DOMANDE
Oplontis, detta anche Oplonti, era una zona suburbana della vicina Pompei, in Campania, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79. Oggi è un sito archeologico posto nell'area della Campania meridionale compresa tra Ercolano a ovest e Pompei e Stabia a est, corrispondente oggi all'area di Torre Annunziata.
- Che tipo di edificio era la villa di L. Tertius Crassus?
La villa di L. Tertius Crassus era una villa rustica che serviva come magazzino, lavorazione e vedita dlle merci, e comprendeva anche una parte residenziale.
Nel 1974, durante i lavori per la costruzione di una palestra presso la scuola media Parini, vennero alla luce strutture archeologiche distanti circa 300 metri dalla villa di Poppea detta "Villa A", scoperta circa 10 anni prima. Da allora la villa rustica venuta alla luce è conosciuta come la “Villa B” dell'antico centro campano di Oplontis.
Il nuovo edificio era su due piani con un peristilio centrale, una villa rustica, cioè contadina, chiamata di Lucius Crassius Tertius o semplicemente Villa “B”. Gli escavatori hanno scoperto e restaurato più di settanta stanze, sia al piano terra che al secondo piano.
L'edificio, che si ritiene di epoca sannitica, risale al III o II sec. a.c. e deve il nome a un sigillo in bronzo lì rinvenuto che reca questo nome. Esso venne distrutto, come la Villa A, dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.c.. La presenza di due strade vicine, e quella che potrebbe essere una fila di case a schiera a nord, suggerisce che Villa B occupa una posizione in un piccolo insediamento o paese, forse anche la stessa città di Oplontis.
A differenza della villa di Poppea, si presume che la struttura costituisse in realtà un’azienda “agricola” e non una residenza d’otium. La villa si sviluppa intorno ad uno splendido peristilio, con un porticato di colonne doriche a due ordini di colonne doriche in tufo grigio di Nocera, circondato da ambienti rustici in opera incerta. Sul lato est si trova l'ingresso ed il profondo incastro derivante dall'usura su una delle colonne, insieme ai solchi tracciati sul pavimento dalle ruote dei carri, fanno pensare a frequenti passaggi.
DESCRIZIONE
La villa, su due piani, si sviluppa intorno ad un peristilio costituito da un porticato con due ordini di colonne doriche in tufo grigio di Nocera. Un esame preliminare dei resti fa pensare che Villa B sia stata originariamente edificata alla fine del II secolo a.c, come testimonia l'uso di colonne di tufo di Nocera tipiche di quel periodo.
I restauri in mattoni di quel peristilio e l'uso estensivo dell'opus reticulatum, entrambi tipici della costruzione di Pompei dopo il terremoto del 62 d.c., mostrano un restauro e un rinnovamento tra questa data e l'eruzione del 79 d.c.Nei pressi della Villa, furono ritrovate un tratto di strada e diverse piccole costruzioni, tra cui i resti di un centro termale.
AL PIANO TERRA
Ma l’attività produttiva consisteva anche nella vendita e nel trasporto di vino, olio, garum e derrate alimentari, infatti su rozzi fornelli di pietra sono stati trovati dei pentolini (olle) con all’interno resti di oleoresina di conifere che veniva usata per impermeabilizzare l’interno dei contenitori.
Ciò è provato anche dal ritrovamento, all’interno dei colonnati che circondano tutti i lati del peristilio, di centinaia di anfore capovolte, si calcola circa 400, in file verticali parallele in modo che la bocca dell’anfora superiore fosse infilata nel piede di quella inferiore al fine di evitarne la caduta e col susseguente utilizzo ottimale dello spazio.
Vi è stato rinvenuto anche un fornello in pietra con una pentola contenente resine di conifere, utilizzata per la manutenzione delle anfore: infatti si sono rinvenute ben 400 anfore per il trasporto del vino. La villa era abitata al momento dell'eruzione; infatti nelle stanze adiacenti, soffittate a volta, sono stati trovati i corpi di 54 umani oltre a gioielli e monete, in oro e in argento.
Ma questo commercio è provato pure dalle tracce impresse dalle ruote degli antichi carri, l'insula infatti dava sulla strada e altre botteghe si aprivano all'esterno dell'insula, probabilmente affittate come locali commerciali ad altri negozianti, come spesso si usava all'epoca.
All'angolo sud, una struttura bassa composta da sottili pareti di macerie potrebbe essere stata una latrina. Il lato orientale conserva quello che sembra essere l'ingresso principale nel cortile. A ovest si trovano i resti parzialmente scavati di due ambienti che appartengono ad un altro edificio. A nord, una stradina separa Villa B da quella che sembra essere una fila di case a due piani (anche solo parzialmente scavate) che si affacciavano sul lato nord della villa.
Durante le operazioni di carotaggio patrocinate dal Progetto Oplontis nel 2009 e nel 2010, il geologo Giovanni di Maio ha trovato tracce di una strada a est della villa, in un'area ancora non sterrata. È probabile che questa strada sia una strada nord-sud che corre lungo la facciata orientale del complesso; probabilmente da questa strada si entrava nel cortile.
AL PIANO SUPERIORE
La zona residenziale della domus, aveva pareti decorate con una pittura nilotica frammentaria, poi coperta da pittura di IV stile, e un larario dipinto, ma pure un raro esempio di II stile, detto "schematico", (50 a.c.), risalente all'epoca repubblicana. con cornici e fregi a tralci vegetali che vengono ad essere dipinti invece che realizzati in stucco, riproponendo così, con abile gioco illusionistico di colori e ombre, ciò che durante il primo stile si realizzava in rilievo.
PLANIMETRIA DELLA VILLA |
Tra i gioielli si riconoscono orecchini di tipo a spicchio di sfera, a canestro con quarzi incastonati oppure pendenti con perle, collane molto lunghe con grani in oro e smeraldo, bracciali di tipo tubolare decorati con gemme e smeraldi ed anelli con gemme lisce o incise con figure di animali o divinità.
In uno degli ambienti della Villa è stata ritrovata un’altra cassa che conteneva, oltre a materiali organici, una sorta di cassettina beauty-case con unguentari di vetro, una stecca cosmetica in osso, tre dadi da gioco ed alcuni oggetti di ornamento.
In uno degli ambienti della Villa è stata ritrovata un’altra cassa che conteneva, oltre a materiali organici, una sorta di cassettina beauty-case con unguentari di vetro, una stecca cosmetica in osso, tre dadi da gioco ed alcuni oggetti di ornamento.
Alcuni balsamari erano contenuti nella cassetta rinvenuta nell’ambiente 15, altri nella borsa di cuoio dell’ambiente 10: insieme ai gioielli, alle argenterie. C'erano degli strumenti legati alla toeletta; utilizzati per contenere e mescolare cosmetici, la pisside e l’ago, o per detergere la pelle, lo strigile. Il profumo se da un lato emanava piacevoli odori, dall’altro era considerato terapeutico.
L'uso del profumo divenne smodato, o almeno così si pensava tanto che nel corso del II secolo a.c. venne contrastata per limitare le importazioni di profumi dai paesi orientali in un momento di crisi per la repubblica romana. Plinio il Vecchio ne distingue l’uso, in oli, unguenti e balsami. Gli unguentari di Oplontis però, a differenza di quelli di Pompei, erano prodotti con materie prime di migliore qualità, come l’olio essenziale di Pogostemon cablin, noto come patchouli, importato dall’India, e del limone, all’epoca ritenuto un frutto esclusivamente curativo.
A nord della villa sono presenti alcuni edifici a due piani: si tratta probabilmente di soluzioni indipendenti dalla villa, che si affacciano direttamente sulla strada.
Con molta probabilità queste costruzioni venivano usate come botteghe con abitazione al piano superiore, come usava all'epoca.
La villa B era destinata all'immagazzinamento e allo smercio dei prodotti agricoli. Negli ambienti intorno al peristilio sono stati infatti trovati cumuli di anfore da vino, pesi di pietra, noci, nocelle e alcuni modii per la misurazione del grano e di imballaggi, mucchi di piccoli melograni acerbi disposti a strati nelle foglie a seccare, che venivano anche usati per estrarre tannino che serviva per la lavorazione dei tessuti.
Sul lato nord gli unici ambienti di soggiorno del piano terra e quindi tutta una serie di grandi ambienti coperti a volta che venivano usati come deposito di merce. Sempre sul lato est, un'ampia scala portava al primo piano. Il piano superiore, collegato al lato Nord col piano terra da un'ampia scala, è occupato da un quartiere signorile, evidentemente la parte residenziale della famiglia.
IL PIANO SUPERIORE
A testimoniare ulteriormente che la famiglia soggiornava in questi ambienti è il ritrovamento di pentole da cucina in bronzo, in terracotta e bruciatori. E forse cadde proprio da questo piano la splendida cassaforte in legno e metalli preziosi trovata presso la parete Est del peristilio.
In uno di questi ambienti è stato trovato un gruppo di scheletri di 54 operai, forse persone che cercavano rifugio per sfuggire all’eruzione e si erano riunite tutte in un’unica stanza. Tra i vari oggetti personali trovati su questi scheletri, sono stati ritrovati i famosi “Ori di Oplonti”, collane, bracciali, anelli, orecchini in oro e monete in oro, argento e bronzo oltre a una serie di unguenti, stecche in osso e tamponi di vetro per cosmetici. Questi scheletri sono stati anche oggetto di approfonditi studi medici per cercare di conoscerne l’età, il sesso e lo stato di salute.
Il tesoretto di oltre 200 monete che vanno dalla tarda Repubblica al tempo di Vespasiano, potrebbero far luce su questioni di circolazione monetaria, inflazione e commercio nella regione. L'anello di cui sopra reca la scritta L.CRAS.TERT. Tali anelli erano sigilli per sancivano i rapporti d'affari, una specie di firma. Ciò ha fatto supporre che il proprietario di Villa B fosse Lucius Crassius Tertius, a meno che non fosse stato l'amministratore o il procuratore designato dal proprietario.
LA CASSAFORTE
Qui si è trovato l’unico oggetto di arredo che è stato possibile recuperare poiché, come molto spesso è successo, di altre suppellettili come letti, tavoli, sedie, armadi, tavoli, non è rimasta traccia del legno di cui erano fatte. Si tratta di una bellissima cassa blindata munita di un sofisticato procedimento di apertura e ornata di pregevoli metope in bronzo. La cassaforte, rinvenuta nel peristilio, potrebbe essere caduta dal piano superiore.
Aveva una struttura in legno placcata con foglie di ferro e con la scritta "Pythonymos, Pytheas e Nikokrates, gli operai di Eraclide, fecero". La raffinata decorazione è costituita da motivi a intarsio e borchie figurate in argento, rame e bronzo dorato, tipici del disegno decorativo tardo ellenistico. Inoltre, il suo intricato sistema di chiusura era così avanzato che meccanismi simili continuarono ad essere utilizzati fino al diciannovesimo secolo.
IL COMMERCIO VINARIO
Lungo i bracci del peristilio della villa B, sono state rinvenute più di quattrocento anfore vinarie, messe lì capovolte ed impilate ad asciugare per essere riempite. Vicino ad esse un fornellino, sul quale poggiava una pentola in cui veniva sciolta la resina conifera utilizzata per rivestire gli interni delle anfore.
Questo fa pensare che l'attività prevalente fosse il commercio del vino, attivissimo al momento dell'eruzione. Nella Villa, luogo di smercio e non di produzione, perché non sono stati trovati macchinari per la lavorazione, si conservava e si distribuiva vino anche nella vicina Pompei.
Lungo i bracci del peristilio della villa B, sono state rinvenute più di quattrocento anfore vinarie, messe lì capovolte ed impilate ad asciugare per essere riempite. Vicino ad esse un fornellino, sul quale poggiava una pentola in cui veniva sciolta la resina conifera utilizzata per rivestire gli interni delle anfore.
LE BOTTEGHE |
Era abitudine mescolare il vino con il miele e perfino con acqua di mare e aromatizzarlo con resina, olii profumati e pece. Veniva anche annacquato perché essendo molte le libagioni, se ne potesse bere in maggiori quantità. Un vino molto decantato era quello pompeiano VITIS HOLCONIA.
Su alcune anfore sono state rilevate indicazioni di qualità di vini; vino di LESBO, di produzione locale e di pregiata fattura, proveniente dai vigneti vesuviani. Su altre anfore la scritta ANICETUS, nome noto nel commercio vinario di Pompei, rappresentava la garanzia del prodotto; su altre JUNIOR per indicare che conteneva vino novello.
L'OGGETTISTICA
Dagli studi effettuati dal Laboratorio di Scienze applicate della Soprintendenza archeologica di Pompei sui materiali organici della Villa B, sono stati evidenziati i pollini di grandi quantità di specie vegetali presenti nella zona. Il notevole numero di pentolame in bronzo e terracotta, insieme a due bellissime lucerne dal manico cesellato a testa di cavallo e a foglia a cuore, sono un’ulteriore riprova che al momento dell’eruzione la Villa era abitata.
Tra i pezzi da poco restaurati sono brocche per acqua e vino, pentole da fuoco, un tegame largo con coperchio, una coppa in terracotta invetriata decorata a bassorilievo, un candelabro in bronzo a piantana, perfino contenitori in vetro. L’oggettistica in vetro è stata salvata miracolosamente dal crollo di una porzione di parete che ha creato una specie di intercapedine, provvidenziale riparo. Tanti altri i reperti ancora da restaurare, dai fermi delle porte ai cardini, tutti sono fonti eloquenti del nostro passato.
IL TESORO
Durante gli scavi condotti nel 1984, in due degli ambienti del piano terra vennero trovate circa 1200 monete, tra cui un aureo di Nerone, circa 100 d'oro , 900 di argento e il resto di bronzo. Un primo nucleo di monete, insieme ad oggetti d'oro, venne trovato nel peristilio, caduto dal crollo del piano superiore, frammisto ai resti di una cassaforte di legno e ferro.
Nella villa sono stati rinvenuti dunque due tesori: Il primo era contenuto, insieme a monete e oggetti da toilette femminili, in una cassetta lignea crollata dal piano superiore all’interno dell’ambiente 15 del peristilio della villa.
Il secondo, più numeroso, venne rinvenuto all’interno dell’ambiente 10, uno dei grandi magazzini posti sul lato sud della Villa B, vicini all’approdo sul mare. I due gruppi raccontano due storie diverse legate alla catastrofe del 79 d.c. “I monili rinvenuti nell’ambiente 15 erano contenuti in una cassetta che evidentemente non era stato possibile svuotare completamente nelle concitate ore dell’eruzione.
I monili dell’ambiente 10 ci raccontano invece una storia ben più drammatica. Qui, in attesa dei soccorsi che dovevano giungere dal mare, si radunarono cinquantaquattro persone divise in due gruppi: uno privo di qualsiasi oggetto personale, l’altro composto da individui che portavano con sé monete e preziosi: orecchini, collane, anelli e braccialetti.
La maggior parte dei gioielli si trovava accanto ai corpi, evidentemente erano indossati dai fuggiaschi, altri erano contenuti in un piccola borsa di cuoio rinvenuta nell’ambiente. Il maremoto e le nubi ardenti impedirono l’arrivo dei soccorritori e i rifugiati trovarono qui la morte."
LA PREZIOSA CASSAFORTE |
La grande cassa in legno e metalli preziosi ritrovata presso la parete Est del peristilio, è un magnifico, elegante esempio di arte ellenistica con decorazioni ad agemina in oro, argento e rame con sportello sul lato superiore ed un sistema di apertura talmente particolare da essere oggetto di studio.
Sulla parte superiore una testa femminile entro un tondo, appliques in bronzo raffiguranti due cani accovacciati, come a guardia, due busti di fanciulli che funzionano da manopole girevoli, un’anatra. Sulla faccia anteriore una decorazione in lamina bronzea, nel mezzo della quale, tra girali di acanto, si leggono le firme degli artefici: Pythonimos, Pytheas e Nikokrates. Al di sotto la testa di un sileno tra foglie e rami di vite. Insieme a questa, ma nell’ambiente del lato Sud, furono ritrovati i resti di un’altra cassa, con ori e argenti e oggetti per cosmesi.
Altre casse sono state ritrovate nell’ambiente 10, portate forse da quelli che vi si erano rifugiati, di queste è stato possibile eseguire il calco. Una presenta una sorta di imbracatura con cordicelle, l’altra sembra avvolta in stoffa e poi legata. Dovevano contenere materiali organici che non si sono conservati. La terza cassa conteneva un beauty-case.
Sulla parte superiore una testa femminile entro un tondo, appliques in bronzo raffiguranti due cani accovacciati, come a guardia, due busti di fanciulli che funzionano da manopole girevoli, un’anatra. Sulla faccia anteriore una decorazione in lamina bronzea, nel mezzo della quale, tra girali di acanto, si leggono le firme degli artefici: Pythonimos, Pytheas e Nikokrates. Al di sotto la testa di un sileno tra foglie e rami di vite. Insieme a questa, ma nell’ambiente del lato Sud, furono ritrovati i resti di un’altra cassa, con ori e argenti e oggetti per cosmesi.
Altre casse sono state ritrovate nell’ambiente 10, portate forse da quelli che vi si erano rifugiati, di queste è stato possibile eseguire il calco. Una presenta una sorta di imbracatura con cordicelle, l’altra sembra avvolta in stoffa e poi legata. Dovevano contenere materiali organici che non si sono conservati. La terza cassa conteneva un beauty-case.
GLI ORI DI OPLONTIS
Il secondo gruppo è venuto alla luce nel corso dello scavo dell'ambiente 10, rifugio delle persone, anche esterne alla Villa. Vicino a questi scheletri sono state trovate moltissime monete ed altri gioielli in resti di borselli di stoffa e cuoio. Le monete sono importantissime anche dal punto di vista storico perché vi si trovano impresse le effigi di quasi tutti gli imperatori di Roma.
Gli ori sono stati ritrovati addosso o vicino a scheletri di donne, dato che all'epoca tutte si ingioiellavano, cambiava la preziosità del metallo e delle pietre, ma era come indossare delle vesti, li usavano tutte, e pure gli uomini. I gioielli, per carattere e tipologia, non si discostano da quelli di Pompei e Ercolano. Sono lavorati su superfici lisce con gemme, non troppo costosi, nonostante il prezzo sempre alto dell’oro.
Gli anelli sono i più numerosi tra i monili ritrovati, del resto le donne romane ne indossavano pure alle dita dei piedi. Venivano portati in età imperiale da uomini e donne di vari ceti sociali, anche medio-bassi, tranne che dagli schiavi. C’era l’abitudine, nonostante le leggi repubblicane tese a frenare il lusso, di portare più anelli; uno degli scheletri dell’ambiente 10 portava tre anelli di cui due al mignolo. Il tipo più semplice è quello in oro o argento con verga a fascetta e castone ovoidale liscio o inciso.
Particolare è l’anello ornato da una maschera di attore comico e quelli in filo godronato con o senza perla che riportano figure di uccelli. Gli anelli a serpente si rifanno a modelli ellenistici e sono con più spirali o a due teste affrontate. Molto frequente il tipo ornato con gemma, liscia o incisa. L’uso delle gemme iniziò a diffondersi a partire dal I secolo a.c. con l’intensificarsi dei rapporti con l’Oriente.
Alle pietre preziose si attribuivano proprietà magiche e perciò venivano impiegate come amuleti ed incise con immagini per lo più di divinità ed animali. Ma oltre alle pietre preziose si usavano pure le paste vitree a cabochon, cioè a mezza sfera o quasi, con diversi colori e diverse trasparenze.
Gli orecchini sono un ornamento femminile di origine antichissima e molto diffuso in tutte le età. Il tipo a “spicchio a sfera”, forse è il più caratteristico della produzione Romana, sia liscio, secondo lo stile tardo-Etrusco, sia puntinato ottenuto a sbalzo, ad imitare la tecnica della granulazione.
Meno diffuso è il tipo con piccoli quarzi disposti a canestro. Secondo Seneca e Plinio il Vecchio, il tipo con pendente ornato da perle era molto amato dalle donne Romane. Infine vanno notati orecchini in semplice filo d’oro liscio annodati a cerchio.
I bracciali “armillae” venivano portati su entrambe le braccia, ma pure ai polsi e alle caviglie. Le collane erano corte “monilia” o lunghe “catellae”, che arrivavano fino ai fianchi, intrecciandosi sul petto dove potevano essere fissate da fermagli scorrevoli in forma di borchie.
Diffuso era anche il “pendente”, a forma di ruota o di crescente lunare con globetti all’estremità, di origine Siriana. Molto prezioso ma poco diffuso era il crescente lunare decorato con perline e grani di smeraldo. Le collane a “giro collo” vanno da una semplice catenina, a quelle d'oro con smeraldi.
GLI SCHELETRI
Nella stanza 10, una delle grandi stanze del pianterreno che si apriva sul portico meridionale, sono stati rinvenuti 54 scheletri di persone che si erano radunate in questa stanza per sfuggire all'eruzione, e presumibilmente in attesa dei soccorsi dal mare, sopraffatte dal gas caldo e dai fumi velenosi del primo flusso piroclastico che ha colpito Villa B.
Poiché sono stati trovati in due gruppi distinti, alcuni studiosi distinguerebbero gli scheletri in fondo allo spazio, senza denaro o gioielli, come servi e schiavi, mentre il gruppo vicino all'ingresso dello spazio sarebbero i padroni, visto che alcuni di loro sono stati trovati con indosso una notevole ricchezza di monete e gioielli .
Lo scheletro della giovane donna venne trovato, insieme ad altre vittime dell’ eruzione del 79 d.c., nello stesso ambiente dove, accanto ad alcune di queste vittime, furono trovati i gioielli. Sì tratta di un calco eseguito con una tecnica ideata dal restauratore Amedeo Cicchitti e sperimentata per la prima volta ad Oplontis nel 1984, che al gesso, materiale usato tradizionalmente fin dal 1863 quando il Fiorelli introdusse il sistema dei calchi, sostituisce una resina epossidica.
Il procedimento consiste nel realizzare prima un calco in cera, intorno al quale si costruisce una matrice in gesso; quindi, con una tecnica simile a quella della «cera perduta», si sostituisce alla cera la resina epossidica. Si ottiene, in tal modo, un calco più resistente, più facile da trasportare e che, grazie alla sua semitrasparenza, consente di vedere i piccoli oggetti che, eventualmente, la persona indossava.
Così, in questo caso, si è potuto recuperare, sostituendoli con copie, il bracciale che la fanciulla aveva al braccio e il borsellino con monete, e gemme, che era accanto alla mano. All'interno, ricoperte e fermate dalla resina, restano, in tutta la loro tragica testimonianza, le ossa ed il teschio.
Le due donne avevano cercato rifugio dalla furia dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. nella Villa di Lucius Crassius Tertius, affacciata sul golfo di Napoli, a Oplontis, nell'area suburbana di Pompei. Erano in attesa, come dimostrano i resti di un feto di 36 settimane ritrovato nella cavità addominale dello scheletro di una delle due. Una gravidanza quasi a termine.
Le indagini e gli studi antropologici, isotopici e di Dna sono condotti in collaborazione con l'Università del Michigan(Professor Nicola Terrenato) e dell'Università della West Florida (Professoressa Kristina Killgrove), con l'aiuto di Andrea Acosta, una dottoranda dell'Università della South Carolina.
Le ricerche stanno rivelando interessanti informazioni sullo stile di vita e le patologie diffuse nel mondo romano del I secolo d.C.. In questi giorni gli studiosi americani hanno concluso una prima fase dell'indagine, che continuerà fino alla metà del mese di agosto direttamente a Torre Annunziata, all'interno della villa romana. Si tratta di esami condotti per la prima volta nell'area pompeiana su un contesto così ampio e complesso; finora studi del genere si erano concentrati nella sola zona di Ercolano.
Molte delle vittime di Oplontis erano biologicamente correlate, vista la presenza riscontrata di tratti genetici comuni, che le indagini sul Dna su campioni di denti e ossa verificheranno. In particolare, molti di loro presentavano denti incisivi di forma caratteristica, che si riscontra raramente in scheletri del I secolo d.C. di altri ambienti romani e che sembrerebbe quindi accomunarli.
In più, dall'esame degli scheletri gli studiosi Usa hanno ipotizzato che gli antichi fuggitivi di Oplontis godessero di buona salute. Nell'area vesuviana, infatti, è possibile, a differenza di quanto accade in genere per i resti umani scoperti in tombe, e quindi relativi a individui morti anche a cause di malattie, studiare stili di vita su soggetti sorpresi in vita dall'eruzione, di differenti età e sesso. Nel caso di Oplontis le analisi sono rese ancora più interessanti proprio per i legami di parentela scoperti tra le vittime.
Lo studio in corso offre informazioni sulle abitudini di vita e l'alimentazione. Non sono state trovate per ora tracce di anemia: gli antropologi ipotizzano che a Oplontis malattie quali la malaria non erano presenti e che la popolazione aveva una dieta equilibrata.
Quello che, invece, colpisce è la pessima salute dentale degli antichi Romani di Oplontis. Molti scheletri rinvenuti presentano mascelle mancanti di denti o con denti deteriorati, con numerose carie ed erosione dentale. In alcuni bambini e adolescenti, l'analisi della dentatura sembrerebbe denunciare un periodo prolungato di malattia o di fame."
BIBLIO
- Lorenza Barnabei - Contributi di Archeologia Vesuviana - Roma - L'Erma di Bretschneider - 2007 -
- Pier Giovanni Guzzo - Nuove ricerche archeologiche nell'area vesuviana (scavi 2003-2006) - Roma - L'Erma di Bretschneider - 2008 -
- Fabrizio Pesando, Maria Paola Guidobaldi - Gli ozi di Ercole: residenze di lusso a Pompei ed Ercolano - Roma - L'Erma di Bretschneider - 2006 -
- O. Baldacci - I termini della regione nel corso della storia, in «Storia e civiltà della Campania. L'Evo antico» - Napoli - 1991 -
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