MEGALENSIA (4-10 aprile)



SANTUARIO RUPESTRE DI CIBELE - SIRACUSA
Le Megalensia erano le feste romane in onore della Grande Madre Cibele, e coincidevano con l'arrivo della statua della Dea portata a Roma sul Palatino, da Pessinunte nella Frigia, nel 204 a.c. durante la II guerra punica per la protezione contro Annibale.

Vengono citati come i primi giochi dopo la lunga pausa invernale, non dimentichiamo che si svolgevano sempre all'aperto, per cui il clima impervio e la pioggia impedivano i giochi d'inverno, o almeno con poche eccezioni. I Ludi erano organizzati per l'occasione dagli edili curuli, poi Augusto ne trasferì la cura al pretore urbano. Le Feste Megalesie restarono fino agli ultimi anni dell'impero.

Complessivamente i ludi dati in giorni fissi, al tempo di Cesare, occupavano ben 65 giorni dell'anno; ma nel. IV sec. il popolo romano impiegava nell'assistere ai giochi ben 175 giorni, cioè poco meno della metà dell'intero anno. Da qui si comprende perchè i romani per metà dell'anno fossero in Feriae, cioè non lavorassero. Beati loro.
Mentre in campagna si lavorava tutto l'anno, in città si lavorava poco, per questo vivere a Roma costava molto, anche perchè era facile trovare lavoro e ci si divertiva molto.

MEGALESIA

IL MITO

Cibele, la Grande Madre (Matrix Magnae), era la Dea della natura, degli animali e dei luoghi selvatici. Il centro principale del suo culto era Pessinunte, nella Frigia, da cui attraverso la Lidia passò nel VII secolo a.c. nelle colonie greche dell'Asia Minore e successivamente nel continente.

Collegato al culto era il giovane Dio Attis, suo figlio, poi da adulto suo amante e paredro, che in seguito si innamorò di una ninfa. Durante il banchetto nuziale Cibele, per vendetta, fece impazzire il giovane che, fuggito sui monti, si uccise evirandosi. Addolorata per la morte di Attis, Cibele chiese a Zeus di riportarlo in vita, così il Dio resuscitò dopo tre giorni; altre versioni riportano che fu invece trasformato in un abete (simbolo di vita eterna). Si può capire da quale mito venne presa la morte e resurrezione di Gesù Cristo dopo tre giorni all'equinozio di primavera.

Poi Attis resuscitò in primavera venendo assiso in cielo accanto alla Dea. Era l'antico mito in cui il Dio vegetazione muore al solstizio d'inverno risorgendo all'equinozio di primavera, nell'eterno ciclo della natura (la Dea Madre). In genere Cibele e Attis  vengono raffigurati sul carro divino trainato da leoni in un corteo trionfale.

RAPPRESENTAZIONE DEL TEMPIO DI CIBELE IN UN BASSORILIEVO CUSTODITO A VILLA MEDICI

L'ACCOGLIENZA

Erano stati i Libri Sibillini, consultati e interpretati, a suggerire la protezione dell'antica Dea mediterranea, la Magna Mater di cui c'era un importante tempio a Pessinunte, nel nord dell’Asia Minore, detta anche "La Pietra Nera". I Sibillini avevano suggerito di rivolgersi "all'Antica Madre" per salvare Roma da Annibale.

Il Tempio per accogliere la Magna Mater o di Cibele (Aedes Matris Magnae) fu edificato sul colle Palatino a partire dal 204 a.c. e venne terminato, e pertanto inaugurato, l’11 aprile del 191 a.c. Per la celebrazione venne dato l'avvio ai Ludi Megalensi, di cui scrissero Terenzio e Plauto.

Tito Livio:
"Perché l'oracolo aveva ordinato che la dea dovesse essere ricevuta e consacrata dal miglior uomo, fu ricevuta da Publio [Cornelius] Scipione Nasica (figlio di Gneo, che era morto in Spagna), giudicato dal Senato come il miglior uomo, anche se era giovane e non non era ancora stato eletto questore."


CIBELE ED ATTIS
Una delegazione romana partì dal Senato e si recò al tempio della Dea e ne imbarcò il simulacro su una nave per essere trasferita a Roma:  "Fu la nobile matrona di Roma, Claudia Quinta, che personalmente diede il benvenuto al seguito di Cibele a Ostia, tirando la nave con la sua virtuosa forza, un episodio considerato allora come un segno miracoloso di destino favorevole"

Il nuovo tempio venne costruito al centro tra la Domus Tiberiana e la Casa Romuli, nelle vicinanze della Domus Augustana e un'immagine figurativa della Dea, fu ritrovata senza testa nelle vicinanze del Tempio a lei dedicato, conservata oggi nel Museo Palatino.  In più venne ritrovata un'iscrizione che doveva sorgere sul lato destro della facciata: M(ater) D(eum) M(agna) I(daea).

Esiste anche una raffigurazione dell'edificio in un rilievo dell'età di Claudio, murato nella facciata posteriore di Villa Medici, dove il tempio è raffigurato corinzio e esastilo, con alta scalinata; senza colonne sui lati.

La celebrazione abituale dei Megalesia, tuttavia, non cominciò fino a dodici anni più tardi (191 a.c.), quando il tempio della Magna Mater, (Aedes Matris Magnae) situato sul colle Palatino, fatto costruire nel 203 a.c., fu completato e dedicato dal pretore Marco Giunio Bruto, anche se da un altro passo di Livio sembra che i Megalesia fossero già celebrati nel 193 a.c.

RESTI DEL TEMPIO DI CIBELE

CIBELE

Le Megalesia fecero parte degli antichi Magni Circenses, dedicati ad un'antica divinità anatolica, venerata come Grande Madre Idea, dal monte Ida presso Troia, Dea della natura, degli animali (potnia theron) e dei luoghi selvaggi.

La pietra nera di Cibele fu dunque portata a Roma da Pessinunte nel 204 a.c., quando venne introdotto a Roma il Culto della Magna Mater, e il giorno del suo arrivo una grande processione ebbe luogo dal punto dell'approdo della nave fino al Campidoglio. 

Era l'anno in cui si giocavano i destini di Roma e di Cartagine. In quell'anno infatti Scipione ottenne la carica di proconsole in Africa, potendo finalmente portare avanti il progetto che aveva in mente già dagli anni delle campagne in Spagna: portare la guerra contro Cartagine sul suo stesso suolo, in Africa.

La celebrazione abituale del Megalesia, tuttavia, non cominciò fino a dodici anni più tardi (191 a.c.), quando il tempio della Magna Mater, fatto costruire nel 203 a.c., fu completato e dedicato dal pretore Marco Giunio Bruto. Anche se da un altro passo di Livio sembra che i Megalesia fossero già celebrati nel 193 a.c.



LA GUERRA

Nel 193 a.c. il re berbero Massinissa occupò Emporia e il Senato romano inviò a Cartagine una delegazione per tranquillizzarla, ma Catone, che fa parte della spedizione, porta con sè un cesto di fichi cartaginesi e li mostra ancora freschi al senato, per far comprendere quanto Cartagine fosse pericolosamente vicina. Risuona il "Carthago delenda est".

La guerra è ancora una volta all'orizzonte. Per propiziarsi la Dea i romani indicono ancora i Magni Circenses Megalesi. Grande paura, grandi giochi.

Per fare le cose alla grande, mentre prima gli spettatori assistevano in piedi allo spettacolo, vennero in questa occasione disposti sedili per la comodità degli  spettatori. Anche perchè fecero protrarre la cerimonia fino a sera. Durante i giochi passavano i commercianti con vino annacquato, cibo precotto, frutta, dolci e cuscini.

CIBELE - ATTIS

L'ABITO DA CERIMONIA MEGALENSIA

"Effugiatque togam": la toga era l'abito delle occasioni ufficiali, ed era obbligatoria per i cittadini agli spettacoli (cfr. Mart. 2, 29, 4; Suet. Aug. 40, 5; HA Comm. 16, 6; Friedlânder 1922, 2, 9), a causa della loro natura di spettacoli pubblici, presieduti da magistrati e spesso, come nel caso dei Megalensia, di matrice religiosa. Pur essendo un simbolo della cittadinanza romana e associata all'orgoglio nazionale (Verg. A. I, 282) la toga poteva risultare scomoda, in particolare nella bella stagione, quando teneva troppo caldo.

Giovenale (3, 171-81) critica l'obbligatorietà della toga nell'etichetta della vita sociale della città di Roma contrapponendola alla maggiore libertà di comportamento in città più piccole:
- pars magna Italiae est, si verum admittimus, in qua
nemo togam sumit nisi mortuus...
hic ultra vires habitus nitor, hic aliquid plus
quam satis est interdum aliena sumitur arca.

La stessa contrapposizione è implicita nella Lode di Marziale dei costumi della nativa Spagna, dove la toga sarebbe ignota: 1, 49, 31; 12, 18, 17 (indirizzato a Giovenale); l'antipatia per la toga, pesante e difficile da pulire, appare anche a 3, 4, 6; IO, 47, 5; Sen. Ep. 18, 2; Plin. Ep. 7, 3, 2; Tert. Pall. 5. Fare a meno della toga significa quindi nello stesso tempo rimanere vestiti con abiti comodi e rinunciare alle vuote formalità della vita sociale.

Ma il rifiuto di presenziare agli spettacoli del circo è una posa intellettuale diffusa nella cultura romana pagana, prima della rabbiosa condanna di ogni tipo di spettacolo da parte di Tertulliano; cfr. Cic. Off. 2, 57  "haec pueris et mulierculis et servis et servorum simillimis liberis esse grata, gravi vero homini et ea, quae fiunt, iudicio certo ponderanti probari posse nullo modo"  De Or. 1, 24; Plin. Ep. 9, 6. 1 ecc.

Non perchè spesso gli spettacoli da circo fossero crudeli e sanguinosi, ma perchè gli intellettuali erano un po' snob. Ma neppure Tertulliano non li condanna per la crudeltà ma perchè sono spettacoli stupidi, specie quelli del teatro che sono "spettacoli per bambini, donnicciole, schiavi, servi, ma non per veri uomini" (da notare che a volte gli schiavi erano istruitissimi).

Ma nonostante gli snobismi alle Mengalesia partecipavano tutti, sarebbe stato come per un americano non onorare la Festa dell'Indipendenza, un buon romano doveva necessariamente parteciparvi e indossare la toga. D'altronde lo faceva anche l'imperatore. Anzi i magistrati dovevano indossare la tonaca viola (o con le strisce viola), e guarda caso anche il prete cattolico alla morte del Cristo nei tre giorni prima della resurrezione portano la stola viola.

TORO SACRIFICALE PORTATO AL TEMPIO DELLA MAGNA MATER

I LUDI

Alla dedica del tempio si inaugurarono i Ludi Megalensi, dal greco Megale, un nome della Dea che significa Madre, celebrati con spettacoli teatrali per i quali scrissero alcune delle loro migliori opere Plauto e Terenzio.

Ovidio - I Ludi Megalensi:

Che il cielo giri per tre volte sul suo asse,
che il Sole tre volte aggioghi e lasci andare i suoi cavalli,
e quando il flauto Berecinto inizierà a suonare
il suo corno ricurvo, sarà la festa della Mater Idaea.
Gli Eunuchi sfileranno, e suoneranno i tamburi,
e i cembali batteranno con i cembali, con toni sonori:
seduta sui colli morbidi dei suoi servitori, essa verrà condotta
tra le urla per le vie della città.
La scenario è ultimato: i giochi stanno chiamando. Guardate, poi,
o Romani, e lasciate che le cause legali cessino nelle piazze.
Vorrei chiedere molte cose, ma sono impaurito
dal battito stridulo del bronzo e dal terribile ronzio del flauto curvo.
"Dammi qualcuno a cui chiedere, o dea."
Cibele, che sorvegliando le sue dotti nipoti, le Muse, ordinò loro di prendersi cura di me.
“I Bambini a balia dell’Elicona, memore dei suoi ordini, rivelano
il perché la Grande Dea provi piacere nel rumore continuo.”
Così parlai.





LE CORSE DEI CAVALLI

I Ludi Megalenses prevedevano anzitutto delle rappresentazioni teatrali che avevano luogo nell'area antistante il tempio di Cibele e ai quali si assisteva dalle gradinate dell'edificio. Sia Plauto che Terenzio produssero loro opere per questa occasione. Accorrevano da tutto l'impero per assistere al grande evento.

Infatti la parte più attesa della festa erano le corse di cavalli nel Circo Massimo. I dodici carceres, la struttura di partenza che si trovava sul lato corto rettilineo verso il Tevere, disposti obliquamente per permettere l'allineamento alla partenza, erano dotati di un meccanismo che ne permetteva l'apertura simultanea per cui ne uscivano dodici carri a velocità folle.

Iniziata la corsa, i carri potevano spostarsi liberamente per la pista per cercare di sabotare gli avversari spingendoli contro le "spinae", dei pilastri tenuti fra loro da muretti dove sulla loro sommità venivano poste le "uova", grossi segnali simili ai "delfini" delle corse greche, che venivano fatti cadere in una canaletta di acqua che scorreva al centro della spina per segnalare il numero di giri che mancavano alla fine della gara.

La spina divenne sempre più elaborata, decorata con colonne, statue e obelischi si che gli spettatori spesso non potevano seguire i carri quando si trovavano dal lato opposto, ma ciò aumentava l'emozione. Ai due capi della spina si trovavano le due curve del percorso, le metae, dove spesso avvenivano spettacolari collisioni tra i carri. Gli incidenti che provocavano la distruzione dei carri e gravi infortuni a cavalli ed aurighi erano chiamati naufragia, come il naufragio delle navi.

Naturalmente non mancavano gli incidenti tra gli spettatori che tifavano per questo o quel fantino. L'auriga del carro vincitore veniva poi osannato e portato in un virtuale trionfo dai suoi numerosi fans. Oltre a tutto le corse erano occasione di molte scommesse, oculate e non, perfino le vestali partecipavano ai ludi dove potevano abbandonare il solito contegno con gesti ed urla poco sacerdotali.

"E intanto intorno al circo gravitavano maghi ed astrologhi che promettevano all’incauto spettatore di predire il nome dell’auriga vincente" (Cicerone, De divinatione, 1, 132).
I carri in gara potevano essere trainati da due cavalli, bighe, o da quattro cavalli, le quadrighe, e queste ultime erano le più importanti, ma anche le più difficili da guidare. In rari casi, con auriga eccezionali, si era giunti ad impiegare fino a dieci cavalli, esercizio che non migliorava la scenicità della corsa ma evidenziava solo la bravura dei conducenti.

Gli aurighi, per i frequenti incidenti, indossavano un caschetto ed altre protezioni per il corpo e si legavano le redini attorno alla vita per non perderle. Però in caso di incidente, finivano per questo trascinati dai cavalli attorno alla pista rimanendone uccisi se non riuscivano a liberarsi. per questo, cioè per tagliare le redini erano muniti anche di coltello.

"Per i Romani il Circo Massimo è insieme tempio e casa, luogo di riunione e realizzazione dei desideri. Si ammassano nelle piazze, agli incroci, nelle strade, e discutono animatamente di questo o quel partito. Quando arriva finalmente il giorno delle corse tutti si affrettano verso il circo, prima ancora che sorga il sole e corrono a grande velocità come se volessero gareggiare con i carri. Molti passano le notti senza chiudere occhio, pieni di ansia per il risultato delle corse" (Ammiano Marcellino, Res Gestae, 28, 4, 29-31).





IL RINGRAZIAMENTO

Seguiva, come ringraziamento alla Dea per la sua protezione su Roma, una processione con musica e canti che si snodava per le vie dell'urbe con sacerdoti e popolo che si univa festante agitando ghirlande e nastri che venivano poi posti nel tempio della Dea Cibele. Poi ognuno tornava a casa per la festa serale: quella del Moretum.



IL MORETUM

Il tripudio durava fino a sera, perchè la conclusione della festa consisteva nell'offerta sacra di un piatto di erbe chiamato “moretum”.  In realtà il moretum in origine era un piatto di erbe amare e selvatiche, ripassate con olio e aglio, piuttosto usato dai contadini romani le cui donne le reperivano nei boschi.

CIBELE ROMANA
Poi divenne una specie di «agliata», una focaccia a base di formaggio, tanto aglio e tanta ruta. Era il ritorno alla vita primitiva quando si offriva un po' di questa erba amara alle divinità del luogo, in genere alle ninfe.

La focaccia però divenne un'offerta rituale fatta dai sacerdoti che ne benedivano un grosso quantitativo che veniva poi spezzettato e distribuito tra il pubblico, ma occorrevano i Vigiles per evitare gli incidenti della calca.

Per evitare questi incidenti si stabilì che il Moretum diventasse una cosa privata, mentre le focacce benedette le dividevano i sacerdoti tra loro. Così venne l'usanza del Moretum serale offerto in famiglia, ma qui seguirono le “invitationes”, cioè l'invito reciproco dei romani ai banchetti serali, in cui si offriva oltre al Moretum ogni ben di Dio in cibo e vino.

Sembra che l'invito venisse esteso anche a qualche povero, ovvero a qualche plebeo, ma in seguito divenne un invito ai plebei ricchi e influenti. Il numero degli invitati faceva capire le possibilità dell'ospitante, per cui il convito serale si faceva nel giardino antistante la domus, si che dai cancelli si poteva guardare con invidia la sontuosità del banchetto.
La dispendiosità di questo banchetto che si protraeva a notte inoltrata divenne così sfacciata che lo Stato dovette provvedere a regolamentarne il costo, ma con scarsi risultati.


BIBLIO

- George Dumezil - La religione romana arcaica - a cura di Furio Jesi - Rizzoli Editore - Milano - 1977 -
- Quinto Fabio Pittore - Annales -
- Georg Wissowa - Religion und Kults der Römer - II - 1912 -
- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -
- Sesto Pompeo Festo - Ludos Magnos - De verborum significatu -



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