L'ENTRATA ALLE CATACOMBE AD DECIMUM |
La parola “catacomba” nacque casualmente a Roma. Sulla Via Appia antica vi era una località chiamata “Catacumbas”, perché in quel punto il terreno si avvallava. Proprio lì sorse il cimitero di San Sebastiano, così il termine “catacomba” si estese a tanti cimiteri.
Le catacombe hanno origini pagane, ma mentre nel I sec. d.c. cristiani e pagani venivano seppelliti insieme, dal II secolo i cimiteri cristiani considerano peccaminosi certi accostamenti coi pagani e acquisirono in superficie dei cimiteri propri.
Nel V secolo decade il divieto di seppellire all’interno della città e Roma ormai è completamente cristiana e svanisce il problema del sacrilegio. Nascono così i primi cimiteri urbani, nei pressi delle parrocchie cittadine. Le catacombe vengono abbandonate ad eccezione di quelle che conservavano la sepoltura di un martire, che trasforma la catacomba in santuario.
Il cimitero "Ad Decimum" (miliarum) della Via Latina, e cioè a circa 15 km da porta Capena, (oggi all'altezza del km. 6 della Via Anagnina), era certamente troppo distante per servire ai cristiani di Roma. Era invece il cimitero di un villaggio che da fonti epigrafiche sappiamo si chiamava Vicus Angusculanus ed era, diremmo oggi, una frazione di Tusculum. Oggi sta nel comune di Grottaferrata.
I proprietari del terreno allora, nella speranza di trovare qualche tesoro, devastarono e saccheggiarono liberamente molte tombe per ben sette anni, visto che lo Stato italiano e la Santa Sede indugiavano a comprare il terreno della catacomba, sino a quando i monaci dell'Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata decisero essi stessi di acquistarlo salvando la catacomba.
Abbandonata molto presto, probabilmente già a partire dalla fine del V – VI secolo perché priva di corpo di martire, per 1500 anni rimase dimenticata, anche perché non menzionata in alcun documento.
In massima parte è rimasta com'era, anche se le prime tombe ai piedi della scala furono devastate dai proprietari del vigneto soprastante, i quali, dopo la casuale scoperta, s'illusero di trovare un tesoro. All'interno sono conservate all'incirca un migliaio di tombe (II-V sec. d.c.)
Su tre "fistulae aquariae" (segmenti di tubi di piombo per l'acqua) risulta invece il nome di PVB(lica) Decimiensium, cioè Comunità dei Decimiensi (o abitanti al Decimo Miglio). Si pensa che gli abitanti del piccolo nucleo abbiano, col tempo, preso il nome della stazione di posta "Ad Decimum", nome che risulta in una carta topografica dell'impero, nella tavola Peutingeriana.
Se al villaggio tuscolano, forse assai modesto ma alquanto vivificato dal traffico della stazione di posta e del tratturo che provenendo dall'Alta Valle dell'Aniene, traversava la via Latina e conduceva le greggi al mare, aggiungiamo il personale delle ville d'intorno, possiamo giustificare le circa 1000 tombe che dal III al V secolo riempirono il cimitero cristiano.
La scoperta, del tutto casuale, fu dovuta ai proprietari del vigneto soprastante mentre eseguivano lo "scassato" e cioè quella serie di buche profonde circa un metro che allora si facevano ogni trenta o quaranta anni per ripiantare viti nuove in luogo delle vecchie ormai esauste. A quanto pare, capitarono proprio sull'inizio della scala che stava circa un metro e mezzo sotto il piano di calpestio.
Alla ricerca del "tesoro", cominciarono ad aprire le tombe, tutte di bambini come si desume dalla lunghezza, che stavano ai lati della scala, provocando una parziale rovina delle pareti. (menomale che non era un cimitero cartaginese altrimenti avrebbero detto che quei bambini erano stati sacrificati ritualmente).
Per giungere in fondo alla scala dovettero scavare perché la catacomba era piena del fango accumulatosi in circa quindici secoli. Ai piedi della scala stavano, purtroppo, le tombe più ricche, subito aperte a colpi di piccone: non si trovò nulla e, per rifarsi in parte della delusione, gli avidi ricercatori, si vendettero i marmi che non avevano fracassato. Poi proseguirono avanti e ai lati, ma senza alcun successo, per cui fortunatamente smisero di scavare, anche perché costava.
Una certa devastazione, tuttavia durò per sette anni, sino a quando i Monaci dell'Abbazia Greca, visto che né lo Stato, né la S.Sede si decidevano a comprare il terreno della catacomba, decisero di acquistarlo. Dopodiché si potette procedere allo scavo archeologico. La prima campagna si svolse fra l'autunno del 1912 e direttore dello scavo fu il Padre Sisto Scaglia, cisterciense.
Una seconda campagna di scavo fu condotta dal 1916 al 1919., diretta dal valentissimo archeologo Enrico Josi, ispettore della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Ad essa presero parte specialmente prigionieri di guerra austriaci che preferirono questo lavoro al campo di prigionia.
La catacomba si articola in cinque gallerie:
- una centrale, in linea con la scala,
- due che si diramano a sinistra,
- una che si diparte sulla destra ed è tagliata perpendicolarmente dalla quinta.
- la perpendicolare sulla destra, cioè la quinta.
Le gallerie, con undici diverticoli e sub-diverticoli, misurano in complesso circa 225 metri, non troppo lunga ma in notevole stato di conservazione. Dopo 7 gradini moderni in mattoni ha inizio la scala dell'epoca, che precedette lo scavo delle gallerie di cui la più antica, la "C", è della seconda metà del III secolo, e scende diritta con 31 gradini piuttosto alti alla profondità di circa 9 m.
E' coperta da una volta di cementizio di cui manca la prima parte, quella dell'ingresso. Ai lati, scendendo, si vedono ancora le tombe aperte dei bambini. Ai piedi della scala, a destra, i tre cubicoli devastati, di età più tarda. Il lucernario che appare in alto è la parte superiore di un pozzo preesistente al cimitero.
I cristiani scavarono la scala diretti a questo pozzo, tagliandone la canna e chiudendola in basso con una pietra. Poi scavarono a destra una cisternetta comunicante col pozzo, per attingere l'acqua che serviva per la malta necessaria a chiudere le tombe ma serviva anche per i banchetti delle cerimonie funebri, usanza pagana mantenuta tra i cristiani.
Tra le pitture di Pompei e di Roma e queste pitture c'è un abisso di arte, di cultura e di bellezza. Pur essendo degli storici e interessanti documenti del passato, certamente segnarono un enorme passo indietro retrocedendo a uno stile piuttosto barbaro, che caratterizzò poi ogni luogo al declino e poi alla caduta dell'Impero Romano di occidente.
GALLERIA "C"
Nella galleria "C" le tombe sono chiuse (meno quelle del diverticolo "C1") perché non vi giunsero i tombaroli. Le iscrizioni sono in greco e in latino, la prima subito a destra è in greco e sgrammaticato, " Nel nome del Signore Cristo io credo Aurelia Prima" (segue un'aggiunta posteriore, non "rubricata", cioè non ripassata in rosso: "E P Elio Quinziano qui giace". Il Quinziano venne aggiunto in una tomba già occupata.
Sempre a destra, un'altra iscrizione in greco (appesa alla parete, ma non su tomba, perché trovata nello scavo a terra, in pezzi), asportata da ladri insieme ad altre cinque lapidi: "Sta di buon animo, nessuno è immortale". Questa era una frase abbastanza codificata e spesso in uso tra i pagani che avevano una visione un po' più stoica ed anche umoristica della vita e della morte.
Altri cristiani invece Ad Decimum avevano scritto: "sta' di buon animo, Musèna Irene, la tua anima immortale è presso Cristo" come a voler ribadire la propria fede. Seguono tre iscrizioni latine, di cui una capovolta, forse a causa dell'analfabetismo del fossore (addetto alle fosse dei cimiteri).
GALLERIA "D"
Dalla galleria "C" si passa al primo tratto della "D", dove sul muro di sinistra è stata affissa la riproduzione di una lapide sottratta con un'iscrizione che dice: "Al benemerito Speranzio i suoi colliberti fecero; (A lui) che visse più o meno 50 anni. Al benemerito, in pace ".
I liberti erano gli schiavi affrancati, e colliberti erano quelli affrancati da un medesimo padrone e portavano generalmente tutti lo stesso "nomen" dell'ex padrone. Essendo stati insieme per tanti anni, conservavano in genere vincoli di amicizia. A metà circa della sua lunghezza la "D" s'incrocia sotto un piccolo lucernario con la galleria "E" a sinistra e la galleria "F" a destra.
GALLERIA "E"
Nella galleria "E" vi sono due iscrizioni greche con la formula "en eirene" ("in pace"), e due latine, di cui una dalla dedicante Seleucide al defunto Fedimo (fine III -inizio IV sec.).
In fondo alla galleria si scorge una tomba sul pavimento molto simile a quelle in parete. Queste tombe, chiamate forme, sono coperte da un palmo di terra affinché non si logorino le giunzioni fra le tegole.
La maggior parte delle tombe sono a parete ("loculi"), scavate sempre "per lungo", e non in profondità, come sono invece i moderni fornetti. Sono chiuse generalmente con tegole, talvolta con marmi, ma quasi sempre di materiale di reimpiego. Ma ci sono altre sepolture poste nell'angolo fra la parete e il suolo, generalmente chiamate "d'angolo" ma anche "a spiovente".
All'inizio del secondo tratto della galleria "D" troviamo a sinistra una tomba con iscrizione latina: "Coprion fece alla benemerita moglie Florentina che visse 31 anni".
In questo tratto vi sono quattro lapidi latine, due greche e una mista: siamo ancora fra il III e il IV secolo. Nelle iscrizioni cristiane, assai più che in quelle pagane, appaiono spesso nomi strani, o sgradevoli, o ridicoli, o addirittura ignominiosi.
Si parla di un Dyscolus, cioè bisbetico, intrattabile, e il dedicante è Coprion cioè "sterco". Su questi strani nomi delle iscrizioni cristiane (perché nelle pagane sono rarissimo) alcuni hanno pensato che assumessero questi nomi col battesimo (che si riceveva da adulti) per auto umiliazione o per premunirsi contro il gravissimo peccato della superbia. In effetti il giungere a immolarsi al proprio Dio sicuramente nasceva da un desiderio di autopunizione.
Segue la lapide del cipriota Epafrodito e quella di Granis (nome di un fiume persiano), scritta in caratteri greci, ma con una parola greca e una latina sgrammaticata; evidentemente due schiavi o liberti.
GALLERIA "F"
Ripartendo dall'incrocio imbocchiamo la galleria "F", il cui primo tratto è di tombe di bambini, e superati i due diverticoli di sinistra ("F1") e di destra ("F3") troviamo a sinistra una lapide latina posta verticalmente. E' una lapide pagana del II sec. reimpiegata, come ce ne sono diverse appresso sempre verticali.
Più avanti a sinistra troviamo una bella lapide incisa che recita: "Al benemerito Marciano./ Ilaro al carissimo fratello./ In pace.". Vi sono incisi: un Buon Pastore coll'agnello sul collo, due pecore e due alberi ai lati; una colomba che becca un grappolo d'uva; due altre colombe affrontate sopra un'anforetta panciuta, su alto piede.
Tornando indietro al diverticolo "F3" c'è la lapide che Proficio, lettore ed esorcista, dedica alla moglie Istercoria, con cui era vissuto 24 anni, 6 mesi e 26 giorni. Il nome Stercoria rientra nei nomi umilianti, invece Proficio è un ecclesiastico lettore di libri sacri e scacciatore di demoni dai corpi e dai luoghi infestati, e lui non si umilia davvero.
GALLERIA "B"
Tornati al sito del pozzo s'imbocca la galleria "B", dove si passa sopra una griglia che protegge la lapide di Lucilla, posta sopra una forma o tomba terragna. A metà della galleria, sulla destra, vi è una tomba semiaperta dove si legge sul margine inferiore "Susanna in pace" preceduta e seguita dal monogramma formato dalle prime due lettere del nome (Christòs). Siamo in età costantiniana, e cioè nella I metà del sec. IV.
GALLERIA "C"
Tornati al pozzo seguono i tre cubicoli del primo tratto della "C", tre ricche cappelle funerarie devastate dai vignaioli al tempo della scoperta. Il più vicino al pozzo, contrassegnato "C2", è interamente ricoperto di pitture purtroppo mal conservate, ma leggibili. Sono pitture a tempera, a destra (entrando) rappresenta un collegio apostolico, solo sei per ragioni di spazio, vestiti di tunica e pallio, seduti con al centro un Cristo senza barba.
Il dipinto, di fattura scadente, è della II metà del IV secolo. Nella stessa parete, a sinistra di chi guarda, è rappresentata un'adolescente con le braccia allargate e le palme verso l'alto, la cosiddetta orante, con una veste a maniche assai larghe priva della parte inferiore a causa della devastazione, e il collegio apostolico risulta spicconato.
Sul soffitto, in fondo al cubicolo, è un uomo nudo fra due leoni: certamente Daniele. Nella parete di sinistra, nella curvatura sopra la tomba c'è un'altra orante con un velo bianco, quindi una matrona. Nella parte anteriore del soffitto abbiamo un Buon Pastore con pecore o forse capre.
Il cubicolo attiguo "C3", contiene due tombe orizzontali ricavate "a risparmio" nel tufo e molti marmi spezzati. Vi è poi la lapide dell'esorcista Fausto.
Il terzo cubicolo, "C4", conteneva molte tombe, di cui però non rimane alcuna lapide. Al centro resta, privata dei suoi marmi, una tomba cosiddetta "a baldacchino", con colonnine e copertura. Nel Lazio è rarissima, due dei pilastri sono crollati e si è dovuto rifarli di mattoni. Il pavimento era rivestito di marmi dello spessore di circa 15 cm. C'era all'interno del cubicolo un sarcofago, che fu venduto dai vignaioli.
GALLERIA "A"
Ai piedi della scala, a sinistra di chi scende, inizia la galleria "A",ad un livello più alto di un metro rispetto al resto della catacomba. Subito a sinistra, la tomba di famiglia del Diacono Gennaro, che aveva fatta per sé, per la sua "costola" Lupercilla e per la figlia Martyria (nome da Horror) ch'era vissuta tre anni, sei mesi e cinque giorni. La tomba è certamente fatta al momento della morte della figlia. La gerarchia ecclesiastica fatta di un lettore, due esorcisti, un diacono e un sacerdote, doveva essere la guida della piccola comunità di Ad Decimum.
La tomba di Gennaro e la successiva sono "ad ara", davanti a destra, vi sono due "arcosoli" anomali, perché hanno un angolo sorretto da un pilastro. Questo perchè davanti alla tomba di Gennaro vi era un candelabro romano del I sec., che fungeva da colonna e che fu divelta e rubata negli anni '70 si che venne sostituita con l'attuale pilastro.
Più avanti veri arcosoli (tombe sovrastate da un arco) ma privi di ornamentie. Dalla sinistra della galleria si diparte il diverticolo denominato "Al". La sua prima tomba a sinistra è del tipo "a mensa", simile all'arcosolio, ma sovrastata da un soffitto piano. Davanti vi è una tomba "a forno". Si tratta di una tomba collettiva munita di una grande apertura quadrangolare, una tomba di emergenza per seppellire più defunti insieme, per esempio in tempi di epidemie.
Sempre a destra, una ricca tomba successiva, interamente decorata da pitture imita un'abside, con sul fondo la "traditio legis " cioè la consegna della Legge da Cristo a Pietro. C'è anche Paolo e un uccello nero, l'araba fenice, un mito etiopico-egizio, l' uccello che ogni cento anni si incendiava e moriva per poi risorgere dalle proprie ceneri.
Ai lati della testa del Cristo sono la A e l'Omega, in alto colombe e palme alternate; a sinistra un vaso da cui forse zampilla acqua: un giardino simbolo del Paradiso; sul margine inferiore si vedono solo buchi neri che dovevano essere le sorgenti dei quattro fiumi del Paradiso terrestre.
Sulla parte destra una figura femminile assai sbiadita, a sinistra un ragazzo seduto e orante, con due personaggi in piedi. In basso forse un paesaggio silvestre, con un quadrupede che bruca l'erba o beve. La tomba è fine IV - I metà del V sec..
BIBLIO
- Leonella De Santis e Giuseppe Biamonte - Le catacombe di Roma - Roma - Newton Compton Editori - 2011 -
- Orazio Marucchi - Manuale di Archeologia Cristiana - Roma - 1933 - (IV ed.) -
- Pasquale Testini - Archeologia Cristiana - Bari - Edipuglia - 1980 -
- James Stevenson - La civiltà delle catacombe - Roma - Club del Libro - 1987 -
- Priscianus - in Catholic Encyclopedia - New York - Encyclopedia Press - 1913 -
Il cimitero "Ad Decimum" (miliarum) della Via Latina, e cioè a circa 15 km da porta Capena, (oggi all'altezza del km. 6 della Via Anagnina), era certamente troppo distante per servire ai cristiani di Roma. Era invece il cimitero di un villaggio che da fonti epigrafiche sappiamo si chiamava Vicus Angusculanus ed era, diremmo oggi, una frazione di Tusculum. Oggi sta nel comune di Grottaferrata.
La catacomba Ad Decimun venne scoperta casualmente nel 1905 mentre veniva lavorata la terra del vigneto sovrastante, quando, sotto il peso dell'aratro, la terra franò mettendo in luce la scala d'accesso del cimitero. Si riuscì per tempo (per merito della vicina Abbazia di S.Nilo) a salvarlo dalle devastazioni, anche da un recente tentativo di edificazione di un albergo sull'area archeologica.
PIANTA DELLE CATACOMBE (INGRANDIBILE) |
In massima parte è rimasta com'era, anche se le prime tombe ai piedi della scala furono devastate dai proprietari del vigneto soprastante, i quali, dopo la casuale scoperta, s'illusero di trovare un tesoro. All'interno sono conservate all'incirca un migliaio di tombe (II-V sec. d.c.)
Su tre "fistulae aquariae" (segmenti di tubi di piombo per l'acqua) risulta invece il nome di PVB(lica) Decimiensium, cioè Comunità dei Decimiensi (o abitanti al Decimo Miglio). Si pensa che gli abitanti del piccolo nucleo abbiano, col tempo, preso il nome della stazione di posta "Ad Decimum", nome che risulta in una carta topografica dell'impero, nella tavola Peutingeriana.
Se al villaggio tuscolano, forse assai modesto ma alquanto vivificato dal traffico della stazione di posta e del tratturo che provenendo dall'Alta Valle dell'Aniene, traversava la via Latina e conduceva le greggi al mare, aggiungiamo il personale delle ville d'intorno, possiamo giustificare le circa 1000 tombe che dal III al V secolo riempirono il cimitero cristiano.
La scoperta, del tutto casuale, fu dovuta ai proprietari del vigneto soprastante mentre eseguivano lo "scassato" e cioè quella serie di buche profonde circa un metro che allora si facevano ogni trenta o quaranta anni per ripiantare viti nuove in luogo delle vecchie ormai esauste. A quanto pare, capitarono proprio sull'inizio della scala che stava circa un metro e mezzo sotto il piano di calpestio.
Alla ricerca del "tesoro", cominciarono ad aprire le tombe, tutte di bambini come si desume dalla lunghezza, che stavano ai lati della scala, provocando una parziale rovina delle pareti. (menomale che non era un cimitero cartaginese altrimenti avrebbero detto che quei bambini erano stati sacrificati ritualmente).
Per giungere in fondo alla scala dovettero scavare perché la catacomba era piena del fango accumulatosi in circa quindici secoli. Ai piedi della scala stavano, purtroppo, le tombe più ricche, subito aperte a colpi di piccone: non si trovò nulla e, per rifarsi in parte della delusione, gli avidi ricercatori, si vendettero i marmi che non avevano fracassato. Poi proseguirono avanti e ai lati, ma senza alcun successo, per cui fortunatamente smisero di scavare, anche perché costava.
Una certa devastazione, tuttavia durò per sette anni, sino a quando i Monaci dell'Abbazia Greca, visto che né lo Stato, né la S.Sede si decidevano a comprare il terreno della catacomba, decisero di acquistarlo. Dopodiché si potette procedere allo scavo archeologico. La prima campagna si svolse fra l'autunno del 1912 e direttore dello scavo fu il Padre Sisto Scaglia, cisterciense.
Una seconda campagna di scavo fu condotta dal 1916 al 1919., diretta dal valentissimo archeologo Enrico Josi, ispettore della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Ad essa presero parte specialmente prigionieri di guerra austriaci che preferirono questo lavoro al campo di prigionia.
La catacomba si articola in cinque gallerie:
- una centrale, in linea con la scala,
- due che si diramano a sinistra,
- una che si diparte sulla destra ed è tagliata perpendicolarmente dalla quinta.
- la perpendicolare sulla destra, cioè la quinta.
TOMBA CRISTIANA |
E' coperta da una volta di cementizio di cui manca la prima parte, quella dell'ingresso. Ai lati, scendendo, si vedono ancora le tombe aperte dei bambini. Ai piedi della scala, a destra, i tre cubicoli devastati, di età più tarda. Il lucernario che appare in alto è la parte superiore di un pozzo preesistente al cimitero.
I cristiani scavarono la scala diretti a questo pozzo, tagliandone la canna e chiudendola in basso con una pietra. Poi scavarono a destra una cisternetta comunicante col pozzo, per attingere l'acqua che serviva per la malta necessaria a chiudere le tombe ma serviva anche per i banchetti delle cerimonie funebri, usanza pagana mantenuta tra i cristiani.
Tra le pitture di Pompei e di Roma e queste pitture c'è un abisso di arte, di cultura e di bellezza. Pur essendo degli storici e interessanti documenti del passato, certamente segnarono un enorme passo indietro retrocedendo a uno stile piuttosto barbaro, che caratterizzò poi ogni luogo al declino e poi alla caduta dell'Impero Romano di occidente.
GALLERIA "C"
Nella galleria "C" le tombe sono chiuse (meno quelle del diverticolo "C1") perché non vi giunsero i tombaroli. Le iscrizioni sono in greco e in latino, la prima subito a destra è in greco e sgrammaticato, " Nel nome del Signore Cristo io credo Aurelia Prima" (segue un'aggiunta posteriore, non "rubricata", cioè non ripassata in rosso: "E P Elio Quinziano qui giace". Il Quinziano venne aggiunto in una tomba già occupata.
Sempre a destra, un'altra iscrizione in greco (appesa alla parete, ma non su tomba, perché trovata nello scavo a terra, in pezzi), asportata da ladri insieme ad altre cinque lapidi: "Sta di buon animo, nessuno è immortale". Questa era una frase abbastanza codificata e spesso in uso tra i pagani che avevano una visione un po' più stoica ed anche umoristica della vita e della morte.
Altri cristiani invece Ad Decimum avevano scritto: "sta' di buon animo, Musèna Irene, la tua anima immortale è presso Cristo" come a voler ribadire la propria fede. Seguono tre iscrizioni latine, di cui una capovolta, forse a causa dell'analfabetismo del fossore (addetto alle fosse dei cimiteri).
GALLERIA "D"
Dalla galleria "C" si passa al primo tratto della "D", dove sul muro di sinistra è stata affissa la riproduzione di una lapide sottratta con un'iscrizione che dice: "Al benemerito Speranzio i suoi colliberti fecero; (A lui) che visse più o meno 50 anni. Al benemerito, in pace ".
I liberti erano gli schiavi affrancati, e colliberti erano quelli affrancati da un medesimo padrone e portavano generalmente tutti lo stesso "nomen" dell'ex padrone. Essendo stati insieme per tanti anni, conservavano in genere vincoli di amicizia. A metà circa della sua lunghezza la "D" s'incrocia sotto un piccolo lucernario con la galleria "E" a sinistra e la galleria "F" a destra.
GALLERIA "E"
Nella galleria "E" vi sono due iscrizioni greche con la formula "en eirene" ("in pace"), e due latine, di cui una dalla dedicante Seleucide al defunto Fedimo (fine III -inizio IV sec.).
In fondo alla galleria si scorge una tomba sul pavimento molto simile a quelle in parete. Queste tombe, chiamate forme, sono coperte da un palmo di terra affinché non si logorino le giunzioni fra le tegole.
La maggior parte delle tombe sono a parete ("loculi"), scavate sempre "per lungo", e non in profondità, come sono invece i moderni fornetti. Sono chiuse generalmente con tegole, talvolta con marmi, ma quasi sempre di materiale di reimpiego. Ma ci sono altre sepolture poste nell'angolo fra la parete e il suolo, generalmente chiamate "d'angolo" ma anche "a spiovente".
All'inizio del secondo tratto della galleria "D" troviamo a sinistra una tomba con iscrizione latina: "Coprion fece alla benemerita moglie Florentina che visse 31 anni".
In questo tratto vi sono quattro lapidi latine, due greche e una mista: siamo ancora fra il III e il IV secolo. Nelle iscrizioni cristiane, assai più che in quelle pagane, appaiono spesso nomi strani, o sgradevoli, o ridicoli, o addirittura ignominiosi.
Si parla di un Dyscolus, cioè bisbetico, intrattabile, e il dedicante è Coprion cioè "sterco". Su questi strani nomi delle iscrizioni cristiane (perché nelle pagane sono rarissimo) alcuni hanno pensato che assumessero questi nomi col battesimo (che si riceveva da adulti) per auto umiliazione o per premunirsi contro il gravissimo peccato della superbia. In effetti il giungere a immolarsi al proprio Dio sicuramente nasceva da un desiderio di autopunizione.
Segue la lapide del cipriota Epafrodito e quella di Granis (nome di un fiume persiano), scritta in caratteri greci, ma con una parola greca e una latina sgrammaticata; evidentemente due schiavi o liberti.
GALLERIA "F"
Ripartendo dall'incrocio imbocchiamo la galleria "F", il cui primo tratto è di tombe di bambini, e superati i due diverticoli di sinistra ("F1") e di destra ("F3") troviamo a sinistra una lapide latina posta verticalmente. E' una lapide pagana del II sec. reimpiegata, come ce ne sono diverse appresso sempre verticali.
Più avanti a sinistra troviamo una bella lapide incisa che recita: "Al benemerito Marciano./ Ilaro al carissimo fratello./ In pace.". Vi sono incisi: un Buon Pastore coll'agnello sul collo, due pecore e due alberi ai lati; una colomba che becca un grappolo d'uva; due altre colombe affrontate sopra un'anforetta panciuta, su alto piede.
Tornando indietro al diverticolo "F3" c'è la lapide che Proficio, lettore ed esorcista, dedica alla moglie Istercoria, con cui era vissuto 24 anni, 6 mesi e 26 giorni. Il nome Stercoria rientra nei nomi umilianti, invece Proficio è un ecclesiastico lettore di libri sacri e scacciatore di demoni dai corpi e dai luoghi infestati, e lui non si umilia davvero.
GALLERIA "B"
Tornati al sito del pozzo s'imbocca la galleria "B", dove si passa sopra una griglia che protegge la lapide di Lucilla, posta sopra una forma o tomba terragna. A metà della galleria, sulla destra, vi è una tomba semiaperta dove si legge sul margine inferiore "Susanna in pace" preceduta e seguita dal monogramma formato dalle prime due lettere del nome (Christòs). Siamo in età costantiniana, e cioè nella I metà del sec. IV.
DANIELE TRA I LEONI |
GALLERIA "C"
Tornati al pozzo seguono i tre cubicoli del primo tratto della "C", tre ricche cappelle funerarie devastate dai vignaioli al tempo della scoperta. Il più vicino al pozzo, contrassegnato "C2", è interamente ricoperto di pitture purtroppo mal conservate, ma leggibili. Sono pitture a tempera, a destra (entrando) rappresenta un collegio apostolico, solo sei per ragioni di spazio, vestiti di tunica e pallio, seduti con al centro un Cristo senza barba.
Il dipinto, di fattura scadente, è della II metà del IV secolo. Nella stessa parete, a sinistra di chi guarda, è rappresentata un'adolescente con le braccia allargate e le palme verso l'alto, la cosiddetta orante, con una veste a maniche assai larghe priva della parte inferiore a causa della devastazione, e il collegio apostolico risulta spicconato.
Sul soffitto, in fondo al cubicolo, è un uomo nudo fra due leoni: certamente Daniele. Nella parete di sinistra, nella curvatura sopra la tomba c'è un'altra orante con un velo bianco, quindi una matrona. Nella parte anteriore del soffitto abbiamo un Buon Pastore con pecore o forse capre.
Il cubicolo attiguo "C3", contiene due tombe orizzontali ricavate "a risparmio" nel tufo e molti marmi spezzati. Vi è poi la lapide dell'esorcista Fausto.
Il terzo cubicolo, "C4", conteneva molte tombe, di cui però non rimane alcuna lapide. Al centro resta, privata dei suoi marmi, una tomba cosiddetta "a baldacchino", con colonnine e copertura. Nel Lazio è rarissima, due dei pilastri sono crollati e si è dovuto rifarli di mattoni. Il pavimento era rivestito di marmi dello spessore di circa 15 cm. C'era all'interno del cubicolo un sarcofago, che fu venduto dai vignaioli.
GALLERIA "A"
Ai piedi della scala, a sinistra di chi scende, inizia la galleria "A",ad un livello più alto di un metro rispetto al resto della catacomba. Subito a sinistra, la tomba di famiglia del Diacono Gennaro, che aveva fatta per sé, per la sua "costola" Lupercilla e per la figlia Martyria (nome da Horror) ch'era vissuta tre anni, sei mesi e cinque giorni. La tomba è certamente fatta al momento della morte della figlia. La gerarchia ecclesiastica fatta di un lettore, due esorcisti, un diacono e un sacerdote, doveva essere la guida della piccola comunità di Ad Decimum.
La tomba di Gennaro e la successiva sono "ad ara", davanti a destra, vi sono due "arcosoli" anomali, perché hanno un angolo sorretto da un pilastro. Questo perchè davanti alla tomba di Gennaro vi era un candelabro romano del I sec., che fungeva da colonna e che fu divelta e rubata negli anni '70 si che venne sostituita con l'attuale pilastro.
Più avanti veri arcosoli (tombe sovrastate da un arco) ma privi di ornamentie. Dalla sinistra della galleria si diparte il diverticolo denominato "Al". La sua prima tomba a sinistra è del tipo "a mensa", simile all'arcosolio, ma sovrastata da un soffitto piano. Davanti vi è una tomba "a forno". Si tratta di una tomba collettiva munita di una grande apertura quadrangolare, una tomba di emergenza per seppellire più defunti insieme, per esempio in tempi di epidemie.
Sempre a destra, una ricca tomba successiva, interamente decorata da pitture imita un'abside, con sul fondo la "traditio legis " cioè la consegna della Legge da Cristo a Pietro. C'è anche Paolo e un uccello nero, l'araba fenice, un mito etiopico-egizio, l' uccello che ogni cento anni si incendiava e moriva per poi risorgere dalle proprie ceneri.
Ai lati della testa del Cristo sono la A e l'Omega, in alto colombe e palme alternate; a sinistra un vaso da cui forse zampilla acqua: un giardino simbolo del Paradiso; sul margine inferiore si vedono solo buchi neri che dovevano essere le sorgenti dei quattro fiumi del Paradiso terrestre.
Sulla parte destra una figura femminile assai sbiadita, a sinistra un ragazzo seduto e orante, con due personaggi in piedi. In basso forse un paesaggio silvestre, con un quadrupede che bruca l'erba o beve. La tomba è fine IV - I metà del V sec..
BIBLIO
- Leonella De Santis e Giuseppe Biamonte - Le catacombe di Roma - Roma - Newton Compton Editori - 2011 -
- Orazio Marucchi - Manuale di Archeologia Cristiana - Roma - 1933 - (IV ed.) -
- Pasquale Testini - Archeologia Cristiana - Bari - Edipuglia - 1980 -
- James Stevenson - La civiltà delle catacombe - Roma - Club del Libro - 1987 -
- Priscianus - in Catholic Encyclopedia - New York - Encyclopedia Press - 1913 -
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