dalle mura castellane, negli anni Trenta del XX sec. fu rinvenuta, durante alcuni scavi, una fistula aquaria formata da tubi in cotto, che probabilmente serviva a portare acqua al castello da una sorgente già utilizzata in età romana.

LUCERNE DA CONE DI ARCEVIA
- Un insediamento romano di età imperiale con tombe è stato individuato anche a S. Pietro in Musio.
- a S. Stefano è stato trovato un tesoretto di monete di età tardo repubblicana.
- ritrovato un Cippo Militare, proveniente dal territorio comunale, dedicato agli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano, e riferibile agli anni 367-375 d.c. Il miliare attesterebbe il passaggio nell’area di un diverticulum della via Flaminia che passando per Sentinum doveva dirigersi verso Senigallia, fondata nel 283 a.c. alle foci del fiume Misa, il gallico Sena.

In contrada Civitalba, su di un poggio tagliato quasi a metà dal confine tra i comuni di Arcevia e Sassoferrato, sorse un abitato romano documentato nel II sec. a.c.  Secondo il Brizio, che qui effettuò una campagna di scavi negli anni 1897-98 e seguenti, l’abitato fu in origine un centro gallico assai importante preesistente alla battaglia di Sentino del 295 a.c.

L’archeologo individuò resti di muri di case romane, una strada lunga più di cento metri e le mura di cinta, ancora visibili in alcuni punti, formate da “ciottoli ovoidali alternati con blocchi quadrati di travertino” ed una fornace per la cottura della ceramica, di età romana.  Nella collezione Anselmi di Arcevia era conservato un album di disegni riguardanti Civitalba, eseguiti nel XVI sec. dal grande  pittore paesaggista e botanico Gherardo Cybo.

Insomma una vittoria romana sui Galli unita a un riconoscimento di arte italica. Tutto ciò che è italico e oltre diventa romano, purchè la fama non superi mai la gloria romana, chiamata dagli Dei a governare il mondo.


BIBLIO

- Nereo Alfieri - Scritti di topografia antica sulle Marche - a cura di Gianfranco Paci - Ed.Tipigraf - 2000 -
- Mario Luni - Archeologia nelle Marche - 2003 -
- M. Landolfi - Scavi e ricerche nelle Marche - Urbino 1992 -
- Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari - I tempi dell'arte - volume 1 - Bompiani - Milano - 1999 -






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